LA CORTE COSTITUZIONALE DICHIARA ILLEGITTIMO IL CONTROLLO SULLA CORRISPONDENZA TRA DETENUTO SOTTOPOSTO AL REGIME EX ART. 41-BIS ED IL PROPRIO DIFENSORE – DI ANTONIO RAGAZZO
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LA CORTE COSTITUZIONALE DICHIARA ILLEGITTIMO IL CONTROLLO SULLA CORRISPONDENZA TRA DETENUTO SOTTOPOSTO AL REGIME EX ART. 41-BIS ED IL PROPRIO DIFENSORE
THE CONSTITUTIONAL COURT DECLARES UNCONSTITUTIONAL THE CHECK ON THE CORRESPONDENCE BETWEEN DETAINED EX ARTICLE 41-BIS AND ITS LAWYER
di Antonio Ragazzo*
Corte cost., 1° dicembre 2021 (dep. 24 gennaio 2022), n. 18, Pres. Coraggio – Red. Viganò
Corrispondenza del detenuto col proprio difensore – diritto di difesa – regime penitenziario ex art. 41-bis ordin.penit.
(Art. 41-bis, c.2-quarter, lett. e), L. 26 luglio 1975, n. 354)
Il contributo affronta in chiave critica la pronuncia con cui la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 41-bis, c.2-quarter, lett. e) L. 26 luglio 1975, n. 354 nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori. In particolare, nella prima parte, il lavoro si sofferma brevemente sulla disamina dei rapporti intercorrenti tra l’art 41-bis ordin. penit. e l’art 18-ter, ordin. penit. in materia di corrispondenza tra detenuto e proprio difensore. Nella seconda parte, invece, analizzato i condivisibili argomenti spesi dalla Corte ai fini della declaratoria di incostituzionalità, viene dedicata particolare attenzione alle ragioni di ammissibilità della questione rimessa dal giudice a quo. Da ultimo, si lascia spazio a delle brevi considerazioni conclusive, anche alla luce delle critiche mosse alla pronuncia che impongono – a detta di chi scrive – di ribadire con forza l’importanza della figura dell’avvocato.
The contribution addresses in a critical key the ruling with which the Constitutional Court considered constitutionally illegitimate the art. 41-bis, paragraph 2-quarter, lett. e) L. July 26, 1975, n. 354 in the part in which he does not exclude correspondence with the lawyers from being subjected to censorship. In the first part, the work briefly focuses on the examination of the relationships between article 41-bis. and article 18-ter, L. July 26, 1975, n. 354, in the matter of correspondence between prisoner and his own lawyer. In the second part, on the other hand, after analyzing the arguments that can be shared by the Court for the purposes of the declaration of unconstitutionality, particular attention is paid to the reasons for the admissibility of the question referred by the remitting judge. Finally, space is left for brief conclusive considerations, also considering the criticisms leveled at the ruling which require – according to the Author – to strongly reiterate the importance of the lawyer.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il caso. – 3. Brevi cenni all’ art. 41-bis e ai rapporti con l’art. 18-ter, ordin. penit. – 4. Le ragioni (tecnico-giuridiche) della pronuncia di incostituzionalità: l’ammissibilità della questione … 4.1. (segue) … e il carattere «supremo» del diritto di difesa. – 5. Brevi considerazioni finali (anche) a difesa della Difesa.
- Premessa.
Con la sentenza in commento[1], la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera e), ordin. penit[2].
Più in particolare, tenuto conto che quel comma prevede un controllo generale sulla corrispondenza del detenuto sottoposto al regime ex art. 41-bis ordin. penit. – c.d. visto di censura, la Consulta si è dovuta interrogare sulla conformità a Costituzione della disposizione, nella parte in cui essa non esclude(va), al pari di quanto accade invece per «i membri del Parlamento o con [le] autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia», ogni forma di ingerenza nell’eventuale scambio di battute col proprio difensore[3].
La declaratoria di incostituzionalità con cui la Corte ha risolto la questione, certamente condivisibile sul piano tecnico – come si avrà modo di argomentare – si lascia apprezzare anche per la ferma presa di posizione assunta, che restituisce, da un lato, dignità alla figura del difensore e, dall’altro, ribadisce il ruolo fondamentale, nella architettura costituzionale, del diritto di/alla difesa.
- Il caso.
La vicenda da cui trae origine la questione di legittimità vede coinvolto un imputato che, condannato in primo grado a venticinque anni di reclusione e ritenuto – ancorché non in via definitiva – esponente di vertice di un’associazione di stampo mafioso, veniva sottoposto a regime differenziato ex art. 41-bis, comma 2, ordin. penit.
Pertanto, proprio in forza di quanto previsto dalla richiamata lettera e) del comma 2-quater di quell’articolo, il Presidente del Tribunale ordinario di Locri, nel vagliare la liceità della corrispondenza intrattenuta da questi col difensore, provvedeva affinché fosse disposto di trattenere un telegramma indirizzato dall’ imputato al proprio avvocato.
Avverso il decreto che disponeva il trattenimento della corrispondenza, il detenuto proponeva reclamo[4] e sul reclamo si pronunciava ancora il Tribunale calabrese. Il giudice, rigettando l’impugnazione, riteneva che «l’ambiguità del contenuto della missiva, composta da una serie di periodi non legati da un filo logico in grado di rendere coerente e comprensibile il testo nella sua interezza» rendesse del tutto evidente l’esistenza di un «pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica»[5]. Di talché, veniva considerata giustificata la ‘intrusione’ nel dialogo difensivo intrattenuto tra i due soggetti.
L’ordinanza di rigetto era quindi impugnata innanzi alla Corte di Cassazione che, dubitando della legittimità costituzionale della disposizione cui fondava il provvedimento genetico della vicenda, sollevava questione di legittimità con riferimento agli artt. 3, 15, 24, 111 e 117 Cost., in relazione quest’ultimo all’art. 6 C.E.D.U.
- Brevi cenni all’ art. 41-bis e ai rapporti con l’art. 18-ter, ordin. penit.
La sottoposizione al c.d. visto di censura prevista dalla lettera e) del comma 2-quater, cui si è accennato, si inserisce in un preciso assetto normativo, quale è l’art. 41-bis., ordin. penit.[6], che prevede, anzitutto, «due diverse forme di sospensione delle normali regole di trattamento dei detenuti (imputati e condannati) e degli internati»[7].
Due regimi penitenziari speciali di cui, il primo, disciplinato al comma 1, si presenta come un regime di sicurezza collettivo; il secondo, previsto dal comma 2 – e sue successive integrazioni – di tipo eminentemente individuale[8].
Mentre l’uno regola la sospensione delle ordinarie regole penitenziare «nei casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza», e trova applicazione nei confronti dell’intero istituto allorché risulti necessario «ripristinare l’ordine e la sicurezza»; l’altro, su cui si concentrerà l’attenzione, trova applicazione nei confronti di singoli individui, nel diverso caso in cui ricorrano «gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica», a condizione che i) «vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti [del detenuto] con un’associazione criminale, terroristica o eversiva» e che ii) lo stesso sia recluso «per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4 bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso».
I due presupposti appena richiamati, rispettivamente, di tipo funzionale e di tipo formale si affiancano – non senza alcun profilo di criticità con riferimento al secondo[9] – alla ratio del regime differenziato individuale che, nato in un contesto particolare della recente storia repubblicana[10], come ricorda la stessa Corte costituzionale in sentenza «mira essenzialmente a impedire che il detenuto o l’internato possano continuare a intrattenere rapporti con l’organizzazione criminale di appartenenza, e a svolgere così ancora un ruolo attivo all’interno di tale organizzazione, in particolare impartendo o ricevendo ordini o istruzioni rivolti a, o provenienti da, altri membri del sodalizio»[11].
Non si tratterebbe, dunque, di un aggravamento della pena ma, piuttosto, di uno strumento che, esulando dalla logica retributiva della sanzione, si atteggia ad istituto di natura preventiva[12], finalizzato ad impedire la commissione di altri ed ulteriori reati.
Questo spirito della norma, del resto, è stato ribadito anche nel corso degli anni, laddove i vari interventi di riforma susseguitisi hanno provveduto, dapprima con una novella del 2002[13] e, più di recente, con una modifica datata 2009[14], ‘solo’ a delineare con maggior rigore il perimetro delle restrizioni consentite e taluni aspetti di dettaglio.
Ne dà conto anche la Corte che, preliminarmente, in una prospettiva che Ella stessa definisce «diacronica» ed in termini simili a quelli poc’anzi descritti, ricostruisce il quadro normativo di riferimento.
Ovviamente, particolare attenzione è dedicata alla restrizione indicata alla lettera e) oggetto della questione di legittimità, e ad essa viene affiancato un confronto con la disciplina di ordine ‘generale’, confluita oggi nell’art. 18-ter ordin. penit.[15], che descrive le regole applicabili ai controlli sulla corrispondenza dei detenuti ‘ordinari’.
Il parallelismo si rende necessario nell’ergonomia della decisione almeno per due ordini di ragioni. Da un lato, esso consente alla Consulta di richiamare, e di aderire, a quella lettura giurisprudenziale[16] che ricava dall’art. 18-ter ordin. penit., comma 3, un principio generale – diremmo di «giuridizionalizzazione» – in forza del quale, pur nel silenzio assordante della lettera e) sul punto e compatibilmente con le riserve previste dall’art. 15 della Costituzione, il controllo sulla corrispondenza può essere disposto solo dall’autorità giudiziaria. Dall’altro lato, apre al problema controverso oggetto della questione rimesse all’attenzione della Corte, nella misura in cui – nonostante i vari interventi normativi avvicendatosi negli anni – si è chiamati a prendere atto di come il Legislatore non abbia mai delineato compiutamente i rapporti che intercorrono tra le due discipline in materia di controlli sulla corrispondenza.
Con l’importante conseguenza, da questo punto di vista, che resta rimessa all’apprezzamento dell’operatore giuridico se valga anche per il caso tipizzato alla lettera e) il divieto, previsto in generale dall’art. 18-ter, comma 2, ord. pen., di un controllo sullo scambio di informazioni intrattenuto dal detenuto col proprio difensore[17]. Ovvero, per dirla in termini differenti, se la deroga espressa in favore dei «membri del Parlamento o [delle] autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia» indicati all art. 41-bis, ordin. penit., debba intendersi estesa, pur nel silenzio della Legge, anche alla figura dell’avvocato.
- Le ragioni (tecnico-giuridiche) della pronuncia di incostituzionalità: l’ammissibilità della questione …
La Corte, con riferimento a quest’ultimo aspetto, ha anzitutto tenuto a precisare la piena ammissibilità della questione prospettata dal giudice a quo.
Per vero, pur dando atto dell’esistenza di «numerosi voci dottrinali»[18] e di una circolare attuativa del D.A.P.[19] chiaramente schierate a favore di un’interpretazione estensiva dell’art. 18-ter, comma 2; ha evidenziato come i) l’assenza di un «chiaro e consolidato» indirizzo giurisprudenziale che militasse in tal senso e ii) la soluzione interpretativa assunta a base dell’ordinanza di rimessione più conforme al dato letterale della disposizione censurata, rendessero impossibile un’interpretazione secondo Costituzione della stessa e, dunque, ammissibile la relativa questione di legittimità.
Gli argomenti addotti dalla Corte, specialmente con riferimento al secondo profilo evidenziato, paiono certamente condivisibili se si guarda alla finalità – di cui si è detto[20] – sottesa alla disciplina ex art. 41-bis, comma 2, ordin. penit.
Difatti, muovendo dal dato incontestato che il regime di maggior rigore risponde alla logica preventiva di evitare ogni forma di contatto con l’associazione d’appartenenza, è la stessa ratio della disciplina che impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe ivi contemplate. Almeno, si intende, con riferimento a quelle che, come nel caso interessato dalla lettera e), si traducono in spazi di apertura meno rigorosi verso l’esterno, e perciò in evidente tensione con le finalità sottese al regime stesso.
Appurato, quindi, che almeno per queste ipotesi, le eccezioni previste devono essere inevitabilmente oggetto di un’accurata attività di esegesi da parte dell’interprete, può ritenersi che ancor prima al Legislatore sarà doverosamente richiesto di introdurre deroghe accorte e ben ponderate.
Entro questi binari, la scelta di non inserire gli avvocati nel novero di soggetti qualificati esclusi dal regime più gravoso, allora, non pare una svista[21] – il che, se anche fosse, sarebbe già di per sé grave, considerate le implicazioni di una simile dimenticanza – ma, al contrario, sembra esprimere più verosimilmente una chiara presa di posizione di segno opposto tesa ad escluderli.
Se ne ricava, in definitiva, che l’elenco previsto alla lettera e) è un elenco tassativo[22] non interpretabile estensivamente, in linea anche col principio generale dell’ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, a mente del quale il Legislatore esprime esclusivamente solo ciò che vuole esprimere: il che, a ben vedere, si concilia pure meglio con la circostanza che ad essere regolato è comunque un punto centrale della disciplina.
Milita in favore della lettura proposta, inoltre, anche un’interpretazione sistematica delle regole previste dallo stesso ordinamento penitenziario.
Difatti, se con riferimento all’. art. 14-bis ordin. penit.[23], che disciplina le ipotesi di c.d. sorveglianza particolare, il Legislatore ha voluto chiaramente escludere che ogni limitazione potesse interessare il diritto di difesa, nella forma della corrispondenza col proprio avvocato, mediante un espresso rinvio[24] all’art. 18-ter ordin, penit.; non si comprenderebbe – se non nella logica appena prospettata – la mancata introduzione, in una materia che è stata oggetto di più interventi di riforma, di un rinvio alla stessa disposizione, anche con riferimento alle ipotesi previste dalla lettera e) qui d’interesse.
4.1. (segue) … e il carattere «supremo» del diritto di difesa.
Chiarite le ragioni di ammissibilità di analisi nel merito della questione di legittimità costituzionale, la Corte si concentra sull’importanza del «principio supremo»[25] espresso all’art. 24 Cost., in tema di diritto di difesa.
Un diritto, si nota, che si traduce inevitabilmente anche nella legittima pretesa dell’assistito a conferire con il proprio difensore, «allo scopo di predisporre le difese e decidere le strategie difensive, ed ancor prima allo scopo di poter conoscere i propri diritti e le possibilità offerte dall’ordinamento per tutelar[lo] e per evitare o attenuare le conseguenze pregiudizievoli cui si è sottoposti»[26]. Ragion per cui, la previsione di una procedura di controllo, oltre a far venir meno la segretezza delle informazioni confidenziali intrattenute tra il detenuto ed il suo difensore, e nei casi più gravi a determinare una radicale interruzione della comunicazione, ne rappresenta una «vistosa» limitazione non consentita.
Non che, è ben chiarirlo, la Corte si sia pronunciata nel senso di condannare ogni tipo di limitazione al diritto di difesa nella forma di diritto ad una corrispondenza libera e segreta; quanto, piuttosto, nel senso di ammettere che certune limitazioni possano ritenersi ammissibili soltanto se rispettati «i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità»[27] e «l’effettività del diritto di difesa».
Quasi scontato, a questo punto, l’espresso rinvio ad un’altra recente pronuncia della Corte[28] che, nel dichiarare l’incostituzionalità dello stesso art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), nella parte in cui la disposizione prevedeva un limite alla durata e alla frequenza dei colloqui con il difensore, ritenne irragionevole, proprio ai sensi dell’art. 24 Cost., la compressione del diritto di difesa a fronte di un mancato incremento di tutela di altro diritto fondamentale.
Si osservò in quella occasione, per vero, che la misura – introdotta con legge nel 2009, non valeva affatto «ad impedire, nemmeno parzialmente, il temuto passaggio di direttive e di informazioni tra il carcere e l’esterno, né a circoscrivere in modo realmente significativo la quantità e la natura dei messaggi che si paventano scambiabili, per il tramite dei difensori, nell’ambito dei sodalizi criminosi». E questo, per la semplice ragione che i colloqui con i difensori non erano sottoposti ad ascolto o a videoregistrazione, senza che, quindi, la riduzione degli incontri o una loro diversa modulazione potesse in alcun modo incidere sulla prevenzione di tali eventi.
In definitiva, quindi, argomentando in tal senso anche nel caso che ci occupa, considerato che i colloqui tra difensori e propri assistiti continuano ad essere sottratti ad ogni forma di controllo, non si intravede alcun serio motivo che possa giustificare una limitazione che abbia ad oggetto la corrispondenza intrattenuta tra gli stessi soggetti e che possa indurre a rivedere la posizione assunta solo qualche anno fa dalla Corte. Di fatto – in astratto – anche a voler ipotizzare collusioni del difensore con l’ambiente criminale che egli rappresenta, esse potrebbero tranquillamente trovare (anche meglio) una loro compiuta realizzazione durante i colloqui.
- Brevi considerazioni finali (anche) a difesa della Difesa.
Come si anticipava[29], la sentenza della Corte, nell’argomentare sull’ incostituzionalità della disposizione interessata, non ha mancato nemmeno di riconoscere l’importanza della professione forense che, volta alla tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso, finisce per svolgere in detto sistema un «ruolo insostituibile».
Così, in maniera condivisibile, la Consulta ha contestato l’inappropriata e generale «presunzione di collusione del difensore con il sodalizio criminale»[30] su cui, a tutta evidenza, poggia(va) la scelta del Legislatore di non inserire gli avvocati nell’elenco tassativo di cui alla lettera e).
Ora, benché la pronuncia si fosse fatta carico di riproporre enunciati e principi che dovrebbero essere considerati acquisiti in un moderno Stato di diritto, all’occorrenza soltanto ribaditi; non è mancato chi ha ritenuto di muovere delle critiche alla decisione.
Secondo costoro[31], infatti, ‘cancellando’ la censura sulla corrispondenza fra i detenuti al 41-bis ed i rispettivi avvocati, si sarebbe finiti in maniera del tutto «geniale» per consentire ai «boss […] di ordinare omicidi e stragi».
La conclusione sconfessa l’iter argomentativo fatto proprio dalla Corte – senza apportare alcun argomento meritorio di segno contrario – e ne ribalta il ragionamento, muovendo da una certa (sic!) presunzione di contiguità tra avvocato e detenuto che rispecchia fedelmente i tempi difficili cui versa oggigiorno il modello liberale di riferimento[32].
È per questo, allora, che al netto delle repliche che ne sono seguite[33] (qui condivise), pare quanto mai doveroso, anche in questa sede, levare gli scudi in difesa – sia consentito il gioco di parole – della Difesa, affinché, con forza, ne venga sottolineata e ribadita l’essenzialità.
Al riguardo, a noi pare che colgano nel segno queste poche righe, a firma di un pubblico ministero che, nel definire il ruolo del difensore, afferma: «l’avvocato – con la sua “professione di carità”, con il suo “tener compagnia a chi si trova a tu per tu con il dolore” – è lì a ricordarci […] [e] a portare sulle proprie spalle i grumi di dolore dei propri assistiti, ad assumere su di sé l’urto delle passioni e delle polemiche, a sollevarci da quel peso indicibile»[34].
Queste parole, comprese con difficoltà, o non comprese affatto, da quanti propugnano una visione distorta della professione, descrivono meglio di ogni altre la figura dell’Avvocato.
Descrivono, infatti, l’indiscutibile rilievo morale e sociale di quanti, quotidianamente, indossano seduti alla sinistra del giudicante la toga con orgoglio e responsabilità.
*Praticante avvocato del Foro di Napoli
[1] Cort. cost., 1° dicembre 2021, n. 18, in www.cortecostituzionale.it. Per i primi commenti alla pronuncia, M. Brucale, 41-bis e corrispondenza con il difensore, in www.questionegiustizia.it, 22 marzo 2022; C. Cataneo, Per la Corte costituzionale è illegittima la sottoposizione al visto di censura della corrispondenza tra difensore e detenuto in regime di 41-bis, in www.sistemapenale.it, 1 aprile 2022; R. Ruotolo, Visto di censura della corrispondenza e diritto di difesa. un esito nella sostanza condivisibile, raggiunto con una discutibile tecnica decisoria, in questa rivista, 4 marzo 2022; M. Rampioni, Corrispondenza e visto di censura: prosegue il cammino verso un pieno riconoscimento del diritto di difesa, in www.penaledp.it, 24 febbraio 2022; D. Steccanella, L’avvocato come megafono di libertà: le spinose pendici della conquista dell’ovvio e l’importanza della sua difesa. Considerazioni a margine della sent. n. 18 del 2022 della Corte costituzionale, in questa rivista, 18 febbraio 2022.
[2]L. 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.
[3] L’art. 2-quater recita, espressamente: «I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria. La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 prevede: […] e) la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia».
[4] Previsto sempre all’art. 41-bis, 2-quinquies, ordin. penit.: «Il detenuto o l’internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del regime di cui al comma 2, ovvero il difensore, possono propone reclamo avverso il procedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento».
[5] Cort. cost., 1° dicembre 2021, n. 18, cit., § 1.1. del Ritenuto in fatto.
[6] Ne tratta ampia manualistica, tra cui L. Filippi – G. Spangher – M. F. Cortesi, Manuale di diritto penitenziario, Giuffrè, 2019, pp. 169 ss., S. Ardita, Art. 41-bis. ordin. penit., in F. Fiorentin – F. Siracusano (a cura di), L’esecuzione penale, ordinamento penitenziario e leggi complementari, Giuffrè, 2019, pp. 509 ss.; L. Cesaris, Art. 41-bis. ordin. penit, in F. Della Casa – G. Giostra (a cura di), Ordinamento penitenziario commentato, CEDAM, 2019, pp. 532 ss.; F. Fiorentin – C. Fiorio, Manuale di diritto penitenziario, Giuffrè, 2020, pp. 395 ss.; P. Corvi, I regimi differenziati, in A. Giarda – G. Forti – F. Giunta – G. Varraso (a cura di), Manuale di diritto penitenziario, CEDAM, 2021, pp. 341 ss. Si segnala, ancora, l’opera monografica di S. Ardita, Il regime detentivo speciale 41-bis, Giuffrè, 2007.
[7] L. Filippi – G. Spangher – M. F. Cortesi, Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 169.
[8] Chiaramente, nello stesso senso, S. Ardita, Art. 41-bis. ordin. penit., cit., pp. 510 ss.
[9] Ne dà conto, ad esempio, S. Ardita, Art. 41-bis. ordin. penit., cit., p. 517, che osserva, in particolare, come: «il richiamo all’art. 4 bis – norma che limita i benefici penitenziari in continua evoluzione – finisc[e] indirettamente per spostare il raggio di azione dell’istituto, che dovrebbe essere essenzialmente rivolto a contrastare la criminalità organizzata di tipo mafioso e terroristico».
[10] Ancora, S. Ardita, Art. 41-bis. ordin. penit., cit., p. 512, che afferma: «il varo dell’istituto si deve alle stragi di mafia che insanguinarono l’estate del 1992».
[11] Cort. cost., 1° dicembre 2021, n. 18, cit., § 4.4.2. del Considerato in diritto.
[12] In questo senso, S. Ardita, Il regime detentivo speciale 41-bis, cit., p. 81.
[13] È con la L. 23 dicembre 2002, n. 279, Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario, che viene introdotto il nuovo comma 2-quater, e con esso una puntuale indicazione, organizzata per lettere, delle singole restrizioni ammesse – tra cui la e).
[14] L. 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.
[15] Tra molti, L. Filippi – G. Spangher – M. F. Cortesi, op. cit., pp. 53 ss.
[16] Cass. pen., Sez. V, 22 febbraio 2019, n. 32452, in C.E.D. Cass. n. 277527; Cass. pen., Sez. I, 17 maggio 2018, n. 51187, in C.E.D. Cass. n. 274479; Cass. pen., Sez. I, 20 giugno 2014, n. 43522, in C.E.D. Cass. n. 260692; Cass. pen., Sez. I, 21 novembre 2012, n. 48365, in C.E.D. Cass. n. 253978.
[17] Per comodità di lettura, si riportano i primi due commi dell’art. 18-ter ordin. penit.: «1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi: a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa; b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo; c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima. 2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell’articolo 103 del codice di procedura penale, all’autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell’articolo 35 della presente legge, ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell’uomo di cui l’Italia fa parte.» Sul punto, si rimanda anche a F. R. Mittica, La corrispondenza tra detenuto e difensore, in Proc. pen. e giust., 6, 2019, pp. 1483 ss.
[18] In questo senso, ad esempio, M. Ruaro – C. Santinelli, Art. 18-ter. ordin. penit, in F. Della Casa – G. Giostra (a cura di), Ordinamento penitenziario commentato, CEDAM, 2019, pp. 289 ss; L. Cesaris, Art. 41-bis. ordin. penit, in F. Della Casa – G. Giostra (a cura di), Ordinamento penitenziario commentato, CEDAM, 2019, pp. 555 ss.
[19] Circolare D.A.P. n. 3676/6126, 2ottobre 2017, Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis O.P. ove viene espressamente affermato che «v’è tassativo divieto di sottoporre a limitazioni e/o controlli la corrispondenza cd. “per giustizia”, ovvero la corrispondenza indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell’art. 103 del codice procedura penale», tra cui (anche) rientrano i difensori.
[20] Vd. par. 3.
[21] Argomenta in senso contrario R. Ruotolo, Visto di censura della corrispondenza e diritto di difesa. un esito nella sostanza condivisibile, raggiunto con una discutibile tecnica decisoria, cit., p. 5, secondo cui: «nel caso di specie non vi sia propriamente un’antinomia, bensì una lacuna da colmare ricorrendo alla disposizione che regola un caso simile (l’art. 18-ter, appunto), come si è ritenuto nella circolare DAP». In questa prospettiva, quindi, laddove la si ritenesse condivisibile, più che legittimi i dubbi sollevati dall’ Autore in merito alla tecnica decisoria adottata dalla Consulta, per cui si rimanda al contributo.
[22] Come pure argomenta il giudice a quo.
[23] Di seguito il testo del comma 1: «Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati: a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l’ordine negli istituti; b) che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.»
[24] Contenuto all’art. 14-quater ordin. penit: «Per quanto concerne la corrispondenza dei detenuti, si applicano le disposizioni dell’articolo 18-ter».
[25] Cort. cost., 1° dicembre 2021, n. 18, cit., § 4.1. del Considerato in diritto, che tuttavia richiama ad altre pronunce della stessa Corte che per la prima volta ne hanno fatto riferimento – ivi debitamente richiamate.
[26] Cort. cost., 1° dicembre 2021, n. 18, cit., § 4.1. del Considerato in diritto, che, ancora, fa propria l’affermazione contenuta in Cort. cost. 9 aprile 1997, n. 212, in www.cortecostituzionale.it.
[27] Cort. cost., 1° dicembre 2021, n. 18, cit., § 4.3. del Considerato in diritto.
[28] Cort. cost., 24 aprile 2013, n. 143, § 7, in www.cortecostituzionale.it.
[29] Vd. par. 1.
[30] Una simile presunzione non poteva che considerarsi «insostenibile», attesa la mancanza di qualsivoglia elemento concreto che consentisse, anche solo in ipotesi, di poter desumere una incondizionata messa a disposizione della componente avvocatizia.
[31] Ci riferiamo all’espressione adottata da ilFattoQuotidiano, giornale nazionale, che ha così sintetizzato la propria posizione: «La Consulta cancella la censura sulla corrispondenza fra i detenuti al 41-bis e avvocati. Geniale: così i boss potranno ordinare omicidi e stragi per lettera».
[32] Ne parlano, tra molti, G. Fiandaca, Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia, 2013, e volendo in www.discrimen.it; D. Pulitanò, Intervento a La società punitiva, Populismo, diritto penale simbolico e ruolo del penalista, in Dir. pen. cont., 21 dicembre 2016. pp. 3 ss.; R. Rampioni, Le modifiche al sistema penale. Fra «giustizialismo» e «populismo giudiziario», in Ind. Pen., 1, 2019, pp. 148 ss. Sul punto, corre mente anche all’insegnamento di V. Maiello, Appunti sparsi di ‘lotta per il diritto’, in questa rivista, 21 febbraio 2020, che parla, diffusamente, della necessità di una «moderna lotta per il diritto», quale reazione agli scenari preoccupanti che si prospettano.
[33] In particolare, si segnala la replica delle Camere Penali Italiane, Da “Il Fatto Quotidiano” miserabili infamie contro gli avvocati. Ne risponderanno, come meritano gli atti diffamatori, contenuta in un comunicato rinvenibile in www.camerepenali.it, insieme a quella di alcune testate, tra cui A. Matteucci, Caro Travaglio, quella sentenza sul 41-bis andrebbe letta nelle scuole, in www.ildubbio.it, 1.2.2022.
[34] P. Borgna, Difesa degli avvocati. Scritta da un pubblico accusatore, Laterza, 2014.