LA LEGGE SEVERINO SUPERA L’ESAME A STRASBURGO – DI CLAUDIO AVESANI
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LA LEGGE SEVERINO SUPERA L’ESAME A STRASBURGO
THE SO CALLED “SEVERINO LAW” PASSED THE EXAM AT STRASBOURG
Irricevibili i ricorsi per la violazione dell’art.7 della Convenzione
di Claudio Avesani*
Scopo del presente contributo è l’analisi delle due decisioni della corte EDU Miniscalco c. Italia e Galan c. Italia, nella specifica prospettiva della verifica circa la natura delle disposizioni della L. 235/12, in relazione all’art. 7 della Convenzione (nulla poena sine lege); natura sostenuta dai ricorrenti in termini di sanzione sostanzialmente penale, unitamente ad altri profili di doglianza, ed esclusa invece, anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale nazionale, dalla Corte EDU, che con le due pronunce in commento ha stabilito la compatibilità convenzionale della c.d. Legge Severino.
The aim of this article is the analysis of the two decisions of the ECtHR Miniscalco v. Italy and Galan v. Italy, in the specific perspective of the verification of the nature of the provisions of Law 235/12, in relation to art. 7 of the Convention (nulla poena sine lege); despite the applicants supported the criminal nature of the sanctions provided by the law, the ECtHR excluded this thesis, also on the basis of national constitutional jurisprudence and established the conventional compatibility of the so-called Severino Law.
Sommario: 1. Il dato normativo. 2. Le sentenze della Corte Edu: Galan c. Italia e Miniscalco c. Italia. 3. La tesi della natura di sanzione sostanzialmente penale dell’incandidabilità sopravvenuta. 4. La giurisprudenza costituzionale. 5. La risposta data dalla Corte Edu. 6. Brevi riflessioni conclusive.
- Il dato normativo.
Il D.Lgs. 235/2012 prevede, tra l’altro, casi di incandidabilità, cui consegue la decadenza per chi sia già stato eletto, per coloro che siano stati condannati con sentenza definitiva per determinati reati, con riferimento alle cariche di parlamentare, di membro del parlamento europeo, a quelle elettive regionali, e negli enti locali.
Al di là della previsione dell’art. 16, 1° comma, secondo il quale, nei casi ivi previsti, le misure si applicano alle sentenze di applicazione pena pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 235/2012, la normativa non contiene una disciplina transitoria. Si è quindi posto il problema della sua operatività, con riferimento alle condanne relative a fatti pregressi.
- Le sentenze della Corte EDU: Galan c. Italia e Miniscalco c. Italia
Marcello Miniscalco, la cui candidatura alle elezioni regionali del 2013 era stata esclusa, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 235/2012, a causa di una condanna per abuso d’ufficio divenuta definitiva prima dell’entrata in vigore della normativa di cui sopra, lamentava l’applicazione retroattiva di una norma sostanzialmente penale, in violazione dell’art. 7 CEDU, oltre alla violazione dell’art. 3 del Protocollo n. 1 in ragione della compressione dei propri diritti di elettorato passivo.
Nel caso Galan c. Italia il ricorso alla Corte EDU è stato presentato dall’ex presidente della regione Veneto, dopo che la Camera dei deputati ne aveva dichiarato, facendo applicazione delle disposizioni del D.Lgs L.235/2012, la decadenza dalla carica di parlamentare, a seguito di condanna divenuta irrevocabile nel 2015, per fatti di corruzione commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge Severino.
In precedenza, il medesimo tema era stato oggetto di ricorso avanti alla Corte di Strasburgo da parte dell’ex premier Silvio Berlusconi, che, invocando l’articolo 7 della Convenzione, sosteneva che l’applicazione del decreto legislativo n. 235/2012, da cui derivavano il divieto di candidarsi alle elezioni e la decadenza dal suo mandato di senatore in seguito alla sua condanna definitiva per frode fiscale, per fatti anche in questo caso anteriori all’entrata in vigore del citato D.Lgs 235/2012, aveva contravvenuto ai principi di legalità, prevedibilità, proporzionalità e irretroattività delle sanzioni penali; deduceva inoltre la violazione del suo diritto di esercitare il mandato elettivo, nella prospettiva dell’articolo 3 del Protocollo n. 1, e prospettava che l’assenza, nel diritto interno, di un ricorso accessibile ed effettivo che permettesse di contestare la compatibilità del decreto legislativo n. 235/2012 con la Convenzione, e la decisione del Senato del 27 novembre 2013 che ne dichiarava la decadenza dalla carica, erano contrarie all’articolo 13 della Convenzione.
La causa in questione non è stata tuttavia decisa, avendone il ricorrente chiesto la cancellazione dal ruolo, dopo aver ottenuto la riabilitazione; il nodo relativo alla compatibilità convenzionale della legge Severino, e segnatamente alla natura di sanzione sostanzialmente penale, o meno, della previsione di incandidabilità e decadenza a seguito di condanna per determinati reati è stata quindi affrontata dalla Corte EDU solo con le pronunce in esame.
- La tesi della natura di sanzione sostanzialmente penale dell’incandidabilità sopravvenuta.
Le tesi sviluppate dai ricorrenti annettono natura sostanzialmente penale all’incandidabilità sopravvenuta, in ragione della finalità punitiva della normativa, e della gravità delle conseguenze derivanti dall’applicazione delle disposizioni in esame, affini quanto agli effetti alla pena accessoria, secondo quanto prospettato nel ricorso Galan, dell’interdizione dai pubblici uffici di cui all’art. 28 c.p. Ne conseguirebbe pertanto, in applicazione del principio di irretroattività, l’inapplicabilità della normativa, in conseguenza di fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della stessa. La tesi in questione è stata sviluppata anche nel contesto della relazione di minoranza presentata alla Giunta delle Elezioni in occasione del procedimento che ha condotto alla decadenza dell’on. Galan, della quale si riporta in nota il passaggio saliente[1].
In precedenza, analoghe argomentazioni erano state sviluppate anche nei sei pareri pro veritate[2] allegati alle osservazioni trasmesse dall’On Berlusconi alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, tra i quali si segnala, per i richiami alla Convenzione e alla giurisprudenza della Corte EDU afferenti al tema in esame, quello del Prof. Avv. Giovanni Guzzetta[3][4].
- La giurisprudenza costituzionale.
Come è noto, le sentenze della Corte EDU in commento richiamano ampiamente la giurisprudenza Costituzionale nazionale, in particolare le sentenze 236/2015 e 276/2016[5]; le pronunce della Corte costituzionale da ultimo citate, che per vero hanno riguardato la diversa fattispecie della sospensione dalla carica a seguito di sentenza di condanna non definitiva, prevista dal D.Lgs 235/2012, sono espressione di una giurisprudenza costituzionale ormai consolidata, risalente al 1994.
Nella sentenza 236/2015 la Consulta ricorda infatti di essersi già pronunciata, in diverse occasioni, sulle norme di legge che hanno costituito gli antecedenti del D.Lgs. n. 235 del 2012 escludendo che le misure della incandidabilità, della decadenza e della sospensione avessero carattere sanzionatorio[6].
Tali misure non costituiscono sanzioni o effetti penali della condanna, ma conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate, o per il loro mantenimento.
Afferma la Corte costituzionale:
«nelle ipotesi legislative di decadenza ed anche di sospensione obbligatoria dalla carica elettiva previste dalle norme denunciate non si tratta affatto di “irrogare una sanzione graduabile in relazione alla diversa gravità dei reati, bensì di constatare che è venuto meno un requisito essenziale per continuare a ricoprire l’ufficio pubblico elettivo” (sentenza n. 295 del 1994), nell’ambito di quel potere di fissazione dei “requisiti” di eleggibilità, che l’art. 51, primo comma, della Costituzione riserva appunto al legislatore” (sentenza n. 25 del 2002). In sostanza il legislatore, operando le proprie valutazioni discrezionali, ha ritenuto che, in determinati casi, una condanna penale precluda il mantenimento della carica, dando luogo alla decadenza o alla sospensione da essa, a seconda che la condanna sia definitiva o non definitiva.».
Anche la giurisprudenza comune, ricorda la Consulta, ha escluso che la preclusione al mantenimento di determinate cariche pubbliche, derivante dalle condanne penali in base al D.Lgs. n. 235 del 2012 e alle disposizioni di legge che lo hanno preceduto, a partire dall’art. 15 della L. n. 55 del 1990, avessero carattere sanzionatorio, richiamando alcuni precedenti in tal senso[7]
Nella sentenza n. 118 del 1994, la Corte ha precisato che la condanna penale irrevocabile è un «mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di “indegnità morale” a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, cioè, configurata quale “requisito negativo” ai fini della capacità di assumere e di mantenere le cariche medesime».
La Consulta ha, inoltre, sottolineato che la diversa natura delle misure in questione rispetto agli effetti penali della condanna risulta confermata dalla previsione che la misura non si applica se è concessa la riabilitazione; tale statuizione sarebbe superflua, se si trattasse di un effetto penale, destinato di per sé ad estinguersi con la riabilitazione, mentre essa vale ad estendere l’effetto della riabilitazione, al di fuori dell’ambito degli effetti penali della condanna, e precisamente a questa particolare causa di ineleggibilità (sentenza n. 132 del 2001). Lo stesso effetto estintivo è ora espressamente previsto dall’art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 235 del 2012.
La Corte costituzionale ritorna sul tema con la sentenza 276/2012, dove, dopo aver premesso che, alla luce dalla giurisprudenza della Corte EDU, l’art. 25 della Costituzione va interpretato nel senso che ogni misura sanzionatoria che non abbia uno scopo prevalente di prevenzione criminale è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato, precisa che «il principio di irretroattività valido per le pene e per le misure amministrative di carattere punitivo-afflittivo non è predicabile nei confronti delle disposizioni censurate, per la natura non punitiva di quanto in esse previsto».
Poiché la legge Severino è stata denunciata di incostituzionalità anche per contrasto con l’art. 117 Cost, per il tramite del parametro convenzionale di cui all’art 7 CEDU, la Corte procede a verificare se la sospensione dalle cariche elettive locali prevista dalla disposizione censurata sia compatibile con il principio di irretroattività delle sanzioni di cui all’art. 7 CEDU, la cui applicabilità presuppone l’utilizzo di autonomi criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo[8] per definire la nozione di pena, fornendo risposta negativa al quesito.
La normativa denunciata, rileva la Corte, non ha natura penale nell’ordinamento interno; la sospensione dalla carica si prefigge di tutelare la pubblica funzione in attesa che l’accertamento penale si consolidi nel giudicato, anticipandone l’effetto interdittivo, anch’esso parimenti non diretto a finalità punitive, mentre la durata della sospensione cautelare limitata a diciotto mesi non è in grado di ricondurla nell’alveo di ciò che, quanto all’afflittività, va considerato sostanzialmente penale.
- La risposta data dalla Corte EDU.
Anche la Corte EDU ha escluso il carattere punitivo di incandidabilità e decadenza, ricondotte invece a finalità di tutela del buon funzionamento e della trasparenza dell’amministrazione.
Con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 7 della Convenzione, la Corte precisa che i principi generali della sua giurisprudenza sull’articolo 7 della Convenzione sono espressi nella sentenza Del Río Prada c. Spagna e che, in linea di principio, i diritti politici ed elettorali non rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli 6 § 1 e 7 della Convenzione.
La Corte EDU attribuisce poi rilievo alla giurisprudenza costituzionale nazionale, secondo la quale la misura controversa non è né una sanzione né un effetto della condanna che rientra nella sfera penale, né come è tale è qualificata dal diritto interno, ma deriva dalla perdita della condizione soggettiva che permette l’accesso alle cariche elettive e il loro esercizio. Il candidato non è sanzionato in funzione della gravità dei fatti che gli sono ascritti e per i quali è stato condannato dalle giurisdizioni penali; egli è escluso dalla lista perché ha perduto l’idoneità morale, requisito fondamentale per poter avere accesso alle funzioni di rappresentante degli elettori.
Lo scopo del legislatore non è punitivo, ma, con l’escludere dalle procedure elettorali le persone condannate per reati gravi, mira a proteggere l’integrità del processo democratico e a preservare il buon funzionamento e la trasparenza dell’amministrazione, innestandosi le misure in un contesto più ampio di contrasto alla corruzione ed all’infiltrazione della criminalità organizzata.
La perdita del solo elettorato passivo, non essendo per converso inciso quello attivo, non basta infine, ad avviso della Corte, per qualificare la misura come sanzione di natura penale.
La Corte EDU ha pertanto dichiarato irricevibili i ricorsi in punto violazione dell’art. 7 della Convenzione.
- Brevi osservazioni conclusive.
Una brevissima riflessione finale merita il criterio della gravità della misura, ritenuto non sufficiente in entrambi i casi dalla Corte per attrarla nell’orbita della sanzione sostanzialmente penale, sebbene l’incandidabilità (Miniscalco) e la decadenza che ne discende (Galan) comportino per gli interessati conseguenze niente affatto lievi.
Sarebbe stato forse possibile confidare in un’apertura della Corte, anche ipotizzando (per la vicenda Miniscalco) una trasposizione del principio enunciato proprio nella sentenza del Rio Prada c. Spagna, secondo il quale non si può escludere che una misura successiva alla condanna definitiva, che ridefinisca o modifichi la portata della pena irrogata, rientri nel divieto di irretroattività dell’art. 7 della CEDU[9].
Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Strasburgo, volto a sottrarre i diritti politici ed elettorali dall’ambito di applicazione degli articoli 6 § 1 e 7, unito alla considerazione che i ricorrenti avevano conservato l’elettorato attivo, e che, nel caso Miniscalco, egli aveva ottenuto la riabilitazione e si era potuto candidare, hanno indotto la Corte a non ritenere integrato nessuno dei criteri Engel, e di conseguenza a dichiarare irricevibili entrambi i ricorsi sul punto.
*Avvocato del Foro di Verona e componente Osservatorio Europa Unione Camere Penali
[1] “…la qualificazione penale di suddetta sanzione, secondo quanto sopra si è dimostrato, discende automaticamente dall’applicazione del secondo e del terzo criterio Engel.
Più specificamente, la misura dell’incandidabilità sopravvenuta è riconducibile in via diretta e in maniera univoca alla pronuncia di una condanna per reati sanzionati dal codice penale italiano. La dichiarazione di incandidabilità, infatti, consegue all’accertamento di colpevolezza operato dal giudice penale.
Venendo, dunque, al criterio della gravità della sanzione, può senza dubbio dirsi che l’incandidabilità sopravvenuta prevista dalla legge Severino, in conseguenza di un giudizio di colpevolezza in un processo penale, si presenta come particolarmente afflittiva, dal punto di vista della Carta EDU e della relativa giurisprudenza.
L’incandidabilità si protrae per un periodo minimo di sei anni, indipendentemente dalla durata dell’interdizione dai pubblici uffici, incidendo, così, sul diritto di elettorato passivo per la durata media di due Legislature nazionali consecutive.
A tale riguardo, va ricordato come la Corte abbia affermato che «il divieto di praticare certe professioni (politiche o giuridiche) per un lungo periodo di tempo può avere un impatto molto grave sulla persona, privandola della possibilità di continuare la sua vita professionale. Ciò potrebbe essere meritato(…), ma non altera la valutazione della gravità della sanzione inflitta», ragion per cui detta sanzione «deve essere considerata come avente almeno in parte un carattere punitivo e deterrente» (cfr. Malyjk c. Polonia, decisione del 30 maggio 2006, ricorso n. 38184/03, §§ 55-56)”.
[2] Tutti i pareri in questione sono reperibili on line.
[3] In sintesi, secondo il prof. Guzzetta, non sembra esservi dubbio sulla natura dell’illecito dal quale l’incandidabilità scaturisce, peraltro automaticamente ed ex lege: e cioè il reato commesso.
Nè varrebbe obiettare che la condanna sia solo una occasione, un presupposto cui conseguono effetti non riconducibili alla nozione di sanzione penale di cui alla Convenzione, in quanto profili già affrontati dalla Corte europea nel caso Welch c. Regno Unito allorchè si trattava di qualificare un’ordinanza di confisca emessa a seguito di condanna per traffico di stupefacenti. In quell’occasione la Corte rigettò la tesi del Governo del Regno Unito, che aveva sostenuto l’inesistenza di un legame tra sfera penalistica della condanna e natura non penale dell’ordinanza di confisca sulla base dell’argomento che la sentenza fosse solo una sorta di condizione di applicabilità delle disposizioni legislative
Considerando poi l’ampiezza degli effetti temporali (non meno di sei anni, che possono in concreto significare anche due intere legislature parlamentari) e oggettivi (la totalità delle cariche pubbliche a carattere politico nel caso di sentenza di condanna, come nel caso del sen. Berlusconi, superiore ai due anni per delitto non colposo), si tratta di una sanzione ad altissimo grado di “severità”, che incide su una delle fondamentali (e inviolabili) libertà politiche, così da non poter essere qualificata certamente come “non significativemente afflittiva”.
Non conferente è il diverso precedente costituito dalla decisione Pierre-Bloch c. Francia del 21 ottobre 1997 relativo alla vicenda di un candidato alle elezioni per l’Assemblée Nationale, il quale, avendo violato le norme sui limiti di spesa nella campagna elettorale si era visto comminare, la sanzione della ineleggibilità, per un solo anno, per una sola legislatura e per quella sola Camera.
In quel caso, la Corte EDU aveva escluso l’applicabilità dell’art. 6 della Convenzione in quanto : “ – era esclusa la qualificazione penalistica ex lege; – in secondo luogo la fattispecie all’origine della sanzione (il secondo indicatore della giurisprudenza europea) presentava una natura “anfibia” in quanto suscettibile di determinare sia un procedimento a carattere non penale di fronte al Conseil constitutionnel per comminare l’ineleggibilità, sia un distinto procedimento penale (in quel caso non attivatosi) per l’irrogazioni di sanzioni pecuniarie o detentive. La fattispecie e la sanzione non erano pertanto frutto di un accertamento nell’ambito di un procedimento penale; – In terzo luogo, anche quanto alla natura e severità della pena, le due situazioni (Pierre-Bloch e Berlusconi) non sono paragonabili, essendo la Corte stessa a precisare che la sua ridotta severità è asseverata dalla limitazione ad un periodo di un solo anno dalla data delle elezioni e dalla circostanza che essa si applichi alla sola elezione dell’Assemblea Nazional”.
[4] Per ulteriori posizioni dottrinali che hanno sostenuto la natura penale delle misure previste da decreto Severino vedasi P. BRAMBILLA, il Decreto “Severino” al vaglio della Corte di Strasburgo in www.sistemapenale.it, 8 luglio 2021, nota 1.
[5] Corte EDU Miniscalco c. Italia § 31-4 e 67-69; Corte EDU Galan c. Italia, § 89-91
[6] Sentenze n. 25 del 2002, n. 132 del 2001, n. 206 del 1999, n. 295, n. 184 e n. 118 del 1994.
[7] Sul punto, questa la giurisprudenza richiamata dalla Consulta: Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 27 maggio 2008, n. 13831; Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 21 aprile 2004, n. 7593; Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 2 febbraio 2002, n. 1362; Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 novembre 1998, n. 12014; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 29 ottobre 2013, n. 5222; Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 6 febbraio 2013, n. 695.
[8] Si tratta dei cd “criteri Engel” enunciati nella sentenza della Corte EDU 8 giugno 1976, Engel c. Olanda, e confermati dalla giurisprudenza successiva, che attengono, in sintesi: 1) alla qualificazione formale della misura nell’ordinamento nazionale; 2) alla natura punitiva della misura 3) alla sua gravità, e cioè alla sua afflittività.
I criteri vanno applicati alternativamente e non cumulativamente, fatta salva la possibilità di un approccio cumulativo se l’analisi separata di ciascun criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una accusa in materia penale.
[9] Corte EDU Del Rio Prada c. Spagna, § 89.