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LA PUBBLICITÀ MEDIATA E IL GIUDICE PRAETERNATURALE – DI MARCELLO FATTORE

LA PUBBLICITÀ MEDIATA E IL GIUDICE PRAETERNATURALE – DI MARCELLO FATTORE

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LA PUBBLICITÀ MEDIATA E IL GIUDICE PRAETERNATURALE

(Nota a delibera di archiviazione del Consiglio di Disciplina di Napoli del 23 novembre 2020)

INDIRECT MEDIA PUBLICITY AND THE (UN)NATURAL COURT

(Note to dismissal resolution of Naples Disciplinary Board dated November 23, 2020)

di Marcello Fattore*

La diffusa convinzione in un’amministrazione della giustizia equa ed efficiente è elemento cardine per la tenuta sociale di un paese, svolgendo una fondamentale funzione di disinnesco politico del conflitto, come è stato acutamente osservato. Nelle vicende di particolare interesse mediatico, l’attività giurisdizionale rischia però di rinsaldare in modo artefatto la fiducia dei consociati nella giustizia, laddove si tenda a privilegiare la risposta all’aspettativa generalizzata piuttosto che quella alla vicenda concreta.

The widespread belief in a fair and efficient administration of justice is the key element for the social tightness of a country and has the critical function of defusing tensions and conflicts with political means – as has been wittily remarked. With events that capture the media interest, the faith in justice of citizens risks to be strengthened only if the judicial activity tends to comply with the general expectation rather than providing the correct answer to the actual matter.

 Il 23.11.2020 il Consiglio di disciplina forense costituito presso il distretto di Corte di appello di Napoli ha definito la procedura attivata ai sensi dell’art. 105 co. 4 c.p.p., dal Tribunale di Napoli Nord nei confronti di sette Avvocati, incolpati di aver abbandonato in un processo di particolare rilievo mediatico il patrocinio dei propri assistiti a cagione di quella che era stata dagli stessi Legali avvertita come una penetrante violazione del diritto di difesa, sub specie diritto alla prova, ritenuto compresso e compromesso da un provvedimento emanato dal Collegio medesimo, a mente del quale le attività istruttorie inerenti ai testi e consulenti delle Difese nonché all’esame degli imputati si sarebbero dovute necessariamente concludere entro un certo tempo, stimato come del tutto insufficiente dai Difensori, stante la complessità della vicenda in punto di ricostruzione fattuale e applicazione della legge nonché il più ampio arco temporale riservato fino a quel momento ai mezzi di prova richiesti dal Pubblico Ministero.

Il ventitré novembre scorso – scrivevamo in premessa – il Consiglio distrettuale di disciplina, all’unanimità, ha disposto l’archiviazione dell’illecito deontologico mosso ai sette Legali, conformemente all’articolata richiesta del vicepresidente-relatore, Avvocato Gabriele Amodio, di chiusura del procedimento per manifesta infondatezza.

Non aveva tema il relatore medesimo di porre a baricentro del provvedimento argomentazioni estratte da due atti – la memoria difensiva materialmente stilata dall’Avvocato Stefano Montone per conto proprio e degli altri sei Colleghi incolpati, e la nota stesa dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Napoli – delle quali argomentazioni il relatore stesso si mostrava persuaso e alle quali prestava piena adesione, espressamente richiamandole nei rispettivi versanti giustificativi, poi convogliati nell’alveo unico dell’irrilevanza disciplinare:

  • il primo motivo, contenuto nella memoria difensiva degli Avvocati, sottolineava lo stringente rapporto eziologico tra la (percezione della) costipazione del diritto alla prova difensiva e i comportamenti reattivi degli incolpati;
  • il secondo, colto dall’ordine degli Avvocati di Napoli nella nota di trasmissione al Consiglio di disciplina, evidenziava – stante i diversi spazi istruttori assegnati alle Parti – il rischio di “marginalizzazione dell’attività defensionale”.

La vicenda però si presta ad un allargamento della indagine critica, che chiama in causa tensioni presenti in particolari vicende giudiziarie – il riferimento corre immediato a fatti extraprocessuali di risonanza mediatica, posti a corredo di determinati dibattimenti – le quali scaricano sovente i propri effetti sul fine del processo e sulle modalità attraverso le quali il legislatore ha previsto che quell’epilogo sia raggiunto[1], con il rischio concreto che scopo e mezzi si deformino in funzione quasi sempre satisfattiva di una pubblica brama del responso giurisdizionale, adeguata al clamore suscitato dalla eventuale fase cautelare e da quella investigativa; spesso, di tenuta del principio di autonomia della Magistratura; di riaffermazione, infine, della fiducia generale dei consociati nel comparto Giustizia.

Cercando di astrarci per quanto possibile dalla vicenda concreta, ancora in essere, prenderemo da questa a prestito gli elementi fattuali, provando tuttavia ad inserirli in uno schema generale che sia in grado di restituirci la misura di quanto le situazioni possano deviare dai tracciati legali precostituiti ove sul campo agiscano forze eccentriche, capaci di influenzare le modalità di applicazione della legge e di pervertirle, addirittura nel caso in cui il principio che s’intendeva originariamente preservare – in concreto: l’immediatezza – è (era) orientato a spiegare i propri effetti in funzione di generale garanzia del metodo e, dunque, dell’esito.

Il fatto storico ha una marcata evidenza locale perché vedeva e vede convocati al banco degli imputati del Tribunale di Napoli Nord, tra altri, due noti imprenditori della zona – fratelli di un Senatore della Repubblica ed ex Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Napoli – per ritenuto concorso esterno in una presunta associazione camorristica territoriale; imprenditori stessi sottoposti a custodia cautelare, prima in carcere e al tempo della vicenda agli arresti domiciliari.

Al termine di una lunga teoria di udienze – nella ricostruzione del Consiglio di disciplina ne sono state indicate trentasette – destinate alle attività preliminari al dibattimento e alla prova di Accusa, il Presidente del Tribunale alla udienza del 20.12.19 informava le Parti che era stato disposto il suo trasferimento presso altro ufficio giudiziario ma che, contestualmente, era stato emesso un provvedimento di ritardato possesso della relativa funzione per tre mesi, a decorrere retroattivamente dal quindici dicembre, tempo che sarebbe stato utilizzato – come da proposta riorganizzativa delle attività della sezione a cura del Presidente coordinatore, approvata dal Presidente del Tribunale di Napoli Nord – per concludere il processo in oggetto (e pochi altri in fase di discussione finale o dei quali era relatore proprio il Presidente), previa richiesta ai Difensori di partecipazione a tre udienze settimanali e di ridimensionamento delle liste testi e consulenti per l’attuazione di un programma a tappe forzate che avrebbe condotto il processo verso la decisione nel tempo residuo di permanenza nella funzione del Magistrato stesso.

La premessa giuridica avrebbe potuto scaldare il cuore dei supporter del modello accusatorio: a dispetto della norma derogatoria dell’art. 190 bis c.p.p., applicabile al caso di specie in ragione delle imputazioni associative, e in costanza del generale, malinconico tramonto del principio di immediatezza per via interpretativa, il Tribunale aveva avvertito l’esigenza di ridar vita all’assioma morente e di concludere un processo che aveva, in quella composizione, istruito[2], pur se il tutto a determinate condizioni: la prima, quasi in re ipsa, sarebbe stata quella di uno scatto perentorio verso il traguardo finale; la seconda, evidenziatasi in un momento successivo, riguardava la destinazione esclusiva dell’attività relitta di quel Collegio alla trattazione del processo in esame – che quindi rischiava di diventare il processo[3] – resa possibile grazie ad un importante intervento di ortopedia ricostruttiva di ruoli, Giudici, fascicoli all’interno della sezione interessata.

La presa d’atto da parte dei Difensori del provvedimento del Presidente coordinatore – avvenuta, come scritto, non all’udienza del 20.12.19 ma successivamente – dava la misura, però, del vischio di ragioni dalle quali era poi emersa la figura di un giudice praeternaturale, come potremmo definire un Tribunale che – a dispetto del già avvenuto trasferimento di uno dei Componenti e della possibilità prevista nel caso dalla legge, poi confermata in generale dalla giurisprudenza, di far si che alcun contenuto informativo regredisca o vada perso – rimanga in quella composizione in prorogatio per completare unicamente un processo, previo spoglio quasi totale – come scritto – del ruolo monocratico e di quello collegiale.

Queste istanze oblique facevano capo all’intenso flusso mediatico dal quale la vicenda era stata inondata dall’inizio del suo impianto – sia riguardante la notorietà degli imputati, sia inerente all’astensione dell’originario Presidente del Collegio, indotta sempre dalla fuoriuscita di notizie di stampa – flusso la cui portata ha verosimilmente determinato gli interventi descritti, da un lato sui criteri organizzativi di ripartizione dei fascicoli e dall’altro su tempi e modalità della dialettica processuale, per far si che il Giudice, divenuto “ipernaturale”, concludesse il processo.

Eliminando idealmente la pubblicità mediata che ha accompagnato la vicenda giudiziaria, riteniamo che difficilmente si sarebbero prodotte le modificazioni inveratesi; non tanto quelle riguardanti la accelerazione improvvisa verso il termine del processo, con schiacciamento delle attività difensive a discarico, quanto quelle di riorganizzazione in vitro dei ruoli della sezione del Tribunale, che – complessivamente considerate – hanno restituito l’immagine di un giudice forgiato per il processo.

Per quanto d’interesse agli scopi di questa breve nota, il prosieguo del corso delle udienze radicalizzava un aspro testa a testa tra il Tribunale e gli Avvocati sulla lamentata compressione del diritto alla prova a discarico, fino all’abbandono delle Difese avvenuto alla udienza del 14.01.2020; alla conseguente trasmissione degli atti al Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Napoli; alla successiva conferma del mandato professionale dagli imputati agli stessi Legali, con nuova costituzione nel processo; alla cessazione di efficacia dell’originario decreto del Presidente del Tribunale di Napoli Nord alla data del 15.02.2020.

La svelata caducità del provvedimento che aveva aperto lo stato di crisi – sulla quale non può non aver influito l’atteggiamento fermo degli Avvocati – ha consentito un riassestamento della fase dibattimentale entro i binari della ragionevole durata, quale adeguatezza temporale alla realizzazione dei principi del giusto processo.

La vicenda giudiziaria è tutt’ora in corso.

Qualche breve osservazione.

Del processo mediatico e dei suoi derivati si scrive da anni ma, per quanto consta, la sua capacità di influenza su un principio come quello del giudice naturale – al quale, come noto, la Carta ha riservato una particolare collocazione e tutela – segna certo un avanzamento del fronte, al punto da offuscare il concetto, promosso dalla Consulta, secondo cui non è tanto l’imparzialità e l’indipendenza della Magistratura il reale valore da preservare, quanto la sua stessa manifestazione[4],  affinché la fiducia dei consociati nell’attività giurisdizionale rinnovi e rinsaldi la tenuta sociale del Paese.

Come nella meccanica quantistica la mera osservazione esterna del fenomeno produce modificazioni nell’andamento dei fotoni[5], così – forse a maggior ragione – nelle vicende sociali lo sguardo mediatico condiziona l’oggetto rappresentato, nel caso di specie l’amministrazione della giustizia.[6]

Nel 1989 – dal punto di vista della quantità, eterogeneità e velocità di circolazione delle informazioni una paleoepoca rispetto a quella attuale, dell’interconnessione perpetua o infosfera[7] – il Legislatore del tempo aveva già previsto un presidio per conciliare il diritto di cronaca con gli effetti patologici che si possono determinare: l’articolo centoquarantasette disposizioni di attuazioni del codice di rito subordina difatti al consenso delle parti e alla autorizzazione del giudice la possibilità di disporre riprese audiovisive del dibattimento “purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell’udienza o alla decisione”.

Oggi sarebbe irrealistico, inimmaginabile, poter dar seguito, ad esempio, al monito della Arendt, che – successivamente alla partecipazione del processo tenutosi a Gerusalemme nei confronti di Adolf Eichmann – sostenne come «giudicare impone di non vedere: solo chiudendo gli occhi si diventa spettatori imparziali[8]».

Pur collocando il pensiero della filosofa nel contesto drammatico in cui sorse, la riflessione che emerge spontanea si pone all’esatto opposto: giudicare oggi – in un tempo nel quale avere “gli occhi chiusi” addirittura amplifica l’eco del flusso interattivo che fa di ognuno di noi un agente informazionale interconnesso[9] – impone l’apertura totale dei sensi verso il “riconoscimento” di una realtà che, momento per momento, penetra in noi e da noi viene riflessa all’esterno, in forma rielaborata.

Saper riconoscere e saper distinguere rimane l’apriori programmatico della Persona nella contemporaneità.

Da questo punto di vista, non si può non dar atto al manipolo di Avvocati poi chiamati innanzi all’Organo di disciplina di aver presidiato con occhio e passione la funzione difensiva – anche a costo di aver alzato la voce[10], di essersi resi invisi all’Autorità Giudiziaria, di aver dovuto rieditare l’immagine a volte abusata e per questo trita del diritto di difesa, di aver rischiato di essere processati da Colleghi[11], di aver dovuto indossare i panni un po’ logori dei causidici, dei petulanti, degli ostinati – in uno di quei momenti di svolta esistenti in buona parte dei processi, che, se non intuiti, affrontati, risolti, rischiano di determinare un andamento dialettico ed emotivo diverso da un altro, indipendentemente poi dall’esito finale della vicenda giudiziaria.

Questi Avvocati si sono pervicacemente opposti a una situazione apparentemente orientata a garantire un valore come quello dell’immediatezza ma dietro la quale si potevano celare rischi di lesioni più profonde della legalità processual-sostanziale e della autonomia di giudizio del Tribunale, riuscendo – essi Avvocati – a mutare il corso delle cose contro la tendenza generale alla standardizzazione degli andamenti procedimentali.

*Avvocato del Foro di Napoli, componente dell’Osservatorio Misure di prevenzione UCPI e del comitato di redazione di questa rivista

[1][1] Di particolare pregio la memoria difensiva redatta materialmente dall’Avvocato Stefano Montone, che, sul punto specifico, richiama … «la palese contraddittorietà tra gli enunciati “di scopo” e la proposizione progettuale “di modo” del Tribunale…»

[2] «PRESIDENTE … Nella consapevolezza che questo sforzo innanzitutto organizzativo è fatto principalmente nell’interesse degli imputati, io questo, lasciatemelo dire, perché abbiamo compiuto noi tutta la raccolta delle prove d’accusa e quindi, ovviamente, l’obiettivo naturale è che sia questo Collegio a arrivare alla decisione finale e per fare questo dobbiamo seguire questo programma istruttorio», verbale stenotipico del 20.12.19, pagina 9.

[3] «PRESIDENTE … nel senso che allegherò anche l’articolatissimo provvedimento con il quale il Presidente […] ha stabilito quale sarà l’impegno processuale del Collegio per i tre mesi a venire, e di conseguenza la scelta ratificata dall’ufficio di presidenza, è nel senso di affidare a questo Collegio la trattazione esclusiva del processo […] per il prossimo trimestre…», verbale stenotipico del 20.12.19, pagina 4.

[4] «Preliminarmente si deve ricordare che il principio del giudice naturale precostituito per legge, dal quale nessuno può essere distolto … risponde al diritto fondamentale ad avere un giudice indipendente ed imparziale che non possa dar adito al dubbio di essere stato appositamente istituito per quella controversia e per quelle parti, con una scelta idonea ad essere orientata in vista di un risultato», Corte costituzionale, 30 dicembre 1994, n. 460 (Sent.).

[5] C. Rovelli, Helgoland, Milano, 2020, p. 60 e ss.

[6] In tal senso, G. Giostra, Processo penale e mass media, Criminalia, 2007, p. 61.

[7] Così, L. Floridi, Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Milano, 2020, p. 15 e ss. Id. La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta cambiando il mondo, Milano, 2017.

[8] H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, 2013.

[9] L. Floridi, Pensare l’infosfera, cit., p. 15.

[10] Così, letteralmente, nella richiesta di archiviazione del procedimento disciplinare a firma dell’Avvocato Gabriele Amodio.

[11] Ancora, efficacemente, la richiesta di archiviazione del procedimento disciplinare.