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LE OCHE (SACRE) DEL CAMPIDOGLIO – DI GIORGIO SPANGHER

LE OCHE (SACRE) DEL CAMPIDOGLIO – DI GIORGIO SPANGHER

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di Giorgio Spangher

I giudici del Lussemburgo hanno ritenuto che, per la mancanza di terzietà dell’accusa, l’autorizzazione all’acquisizione dei dati esterni delle comunicazioni dovesse essere attribuita ai giudici. Sarebbe ragionevole attendersi un emendamento, in tal senso, nella riforma del processo penale. Ma occorre riflettere anche sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, in parallelo con quella processuale.

            Bisogna riconoscerlo. Le oche (sacre) del Campidoglio non dormono mai, sono sempre sveglie. Anche questa volta hanno lanciato l’allarme, al primo segnale di “pericolo”. Anche se a riposo, ma evidentemente in servizio permanente effettivo, in linea con quanto previsto dall’art. 73 della legge di ordinamento giudiziario, molto estensivamente interpretato, ammoniscono sui pericoli che alcune possibili iniziative parlamentari o di governo possono costituire sul sistema della giustizia penale, rectius, sui poteri delle procure.

            Il dato non è inedito ormai; anzi rappresenta un must della nostra vita giudiziaria.

            Pochi accenni alla possibile (timida) riforma dell’art. 41 bis ord. penit. e si sono subito evidenziate le possibili negative ricadute sui poteri di indagine (e non solo) antimafia, in linea di continuità con le censure ai provvedimenti dei giudici di sorveglianza in relazione alle decisioni a tutela della salute (Covid-19). Senza parlare della disciplina delle intercettazioni.

            Stesso copione per l’ordine del giorno largamente condiviso dalle forze politiche e dal Governo in relazione al recepimento della sentenza della Corte di Giustizia in materia di tabulati telefonici.

            Come è noto, i giudici del Lussemburgo, risolvendo un Caso dell’Estonia, paese dell’Unione europea, hanno svolto alcune rilevanti considerazioni sul ruolo di parte del pubblico ministero ed hanno ritenuto che, per la mancanza di terzietà dell’accusa, l’autorizzazione all’acquisizione dei dati esterni delle comunicazioni dovesse essere attribuita ai giudici.

            Si tratterà ora di dare attuazione a quest’impegno. Sarebbe ragionevole attendersi un emendamento nella riforma del processo penale attualmente in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati.

            Sarebbe ragionevole appunto, se non fosse già iniziato il riferito fuoco di sbarramento motivato da ragioni di urgenza che imporrebbero al p.m. di attivarsi, salva la successiva convalida del giudice.

            La questione significativa, in sé, riflette, tuttavia, un problema più generale, che trascende il diritto di esprimere opinioni e di prospettare soluzione interpretative, coinvolgendo inevitabilmente il ruolo che le procure sono venute assumendo nella dinamica del processo penale, soprattutto per le implicazioni delle attività investigative ad esse affidate in via esclusiva e sempre più penetrante.

            È opinione largamente condivisa, anche nella magistratura ormai, del ruolo che gli uffici di procura hanno assunto nelle dinamiche processuali e della loro incidenza nella vita pubblica, con gli organi di informazione, con il Parlamento e con il Governo.

            Una parte, quella più attenta, della magistratura ha evidenziato le negative ricadute di sistema, anche per gli atteggiamenti e le opinioni che alcune procure hanno innestato nei rapporti con gli uffici giudicanti, suscettibili di aver superato il livello di guardia.

            Resta il problema di fondo connesso al ruolo delle procure, non casualmente interessato da una feroce lotta di potere come il Palamara-gate ha evidenziato.

            Nell’affrontare il problema, quello che meraviglia è l’incapacità non degli uffici giudicanti, doverosamente ispirati al riserbo nella gestione delle singole vicende processuali (salvo il riferito episodio milanese), ma le soluzioni che vengono avanzate per affrontare il problema.

            La soluzione – senza ironia – è di passare dal giudice del “videocitofono” al giudice della “finestra” (di giurisdizione).

            Ora una soluzione di questo genere, invero, non ha bisogno di riforme, potendo e dovendo il giudice operare comunque quei controlli che il codice gli aveva conferito e che colpevolmente non ha esercitato; tempi dell’iscrizione nel registro delle notizie, proroghe delle indagini, qualificazione del fatto in tema di intercettazioni e di misure cautelari.

            Sarà opportuno, anzi necessario, che i giudici – a incominciare dai tabulati, appunto – rivendichino il proprio ruolo di garanti della legalità costituzionale del processo.

            Pertanto, per quanto attiene alle soluzioni possibili, mentre da più parti si dà ormai una risposta negativa alla sufficienza delle modifiche processuali, emerge con sempre maggiore forza, la necessità urgente di modifiche ordinamentali.

            Sviluppando, perché non adeguatamente governate e controllate, le potenzialità del doppio binario, la procura si è costituita in organismo (parzialmente) separato dal più ampio corpo della magistratura. Con pregiudizio – come è stato sottolineato – per quella comune cultura della giurisdizione sulla quale la magistratura continua ad attestarsi.

            La discussione sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, in parallelo con quella processuale, può essere l’occasione per affrontare una problematica, troppo evidente per essere negata.

            Non sono consentiti ulteriori ritardi o soluzioni meramente formali.