L’ELOQUENZA FORENSE DI ENRICO DE NICOLA – DI GAETANO IANNOTTA
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L’ELOQUENZA FORENSE DI ENRICO DE NICOLA
di Gaetano Iannotta*
Una recensione, da parte dell’autore, del libro “Enrico de Nicola, difese penali” sull’eloquenza forense dell’Avvocato Enrico De Nicola.
Questo saggio[1] non tocca ogni genere di oratoria in cui pure eccelse Enrico de Nicola ma esamina esclusivamente l’eloquenza forense direttamente ricavabile dalle difese penali del grande oratore. Molte rievocazioni sono state celebrate della imponente figura di avvocato che hanno riguardato, quindi, anche l’oratoria giudiziaria di de Nicola, ma tutte sono basate solo sulla memoria di chi ebbe la fortuna di ascoltarlo durante i dibattimenti in cui dominava incontrastato; difatti, è risaputo che de Nicola, per un eccesso di modestia, non amava raccogliere e pubblicare le sue arringhe.
Di ciò abbiamo conferma anche dal suo famoso allievo, Giovanni Leone, con il libro “Attualità di Enrico de Nicola” in cui scrive: “Ho ricordato che non pubblicò mai una arringa; sicché la imponente sua personalità di avvocato è affidata solo alla nostra caduca memoria”. Tanto è richiamato anche nella commemorazione che di de Nicola tenne l’avvocato Ettore Botti, in quella che Vincenzo Maria Siniscalchi pronunciò nel cinquantenario della scomparsa, nelle parole di Alfredo Guarino che, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia delineò la figura di de Nicola quale capo provvisorio dello Stato, e infine negli eloquenti discorsi che Alfredo De Marsico tenne a Napoli in occasione dell’ottantesimo genetliaco di de Nicola e di poi a Roma con la rievocazione dello stesso presso l’Università “La Sapienza”.
La decisione di de Nicola di non lasciare arringhe scritte può essere evinta anche dalla sua famosa prefazione al libro “Figure Forensi” del lirico Porzio in cui ebbe a scrivere: “Nulla altera le linee di una arringa più della riproduzione stenografica, che – come Plutarco fa dire a Temistocle della traduzione a mezzo di interpreti – può paragonarsi al rovescio di un bel tappeto figurato; nulla è lontano dalla vita più dell’eco di un’orazione, che, come una febbre, aveva fatto ardere le vene degli ascoltatori, nulla è caduco più della sorte di un oratore, che aveva conosciuto le sublimi bellezze della vittoria e le profonde ferite della sconfitta: né squilla il nome come una diana, finché egli vive, ma la sua fama, come l’opera della sua arte, muore con lui, ed il ricordo della gloria, che gli aveva baciato la fronte fra le acclamazioni trionfali di un popolo delirante, scompare con coloro che dalla sua eloquenza erano stati soggiogati e travolti.”
Io, purtroppo, non ho avuto la fortuna di seguirlo viva voce, ma ho avuto invece la ventura di aver raccolto alcune difese penali di de Nicola e allora sarà mio compito ricavare la grandezza della sua eloquenza forense esclusivamente dalla loro versione scritta. Ora, anche se parte della brillantezza della parola si attenua appena la voce dell’oratore si ferma e la parola si trasferisce sulle pagine di arringhe stampate, mi permetto di dissentire dal grande maestro perché non per i sommi oratori “l’eloquenza vive del fatto che passa nell’istante che fugge”; difatti l’eloquenza di de Nicola continua a vivere tutt’oggi sia con i ricordi di chi l’ascoltò ma anche grazie a queste difese penali che non sono altro che la continua conferma della sua altissima eloquenza.
Innanzitutto, lo stile che traspare da queste difese denota tutta la personalità di de Nicola. Noi sappiamo che in lui prevale, quale che fosse la veste indossata: di uomo, di avvocato o di politico, l’eloquenza dell’essenza, che è l’evidenza stessa di ogni cosa. E l’essenzialità che lo muoveva che non corrisponde mai all’elementarietà, lo ha ispirato continuamente anche in queste quattro difese penali che qui pubblichiamo e sicuramente in tutte le altre che ebbe a pronunciare. Difatti, esse sono state composte dal de Nicola sempre con la semplicità dell’espressione e la perfetta aderenza delle parole alle cose alla stregua di un primordiale stile attico. L’anatomia dello stile essenziale di tali difese consiste nella chiarezza e nella brevità che non corrisponde mai all’incompletezza ma anzi al dovere di dire ogni cosa senza opulenze verbali.
Dunque, la sua idea di brevità non sacrifica la densità dei pensieri e dei concetti: in queste difese penali riesce con poche parole a fare luce su ogni cosa, e in ciò consiste il primo tratto della grandezza della sua eloquenza. Merita di essere menzionata, a tale proposito, anche la forma concisa di un eminente oratore francese, Henri Robert che piaceva molto a de Nicola anche per una certa somiglianza con la sua oratoria estremamente chiara, breve ed efficace come, tra l’altro, si impone in ogni tempo nelle aule dei tribunali. Infatti, come ci ricorda l’altro grande oratore francese, Maurice Garçon, con la sua importante opera di retorica dal titolo “Sull’Oratoria Forense”, lo stile di Henry Robert alla stregua di quello di de Nicola “consisteva nel ridurre tutti i suoi argomenti in proposizioni semplici che non sembrano ammettere un contraddittorio. Egli li faceva seguire con una rapidità tale da non lasciare il campo alla riflessione.”
L’altro aspetto caratteristico che emerge da queste difese dell’oratore partenopeo è la logica del raziocinio come strumento di soluzione per tutto, ed in ragione di questa sua lente leggeva esclusivamente il vero di ogni cosa. In tutto questo non deve essere mai dimenticato l’idea che aveva lo stesso de Nicola dell’eloquenza che consiste sempre nella capacità di esprimere un concetto con il minor numero di parole possibili. Difatti, l’eloquenza altro non è che la capacità di dar luce naturale a quanti più aspetti possibili del concetto che si trae dal buio e renderlo visibile impiegando quanti meno mezzi espressivi possibili per illuminarlo.
L’eloquenza di de Nicola consiste proprio in ciò, ovvero in quella abilità di rappresentare i fatti e di lasciarli parlare da sé con poche e giuste parole, evitando l’aggiunta di sofismi. Del resto, che cosa c’è di più gradevole delle brevità espressa con semplicità e chiarezza? Già a partire dall’esordio di ogni sua difesa si riscontra quella capacità di introdurre la causa con estrema concisione, ricavando sempre il proemio dalle viscere della causa stessa. In particolare, de Nicola era perfettamente consapevole che nel genere giudiziale l’esordio deve essere preparato con estrema attenzione perché chi ascolta non intende essere tratto in inganno e per questa sua qualità sembra di trovarsi dinanzi all’honnète homme pascaliano che aveva rinunciato alla seduzione del parlar bene a vantaggio del parlar giusto.
Difatti, de Nicola con l’esordio evitava sempre di sedurre i giudici attraverso la captatio benevolentiae ed egli mirava a preparare con interesse il giudice a comprendere facilmente il seguito logico del discorso ed in particolare l’obiettivo perseguito dall’oratore di dimostrare successivamente con le prove quanto già anticipato con l’esordio. Ad esempio, in una causa in cui difese un Conciliatore e un Cancelliere accusati dall’attore di aver falsificato il verbale di causa per favorire il convenuto, de Nicola, davanti alla Sezione di Accusa della Corte di Appello di Napoli che assolse pienamente gli accusati, esordisce lasciando già intendere al giudice tutte le ragioni che avevano mosso i denuncianti ad accusare falsamente gli imputati. In ogni esordio di queste difese de Nicola con poche parole ha avuto la capacità di sintetizzare il senso di ciò che avrebbe detto di seguito con lo scopo di entrare immediatamente in materia e di collegare direttamente il proemio alla narrazione dei fatti.
Ora, anche la narrazione di un’arringa più si fa breve, più è chiara e facile ad apprendersi. E de Nicola eccelle per brevità e chiarezza anche in tale parte del discorso in cui, tra l’altro, riesce a creare quella perfetta successione cronologica degli eventi che già mira a dimostrare la propria tesi. Difatti, la parte della narrazione delle difese penali di de Nicola ha sempre una sua funzionalità che consiste nella preparazione all’argomentazione il cui senso è nascosto, in cui le prove sono disseminate allo stato di germi non visibili (semina probationum). La narrazione nelle difese di de Nicola poi è sempre fondata sulla scelta di un ordine naturale dei fatti a discapito di quello artificiale perché quest’ultimo distrugge la natura del tempo lineare mentre quello naturale è sempre più verosimile in quanto racconta i fatti nello stesso ordine in cui si sono svolti. Si può tranquillamente affermare che con perfetta brevità e chiarezza nelle narrazioni dei fatti, come nella difesa del signor Antonio Ricci accusato di aver sferrato un pugno che avrebbe procurato la morte di un ladro, de Nicola abilmente anticipa tutti gli elementi della causa in favore della tesi difensiva che poi dimostra con il seguito dell’arringa.
In ognuna di queste difese penali si rileva che anche la discussione (argumentatio) e la perorazione (peroratio), oltre ad essere mirabilmente chiare e brevi, sono sempre fondate sulla logica del raziocinio e mai basate su argomentazioni commoventi. Ad esempio, in una causa in cui difendeva tre persone ( Angelo, Antonio Gallo e Antonio Ferraro) accusate rispettivamente di mancato omicidio, lesioni personali e omicidio volontario in danno di Nicola Maffettone a seguito di festeggiamenti per l’esito delle elezioni nel piccolo comune di Taurano, de Nicola in ordine alla posizione di Antonio Ferraro nell’esaminare le testimonianze e la perizia fornisce ai giudici la prova matematica dell’innocenza del Ferraro dal reato di omicidio volontario mediante un’analisi logica delle prove a carico e a discarico dell’imputato. Anche nella perorazione di questa difesa penale si scorge il tratto inconfondibile dello stile dell’insigne oratore, il quale in maniera lineare e concisa riepiloga tutta la causa con argomenti logici e irrefutabili utilizzati in precedenza nell’ambito della discussione.
Vale, ora, precisare che de Nicola anche quando era tenuto a chiarire la posizione del proprio assistito mediante una memoria difensiva scritta, ci ha fornito la prova di come ricostruire i fatti con quella linearità impeccabile, come, ad esempio, riuscì a fare in difesa delle parti civili D’Urso Nicola, Ricci Amelia e Marfurt Andrea in materia di falsificazione di testamento dinanzi alla R. Corte di Appello di Roma. Giammai mi è capitato di rinvenire una sistematica organizzazione dei fatti tesi a dimostrare irrefutabilmente la falsità dei testamenti come in questo processo citato. Difatti, de Nicola in quel caso riuscì a fornire la prova irrecusabile di tale falsità concentrando l’attenzione del giudice sul modo con cui ciascun testamento fu scritto; sul modo con cui furono scritti entrambi; sul modo con cui risultavano scritti i documenti autografi della Lemaire; sulla carta su cui i testamenti furono scritti; sulle buste che li avrebbero contenute, per il loro contenuto ideologico; e sul luogo in cui sarebbero stati conservati, consegnati o rinvenuti.
Insomma, la sua memoria difensiva, fondata su una sistematica e ineccepibile analisi dei fatti e dei testamenti, dimostrò in maniera inequivocabile la falsità dei testamenti stessi che non sarebbe potuta sfuggire agli occhi di nessun giudicante. In queste quattro difese penali non si riscontra mai una ridondanza di forma o di pensiero così come ogni digressione sembra essere appositamente evitata per dare sempre e solo risalto ai fatti di causa. Io ritengo che l’eloquenza altro non è che la vita stessa che si esprime con il giusto linguaggio. E allora solo un uomo come de Nicola, il più onesto tra gli onesti, poteva interpretare appieno il monito dell’Addison di “far rivivere la moralità con l’ingegno, temperare l’ingegno con la morale”.
Difatti, in de Nicola non si rinviene mai un artificio oratorio ma il suo dire è sempre essenziale e il suo argomentare è basato unicamente sul raziocinio. E quantunque le sue arringhe siano sempre fondate sulla logica, tuttavia il loro ritmo diventa sempre più rapido e incalzante e il lettore è trascinato come da una corrente irresistibile. Da questo punto di vista possiamo affermare che con de Nicola l’eloquenza forense ha cambiato profondamente il suo volto e dall’oratoria emotiva e opulenta si è passati ad un’eloquenza logica e sobria che si richiama alla purezza e alla semplicità dello stile attico. Anche di ciò abbiamo conferma dall’acuto giurista Giovanni Leone, allievo di de Nicola, che sempre nel suo scritto “Attualità di Enrico de Nicola” ci riferisce di una confidenza privata con il grande oratore che “con evidente orgoglio ricordava: l’episodio di Gennaro Marciano che, dopo aver concluso la stupenda orazione celebrativa di tre grandi (Manfredi, Gianturco, Amore), che sbalordì per potenza oratoria e per forza di sintesi, con un vigoroso accenno al nuovo corso dell’oratoria giudiziaria, andando verso di lui gli disse: “ ti sei accorto che ho parlato di te anche senza nominarti ?”.
Era questo il tratto con il quale il grande Marciano, parlando dell’eloquenza di de Nicola senza nominarlo, delineò sapientemente lo stile della moderna oratoria forense : “Oggi lo stile dell’oratoria forense, che i nostri maestri mutarono, è già alla sua volta mutato e diverso: la vita, fatta più intensa, più movimentata, più febbrile, non consentì le forme che richiedono gli indugi e le carezze dell’arte; essa impose un’oratoria scevra di impacci accademici, una veste più adeguata alla rapidità degli eventi, una parola più semplice e sobria, una andatura più libera e spedita, un argomentare più stretto e serrato, maggiore solidità di contenuto, rigore di metodo più pratico e più conducente”.
A questo punto è d’uopo il confronto con l’antico oratore greco, Lisia. Invero, la sottilità dello stile di de Nicola non equivale alla scarnezza dei pensieri espressi da Lisia; difatti in de Nicola i concetti ed i pensieri vengono sempre riportati con vigore e densità. Le orazioni di Lisia talvolta sembrano come dei corpi senza muscolatura mentre nelle arringhe di de Nicola, quantunque presentino un linguaggio asciutto, le parole utilizzate e i pensieri espressi modellano il discorso alla stregua dell’agile e raffinato corpo del Perseo, il capolavoro del Cellini. Anche l’elocuzione delle difese penali di de Nicola è sempre improntata all’uso di termini che scolpiscono la vera essenza di ogni cosa e per quanto potesse utilizzare un linguaggio che tende ad evitare la ricercatezza della parola non esitava ad usare, ad esempio, il termine irrecusabile al posto di inoppugnabile o la parola esulcerato in luogo di addolorato o ancora protervia anziché arroganza e ignominia invece di infamia.
Le orazioni di Lisia sono sempre sprovviste di perorazione mentre i discorsi giudiziari di de Nicola presentano sempre una conclusione che costituisce lo sforzo supremo dell’oratore di persuadere il giudice con argomenti logici; difatti le sue perorazioni non mirano mai a persuadere il giudice con argomentazioni commoventi ma a convincerlo sempre su un piano razionale. È vero Lisia primeggia su tutti per la grazia del suo dire e la purezza delle parole scelte ma non si rinviene nelle sue orazioni alcuna vivacità giuridica mentre nei discorsi di de Nicola emerge la sapienza del giurista che permea le sue orazioni sia di diritto sostanziale che processuale e prima ancora di calare il fatto nelle forme giuridiche, ricostruisce gli eventi secondo le più ferree leggi geometriche. Dalla lettura delle sue difese emerge che ogni angolo della causa viene frugato e l’anima dei protagonisti è scrutata con la lente dello psicologo. In esse si rinviene sempre la precisione dell’eccezionale potenza del dialettico che non lascia mai niente al caso anzi l’oratore si trasforma esso stesso nel primo giudice della causa per esprimere in anticipo un inesorabile giudizio sulla valenza e sul grado di persuasione del suo stesso discorso che si fonda sopra tutto sull’ordine e la disciplina.
Difatti, nelle cause penali in cui si verteva, in particolare, su tecnica o su cifre come la bancarotta, il falso o il peculato, o ancora di medicina-legale come nella difesa del signor Antonio Ricci, riusciva a far emergere il lato dell’oratore quale ragionatore di precisione come mai prima di lui si era visto. Or dunque, de Nicola sia durante la preparazione del discorso e quando pronunciava l’arringa non perdeva mai di vista che il vero obiettivo dell’oratore è quello di convincere i giudici e vincere la causa alla stregua di un proiettile teso al bersaglio.
Insomma, de Nicola può essere definito un modello di perfetto avvocato dentro un sommo oratore. La sua parola forense, quindi, deve essere tramandata alle future generazioni per segnare le direttrici del loro cammino. Egli allora dall’alto dell’aureo olimpo avrà misericordia di me che ho infranto la sua volontà di non pubblicare questi scritti perché la sacra difesa degli umani mortali non può privarsi della luce che promana dalla sua preziosa scienza.
*Avvocato, Fondatore e Direttore della Collana di “Eloquenza Forense”
[1] Enrico de Nicola, difese penali, Collana di eloquenza forense fondata e diretta dall’avv. Gaetano Iannotta, De Frede editore.