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LETTERA DA REMOTO. PER SGUARDI E PER PAROLE. – DI “FRANCESCO CARRARA”

LETTERA DA REMOTO. PER SGUARDI E PER PAROLE. – DI “FRANCESCO CARRARA”

ZILLETTI – LETTERA DA REMOTO. PER SGUARDI E PER PAROLE.pdf

Caro Direttore,

dopo la recente pubblicazione sulla Tua rivista del pezzo Dieci braccia di distanza”: Francesco Carrara e la distanza dal processo, ho ricevuto questa lettera, in cui si intende sviluppare ulteriori argomenti contrari al cd. processo da remoto. La parziale, ma significativa marcia indietro fatta dal Governo col recentissimo DL n. 28/2020, frutto dell’impegno culturale e politico di UCPI, ha ridotto i pericoli da noi paventati di una smaterializzazione integrale del rito accusatorio, equivalente alla sua soppressione. Non illudiamoci, tuttavia, che le insidie siano finite e diamo voce ai pensieri che contrastano le volontà controriformistiche che allignano nella testa dei cyberentusiasti.

Lorenzo Zilletti

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Stimatissimo Signore,

ritrattomi ormai da lungo tempo da ogni partecipazione alla vita politica, per la quale non ho alcuna capacità, io sfuggo volentieri ogni occasione che possa ricondurmi su quello ardente terreno anche nello esame di nuove leggi penali.

D’altronde, ringraziandola della bontà che mi dimostra con l’occuparsi dei miei poveri scritti, e della gentilezza che mi usa rinnovandone la memoria a un pubblico sì vasto, ho piacere a completare quanto Ella scrisse sul regresso che al giure penale sarebbe inferto dal procedere a distanza.

Questa varietà può sembrare a prima vista insignificante, ma tale non è. Essa è influentissima sulle forze e sulla libertà della difesa, guardata così nella forma come nella sostanza.

E poiché a me piace sempre manifestare le convinzioni mie, anche a risico di procacciarmi dei visi arcigni, non esito a ribadire che io sono tutt’altro che ammiratore di quella novità.

Voi, con me, rammentaste il danno che deriva da quella irragionevole distribuzione, dieci braccia di distanza, dal punto di vista delle reciproche comunicazioni fra difensore e accusato.

Oggi di altri impacci alla difesa, vorrei parlare ai lettori Vostri, commentando la sciagurata idea di collocare i Giurati separati tra loro e in altre stanze da quella delle Assise, per scongiurarne la perniciosa verificazione.

In primo luogo, il patrono, quando si trova schierati in faccia tutti i Giurati, ne ha buona occasione di scrutare le fisionomie ed i moti di tutti e ciascuno di loro, e pigliarne norma per lo svolgimento della sua orazione, trasvolando su quelli argomenti che appariscono poco simpatici ai signori Giurati; ed invece insistendo su quelle circostanze che dalle fisionomie dei Giurati egli rileva essere produttive di pressioni sensibili nell’animo loro.

In secondo luogo, le reminiscenze di Foro mi convinsero che già se è presentata di fianco al Giurì, anziché di fronte, la difesa orale impallidisce grandemente. Il gesto della mano opposta, e soprattutto l’influenza dello sguardo e la eloquenza degli occhi del patrono perde moltissimo della sua efficacia.

Chi è che possa negare questa verità da ciascuno e tutti i giorni sentita? Gli occhi sono un veicolo più potente spesso della parola, perché le anime si intendano e si comunichino gli affetti.

Se il cuore delle giovani donzelle potesse sottoporsi ad un esatto termometro che segnasse la via del passaggio dal gelo allo stato di acqua bollente, io metto pegno ne avremmo la prova che su cento fanciulle, repugnanti in principio e poscia vinte dall’insistenza del giovine amante, cinquanta furono vinte dal fascino dello sguardo infuocato più che dallo artifizio della parola.

Un oratore che non può vibrare il suo sguardo sugli occhi del giudice è privato del filo elettrico che è sovra ogni altro attivo per comunicare gli affetti tra cuore e cuore.

Se due vi parlano in senso opposto, ma l’uno vi parla alle spalle, e l’altro fissa gli occhi suoi negli occhi vostri, il secondo ha tutte le probabilità di soggiogarvi meglio dell’altro. E perché dunque privare i patroni di questo presidio?

Questo intendevo aggiungere alle parole che Ella volle trarre dall’ombra, per combattere il mostro di un processo distante e senza materia.

Ma che siamo noi dunque divenuti in questa libera terra dove un tempo il patronato dei rei ebbe un culto entusiasta? Simili alla plebe mendica alla quale si concede di assistere dal trivio al banchetto superbo di ricchi Signori, dovremo ridurci alla funzione di inerti spettatori della giustizia? Nostra missione è di trarre a noi l’animo dei giudici; e non potremmo guardarli in viso? Nostra missione è quella di stringerci in un sodalizio fraterno coi nostri colleghi per adoprare le nostre forze congiunte a benefizio di un misero, il quale (o innocente, o assai meno colpevole di quello che sembra) versa in un terribile repentaglio; e non potremmo nell’ora tremenda del combattimento illuminarci a vicenda pel migliore adempimento del nostro dovere? Nostra missione è quella di assistere in ogni istante del suo tremendo pericolo quel disgraziato, al quale o lo eccesso dello zelo o le passioni maligne mossero ingiusta guerra; e non si potrà noi da lui o egli da noi raccogliere lumi nel fuggevole momento della paurosa battaglia?

Che siamo noi divenuti, e a quale abietta condizione ci vollero condurre coloro pei quali il solo fonte di verità sono le denuncie della polizia e i preconcetti sempre maligni degli accusatori?

Folte nubi vanno da qualche tempo ingrossando sul nostro capo. Una lenta persecuzione va esercitandosi a nostro danno per metterci in discredito in faccia al pubblico dai giornali faceti, per circondarci di sospetti, e per disarmarci poco a poco di ogni nostra potenza.

I guerrieri delle libertà politiche hanno dunque preso per loro bandiera la guerra a morte contro le libertà civili, delle quali i più gagliardi campioni furono sempre gli avvocati, e sempre lo saranno per la natura stessa della loro istituzione.

Non si pubblica una legge, non si introduce una consuetudine che non celi uno strale velenoso a nostro danno.

Favori e privilegi non ne vogliamo. Ma libera eguaglianza è nostro diritto volerla, è nostro dovere di mantenerla.

Suo,

Francesco Carrara