L’HABEAS CORPUS AL TEMPO DEL COVID-19 – DI TOMMASO PASSARELLI
PASSARELLI – L’HABEAS CORPUS AL TEMPO DEL COVID-19.PDF
L’HABEAS CORPUS AL TEMPO DEL COVID-19
THE HABEAS CORPUS AT THE TIME OF COVID-19
di Tommaso Passarelli*
Sommario: 1. Premessa introduttiva. – 2. La tecnica legislativa nell’emergenza pandemica. – 2.1. Il d.l. n. 6/2020, tra luci e ombre. – 2.2. Il d.l. n. 19/2020 tra rinnovata determinatezza e tentativo di sanatoria. – 3. Libertà personale e libertà di circolazione: uno snodo di non poco momento. – 4. Sul delitto ex art. 483 c.p. – 5. Considerazioni conclusive.
L’emergenza sanitaria ha provocato non pochi allarmi e tensioni in seno alla società civile e alla comunità scientifica. Onde far fronte all’avanzare della pandemia, il legislatore dell’emergenza ha dapprima proclamato lo stato di emergenza nazionale e, subito dopo, ha introdotto tutta una serie di misure orientate al contenimento del contagio da Covid-19. Sotteso a tali norme è un sottile bilanciamento di tutti i diritti fondamentali della persona, inevitabilmente coinvolti dall’emergenza sanitaria. Si dubita, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, che gli strumenti normativi adottati siano stati i più idonei nell’ottica delle garanzie che presidiano i diritti costituzionali della persona. Da ultimo, non poche incertezze si sono poste rispetto alla linea di confine tra la libertà personale ex art. 13 Cost. e quella di circolazione ex art. 16 Cost. Un netto distinguo, in termini di riferibilità, alle due fattispecie si rende necessario onde collocare le misure di contenimento nell’alveo dell’una o dell’altra disposizione costituzionale, in quanto corredate da un differente livello di garanzie.
The health emergency has caused quite a few alarms and tensions within civil society and the scientific community. In order to cope with the progress of the pandemic, the emergency legislature first proclaimed a national state of emergency and, immediately after, introduced a whole series of measures aimed at containing the infection from Covid-19. Underlying these rules is a subtle balancing of all the fundamental rights of the person, inevitably involved in the health emergency. It is doubted, both in doctrine and in jurisprudence, that the regulatory instruments adopted were the most appropriate in terms of the guarantees that accompany the constitutional rights of the person. Lastly, not a few uncertainties accompany the borderline between personal freedom pursuant to art. 13 of the Constitution and that of circulation pursuant to art. 16 of the Constitution. A clear distinction, in terms of traceability, to the two cases is necessary in order to place the containment measures in the bed of one or the other constitutional provision, as they are accompanied by a different level of guarantees.
- Premessa introduttiva.
Con la sentenza n. 54/2021, emessa in data 21 gennaio 2021, il Tribunale di Reggio Emilia, sez. G.I.P. – G.U.P., si è pronunciato sull’emissione del decreto penale di condanna per il delitto ex art. 483 c.p. Nel caso de quo, i soggetti sottoposti a controllo avevano dichiarato il falso nell’autocertificazione esibita durante un controllo effettuato dai Carabinieri. Vigevano le disposizioni del D.P.C.M. dell’8 marzo 2020, che prevedeva il divieto di circolazione in tutto il territorio nazionale, sulla scorta di quanto previsto dal d.l. n. 6/2020, art. 2, circa l’adozione di misure ulteriori da parte delle autorità competenti al fine di fronteggiare il contagio da coronavirus. Ad avviso del Tribunale di Reggio Emilia, sez. G.I.P. – G.U.P., il divieto di circolazione, introdotto con lo strumento del D.P.C.M., è da ritenersi confliggente con i diritti di libertà costituzionalmente garantiti e, in particolare, con l’art. 13 Cost., che come noto prevede la doppia riserva di giurisdizione e di legge quando vi sia da comprimere la libertà personale dei cittadini. La sentenza in commento mette in evidenza due profili di criticità con riguardo alla legislazione nell’emergenza sanitaria: 1) l’inidoneità di un atto amministrativo, quale il D.P.C.M., ad operare una compromissione della libertà personale dei cittadini; 2) l’impossibilità di comprimere la libertà in modo generalizzato anche con lo strumento della legge ordinaria, alla luce del fatto che una tale restrizione può aversi solo con un provvedimento di tipo individuale, emanato dall’autorità giudiziaria a seguito della commissione di reati, ovvero in via cautelare. Inoltre, ad avviso del G.I.P. di Reggio Emilia, le restrizioni operate dal Governo non sono suscettibili di ricadere nell’alveo dell’art. 16 Cost., il quale concerne un divieto di circolazione che riguarda specifiche aree territoriali e non, invece, un generalizzato obbligo di permanenza domiciliare in capo ai cittadini. Alla luce delle suesposte considerazioni, il Tribunale ha ritenuto illegittimo il D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 e, per conseguenza, il venir meno dell’antigiuridicità della condotta di falso ideologico.
La sentenza de qua si pone nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale “garantista” verso le libertà dei cittadini al tempo dell’emergenza sanitaria, che riconosce un ruolo assai invasivo alle disposizioni introdotte dai numerosi D.P.C.M.[1] Tali decisioni aprono la strada a nuove riflessioni con riguardo al ruolo assunto da tali strumenti di normazione secondaria e alla loro legittimazione legislativa, in particolare per quello che concerne l’asserita compromissione delle libertà dei cittadini.
- La tecnica legislativa nell’emergenza pandemica.
A fronte della veloce diffusione del virus SARS-CoV-2, il Governo ha decretato, lo scorso 31 gennaio 2020, lo stato di emergenza nazionale, il cui fondamento legislativo è da rinvenire nel d. lgs. n. 1/2018, artt. 1, 7, 24 e 25. La rapida diffusione del contagio da Covid-19 ha determinato, senza dubbio, una situazione “straordinaria di necessità e d’urgenza”, come contemplata all’art. 77, c. 2, Cost. In tale contingenza, la legislazione ordinaria del Parlamento non è idonea a fronteggiare l’emergenza, alla luce delle lungaggini che la caratterizzano ed ai limiti temporali comunque derivanti dal dibattito parlamentare. Una volta superato un primo periodo, in cui si è privilegiato l’utilizzo dello strumento del D.P.C.M., si è dunque scelto di procedere secondo i dettami dell’art. 77, c. 2, Cost, utilizzando lo strumento del decreto-legge[2], il quale ha però comunque consentito, sia pure con maggiori restrizioni, il continuo ricorso al D.P.C.M. Nell’adottare le misure di contrasto alla diffusione del virus[3], il legislatore dell’emergenza è stato chiamato ad effettuare, innanzitutto, una complessa valutazione dei diritti fondamentali coinvolti. In questo senso, ha assunto rilevanza primaria il diritto fondamentale alla salute, di cui all’art. 32 Cost. Le misure per contrastare l’emergenza, adottate con lo strumento del decreto-legge, devono in ogni caso rispondere ai requisiti di proporzionalità e adeguatezza rispetto all’emergenza da fronteggiare, così da garantire un equo bilanciamento dei diritti fondamentali della persona[4]. Lo strumento del decreto-legge, inoltre, in quanto fonte primaria, può introdurre limitazioni ai diritti fondamentali con misure che siano razionali rispetto allo scopo perseguito: una volta convertito in legge, ed al termine o riduzione del pericolo pandemico, dunque, tali restrizioni dovranno cessare.
2.1 Il d.l. n. 6/2020, tra luci e ombre.
In ordine cronologico, il primo strumento di contrasto adottato è stato il d.l. n. 6/2020, che ha introdotto le “misure di contenimento” contro la diffusione della pandemia, sanzionandone la violazione ai sensi dell’art. 650 c.p. Il decreto-legge, tuttavia, aveva lasciato uno spazio inconsueto di normazione all’autorità amministrativa in seno all’art. 2, prevedendo che quest’ultima potesse adottare ulteriori misure di contrasto all’emergenza da Covid-19. Questa clausola di riserva ha dato luogo, da subito, a forti dubbi di legittimità costituzionale in ordine al principio della riserva di legge in materia penale. In ossequio a tale principio, infatti, laddove atti amministrativi adottino strumenti penalistici, è consentito all’autorità preposta alla loro adozione di compiere solo specificazioni di tipo tecnico riguardo al precetto e non scelte di politica criminale con riferimento all’individuazione del fatto tipico, in questo caso le condotte incriminate[5]. In tali casi, l’autorità amministrativa può emanare provvedimenti per contenere l’emergenza sanitaria entro i limiti che il decreto – legge disegna. Inoltre, un atto amministrativo rimane tale anche quando è una fonte legislativa a prevederne l’adozione, in quanto la fonte primaria non può conferire valore di legge ad un atto emanato dalla P.A. È il caso di ricordare, poi, come la Corte costituzionale abbia specificato che la fonte legislativa non possa prevedere in maniera generica l’adozione di atti amministrativi, ma debba indicarne presupposti, materia, finalità ed autorità legittimata, pur senza predeterminare il contenuto, che rimane di competenza dell’autorità amministrativa. In altre parole, la fonte avente forza di legge deve delimitare adeguatamente il campo d’azione della norma secondaria[6].
Tali “fibrillazioni” sono state successivamente sanate dal d.l. n. 19/2020, che all’art. 1 ha tipizzato in toto le misure di contenimento, lasciando all’Esecutivo il solo compito di adottare i provvedimenti all’uopo necessari[7]. Un profilo di criticità si rinveniva nel fatto che il d.l. n. 6/2020 introduceva alcune limitazioni alla libertà di circolazione per territori specificamente interessati dal contagio, mentre il D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 estendeva le misure previste dal d.l. a tutto il territorio nazionale e introduceva ex se l’obbligo di permanenza domiciliare, seppur attenuato dalle esigenze di lavoro, salute e necessità. Tutto questo senza alcuna copertura legale, dal momento che il d.l. n. 6/2020 non menzionava l’obbligo di permanenza domiciliare e non prevedeva expressis verbis l’estensione delle misure di contrasto a tutto il territorio nazionale. Inoltre, le ulteriori misure di cui all’art. 2 del d.l. n. 6/2020 presentavano il medesimo carattere di urgenza delle misure di cui all’art. 1, sicché la loro adozione ben poteva avvenire col medesimo strumento del decreto-legge e non con successivi D.P.C.M.[8] Le misure di cui all’art. 1 erano previste per quelle aree denominate “zone rosse”, in quanto interessate dal contagio. Si trattava, dunque, di misure pensate a base locale, per zone del Paese ben determinate e circoscritte, non per l’intero territorio nazionale[9]. L’estensione operata dai successivi D.P.C.M., a parere di chi scrive, deve ritenersi contraria all’intentio legis sottesa al decreto-legge legittimante. Pertanto, il disposto dell’art. 2 del d.l. n. 6/2020, con riferimento alle ulteriori misure da adottare, non può ritenersi un’idonea base legale per le misure introdotte con D.P.C.M., in quanto l’obiettivo perseguito dalla fonte primaria era quello di limitare la circolazione, per motivi sanitari, in aree specifiche e ben determinate del Paese, in ossequio al dettato dell’art. 16 Cost. L’estensione territoriale operata dal D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 non era prevista in seno alla fonte legittimante e, pertanto, non poteva ricondursi alle ulteriori misure di cui all’art. 2 del d.l. n. 6/2020. Un’estensione all’intero territorio nazionale, infatti, coinvolge interessi generalizzati, la cui ponderazione non può essere demandata all’autorità amministrativa, ma deve essere in ogni caso rimessa nelle mani del legislatore, in nome del superiore principio democratico che regge la Repubblica. Sulla scorta di tali considerazioni, pare illegittimo il divieto generalizzato di allontanamento dall’abitazione, seppur temperato dalle esigenze di lavoro, salute e necessità, in quanto privo di idonea base legale, anche alla luce dell’art. 2 del d.l. n. 6/2020, per le ragioni fin qui esposte. L’estensione operata dal D.P.C.M. 8 marzo 2020 all’intero territorio nazionale contrasta, quindi, con la ratio sottesa al d.l. n. 6/2020, che aveva introdotto le misure di contenimento solo per le ben individuate “zone rosse”. L’estensione territoriale delle misure non era dunque legittima, alla luce del fatto che la fonte secondaria poteva operare solo nei limiti della fonte primaria, che ne delimitava il perimetro di normazione con riguardo al contenuto delle disposizioni da introdurre. Ove la fonte secondaria abbia normato oltre i limiti (in questo caso, territoriali) imposti dalla fonte primaria o addirittura in contraddizione alle disposizioni di quest’ultima, le norme così introdotte dalla fonte secondaria devono ritenersi illegittime. È infatti tangibile la diversità ontologica tra la restrizione alla circolazione in entrata e in uscita da singole zone interessate dal contagio e l’obbligo di permanenza domiciliare, seppur attenuato dalle esigenze di lavoro, salute e necessità, su tutto il territorio nazionale[10].
2.2 Il d.l. n. 19/2020 tra rinnovata determinatezza e tentativo di sanatoria.
Le tensioni di sistema provocate dal d.l. n. 6/2020 sono state emendate, come già accennato, dal d.l. n. 19/2020, che ha eliminato l’infelice rinvio “in bianco” in favore dell’autorità amministrativa, per l’adozione di ulteriori misure di contrasto all’epidemia. Il d.l. n. 19/2020 ha poi sanato l’operatività delle precedenti misure (decreti e ordinanze) adottate sotto la vigenza del d.l. n. 6/2020, ma una parte della dottrina ha ravvisato dubbi sul fatto che tale sanatoria possa colmare il difetto connesso all’inosservanza del principio della riserva di legge, paventando l’eventualità della disapplicazione per via giurisdizionale di tali misure[11]. Il d.l. n. 19/2020 ha avuto il pregio di tassativizzare le misure di contrasto alla pandemia, da adottare sull’intero territorio nazionale[12].
Tuttavia, il G.I.P. di Reggio Emilia non ha tenuto conto del fatto che a legittimare il D.P.C.M. dell’8 marzo 2020, fonte secondaria di normazione, sono stati prima il d.l. n. 6/2020 e poi il d.l. n. 19/2020, limitandosi ad enunciare che, in astratto, neanche una legge o un atto fonte avente forza di legge potrebbe limitare la libertà personale dei cittadini, essendo prevista a tal uopo anche la riserva di giurisdizione[13].
- Libertà personale e libertà di circolazione: uno snodo di non poco momento.
Nella sentenza in commento, il G.I.P. di Reggio Emilia riconduce le limitazioni operate dal D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 (senza preventivamente valutare, come già osservato, le fonti primarie legittimanti), alla libertà personale ex art. 13 Cost. e alle sue garanzie di giurisdizione e di legge, entrambe disattese per le motivazioni di seguito sintetizzate: innanzitutto, il D.P.C.M. in questione introduce il divieto di lasciare l’abitazione senza prevedere, a corredo, un apposito provvedimento individuale e concreto dell’autorità giudiziaria; in secondo luogo, lo stesso D.P.C.M. è un mero atto amministrativo, pertanto inidoneo a fungere da base legale onde restringere le libertà fondamentali dei cittadini. Lo stesso G.I.P. esclude, da ultimo, la riconducibilità delle misure restrittive alla libertà di circolazione ex art. 16 Cost., che a differenza della libertà personale di cui all’art. 13 Cost. è, come noto, sottoposta alla sola riserva di legge e non anche a quella di giurisdizione. L’art. 16 Cost., infatti, disciplina la limitazione alla circolazione in aree ben determinate del Paese e non, di contro, quella estesa a tutto il territorio nazionale.
Di primo acchito, la ricostruzione offerta dal G.I.P. pare fin troppo sbrigativa, dato il rango dei diritti fondamentali che ne sono coinvolti e delle garanzie che li accompagnano. A parere di chi scrive, l’analisi sulle misure di contrasto all’emergenza pandemica deve tenere conto di tutti i principi sottesi alla legislazione dell’emergenza, dalla ragionevolezza alla proporzionalità, fino all’adeguatezza e alla temporaneità[14].
La dottrina, dal canto suo, ha affrontato tali questioni muovendo i passi dal bilanciamento dei diritti fondamentali coinvolti dall’emergenza sanitaria. Non v’è dubbio che tale emergenza abbia fatto assumere preminenza, come detto in precedenza, al diritto alla salute ex art. 32 Cost., la cui tutela ha comportato il sacrificio di altri diritti fondamentali, quali la libertà personale, di circolazione, di riunione e d’impresa. È il caso di segnalare, a tale riguardo, la risalente, ma autorevole, opinione di chi sottolinea come la tutela del diritto alla salute non può in nessun caso assumere una portata tale da prevalere in toto sulla tutela della libertà personale[15]. Come noto, nell’opera di bilanciamento tra diritti fondamentali è possibile il momentaneo sacrificio di un diritto in favore di un altro, ma non delle garanzie procedurali che li accompagnano. Anche nell’emergenza pandemica, dunque, se si comprime la libertà personale è necessario osservare la garanzia di giurisdizione, oltre a quella legale. Tale specificazione si rende necessaria in quanto non manca chi, in dottrina, riconduce l’obbligo di permanenza domiciliare all’alveo dell’art. 13 Cost. e non a quello dell’art. 16 Cost. Secondo tale orientamento dogmatico, non è limitata la circolazione in singole aree del Paese, ma è vigente un divieto di lasciare l’abitazione simile a quello ex art. 284 c.p.p.[16]. Non manca poi la voce di chi coglie l’indicazione proveniente dalla Convenzione E.D.U., che all’art. 5, lett. e), contempla l’isolamento domiciliare, finalizzato ad evitare il propagarsi di una data patologia, tra le misure privative della libertà personale; in questa direzione, interessanti sono anche i rilievi comparatistici di chi mette in luce le virtù della tradizione statunitense, che assoggetta la privazione della libertà personale, in caso di emergenza sanitaria, alle garanzie dell’habeas corpus in quanto a base legale predeterminata e, soprattutto, al controllo giurisdizionale sulla proporzionalità e l’adeguatezza delle restrizioni imposte[17].
Pregevole è, inoltre, quello sguardo attento a sottolineare come il legislatore costituzionale non fosse per nulla insensibile all’eventualità di un’emergenza sanitaria, alla luce delle pregresse esperienze maturate con le varie epidemie da spagnola, vaiolo e poliomielite. Proprio a tal uopo, infatti, venne introdotta la limitazione alla libertà di circolazione per motivi di sanità.
Una linea di demarcazione tra l’ambito riservato alla libertà personale ex art. 13 Cost. e quello riservato alla libertà di circolazione ex art. 16 Cost. può dedursi, secondo una parte della dottrina, dai soggetti destinatari delle due disposizioni: i provvedimenti individuali, destinati ai soggetti cui sia stata diagnosticata la positività al Covid-19, sarebbero suscettibili di rientrare nell’alveo dell’art. 13 Cost., in quanto individuali e concreti; di contro, quelli previsti in via generale per tutti i cittadini circa il divieto di lasciare l’abitazione se non per esigenze di lavoro, salute e necessità, rientrerebbero nell’alveo dell’art. 16 Cost., anche alla luce del fatto che le tre eccezioni da ultimo richiamate attenuano il divieto di circolazione, in modo tale da non renderlo assoluto[18].
Altra dottrina, poi, sottolinea come la compromissione della «libertà esterna del soggetto in tutta la serie delle sue possibili direzioni», tale da indurre ad un «comportamento non molto dissimile da quello che deve tenere chi sia agli arresti domiciliari», implichi sempre la restrizione della libertà personale di cui all’art. 13 Cost., anche ove si manifesti in forme diverse dall’arresto e dalla detenzione. Donde taluni, comprensibili, dubbi di costituzionalità sulle restrizioni operate dal Governo, nonostante l’utilizzo della fonte primaria del decreto-legge, che non ha distinto tra soggetti contagiati e non[19].
Su questo punto, si apprezzano i rilievi mossi in sede di primo commento alla sentenza n. 54/2021 del Tribunale di Reggio Emilia, secondo i quali la giurisprudenza ha il dovere di discernere tra la sanzione penale comminata a seguito della commissione di un reato, ovvero, in via cautelare, ove ne ricorrano le esigenze, ai sensi dell’art. 13 Cost., dalla limitazione alla libertà di circolazione per motivi sanitari, ai sensi dell’art. 16 Cost. A tal uopo il giudice avrebbe dovuto tener conto delle numerose attenuazioni che accompagnano il divieto di circolazione, e segnatamente del fatto che «i cittadini sono sempre liberi di uscire dal proprio domicilio per andare a lavorare, per fare una visita medica, per andare a fare la spesa, per comprare un giornale, per portare a passeggio un animale domestico, per andare a comprare cibo da asporto o beni di consumo, per andare dal parrucchiere o dall’estetista, per andare a fare una passeggiata, a correre e molto altro ancora. Chi lavora in una regione diversa da quella di residenza può anche viaggiare per rientrare presso la propria dimora abituale. Come si possano equiparare tali condizioni a quelle di un cittadino colpito da provvedimenti restrittivi della libertà personale disposti dal giudice, per effetto di una sentenza irrevocabile di condanna o per motivi cautelari, non è ben chiaro». Pare dunque approssimativa e non bene argomentata la lettura offerta dal Tribunale di Reggio Emilia in ordine alla limitazione della libertà personale ex art. 13 Cost., secondo la quale sarebbe fatto divieto al cittadino, in modo assoluto, di recarsi in luoghi diversi dalla propria abitazione. Sotto questo profilo, inoltre, la dottrina sottolinea come le misure anti-covid non ledano la libertà personale dei soggetti destinatari. Tale compromissione presuppone, infatti, «un apprezzamento moralmente negativo del soggetto» ed una «coazione fisica» che, nelle misure de quibus, sono del tutto assenti[20].
- Sul delitto ex 483 c.p.
Rinvenuto il contrasto tra il D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 e l’art. 13 Cost., il G.I.P. di Reggio Emilia ha provveduto alla disapplicazione dell’atto amministrativo, in quanto illegittimo, ai sensi della legge n. 2248/1865, art. 5, all. E. Tale disapplicazione ha comportato l’effetto “a cascata” di privare dell’antigiuridicità la condotta di falso ideologico riscontrata in seno all’autocertificazione. Infatti, gli imputati erano stati costretti a compilare quest’ultima sulla scorta delle disposizioni provenienti da un atto illegittimo.
Ragioni di completezza e sintesi impongono di offrire una breve disamina della fattispecie di reato ex art. 483 c.p., rinviando alle migliori trattazioni manualistiche per uno studio di maggior dettaglio e più ampio respiro.
Il delitto di falso ideologico è disciplinato dal legislatore come un reato comune, di mera condotta, consistente nell’attestazione di una falsità in seno ad un atto pubblico, destinato ad un pubblico ufficiale. Il dolo è generico e consiste nell’avere contezza dell’inosservanza del dovere di dichiarare una data verità. Il documento ove le dichiarazioni vengono consacrate deve, inoltre, essere sorretto da una norma che gli conferisca il rango di atto pubblico. Come evidenzia autorevole dottrina, l’art. 483 c.p. non prevede il dovere di affermare la verità al pubblico ufficiale. Orbene, tale dovere sorge a fronte della previsione di un’ulteriore norma giuridica, che preveda delle conseguenze per le dichiarazioni rese, documentalmente, ad un pubblico ufficiale[21]. Anche la giurisprudenza di legittimità condivide tale impostazione dogmatica[22].
Con specifico riguardo al ruolo dell’autocertificazione ed alle dichiarazioni in essa contenute, in sede di primo commento alla sentenza de qua è emersa la voce di chi ha distinto quelle afferenti a fatti già verificatisi in rerum natura, dalle intenzioni in itinere. Secondo tale bipartizione, presente anche nella recente giurisprudenza di merito, solo le prime sarebbero suscettibili di integrare la fattispecie ex art. 483 c.p., poiché valutabili in concreto. Quando invece si dichiara un’intenzione, come avviene nel caso della destinazione riguardante uno spostamento in corso di svolgimento, si è in presenza di fatti ancora non del tutto compiuti, che si pongono al di fuori dell’alveo dell’art. 483 c.p. in quanto non ancora valutabili sul piano empirico[23].
- Considerazioni conclusive.
Da principio, un orientamento “garantista” verso i diritti fondamentali dei cittadini è da salutare con favore. Tuttavia, la sentenza in commento presenta, da ultimo, aspetti di criticità non trascurabili. Il G.I.P. di Reggio Emilia, infatti, avrebbe dovuto motivare più in profondità l’asserita lesione della libertà personale dei cittadini, senza limitarsi ad escluderne in via di principio la riconducibilità all’alveo dell’art. 16 Cost. Contenere la pandemia, in linea di principio, non equivale a sanzionare reati. Pertanto, non è a tal uopo necessario un provvedimento del giudice onde limitare la circolazione dei cittadini e, non a caso, l’art. 16 Cost. prevede che la libertà di circolazione è garantita «salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza».
Preoccupa, inoltre, la totale mancanza di considerazione in ordine alle fonti legittimanti che si sono succedute nella prima fase dell’emergenza sanitaria. Le fonti primarie, come visto, non sono state scevre da aspetti problematici e proprio una loro attenta ponderazione avrebbe potuto condurre l’ermeneusi giurisprudenziale ad evidenziarne le carenze strutturali in termini di legittimità, in particolare per quanto attiene al rinvio “in bianco” operato dal primo d.l. n. 6/2020 e alla sanatoria introdotta col successivo d.l. n. 19/2020. In attesa delle future pronunce della giurisprudenza di legittimità, è auspicabile un cambio di passo da parte della giurisprudenza di merito, nell’ottica di una maggiore consapevolezza del delicato e complesso bilanciamento dei diritti fondamentali che il legislatore dell’emergenza è stato chiamato ad effettuare e, da ultimo, tenendo conto di tutti gli strumenti normativi preposti al fine di far fronte al dilagare dell’emergenza sanitaria.
*Praticante avvocato presso il C.O.A. di Crotone e specializzando in professioni legali presso l’università Magna Grecia di Catanzaro
[1] Sul punto si vedano le osservazioni contenute nell’ordinanza del Tribunale di Roma, Sez. VI civ., n. 25284/2020 del 16 dicembre 2020, pp. 5-9, in dejure.it.
[2] Non paiono condivisibili le osservazioni del Tribunale di Roma, Sez. VI civ., ord. n. 25284/2020, cit., secondo il quale l’unico strumento idoneo ad emanare atti aventi forza di legge, oltre alla legge ordinaria, sarebbe il decreto legislativo, nei limiti della legge di delega.
[3] Per una visione d’assieme circa gli interventi normativi succedutisi nel corso dell’emergenza sanitaria cfr. C. cost., sent. n. 278/2020, in www.cortecostituzionale.it.
[4] Si vedano sul punto le osservazioni di M. Cartabia, L’attività della Corte costituzionale nel 2019, in www.cortecostituzionale.it, 28 aprile 2020, p. 25.
[5] R. Bartoli, Il diritto penale dell’emergenza “a contrasto del coronavirus”: problematiche e prospettive, in www.sistemapenale.it, 24 aprile 2020, pp. 5 ss.; sul punto si vedano anche le osservazioni di A. Bernardi, Il diritto penale alla prova del covid-19, in Dir. Pen. Proc., 4/2020, pp. 441 ss.; offre un’interessante riflessione su questo aspetto A. Gigliotti, Sulla illegittimità dei DPCM in una recente sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, in lacostituzione.info, 16 marzo 2021, il quale rileva come il G.I.P. di Reggio Emilia non abbia preso posizione su tale questione, preferendo diffondersi sull’inquadramento costituzionale della libertà di circolazione.
[6] Il riferimento è a C. cost., sent. n. 617/1987, come richiamata in M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, in Rivista A.I.C., 2/2020, pp. 114-115, secondo il quale l’emergenza sanitaria può “giustificare” un minor grado di determinatezza in seno alla norma primaria legittimante, com’è avvenuto col d.l. n. 6/2020. A tale deficit dovrebbe fare da contrappeso un’adeguata motivazione delle fonti secondarie con riguardo alla proporzionalità delle misure adottate, al nesso di razionalità delle stesse con riguardo agli scopi perseguiti e, da ultimo, allo stringente limite temporale della loro operatività.
[7] G. Battarino – A. Natale, Reati dell’epidemia e reati nell’epidemia, in Questione giustizia, 2/2020, pp. 37 ss.
[8] Per un’analisi più approfondita su questo punto cfr. G. M. Locati – F. Filice, Lo stato democratico di diritto alla prova del contagio, in www.questionegiustizia.it, 27 marzo 2020.
[9] G. M. Locati – F. Filice, Lo Stato democratico di diritto alla prova del contagio, cit., p. 4.
[10] G. M. Locati – F. Filice, Lo Stato democratico di diritto alla prova del contagio, op. cit., p. 10.
[11] In questo senso M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, cit. p. 112; in senso favorevole si veda M. Bignami, Le fonti del diritto tra legalità e legittimità nell’emergenza sanitaria, in Questione giustizia, 2/2020, pp. 11-20 e ID, Chiacchiericcio sulle libertà costituzionali al tempo del coronavirus, in www.questionegiustizia.it, 7 aprile 2020; si vedano sul punto anche le osservazioni di R. Bartoli, Il diritto penale dell’emergenza “a contrasto del coronavirus”: problematiche e prospettive, cit., p. 7, secondo il quale il d.l. n. 19/2020 ha avuto il doppio pregio di tassativizzare le condotte vietate e, soprattutto, di depenalizzare gli illeciti, adottando all’uopo delle sanzioni amministrative. Proprio la previsione di illeciti amministrativi in luogo di reati, a giudizio dell’autore, si concilia meglio con la riserva di legge, che per gli illeciti amministrativi presenta caratteri meno stringenti in termini di valutazioni di valore, e non meramente tecniche, ad opera della fonte secondaria.
[12] G. M. Locati – F. Filice, Lo Stato democratico di diritto alla prova del contagio, op. cit., p. 6; condivisibili sul punto le osservazioni di G. L. Gatta, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, in www.sistemapenale.it, 2 aprile 2020.
[13] A. Gigliotti, Sulla illegittimità dei DPCM in una recente sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, cit., pp. 2-3; contrari sul punto M. G. Civinini – G. Scarselli, Emergenza sanitaria. Dubbi di costituzionalità di un giudice e di un avvocato, in www.questionegiustizia.it, 14 aprile 2020, p. 5, secondo i quali l’avere consentito spostamenti solo in forma individuale, per giunta limitati nel tempo e nello spazio e strettamente connessi a ragioni di lavoro, salute e necessità implica una compromissione della libertà personale e non della sola libertà di circolazione; dello stesso tenore le osservazioni di E. Penco, Ancora un proscioglimento per falso in autodichiarazione covid-19: il g.i.p. di Reggio Emilia rileva la “indiscutibile illegittimità” dei dpcm in quanto fonti di misure limitative della libertà personale, in www.sistemapenale.it, 24 marzo 2021, pp. 7-8.
[14] Cfr. sul punto M. Cartabia, L’attività della Corte costituzionale nel 2019, cit., pp. 25-26.
[15] Diffusamente sul punto A. Pace, voce Libertà personale (dir. Cost.), in Enciclopedia del diritto, vol. XXIV, Giuffrè, 1974, pp. 296 ss.
[16] Così F. Marini, Le deroghe costituzionali da parte dei decreti-legge, in www.federalismi.it, 22 aprile 2020, pp. 5-6.
[17] Il riferimento è a G. Battarino – A. Natale, Reati dell’epidemia e reati nell’epidemia, cit., p. 45; si veda sul punto anche G. L. Gatta, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, cit., pp- 3-4.
[18] M. Bignami, Chiacchiericcio sulle libertà personali al tempo del coronavirus, cit., pp. 3-4, in cui l’autore ben differenzia il caso del T.S.O., fondato su una scienza inesatta come la psichiatria e, pertanto, suscettibile di abusi, dalla positività al covid-19; ad analoghe conclusioni giunge anche E. Penco, Ancora un proscioglimento per falso in autodichiarazione covid-19: il g.i.p. di Reggio Emilia rileva la “indiscutibile illegittimità” dei dpcm in quanto fonti di misure limitative della libertà personale, cit., pp. 5-7.
[19] M. G. Civinini – G. Scarselli, Emergenza sanitaria. Dubbi di costituzionalità di un giudice e di un avvocato, cit., pp. 6-7, i quali richiamano sul punto la posizione espressa in sede di Assemblea costituente dall’On. Corsanego e, in seguito, quella della Corte costituzionale nella sentenza n. 23/1975.
[20] M. Luciani, Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza, op. cit. p. 127; nello stesso senso, A. Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, Giuffrè, 1971, p. 121 e G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Giuffrè, 1976, pp. 25 ss.
[21] R. Garofoli, Compendio di diritto penale, parte speciale, Nel diritto editore, VIII edizione, 2020-2021, pp. 421-422.
[22] Cfr. Cass. pen., Sez. V, n. 2496/2019, in Dejure.it; Cass. Pen., Sez. V, n. 5100/2012, in Dejure.it e Cass. Pen., S. U., n. 28/1999, in Dejure.it.
[23] F. Marin, I DPCM tra vecchie e nuove problematiche: la caduta della foglia di fico?, in www.giurisprudenzapenale.it, 19 marzo 2021, pp. 1-3 e 5-6, ove emerge il riferimento all’orientamento espresso dal Tribunale di Milano, Sez. G.I.P. – G.U.P., set. n. 1940/2020.