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MANDATO D’ARRESTO EUROPEO – DECRETO LEGISLATIVO N. 10 DEL 2021 – Nota a sentenza Cass. pen., Sez. VI Penale, n. 14220 del 2021 – DI DONATELLA IANELLI E ALESSIA BERTOZZI

MANDATO D’ARRESTO EUROPEO – DECRETO LEGISLATIVO N. 10 DEL 2021 – Nota a sentenza Cass. pen., Sez. VI Penale, n. 14220 del 2021 – DI DONATELLA IANELLI E ALESSIA BERTOZZI

IANELLI-BERTOZZI – MANDATO D’ARRESTO EUROPEO – NOTA A SENTENZA.PDF

MANDATO D’ARRESTO EUROPEO – DECRETO LEGISLATIVO N. 10 DEL 2021

Nota a sentenza Cass. pen., Sez. VI Penale, n. 14220 del 2021

di Donatella Ianelli* e Alessia Bertozzi**

Mandato d’arresto europeo – Decreto legislativo n. 10 del 2021 – Disciplina transitoria – Legittimità costituzionale – Sentenza esecutiva – Nozione – Rischio di trattamento inumano e degradante – Motivo di rifiuto di consegna.

(art. 6, 7 CEDU; artt. 3, 13, 24, 25 Cost.; artt. 1, 3, 28 D.Lgs. n. 10 del 2021; artt. 1, 2, 6, 18, 40, L n. 69 del 2005)

Nota a sentenza – Cass. pen., Sez. VI Penale, sentenza 14 aprile 2021 (dep. 15 aprile 2021), n. 14220, Pres. Fidelbo – Rel. Di Geronimo.

La scelta del legislatore di applicare la nuova disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 10 del 2021 ai mandati di arresto europei “ricevuti” dopo la data del 21 febbraio 2021, ovvero a quelli per i quali l’arresto è avvenuto dopo tale data, è frutto di un’insindacabile scelta legislativa, che non determina né irragionevoli disparità di trattamento, né lesione del principio di legalità stabilità dall’art. 25 Cost. e 7 CEDU, posto che la modifica del regime applicabile, in applicazione al principio generale del tempus regit actum, incide essenzialmente su aspetti processuali relativi alle modalità ed ai presupposti per la consegna.

Il novellato art. 1, comma 3, L. n. 69 del 2006, come modificato dall’art. 1, lett. b, D.Lgs. n. 10 del 2021, non richiede più che la sentenza, rispetto alla quale è stato formulato il mandato esecutivo, debba essere “irrevocabile”, richiedendosi solo che la sentenza sia “esecutiva”; inoltre, a seguito delle modifiche apportate dalla novella non è più necessaria l’allegazione della sentenza di condanna (precedentemente richiesta dall’art. 6, comma 3, L. n. 69 del 2005), sicché ben può verificarsi che la consegna sia richiesta a seguito della mera pronuncia della sentenza – ove il dispositivo sia nell’ordinamento estero di per sé titolo esecutivo – e prima ancora del deposito della motivazione.

Pur a fronte della formale abrogazione dell’art. 18, lett. h, L. n. 69 del 2005 deve ritenersi che il motivo di rifiuto obbligatorio della consegna relativo al pericolo di trattamenti degradanti continui ad essere operante, in virtù della clausola generale contenuta nel novellato art. 2 L. n. 69 del 2005. Anche a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 10 del 2021 (che, pur avendo previsto una rigida scansione temporale per la decisione sulla richiesta di consegna, assegnando termini ristretti, sia per la decisione della corte di appello che della cassazione, non li configura come perentori, né ricollega effetti decadenziali nel caso del loro superamento – se non a determinati fini cautelari bensì meri obblighi informativi in ordine alle ragioni del ritardo), qualora sussista un generale rischio di trattamenti inumani e degradanti da parte dello Stato membro, è consentito il differimento della decisione e l’invio di richieste integrative volte ad accertare le specifiche condizioni di detenzione cui il consegnando verrebbe sottoposto.

La Suprema Corte di cassazione è stata chiamata a decidere sul ricorso difensivo presentato avverso la sentenza della terza sezione penale della Corte di appello di Bologna in materia di mandato d’arresto europeo (c.d. m.a.e.) e, per la prima volta, si è trovata a pronunciarsi applicando la recentissima normativa, il decreto legislativo n. 10 del 2 febbraio 2021, che ha modificato sostanzialmente la legge n. 69 del 2005.

La novella infatti ha una portata riformatrice organica e di indubbio rilievo: vengono modificati più della metà degli articoli della precedente normativa (attuativa della decisione quadro 2002/584/GAI), oltre ad aggiungerne di nuovi.

Si è trattato di un intervento volto a semplificare le procedure di consegna all’interno dello spazio europeo, ispirato al principio cardine del mutuo riconoscimento, con l’ambizioso e discusso obiettivo di rimuovere quelli che, nella legge n. 69 del 2005, venivano considerati come inutili ostacoli e formalismi, sebbene in parte già neutralizzati dall’interpretazione giurisprudenziale.

Si procederà dunque ad elencare e ad analizzare schematicamente gli aspetti più interessanti e rilevanti dell’annotata decisione.

Sulla questione di legittimità costituzionale in tema di diritto intertemporale.

Con il primo motivo il ricorrente ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 del d.lgs. n.10 del 21 per contrarietà agli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione e 6 e 7 della Convenzione EDU, nella parte in cui non prevede l’applicazione della normativa precedente laddove, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 10 del 2021, il m.a.e. era già stato emesso.

La Corte ha rigettato il motivo di ricorso ritenendo non sussistenti le violazioni ed argomentando che, a fronte dell’introduzione di una modifica normativa, è nella discrezionalità del legislatore stabilire se introdurre una disciplina transitoria e come modularla. A ciò ne consegue che – esclusa la ricorrenza di una palese irragionevolezza della norma transitoria – l’opzione normativa non è sindacabile. Pertanto, ha affermato la Cassazione, come precisa chiaramente l’art. 28 del D.Lgs n. 10 del 2021, la disciplina previgente si potrà applicare ai soli procedimenti in essere nei quali il m.a.e. sia già “arrivato” alla Corte d’Appello o il consegnando sia già stato arrestato, senza fare riferimento alcuno alla data di emissione del mandato.

È stato contestato come questo dettato normativo sembra stridere con il principio del favor rei nella successione delle leggi nel tempo, in quanto la nuova disciplina è per molti versi peggiorativa dei diritti del consegnando, in particolare laddove restringe l’ampia casistica di rifiuto obbligatorio di consegna oppure quando prevede quale motivo facoltativo di rifiuto la permanenza in Italia da cinque anni anziché il mero radicamento.

Al contempo, a fronte della rilevata prospettazione della difesa di fornire una interpretazione adeguatrice dell’art. 28 citato al già esistente art. 40 della legge n. 69 del 2005, la Corte ha ritenuto tale lettura non giustificabile dalla ratio di quest’ultima norma, una disposizione che ha regolamentato esclusivamente la specifica fase intertemporale.

Sulla questione dell’emissione del m.a.e. sulla base del dispositivo di una sentenza di condanna non motivata e non irrevocabile.

Il secondo motivo del ricorso verteva sulla lamentata violazione dell’art. 2 della legge n. 69 del 2005 in quanto la richiesta di consegna era stata accolta solo sulla base del dispositivo di una sentenza ancor priva della motivazione.

La Corte ha ribadito il proprio orientamento secondo il quale l’art. 8, par. 1, lett. c, della decisione quadro n.2002/584/GAI ha inteso dare rilevanza alla sola “esecutività” quale condizione essenziale nell’ambito della cooperazione giudiziaria per la consegna delle persone ricercate tra gli Stati membri dell’U.E., ricordando come sia estraneo al “nostro” ambito giudiziario la valutazione dei presupposti normativi sulla base dei quali è stata emessa la sentenza che sta alla base della richiesta.

Sul punto il Supremo Collegio ha ritenuto che ciò sia tanto più vero se si considera l’art. 3 del d.lgs. n. 10 del 2021, col quale è stato sancito che il m.a.e., in armonia coi principi di abolizione dei formalismi, di snellimento delle procedure e del mutuo riconoscimento delle decisioni e dei provvedimenti giudiziari tra Stati Membri dell’Unione europea, deve contenere l’indicazione di una sentenza esecutiva senza alcuna necessità di allegazione della medesima, e soprattutto che la consegna del condannato, ove nello stato estero il dispositivo diventi titolo esecutivo ancor prima del deposito della motivazione, è legittima pur in mancanza delle motivazione stessa.

Sulle nuove previsioni in ordine ai motivi obbligatori di rifiuto della consegna.

Con l’ultimo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 2 della legge n. 69 del 2005 in relazione al nuovo articolo 12 del decreto legislativo n. 10 del 2021, che ha riformulato l’originario testo dell’art. 18 della legge n. 69 del 2005 e, precisamente, ha abrogato l’ipotesi di rifiuto obbligatorio di consegna nel caso di rischio della sottoposizione della persona ricercata a trattamenti degradanti e lesivi della dignità umana. La riformulazione dell’art. 18 limita a soli tre casi il rifiuto obbligatorio di consegna (reato estinto per amnistia, violazione del principio di ne bis in idem, il consegnando è persona minore degli anni quattordici al momento della commissione del reato).

Con la sentenza in commento la Cassazione ha quindi chiarito che, sebbene l’art. 18 sia stato abrogato, è necessario far riferimento al novellato art. 2 della legge n. 69 del 2005, che costituisce una sorta di clausola generale “in bianco” all’interno della quale è possibile ricomprendere tutte le violazioni dei principi supremi e dei diritti inalienabili della persona dell’ordine costituzionale dello Stato, della Costituzione, dal Trattato U.E. e dalla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uuomo e delle libertà fondamentali.

E dunque, poiché nel caso di specie vi era un rischio di trattamenti inumani in relazione alle condizioni carcerarie, la Suprema Corte ha annullato la sentenza della Corte d’Appello di Bologna e disposto il rinvio alla medesima Corte affinché siano espletati gli accertamenti integrativi sulle specifiche condizioni di detenzione cui il consegnando verrebbe sottoposto.

Con l’annotata decisione, citando sul punto i numerosi e specifici precedenti giurisprudenziali, viene pertanto ribadita con forza l’importanza di operare una verifica della sussistenza in concreto di tale rischio attraverso ogni possibile strumento ed informazione complementare utile allo scopo, con la precisazione che ciò dovrà avvenire nonostante l’introduzione di termini ristretti per la decisione sulla richiesta di consegna, che comunque non sono da considerare perentori o decadenziali ma “meri obblighi informativi” sui motivi dell’eventuale ritardo.

La Cassazione ha pertanto sancito come il principio del mutuo riconoscimento, per quanto essenziale per il corretto funzionamento della cooperazione giudiziaria nel territorio dell’Unione Europea, vada applicato nel pieno rispetto dei principi a tutela dei diritti fondamentali, i quali non possono mai essere sacrificati e ridotti nella loro portata, garantendo così che la consegna avvenga solo in situazioni di completa certezza sul futuro rispetto dei diritti umani del consegnando.

Scendendo nello specifico e stabilendo una sorta di linea guida per appurare il rispetto o meno dei diritti fondamentali, la Corte di legittimità ha rimarcato la validità di quanto stabilito nelle pronunce emesse con riferimento alla normativa previgente (ex multis, Cass. pen., Sez. VI, n. 8916/18; Cass. pen. Sez. VI, n. 44398/19; Cass. pen., Sez. VI, n. 18352/20), sottolineando la necessità che i giudici di merito, in presenza del fumus, attestato da documenti ufficiali, di una possibile sottoposizione a trattamenti degradanti e lesivi della dignità umana dei soggetti ristretti debbano continuare ad attivarsi, prima di disporre la consegna, per acquisire dallo stato di emissione informazioni integrative circa la situazione della struttura carceraria in cui sarà ristretto il consegnando.

Al contempo si segnala che dall’analisi della banca dati territoriale della Corte d’Appello di Bologna per il periodo dal 2005 al 2019 (in costante aggiornamento, costituita ed elaborata dalla Commissione Europa della Camera Penale Franco Bricola di Bologna e da Eurispes), si può rilevare come in relazione al corposo numero di casi di rifiuto obbligatorio di consegna tassativamente previsti all’art 18 della previgente normativa (e oggi “formalmente” abrogati) – il 44,4% delle sentenze complessive esaminate – solo l’8,5% delle sentenze medesime riguardavano i superstiti tre casi considerati attualmente di “rifiuto formalmente obbligatorio”.

A ciò evidentemente conseguirà, almeno per quel che riguarda le istanze difensive tese ad ottenere una pronuncia che neghi la consegna dell’arrestato allo stato richiedente, una sempre maggiore applicazione del novellato art. 2 della legge n. 69 del 2005 che, alla luce della granitica giurisprudenza della Cassazione, ribadita dall’annotata decisione, costituisce un importante baluardo dei diritti fondamentali e inalienabili della persona, non sacrificabili in nome del mutuo riconoscimento.

*Avvocato del Foro di Bologna, componente dell’Osservatorio Europa UCPI e responsabile della Commissione Europa della Camera Penale “Franco Bricola” di Bologna

**Avvocato del Foro di Bologna componente della Commissione Europa della Camera Penale “Franco Bricola” di Bologna