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NUOVE SOLUZIONI PER PROBLEMI ANTICHI.  DIRITTO VIVENTE E SINDACATO DI LEGITTIMITÀ IN MATERIA PENALE – DI ALESSANDRA SANTANGELO

NUOVE SOLUZIONI PER PROBLEMI ANTICHI. DIRITTO VIVENTE E SINDACATO DI LEGITTIMITÀ IN MATERIA PENALE – DI ALESSANDRA SANTANGELO

SANTANGELO – NUOVE SOLUZIONI PER PROBLEMI ANTICHI DIRITTO VIVENTE E SINDACATO DI LEGITTIMITÀ IN MATERIA PENALE.PDF

NUOVE SOLUZIONI PER PROBLEMI ANTICHI. DIRITTO VIVENTE E SINDACATO DI LEGITTIMITÀ IN MATERIA PENALE

NEW SOLUTIONS TO ANCIENT PROBLEMS. JUDGE-MADE LAW AND JUDICIAL REVIEW IN CRIMINAL MATTERS

di Alessandra Santangelo*

Tribunale di Pisa, Giudice Dott. Domenico Rocco Vatrano – Ordinanza del 18 marzo 2024 pubblicata nella GU n. 41 del 9 ottobre 2024

Evasione dagli arresti domiciliari – Applicabilità secondo il diritto vivente della fattispecie incriminatrice ai soggetti sottoposti a indagine – Questione di legittimità costituzionale

(Art. 385, comma 3, c.p. – Art. 25, comma 2, Cost.)

È rilevante e non manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 385, comma 3, c.p., in relazione all’art. 25 della Costituzione, nella parte in cui il diritto vivente prevede che l’indagato possa essere punito per l’evasione dal regime degli arresti domiciliari, nonostante la lettera della norma faccia riferimento esclusivamente all’imputato.

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Il giudice rimettente dubita della legittimità del diritto vivente che, in termini consolidati, ha esteso l’applicazione del reato di evasione dagli arresti domiciliari a chi rivesta la qualità di mero indagato in un procedimento penale e, quindi, in contrasto con la lettera dell’art. 385, comma 3, c.p., che fa espresso riferimento ai soli imputati o ai soggetti condannati ammessi a lavorare all’esterno del carcere.

The referring judge calls into question, on the grounds of the legality principle, the legitimacy of the national case law that, in firmly consolidated terms, has applied the offence of prison escape from house custody to persons who are merely suspects. On the contrary, the wording of Article 385(3) of the Italian Criminal Code expressly refers only to defendants or convicted persons allowed to work outside prison.

Sommario: 1. Premessa. 2. La rilevanza della questione “interpretativa” all’attenzione della Corte costituzionale. 3. Il diritto vivente consolidato. 4. L’ipotesi di illegittimità del reato di evasione dagli arresti domiciliari del soggetto indagato. 5. Possibili ricadute a carattere sistematico: cenni.

1. Premessa. – Con l’ordinanza del 18 marzo 2024, il Tribunale di Pisa ha sollevato questione di legittimità per contrasto con l’art. 25, secondo comma, Costituzione, del reato di evasione e, in particolare, del terzo comma dell’art. 385 c.p. per come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità. La fattispecie incriminatrice prevede che «[l]e disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale». Nondimeno, secondo un indirizzo ermeneutico ampiamente consolidato, il reato di evasione domiciliare sarebbe da applicare non solo ai soggetti imputati in un procedimento penale bensì, pure, a chi sia sottoposto a indagini. Ad avviso del giudice a quo, il tenore letterale della norma incriminatrice osta a una simile torsione interpretativa di segno ampliativo, integrando l’indirizzo maggioritario un’ipotesi vietata di analogia in malam partem. Il giudizio incidentale coinvolge, allora, alcuni aspetti fondanti il rapporto tra formulazione di legge e intervento ermeneutico, innescando potenziali ricadute di sistema di non poco momento.

2. La rilevanza della questione “interpretativa” all’attenzione della Corte costituzionale. – Come accennato, il giudizio incidentale è incentrato sul terzo paragrafo dell’art. 385 c.p., costruendo – almeno prima facie – un “caso facile”.[1] Il testo della previsione legislativa, infatti, è chiaro e puntuale: il reato di evasione è da applicare anche in caso di detenzione domiciliare qualora l’imputato, in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento custodiale, se ne allontani. Lo stesso vale per il soggetto condannato che sia stato ammesso al lavoro fuori dalle mura del carcere. Avendo riguardo all’argomento testuale, quindi, non residuano margini di incertezza. Il legislatore ha introdotto un reato proprio e riservato la previsione sanzionatoria ai soli imputati in un processo penale oppure ai condannati cui sia stato consentito il lavoro all’esterno. In prospettiva sistematica, d’altra parte, si risale senza ambiguità alla nozione di imputato giacché, secondo quanto previsto dall’art. 60 c.p.p., tale qualità si acquista inderogabilmente, con riguardo tanto al procedimento ordinario quanto ai riti speciali, in seguito a – e a condizione che intervenga – l’esercizio dell’azione penale.

Il ricorso insiste, allora, non certo sulla disposizione della previsione incriminatrice, la cui precisione è puntualmente riconosciuta dal giudice a quo, bensì sulla interpretazione offerta nel tempo dalla giurisprudenza attraverso il consolidarsi di un indirizzo di natura estensiva. Il diritto vivente che si appunta sul terzo comma dell’art. 385 c.p., in particolare, ha esteso la rilevanza penale dell’evasione domiciliare a soggetti che siano meramente indagati in un procedimento penale, ampliando il novero di sottofattispecie penalmente rilevanti a dispetto dei limiti imposti dal testo della fattispecie.

Prima di svolgere qualche considerazione sulla rilevanza della questione, è utile ripercorrere brevemente i fatti da cui origina la controversia. Il giudizio a quo coinvolge un soggetto che, al tempo dell’evasione, era indagato in un procedimento penale e si trovava in stato di arresto presso l’abitazione del fratello. Ricostruendo la vicenda processuale, l’autorità rimettente chiarisce che, al tempo della condotta incriminata, non era ancora stata esercitata l’azione penale, trovandosi l’indagato in attesa dell’udienza di convalida della misura detentiva. È piuttosto evidente il problema che attanaglia il giudice comune chiamato a decidere se interpretare la fattispecie in esame seguendo l’indirizzo ermeneutico maggioritario oppure, al contrario, proponendo una lettura restrittiva in linea con il nullum crimen. Altrettanto esplicite sono, invero, le ricadute sull’andamento dell’accertamento penale: laddove si preferisse una lettura testuale del reato di evasione dagli arresti domiciliari, il giudice di Pisa dovrebbe procedere dichiarando l’irrilevanza penale del fatto. Qualora, invece, si continuasse ad assecondare l’orientamento consolidato,[2] la condotta contestata potrebbe essere sussunta tra i fatti penalmente rilevanti ex art. 385, comma 3, c.p.

Quanto al nodo della rilevanza, il carattere “granitico” del diritto vivente di segno ampliativo consente l’intervento correttivo della Corte costituzionale: in presenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, infatti, «il giudice a quo, se pure è libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, ha, alternativamente, la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di “diritto vivente” e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali».[3] Così, nella misura in cui si riscontrasse una violazione del nullum crimen con riguardo al divieto di analogia, l’intervento ablativo del giudice delle leggi consentirebbe di ricondurre la portata applicativa della fattispecie entro i limiti stabiliti dal testo della disposizione. Il giudice a quo, del resto, non potrebbe efficacemente risolvere altrimenti la questione, giacché la soluzione ermeneutica restrittiva si esporrebbe con ogni probabilità a un radicale overruling nei successivi gradi di giudizio.[4]

3. Il diritto vivente consolidato. – L’interpretazione di segno ampliativo che avversa il giudice rimettente è descritta come ampiamente consolidata nella giurisprudenza di legittimità.[5] Tale indirizzo poggia principalmente su argomenti di carattere storico e teleologico. Nel – consueto[6] – tentativo di risalire all’intentio del legislatore storico, si sostiene anzitutto che il termine “imputato” di cui al terzo comma dell’art. 385 c.p. sarebbe da intendere in senso atecnico e originalistico.[7] Più nel dettaglio, il significato testuale sarebbe da accantonare in ragione del fatto che, al tempo in cui la previsione è stata introdotta, il codice di procedura penale non distingueva tra indagati e imputati.[8] La volontà del legislatore storico, si argomenta, propendeva per l’equiparazione delle due categorie soggettive ai fini della contestazione del reato di evasione dagli arresti domiciliari; di talché, l’offesa istantanea con effetti permanenti di cui all’art. 385, comma 3, c.p., incentrerebbe il proprio disvalore nella mera disobbedienza all’ordine restrittivo a prescindere dal grado di avanzamento del procedimento penale. Secondo tale orientamento, l’argomento storico consentirebbe di superare il referente semantico persino all’indomani dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale il quale, secondo quanto previsto dall’art. 60 c.p.p., impone invece una netta distinzione tra i soggetti imputati e coloro che sono sottoposti a indagine, condizionando all’esercizio dell’azione penale l’assunzione della qualità di imputato.

Un secondo profilo che si suole valorizzare a sostegno della tesi estensiva descrive il terzo comma come previsione meramente ricognitiva di quanto previsto al comma primo dell’art. 385 c.p. Attraverso questo escamotage ermeneutico, sarebbe possibile aggirare il limite semantico della previsione incriminatrice considerando il lemma “imputato” in riferimento agli enunciati più ambigui e generici che si rivolgono ai soggetti “detenuti” e “legalmente arrestati”. È evidente, infatti, che il primo comma manca di operare una puntuale selezione delle categorie soggettive interessate dalla sanzione penale e, al contrario, si adatta sia agli imputati che alle persone sottoposte a indagini.

Una simile impostazione, tuttavia, presenta criticità significative. Valorizzando l’impostazione storico-teleologica, si rischia di riproporre una lettura sostanzialmente anacronistica del reato di evasione dagli arresti domiciliari, perché costruita su una visione superata del processo penale che non distingue tra le prime fasi di accertamento e l’avvio stricto sensu del rito di accertamento di eventuali responsabilità. Non bastasse, la scelta di far prevalere l’argomento teleologico e le interpretazioni di carattere storico favorisce una concezione debole del canone testuale-contestuale,[9] in radicale contrasto con quanto affermato dalla più recente giurisprudenza costituzionale (cfr. infra, § 5).

4. L’ipotesi di illegittimità del reato di evasione dagli arresti domiciliari del soggetto indagato. – Nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo sviluppa un’argomentazione serrata che attinge ampiamente ai più recenti arresti della giurisprudenza costituzionale per dimostrare l’illegittimità del diritto vivente di segno estensivo. Anzitutto, il Tribunale di Pisa dà conto delle “buone intenzioni” che hanno animato la giurisprudenza antecedente:[10] non è da tralasciare, da un lato, il «ragionevole ed evidente intento pratico» di equiparare le due categorie soggettive «in una razionale prospettiva di continuità» normativa e, dall’altro, la «svista» del legislatore che ha mancato di modificare il terzo comma dell’art. 385 c.p. in seguito alla distinzione rafforzatasi sul versante processuale tra imputato e indagato.

Qui, allora, uno dei passaggi più salienti del provvedimento di rimessione. In linea con la giurisprudenza costituzionale, infatti, il giudice pisano osserva che in presenza di formulazioni legislative incomplete o oscure «la svista del legislatore, che determina una estensione della punibilità, non può mai ricadere sull’individuo». Di talché, tertium non datur. Il parlamento potrebbe, certo, intervenire in termini espressi per ricomprendere nel reato di evasione dagli arresti domiciliari le sottofattispecie che si riferiscono ai soggetti meramente indagati; nondimeno, in assenza di una specifica modifica legislativa, il giudice penale non ha il potere di conseguire in via ermeneutica il medesimo risultato posto il divieto assoluto di operazioni analogiche in malam partem,[11] il necessario rispetto della divisione tra poteri[12] e il generale divieto di assegnare obiettivi di scopo al giudice.[13]

In questa prospettiva, il tribunale di Pisa sottolinea, peraltro, la distinzione tra enunciati comuni ed enunciati tecnici,[14] riconducendo a questa seconda categoria le direttrici semantiche di “indagato” e “imputato” che – a differenza dei termini suscettibili di letture panpenalistiche[15] – sono «esclusivamente definite dal codice di rito». Si deve quindi escludere che «altre fonti del sapere possano integrarne il significato ai fini della rilevanza penale». Sicché, l’interpretazione testuale del reato di evasione dagli arresti domiciliari impedisce di ricomprendere le ipotesi di fuga compiute da sospettati o indagati in un procedimento penale, trattandosi di sottofattispecie estranee alla definizione di cui all’art. 60 c.p.p. Ad avviso del giudice a quo, a nulla vale il richiamo all’art. 61 c.p.p. che al comma 1 dispone una estensione all’indagato delle prerogative stabilite per l’imputato solo allorché si tratti di previsioni in bonam partem. Anche a voler ricondurre al secondo comma dell’art. 61 c.p.p. effetti di segno peggiorativo, si tratterebbe di estensioni al più accettabili nella dimensione processuale e non certo in relazione a nuove incriminazioni di carattere judge-made. Del resto, l’autorità rimettente osserva che laddove il legislatore ha inteso equiparare la posizione di imputati e indagati lo ha fatto espressamente.[16]

Se quindi «l’errore del legislatore […] non può ricadere sulla persona»,[17] è indispensabile contenere il contributo offerto dall’interprete entro la trama di significati riconducibili al testo:[18] solo il criterio letterale quale «inizio e fine di ogni esperimento esegetico»[19] è in grado di assicurare la prevedibilità della qualificazione giuridica del fatto[20] e, in ultima analisi, il pieno rispetto del nullum crimen.[21]

Considerando gli argomenti a sostegno dell’illegittimità del diritto vivente, il giudice comune prende infine in esame il diritto sovranazionale, dimostrando una spiccata sensibilità per le dinamiche di ‘cross-fertilization’ nella tutela delle garanzie fondamentali della persona.[22] Più nel dettaglio, è richiamata la giurisprudenza della Corte di Strasburgo che equipara il diritto legislativo e l’interpretazione giurisprudenziale, quanto alla verifica dei requisiti qualitativi di cui all’art. 7 CEDU. Posto che nessun dubbio insiste sulla necessità di verificare, a livello sovranazionale, la prevedibilità dell’intervento penale in relazione sia al diritto positivo che al contributo dell’interprete,[23] il caso di specie sembra però piuttosto impingere su un diverso profilo. A fronte della lacuna normativa di cui all’art. 385, comma 3, c.p., infatti, il diritto vivente interno insiste su una lettura analogica della norma incriminatrice, ricomprendendo una classe di casi non prevista dalla disposizione. Di talché, pare opportuno riferirsi al divieto di analogia con effetti in malam partem che trova ormai – per l’appunto – pieno riconoscimento nella giurisprudenza sovranazionale come emerge nel noto caso Kokkinakis c. Grecia.[24] Non basta. La Corte di Strasburgo ha altresì chiarito che il principio di legalità sanziona in materia penale qualsivoglia interpretazione giurisprudenziale di segno estensivo che risulti incompatibile con l’essenza del reato[25] e, per l’effetto, imprevedibile.[26] Per tali ragioni, non sembra da escludere la violazione del principio di legalità di cui all’art. 7 CEDU, per il tramite del parametro interposto di cui all’art. 117 Costituzione.

5. Possibili ricadute a carattere sistematico: cenni. – Muovendo qualche considerazione in ordine sparso sul provvedimento in esame, sembra utile mettere intanto in luce il punto focale del sindacato di legittimità, ossia la possibilità per il giudice delle leggi di rinvenire l’illegittimità di un diritto vivente “granitico” in contrasto con il divieto di analogia in malam partem. Non si tratta di prendere posizione sulla formulazione del testo di legge, con il rischio di sostituire le valutazioni del giudice costituzionale alle opzioni di politica criminale preferite dagli organi rappresentativi.[27] Neppure il problema riguarda la prevedibilità del formante giurisprudenziale atteso il carattere ampiamente consolidato della soluzione creativa;[28] né tanto meno occorre tornare sui limiti dell’intervento “tassativizzante e tipizzante” del giudice comune, su cui già peraltro insiste una rilevante pronuncia in tema di misure di prevenzione.[29] Diversamente, il ricorso del tribunale di Pisa impone alla Corte costituzionale di saggiare la forza di resistenza di un indirizzo interpretativo a carattere ampliativo ritornando sulla distinzione tra esegesi estensiva e analogia vietata con riguardo, da un lato, al potere-dovere del giudice comune di dissentire dal precedente in piena autonomia e, dall’altro, al possibile controllo accentrato da parte della stessa Corte costituzionale allorché l’interprete si spinga oltre i limiti testuali della fattispecie punitiva. Nell’epoca della “nuova” legalità penale,[30] si scorge allora una rilevante opportunità per bandire operazioni ermeneutiche in contrasto con la divisione tra poteri, rafforzando la preminenza degli argomenti testuali nel pieno rispetto della garanzia della riserva di legge.[31]

Al riguardo, non è certo possibile tralasciare la progressiva attenzione riservata al formante interpretativo dal giudice delle leggi proprio con riguardo alla protezione del nullum crimen.[32] Qualora si optasse per un controllo forte nella questione pendente – che affronti il tradizionale problema di giustiziabilità della analogia quale lex imperfecta –[33] sarebbe possibile ribadire che il potere conformativo del giudice penale incontra un limite insuperabile nel testo della previsione incriminatrice. Dal momento che il reato di evasione dagli arresti domiciliari si riferisce espressamente al solo “imputato” o ai soggetti “condannati”, è precluso al giudice un intervento creativo con riguardo ad altre categorie soggettive atteso che letture incompatibili con il perimetro semantico della formulazione si scontrano con il dettato costituzionale. In questa prospettiva, fermo l’inevitabile intervento dell’interprete quale «posterius incaricato di scrutare nelle eventuali zone d’ombra», il significato corretto – perché costituzionalmente conforme – della disposizione è da rinvenire «nell’arco delle sole opzioni che il testo autorizza e che la persona può raffigurarsi leggendolo».[34]

Non è certo agevole individuare senza sbavature il punto di equilibrio del sindacato incidentale attese le difficoltà nel distinguere tra interpretazione estensiva e analogia vietata, ancor più ove si prenda in considerazione la “spada di Damocle” della ennesima guerra tra Corti.[35] Eppure, anche a voler ammettere che la formulazione non sia sufficientemente chiara ma presenti margini di ambiguità in prospettiva storico-sistematica, è proprio il principio di legalità a imporre al giudice di preferire una lettura testuale-contestuale dell’incriminazione[36] così da riservare le scelte di tutela al solo legislatore propendendo, in caso di dubbio ragionevole, per la soluzione ermeneutica più lenient ossia favorevole al reo.[37] In tal senso, il divieto di analogia troverebbe il proprio custode, in termini peraltro affini al vaglio offerto dalla giurisprudenza di Strasburgo (cfr. retro, § 4). Il coinvolgimento della Corte costituzionale potrebbe comportare ricadute di grande interesse quanto alla verifica di ulteriori orientamenti interpretativi di natura ampliativa, ove il rilievo penale di determinate sottofattispecie dipendesse da un intervento creativo del giudice invece che dalle scelte del legislatore.

In conclusione, il provvedimento pendente potrebbe condurre la Corte ad accogliere la questione di illegittimità ex art. 25, comma 2, Costituzione, del reato di evasione dagli arresti domiciliari nella parte in cui trova applicazione oltre i limiti offerti dal testo della disposizione e, quindi, all’esito di un diritto vivente consolidato di segno analogico. Come già affermato dal giudice delle leggi, d’altronde, la «garanzia soggettiva che la determinatezza della legge penale mira ad assicurare sarebbe […] svuotata, laddove al giudice penale fosse consentito assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello che il consociato possa desumere dalla sua immediata lettura».[38]

*Ricercatrice Senior di diritto penale nell’Università di Bologna

[1] D. Pulitanò, Paradossi della legalità. Fra Strasburgo, ermeneutica e riserva di legge, in Dir. pen. cont.-riv. trim., n. 2, 2015, p. 49.

[2] Con particolare riguardo alla nozione di diritto vivente, si veda A. Cadoppi, voce Giurisprudenza e diritto penale, in Dig. disc. pen., Agg., Torino, 2017, p. 421 ss. Quanto poi al rapporto tra giudice comune e interpretazione consolidata, M. Donini, Europeismo giudiziario e scienza penale. Dalla dogmatica classica alla giurisprudenza-fonte, Milano, 2011, p. 73.

[3] Corte cost., 20 maggio 2020, n. 95, richiamando ex plurimis le sentenze n. 39 del 2018, n. 259 del 2017 e n. 200 del 2016; nonché l’ordinanza n. 201 del 2015.

[4] Con particolare riguardo alla tutela del principio di legalità in materia penale attraverso il puntuale intervento del giudice delle leggi, si veda poi Corte cost., 26 febbraio 2020, n. 32.

[5] A titolo di esempio, si rinvia a Cass. pen., sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 47728.

[6] Con particolare riguardo alle difficoltà di distinguere, in via interpretativa, tra l’intenzione oggettiva e soggettiva del legislatore storico, si rinvia, inter multis, a R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, in A. Cicu-F. Messineo-L. Mengoni (diretto da), P. Schlesinger (continuato da), Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2004, p. 150 ss., nonché G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale. Il sistema delle fonti del diritto, I, Torino, 1990, p. 73,

[7] Quanto all’interpretazione del linguaggio tecnico e del linguaggio comune nella dimensione punitiva, A. Pagliaro, Testo ed interpretazione nel diritto penale, in F. Palazzo (a cura di), L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, Napoli, 2001, p. 273 s.

[8] Il riferimento – puntualmente richiamato dal giudice rimettente – è all’art. 78 del codice di procedura penale previgente secondo cui «[a]ssume la qualità di imputato chi, anche senza ordine dell’Autorità giudiziaria, è posto in stato d’arresto a disposizione di questa ovvero colui al quale in un atto qualsiasi del procedimento viene attribuito il reato».

[9] F. Palazzo, Testo, contesto e sistema nell’interpretazione penalistica, in E. Dolcini-C.E. Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, I, Milano, 2006, p. 526.

[10] D. Pulitanò, Crisi della legalità e confronto con la giurisprudenza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1, 2015, p. 42.

[11] Corte cost., 14 maggio 2021, n. 98.

[12] Corte cost., 12 ottobre 2012, n. 230.

[13] Corte cost., ord. 26 gennaio 2017, n. 24.

[14] Per approfondire, si veda, inter multis, E. Musco, L’illusione penalistica, Milano, 2004, p. 79 ss.

[15] L’ordinanza di rimessione rievoca, a titolo di esempio, le letture autonome dalla corrispondente nozione civilistica di “possesso”, “altruità”, “detenzione”.

[16] Il tribunale di Pisa considera le previsioni in materia di provvedimenti cautelari di cui all’art. 274, lett. a e c, c.p.p., nonché all’art. 274, lett. b, c.p.p.

[17] Così il giudice a quo, richiamando la pronuncia della Corte costituzionale n. 236 del 2018.

[18] M. Vogliotti, Dove passa il confine. Sul divieto di analogia in diritto penale, Torino, 2011, p. 113.

[19] V. Manes, Sui vincoli costituzionali dell’interpretazione in materia penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 4, 2021, p. 1234.

[20] M. Donini, Diritto penale. Parte generale, Milano, 2024, p. 686 ss.

[21] M. Caputo, In cammino verso un’ermeneutica prescrittiva nell’applicazione della legge penale, in Cass. pen., 2023, p. 1064 ss.

[22] V. Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, Roma, 2012, p. 15.

[23] Corte edu, 26 aprile 1979, Sunday Times c. Regno Unito. Per approfondire, si rinvia a V. Manes-M. Caianiello, Introduzione al diritto penale europeo, Torino, 2020, p. 261 ss.

[24] Si consideri, a titolo di esempio, Corte edu, 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, § 52, nonché, nella massima composizione del collegio, Corte edu, G.C., 20 ottobre 2015, Vasiliauskas c. Lituania, § 154.

[25] Corte edu, sez. III, 17 ottobre 2017, Navalnyye c. Russia, § 68.

[26] Corte edu, sez. III, 24 maggio 2007, Dragotoniu e Militaru-Pidhorni c. Romania, § 39 ss., riferendosi però i giudici a un caso di overruling interpretativo.

[27] Sulle asperità di simili operazioni nella giurisprudenza costituzionale, si veda A. Massaro, Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica, Napoli, 2020, p. 276 ss.

[28] F. Viganò, Il nullum crimen conteso: legalità “costituzionale” vs. legalità “convenzionale”?, in S. Tordini Cagli (a cura di), Il rapporto problematico tra giurisprudenza e legalità. Un esempio emblematico: il disastro ambientale, Bologna, 2017, p. 9 ss.

[29] Si pensi, in particolare, alla decisione del giudice delle leggi n. 25 del 2019. Con particolare riguardo ai rapporti tra giudice delle leggi e diritto vivente, M. Scoletta, Sulla sindacabilità dell’interpretazione imprevedibile e dell’applicazione analogica della legge penale, in R. Acquaroli-E. Fronza-A. Gamberini (a cura di), La giustizia penale tra ragione e prevaricazione. Dialogando con Gaetano Insolera¸ Roma, 2021, p. 450 ss.

[30] R. Bartoli, Le garanzie della “nuova” legalità, in Sistema penale, 3, 2020, p. 180.

[31] M. Luciani, Interpretazione conforme a costituzione, in Enc. dir., Ann. IX, Milano, 2016, in ptc. p. 410.

[32] F. Viganò, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte costituzionale, in Sistema penale, 19 gennaio 2021, p. 1 ss.

[33] V. Manes, Dalla “fattispecie” al “precedente”: appunti di “deontologia ermeneutica”, in Cass. pen., 2018, p. 2232.

[34] Così, già Corte cost., 31 maggio 2018, n. 115.

[35] R. Bin, È scoppiata la terza “guerra tra le Corti”? A proposito del controllo esercitato dalla Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione, in Federalismi web, 18 novembre 2020, p. 1 ss. Con particolare riguardo, alla dimensione punitiva, V. Napoleoni, L’onere di interpretazione conforme, in V. Manes-V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Torino, 2019, p. 79 ss.

[36] Sul punto, di recente G. Cocco, Alcuni caposaldi dell’interpretazione liberale. insegnamenti e differenze con l’esperienza statunitense, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2023, p. 1365 ss.

[37] Sia consentito, sul punto, di far rinvio a A. Santangelo, Precedente e prevedibilità. Profili di deontologia ermeneutica nell’era del diritto penale giurisprudenziale, Torino, 2022, p. 325 ss.

[38] Così la già menzionata pronuncia della Corte costituzionale n. 98 del 2021.