PENSIONE MARESCIALLI – DI LORENZO ZILLETTI
ZILLETTI – PENSIONE MARESCIALLI.PDF
di Lorenzo Zilletti
Dura lex, sed lex. Il dottor Davigo, sì proprio lui che si è ostinatamente battuto per la sostanziale abolizione dell’appello, ha proposto ricorso contro la dissennata delibera del CSM all’inflessibile giustizia amministrativa. Non resta che aspetTAR.
I timpani triangolari, con incastonati i faccioni un po’ truci di soldati con l’elmetto. Perdonate la rima, ma ci punge un sospetto: che siano quelli ad aver suscitato nel dottor Davigo l’aspirazione a mantenere il seggio a Palazzo dei Marescialli, nonostante il pensionamento per raggiunto limite di età.
Perché l’adagio semel miles, semper miles non avrebbe dovuto interpretarsi estensivamente come semel iudex, semper iudex? Al più, si sarebbe trattato di un’analogia in bonam partem: la sua, naturalmente.
Chi scrive non è in grado, perché oceano di ignoranza con qualche lacuna, di dirimere la spinosa controversia giuridica che ha visto spaccarsi, nel voto, lo stesso Consiglio superiore. Ascoltando il suo Vicepresidente, a inibire la permanenza nell’organo del settuagenario magistrato sarebbe stata nientepopodimeno che la nostra Grundnorm. Commentando a caldo l’interdetto del plenum, Ermini ha infatti dichiarato, con acrobazia dialettica degna dei migliori doroteismi di Rumor e Colombo (Emilio; non Gherardo): <<La Costituzione ci impone di rinunciare all’apporto che Davigo potrebbe ancora dare al Csm>>.
Dura lex, sed lex verrebbe da dire, indugiando sui latinetti.
L’argomento, però, prova troppo e basta sfogliare la Carta per verificare come chi dovrebbe applicarla, se non altro per averle giurato fedeltà, si consente frequenti scappatelle. Una l’abbiamo commentata di recente, proprio su questa rivista, a proposito di parità delle parti (art. 111 Cost.)[1]. Ma bisogna essere ciechi, come un coniuge tradito, per credere ancora alla fanfola dell’azione penale obbligatoria (art. 112 Cost.), dell’inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 Cost.), della soggezione dei giudici alla legge (art. 101 Cost.).
Se l’ostacolo all’aspirazione di Davigo fosse stata -soltanto- la Costituzione, siamo dunque convinti che si sarebbe trovato il modo di aggirarlo, magari attingendo a qualche responsum dello ius commune europeo, così sexy per le sue morbide, flessibili, malleabili forme.
Sotto sotto, dev’esserci di più e non può trattarsi di un fatto personale: chi si priverebbe del contributo dialettico di un uomo passato alla storia come il Dottor Sottile del pool ambrosiano? Vero è che le sue sottigliezze continuerebbero ad esserci ammannite di martedì o nelle piazze pulite (come le mani), ma dentro il fortino dell’autonomia e indipendenza della magistratura non rischierebbero di sbriciolarsi su pietre d’inciampo, tipo Caiazza.
La ragione, verosimilmente, è politica: impedire che l’assenso a Davigo potesse costituire il modello per la tanto vagheggiata riforma del Csm. Immaginiamo, elencandoli, gli innumerevoli vantaggi di un organo formato, per la componente non politica, interamente da magistrati in pensione.
Non dovendo tornare in servizio, adempirebbero ai loro compiti senza alcun condizionamento, alieni cioè dal timore di risultare sgraditi a un possibile futuro collega di ufficio. Porterebbero con sé la saggezza e l’esperienza che solo l’età avanzata regala. Le deliberazioni sarebbero sottratte ai negoziati, patteggiamenti e compromessi tipici del sistema maggioritario; bensì adottate dalla sanior pars della magistratura, alla stregua di quanto prescritto dall’antica Regola di San Benedetto per l’elezione degli abati. La produttività sarebbe incrementata: riducendosi notevolmente, nei seniores, il numero di ore di sonno, le riunioni potrebbero prolungarsi fino a tarda notte; o iniziare col canto del gallo.
Soprattutto: essendo risaputa l’avversione degli anziani per le correnti, queste sparirebbero d’un colpo, liberando finalmente il palazzo di piazza Indipendenza dalla loro azione nefasta.
Anche il nome dell’organo potrebbe mutare, fermo restando l’acronimo: Consiglio Superiore dei Matusalemme.
I difensori dell’esistente, per adesso, hanno scongiurato l’evoluzione che poteva determinare la permanenza in carica di un pensionato. Non ogni speranza, però, è definitivamente perduta: il dottor Davigo, sì proprio lui che si è ostinatamente battuto per la sostanziale abolizione dell’appello, ha proposto ricorso contro la dissennata delibera all’inflessibile giustizia amministrativa.
E a noi, che per le ragioni sopra elencate, in questa battaglia siamo dalla sua parte, non resta che aspetTAR.
[1] L. ZILLETTI, Apologetica dell’incomparabile, in Diritto di Difesa, 13 ottobre 2020.