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PRINCIPIO DI CONVERSIONE E IMPUGNAZIONI CAUTELARI: UN ESEMPIO LAMPANTE DI SLIDING DOORS – DI FABIO DE MARIA

PRINCIPIO DI CONVERSIONE E IMPUGNAZIONI CAUTELARI: UN ESEMPIO LAMPANTE DI SLIDING DOORS – DI FABIO DE MARIA

DE MARIA – PRINCIPIO DI CONVERSIONE E IMPUGNAZIONI CAUTELARI.PDF

PRINCIPIO DI CONVERSIONE E IMPUGNAZIONI CAUTELARI: UN ESEMPIO LAMPANTE DI SLIDING DOORS

CONVERSION PRINCIPLE AND PRECAUTIONARY APPEALS: A STRIKING EXAMPLE OF SLIDING DOORS

di Fabio De Maria*

Cass. pen., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 35816, Pres. Bricchetti – Est. e Rel. Giorgi – P.M. Gaeta (diff.)

Misure cautelari – Impugnazioni – Ricorso immediato per cassazione – Violazione di legge – Riesame – Conversione delle impugnazioni – Specialità.

(Artt. 311 co. 2 c.p.p., 568 co. 5 c.p.p.)

In tema di impugnazione delle ordinanze applicative di una misura cautelare personale, il ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 311 comma 2 c.p.p. può essere proposto unicamente per violazione di legge, pena la dichiarazione di inammissibilità ai sensi dell’art. 606 comma 3 c.p.p.

La proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 311 comma 2 c.p.p. nei confronti di una ordinanza genetica di una misura cautelare personale per motivi esorbitanti quelli inerenti la violazione di legge, non soggiace al principio generale di conversione delle impugnazioni ai sensi dell’art. 568 comma 5 c.p.p. trasformandosi in richiesta di riesame, ma per la specialità della disciplina determina sia l’inammissibilità dello stesso ai sensi dell’art. 606 comma 3 c.p.p., sia la inammissibilità della richiesta di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p. per consumazione del diritto ad impugnare.

(massime a cura dell’Autore)

Con la sentenza annotata la Suprema Corte coglie l’occasione per chiarire i rapporti tra i mezzi di impugnazione che il legislatore fornisce all’indagato/imputato a fronte di una ordinanza applicativa di una misura personale coercitiva, nell’ambito di quella parentesi procedimentale di incontestabile rilevanza rappresentata dalla vicenda cautelare. Interpretazione che pone al centro della scena procedimentale proprio il diretto interessato a cui viene riservata la possibilità di orientarsi sulla scorta delle strategie difensive che liberamente intende adottare. Opzione netta che, inevitabilmente, trova come contraltare la conseguente inammissibilità del rimedio impugnatorio alternativo.

With the annotated decision the Supreme Court takes the opportunity to clarify the relationship between appellate remedies that the legislature provides the suspect/defendant against an order applying a coercive personal measure, in the context of that parenthesis procedure of indisputable relevance represented by the precautionary case. Interpretation that places at the center of the scene procedural just the direct interested to whom is reserved the opportunity to orient himself on the basis of the defensive strategies that freely intends to take. Option that, inevitably, finds as a counterpart the consequent inadmissibility of the alternative remedy.

Sommario: 1. La vicenda processuale. 2. La soluzione adottata: la forza della interpretazione del dato testuale come regola di condotta. 3. L’altalena giurisprudenziale: causa di disorientamento o motore della “evoluzione della specie”? 4. Considerazioni conclusive.

 

  1. La vicenda processuale.

Il ricorrente veniva attinto da ordinanza applicativa della misura cautelare personale degli arresti domiciliari in relazione a fatti-reato riconducibili alle fattispecie di cui agli artt. 73 e 74 D.P.R. n. 309/1990, in relazione ai quali si delineava la sua figura di fornitore di narcotico del sodalizio criminale di cui risultava essere, a sua volta, un associato.

Il Giudice per le Indagini Preliminari leccese riteneva il corposo materiale investigativo fornito dalla richiedente Procura meritevole di un giudizio positivo circa la sussistenza del quadro indiziario, connotato da “gravità” ed “univocità”, a cui si accompagnava la valutazione circa le esigenze cautelari ed i criteri di scelta che, in ragione della particolare offensività delle condotte contestate e della spiccata personalità criminale dell’indagato, radicavano il convincimento del Giudice della cautela all’adozione della summenzionata misura custodiale.

Avverso la suddetta ordinanza, il ricorrente proponeva ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 311 comma 2 c.p.p. lamentando la violazione degli artt. 292 e 125 c.p.p. in relazione alle norme 273 e 274 c.p.p., ed invocando, per gli effetti, la nullità della stessa «per difetto di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza e sulle esigenze cautelari» derivante da un ritenuto inconsistente e carente profilo motivazionale, al punto da rendere non autonoma la valutazione posta a fondamento della statuizione giurisdizionale.

  1. La soluzione adottata: la forza della interpretazione del dato testuale come regola di condotta e di valutazione del giudice.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte dà prova dell’ormai ben noto, quanto stringente, filtro di ammissibilità a cui i ricorsi di legittimità sono sottoposti.

Ed invero, nel riscontrare una discrasia sostanziale tra i profili di violazione enunciati dal ricorrente e dallo stesso ritenuti giustificativi del proposto gravame rispetto a quelli concretamente emergenti dal contenuto delle doglianze riguardanti, a detta del Collegio, «la valutazione del compendio probatorio ai fini della sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza che nel pericolo di recidiva», la Suprema Corte dichiarava la inammissibilità del ricorso de quo.

Tale decisione veniva ancorata alla pedissequa osservanza di quanto stabilito nell’art. 311 comma 2 c.p.p., laddove si prevede espressamente che il ricorso per saltum è ammesso solo per “violazione di legge”, escludendo che possa essere portatore di censure riguardanti aspetti motivazionali. Ne deriva, dunque, che la proposizione di motivi di impugnazione che non siano strettamente connessi alla prescritta violazione di legge non lasci altra scelta al Giudice ricevente il ricorso se non la dichiarazione di inammissibilità del gravame in virtù di quanto statuito, a rigor di codice di rito, dall’art. 606 comma 3 c.p.p.

Non solo.

Ed invero, sotto altro profilo, con la sentenza in commento il Collegio di legittimità, sulla scorta di un ben segnalato rapporto di alternatività posto a monte della scelta riservata all’indagato/imputato di proporre uno dei due mezzi di impugnazione, impediva al non ammissibile ricorso in esame di beneficiare di una sua conversione nella più versatile istanza al Tribunale della libertà «avendo comunque il ricorrente già consumato la sua facoltà di scelta e prevedendo espressamente la ‘cristallizzazione’ di questa».

  1. L’altalena giurisprudenziale: causa di disorientamento o motore di perfezionamento della disciplina?

Delineati i confini della vicenda giudiziaria e della decisione in commento, è occasione propizia per analizzare, oltre il percorso tracciato dalla Suprema Corte al fine di addivenire alla suddetta determinazione, anche le tematiche trattate nel corso dell’itinerario logico-argomentativo esposto in sentenza.

Ed invero, il Collegio Giudicante affronta una rilevante questione collaterale alla statuizione di inammissibilità del ricorso immediato per cassazione, produttiva di effetti altrettanto significativi.

Si prende in esame, infatti, la tematica relativa ai rapporti intercorrenti tra la proposizione del ricorso omisso medio per cassazione in sede cautelare e la richiesta di riesame che, stando al dato testuale intellegibile dall’art. 311 c.p.p., non sembrerebbe prestare il fianco a interpretazioni sovversive dello stesso, in ragione del periodo conclusivo del secondo comma che recita “La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame”.

Epperò, a tale ultimo riguardo è l’ondivago orientamento del diritto vivente a proporre una duplicità di visuali ed a mettere in crisi una locuzione normativa dal tenore imperativo.

Si rileva, infatti, un più recente orientamento della Suprema Corte[1], fortemente vincolato al principio di conservazione delle impugnazioni di cui all’art. 568 comma 5 c.p.p., secondo il quale un atto di gravame che abbia ad oggetto censure esorbitanti gli ambiti di doglianza circoscritti alla sola violazione di legge possa essere ‘riciclato’ in una istanza di riesame e, conseguentemente, essere trasmesso al Tribunale competente. In tal senso depone un nutrito numero di pronunce della Suprema Corte che si sono mostrate inclini a propendere per l’esaltazione della conservazione dei mezzi di impugnazione riconoscendo una generale convertibilità del ricorso per saltum mediante una sua sostanziale riqualificazione. Dello stesso avviso si è mostrata essere la dottrina prevalente, schierata per un maggiore ampliamento possibile del principio di conversione delle impugnazioni[2].

Di diverso convincimento, invece, è il più datato versante ermeneutico, tra l’altro sponsorizzato da due sequenziali pronunce delle Sezioni Unite del 2001[3], secondo cui la specificità della disciplina di cui all’art. 311 comma 2 c.p.p. impone che, a fronte della duplice alternativa predisposta dal legislatore tra il mezzo di gravame di merito e quello di legittimità, optare per quest’ultimo renderebbe inammissibile l’altro eventualmente avanzato[4].

In siffatta prospettiva, il percorso logico-giuridico adottato dal Massimo Collegio parte dal presupposto che per trovare attuazione il principio di conservazione sancito dall’art. 568 comma 5 c.p.p. deve verificarsi che l’atto che si intende censurare sia un «provvedimento impugnabile» e che sia «necessaria e sufficiente la constatazione di un’impugnazione comunque proposta, perché debba procedersi alla corretta qualificazione della stessa ai fini della trasmissione al giudice competente, senza necessità di indagare sulla specifica volontà perseguita dal proponente».

A fronte della verifica delle condizioni poc’anzi dettate, si riteneva necessario, però, procedere ad una diversificazione rispetto alle ipotesi relativamente alle quali è lo stesso legislatore a predisporre la conversione dell’impugnazione, come avviene sia nei casi di cui all’art. 580 c.p.p. sia in quelli disciplinati dai commi 2 e 3 dell’art. 569 c.p.p. Casistica, quest’ultima, che necessita, ancora, di una ulteriore suddivisione di insiemi tra i casi in cui la conversione è rimedio alla potenziale «concomitante proposizione di altri mezzi di impugnazione», rispetto a quelli in cui l’atto di gravame sia stato proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge.

Epperò, alla luce delle menzionate considerazioni generali, con il suddetto arresto la Suprema Corte a Sezioni Unite aveva cura di precisare come la possibilità di convertire un atto di impugnazione dipenda da una correlata omessa previsione della sanzione di inammissibilità, qualora l’avanzato mezzo di impugnazione sia differente da quello specificamente previsto dalla legge. È in siffatta prospettiva che il richiamato orientamento di legittimità produce i suoi effetti nei confronti del ricorso immediato per cassazione avverso i provvedimenti di natura cautelare, siano essi personali ai sensi dell’art. 311 comma 2 c.p.p. che reali ex art. 325 comma 2 c.p.p. La proposizione di tale mezzo di impugnazione andrebbe ad esautorare la potestà di contestare nel merito il provvedimento applicativo in virtù della espressa inammissibilità della concomitante e/o successiva richiesta di riesame.

È evidente come l’alternatività dei mezzi di impugnazione posti a disposizione dell’indagato/imputato, la cui opzione per l’uno rende impercorribile il gravame non adottato, preclude in radice ogni possibilità di addivenire ad una conversione/riqualificazione dello stesso là dove, tra l’altro, vengano posti a fondamento del primo motivi non consentiti[5].

Dunque, sono questi i confini entro cui l’originario orientamento della Suprema Corte delimita l’ambito di applicabilità del principio di conversione di cui all’art. 568 comma 5 c.p.p.

Ebbene, e siamo alla sentenza che si annota, a prevalere è quest’ultimo filone interpretativo.

In particolare, si fa leva sulla posizione che, ai sensi dell’art. 311 comma 2 c.p.p., il legislatore riserva all’imputato e al suo difensore – indicazione da interpretarsi necessariamente in via cumulativa a seguito della modifica dell’art. 613 c.p.p. ad opera della legge n. 103/2017 –, i quali vengono posti dinanzi ad un consapevole bivio decisionale: da una parte, la possibilità di instaurare la procedura di merito e, dall’altra, quella di accedere al giudizio di legittimità, con la conseguenza che l’adozione di tale ultima scelta va a consumare la facoltà di chiedere, per l’appunto, il riesame[6].

Dunque, spetterà al libero arbitrio dell’indagato/imputato opzionare direttamente il ricorso immediato accettando, per un verso, una verifica limitata al controllo di legittimità del provvedimento impugnato che, se da un lato, può tradursi in un concreto svantaggio per l’accusa non potendo la Corte di Cassazione intervenire a colmare eventuali lacune argomentative della ordinanza genetica emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari, dall’altro può, di converso, tradursi in un minus per la difesa che si precluderebbe la possibilità di far valere elementi a discarico acquisiti successivamente alla esecuzione della misura.

Ed ancora, la scelta in favore della proposizione del ricorso immediato per cassazione precluderebbe la censura rispetto ai vulnera motivazionali, limitandoli alla sola mancanza di motivazione che andrebbe a costituire una violazione di legge traducendosi nell’inosservanza dell’art. 125 comma 3 c.p.p. prevista ex art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p.[7] a pena di nullità del relativo provvedimento. Ipotesi che trova concreta attuazione tutte le volte in cui la motivazione si appalesi materialmente mancante o si presenti cronicamente apparente, perché espressiva di un enunciato argomentativo totalmente privo di contenuti o connotato da una insanabile incomprensibilità[8], ma non già in caso di sua incompletezza e/o illogicità[9].

Epperò, anche sul punto non si può non registrare la presenza di altro orientamento di più ampie vedute che, seppur minoritario, ritiene censurabile con il ricorso immediato per cassazione qualsivoglia profilo di illogicità e/o contraddittorietà della parte motivazionale del provvedimento impugnato[10], avvicinando di fatto la tipologia delle doglianze proponibili con il non appena citato mezzo di gravame a quelle avanzabili anche mediante la richiesta di riesame.

Ed ecco che con la sentenza in commento si intravede un tentativo, neanche troppo timido, della Suprema Corte di ridefinire lo spazio operativo del ricorso immediato ex art. 311 c.p.p. e, per gli effetti, di ridisegnare i confini applicativi dello stesso con la ‘concorrente’ richiesta di riesame. Probabilmente, ci si è accorti della opportunità di evitare le molteplici interferenze verificatesi tra i citati mezzi di impugnazione a cui si è assistito negli ultimi anni, che hanno comportato un vistoso disorientamento negli operatori del diritto circa una proficua adozione dell’uno piuttosto che dell’altro rimedio, sia con riguardo ai profili di ammissibilità sia relativamente agli effetti dagli stessi derivanti.

  1. Considerazioni conclusive.

Delineati dunque gli schieramenti ermeneutici che si sono contesi la scena per la definizione dei rapporti intercorrenti tra il ricorso immediato per cassazione e la richiesta di riesame avverso un provvedimento applicativo della misura cautelare personale, non resta che procedere ad una analisi critica della sentenza in commento con cui il Collegio giudicante, allineandosi al brocardo “electa una via non datur recursus ad alteram”, accoglie in toto l’orientamento più fedele al dato normativo.

Tuttavia, non è mancata autorevole dottrina[11] che ha proceduto a un ulteriore distinguo in ragione della presentazione contemporanea, o meno, dei due rimedi impugnatori, prospettando scenari diversi in ragione delle possibili «sfasature temporali». Ed invero, secondo tale ultimo punto di vista, se la presentazione contestuale dei suddetti mezzi di gravame consentisse solo a quello ritenuto ammissibile di proseguire la sua strada, ciò non potrebbe accadere qualora entrambi fossero da reputarsi ammissibili perché, in tal caso, rimarrebbe vivo il meccanismo di esclusione di cui al secondo comma dell’art. 311 c.p.p., volto a colpire la richiesta di riesame rendendola inammissibile.

Ecco perché il meccanismo di lettura della normativa in analisi adottato dalla sentenza in commento ha una funzione ben specifica e non può essere vista come una pigra interpretazione meramente formalistica, che farebbe pensare ad una superficiale e, perché no, addirittura ottusa lettura del secondo comma dell’art. 311 c.p.p.

Tutt’altro.

A parere di chi scrive, infatti, si è al cospetto di una esegesi posta a tutela di una coerenza sistematica dei poteri posti a disposizione dell’indagato/imputato, non già in via residuale, bensì in chiave squisitamente alternativa. E che l’intenzione del legislatore era di porre il diretto interessato dinanzi al rilevato out out processuale, lo si evince da un dato testuale incontrovertibile e che, sinceramente, non sembra prestare il fianco a interpretazioni capaci di destituirne ogni suo fondamento.

Ed invero, il legislatore si preoccupa, sia per ottemperare ad esigenze di speditezza processuale sia per evitare che intervengano decisioni conflittuali in vista della parziale coincidenza delle doglianze proponibili con la richiesta di riesame e con il ricorso per saltum, di predisporre una radicale contrapposizione di rimedi. L’effetto di tale impostazione sembra essere quello di impedire qualunque trasformazione di sorta del mezzo di impugnazione proposto, come dimostra il fatto che la presentazione del ricorso omisso medio non solo consuma la possibilità di esperire fruttuosamente la richiesta di riesame ma, vieppiù, paralizza una eventuale avvenuta presentazione della stessa, scongiurando così una «compresenza di rimedi».[12]

Ed allora, non può non addivenirsi alla conclusione che la sentenza in commento suggella quella interpretazione sistematica che, nonostante un decennio di approdi giurisprudenziali di visione contraria e certamente più ‘possibilista’, propende per delineare il distanziamento tra i concorrenti mezzi di impugnazione in esame, riservando al ricorso immediato per cassazione una specifica funzione, a sua volta prevista e disciplinata da una normativa settoriale da considerarsi, a questo punto, speciale rispetto a quella generale di cui all’art. 569 c.p.p.

Tra l’altro, in più occasioni il legislatore responsabilizza la parte ponendola dinanzi a scelte esclusiviste in ragione delle quali l’adozione di una strada determina la preclusione dell’altra messa a sua disposizione, senza se e senza ma!

È il caso della scelta di un rito alternativo.

Si abbia riguardo, a mero titolo di esempio, alla scelta del rito abbreviato ove il legislatore, salvo l’intervento di un elemento nuovo e non a priori prevedibile – come, ad esempio, la modifica della imputazione – non consente ripensamenti di sorta. Ma la casistica potrebbe ampliarsi a macchia d’olio.

Si tratta di consapevoli crocevia processuali che non permettono dietrofront al fine di consentire un “ordinato” proseguire della procedura, e che mirano a scongiurare che modifiche genetiche di istituti possano alterare i connessi controlli giurisdizionali all’uopo previsti.

Ed allora, a fronte di posizioni interpretative decisamente antitetiche, sarebbe a questo punto auspicabile un intervento delle Sezioni Unite onde addivenire ad una unicità ermeneutica onde eliminare gli effetti collaterali derivanti dalle su evidenziate contrapposte letture.

*Avvocato del Foro di Napoli, Dottore di ricerca in Internazionalizzazione della politica criminale e sistemi penali.

[1] Cass. pen, Sez. V, 8 marzo 2018, n. 32391, Belleli; Cass. pen., Sez. III, 19 novembre 2015, n. 9151, M.

La prima sentenza, in particolare, sembra essere connotata da una bipolarità interpretativa in quanto, da un lato, privilegia una visione sostanziale del ricorso avverso il provvedimento cautelare personale, tanto da acconsentire alla sua conversione in istanza di riesame forte del «percorso motivazionale incentrato sul vizio motivazionale» e della prevalenza che il contenuto sostanziale debba esprimere  rispetto alla qualificazione formale dell’atto, mentre, dall’altro, ci si attiene scrupolosamente al dato testuale di cui all’art. 325 c.p.p., secondo cui “il ricorso è consentito solo per violazione di legge”.

[2] M. Colamussi, Sulla ricorribilità per saltum dell’ordinanza che dispone una misura coercitiva affetta da vizio di motivazione, in Cass. Pen., 1995, pag. 1302; A. Giannone, Misure cautelari personali (impugnazioni), in Comm. Chiavario-I Agg., pag. 561.

[3] Cass. pen, S.U., 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura; si veda anche Cass. pen, S.U., 30 ottobre 2001, n. 45372, De Palma, secondo cui «Nel caso in cui un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello normativamente previsto e proposto avanti a un giudice incompetente, questo si deve limitare esclusivamente a prendere atto della volontà di impugnazione proveniente dal soggetto e quindi, senza che gli sia dato procedere a qualsiasi ulteriore indagine, a trasmettere gli atti al giudice competente, non richiedendosi a questo scopo neanche la adozione di un provvedimento giurisdizionale. Esclusivamente a quest’ultimo giudice, teoricamente competente a conoscere della impugnazione e al quale gli atti debbono essere trasmessi, è attribuito il potere di procedere alla esatta qualificazione del mezzo di gravame e a delibarne la ammissibilità e la fondatezza, essendo l’unico limite alla operatività del comma 5 dell’art. 568 c.p.p. costituito dalla inoppugnabilità del provvedimento, conseguendone che solo in tale caso può essere consentito al giudice, avanti al quale l’impugnazione sia stata presentata, di dichiararne la inammissibilità».

[4] D’altra parte, che si sia al cospetto di un ambito caratterizzato da una disciplina in rapporto di specialità rispetto alle regole generali trova agevole riscontro nel fatto che il ricorso immediato per cassazione previsto dall’art. 569 c.p.p. riguarda unicamente le sentenze, salvo poterlo esperire nei confronti di altri provvedimenti solo se espressamente previsto dalla legge. A tale ultimo riguardo le Sezioni Unite avevano già modo di inquadrare il rapporto di specialità tra le disposizioni normative a confronto nel lontano 1991, allorquando sancivano che «Dato il principio di tassatività delle impugnazioni posto dall’art. 568, 1° comma, c. p. p., non può ritenersi che il ricorso immediato per cassazione sia consentito, in alternativa all’appello, nei confronti di qualunque provvedimento appellabile: esso, in via generale, è previsto per le sentenze dall’art. 569 c. p. p., ed è inoltre previsto, in alcuni casi particolari, dagli art. 311, 2° comma, e 325, 2° comma, c. p. p., riguardando, poi, l’art. 569 c. p. p. solo le sentenze, i limiti al ricorso immediato posti dal 3° comma di tale norma – secondo il quale il ricorso diretto non è ammesso nei casi previsti dall’art. 606, 1° comma, lett. d) ed e) – non possono che riferirsi al solo ricorso, contro le sentenze» (Cass. pen, S.U., sent. 26.02.1991, Bruno).

[5] N. La Rocca – S. La Rocca, Il ricorso per cassazione, in (a cura di) Spangher-Santoriello, Le misure cautelari personali, I, Torino, 2009.

[6] Cass. pen., Sez. I, sent. 8.05.1992, Nemola.

[7] Cass. pen, Sez. II, sent. 22.08.2000, n. 4297, Curraj, secondo cui «Il ricorso diretto per cassazione avverso l’ordinanza applicativa di una misura coercitiva è consentito solo per violazione di legge e non anche per vizio della motivazione. Tra le ipotesi di violazione di legge rientrano la mancanza assoluta di motivazione, il cui obbligo è prescritto a pena di nullità dall’art. 125, comma 3, c.p.p. e la mancanza di uno degli elementi previsti, sempre a pena di nullità, dall’art. 292, comma 2, stesso codice. Ne consegue che, qualora il g.i.p. abbia esposto in modo specifico le esigenze cautelari, nonché gli indizi che giustificano in concreto la misura coercitiva disposta, indicando la loro genesi, il loro contenuto e la loro rilevanza, è improponibile in sede di legittimità ogni censura diretta a rilevare eventuali illogicità o contraddizioni del provvedimento impugnato, sia con riferimento alla gravità dei fatti, sia con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari». Si vedano anche, tra le altre, Cass. pen, Sez. IV, sent. 2.12.1996, n. 2089, Leccese; Cass. pen, S.U., sent. 26.02.1991, Bruno.

[8] In tal senso Cass. pen, Sez. I, sent. 8.09.2000, Alberti; Cass. pen, Sez. I, sent. 27.04.1999, 03273, Vilella; Cass. pen, Sez. I, sent. 28.04.1998, Maggi.

[9] Si veda Cass. pen, Sez. II, 4.04.1997, Sorbo. Impostazione, quest’ultima, decisamente criticata dalla dottrina la quale ha affermato che essa comporta proprio quella sovrapposizione dei due mezzi di gravame che le decisioni della Corte Suprema intendevano escludere nell’intento di salvaguardare il rapporto di alternatività fra ricorso per saltum e giudizio di riesame (A. Nappi, Vizio di motivazione dell’ordinanza coercitiva e ricorso immediato per Cassazione, in Cass. Pen., pag. 884).

[10] Cass. pen, Sez. V, 21.12.1996, Lo Verde; Cass. pen, Sez. II, sent. 21.12.1993, n. 2436, che, nella vigenza del previdente codice di rito, prevedeva che “Tra le doglianze proponibili a mezzo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 524 c.p.p. del 1930 non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, alla scelta tra divergenti versioni ed alla valutazione dell’attendibilità delle fonti di prova, salvo il controllo estrinseco in ordine alla congruità ed alla razionalità della motivazione, il quale non può andare oltre la verifica della correttezza logico-giuridica dei sillogismi della sentenza impugnata onde accertare se le massime di esperienza ivi richiamate, le deduzioni e le conclusioni tratte in sede di merito contrastino con il senso comune oppure superino i limiti di una logica e plausibile opinabilità di apprezzamento”.

[11] Spagnher G., Dubbi sulla conversione del ricorso per saltum inammissibile per motivi non consentiti, in Quotidiano giuridico, del 2.2.2021, in www.quotidianogiuridico.it. In relazione ad ulteriore casistica si ha, poi, cura di precisare che «Se il ricorso dovesse essere inammissibile per profili formali (termini, presentazione da parte dell’imputato e non da avvocato cassazionista) dovrebbe escludersi la possibilità della conversione in riesame. Diverso il caso in cui la difesa abbia fatto ricorso per saltum motivandolo con motivi estranei alla violazione di legge. In questo caso, anche considerando che il giudizio di riesame non prevede la prospettazione di motivi, appare difficile sostenere che quell’unico atto di impugnazione, regolare sotto il profilo formale, non ricada nella più ampia ipotesi della conversione, di cui abbia tutti gli elementi (formali e temporali) che lo possono qualificare come riesame».

[12] D. Vigoni, Ricorso per cassazione, in Trattato di procedura penale, Cap. III, Tomo II, A Scalfati (a cura di), Cedam, pag. 567.