PROCESSO PENALE & TECNOLOGIA, TRENT’ANNI DI CONFLITTI. COLLOQUIO CAIAZZA-DI FEDERICO
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IL RIFORMISTA ARTICOLO DI FEDERICO 30.04.20.PDF
PROCESSO PENALE & TECNOLOGIA
Trent’anni di conflitti
A COLLOQUIO CON GIAN DOMENICO CAIAZZA E GIUSEPPE DI FEDERICO
2 maggio 2020
PETRELLI: Professor Di Federico, abbiamo letto un articolo molto interessante pubblicato su Il Riformista il 30 aprile scorso, nel quale da un lato Lei dimostra il Suo consenso, citando anche un lungo stralcio di un articolo che qualche giorno prima aveva pubblicato il Presidente Caiazza, in ordine alla insostituibilità della presenza fisica di tutte le parti e di tutti gli attori processuali all’interno del dibattimento e quindi la impossibilità di praticare quella che noi usualmente chiamiamo la “smaterializzazione” o la “remotizzazione” della fase dibattimentale. Però Lei al tempo stesso in quell’articolo, prescindendo dal titolo dell’articolo, dove addirittura si parla di “demonizzazione delle nuove tecnologie” da parte dell’avvocatura, comunque esprime quanto meno l’idea di qualche diffidenza da parte dell’avvocatura nei confronti delle tecnologie. Quindi da una parte è d’accordo con le battaglie dell’Unione, dall’altra però, diciamo così, lancia un messaggio critico nei confronti di un atteggiamento dell’avvocatura. Ci può chiarire il suo pensiero su questi due punti?
DI FEDERICO: Vede, quando si scrive un articolo bisogna essere sintetici. Io non dico che tutti gli avvocati fossero contrari ma certamente nelle mie chiacchierate con gli avvocati ho sempre visto una certa, più che indifferenza, direi una contrarietà alla novità di una possibile video-verbalizzazione del processo. Siccome me ne occupo da trent’anni, ho provato più volte a coinvolgerli. Non ho mai avuto un grande successo. Però devo anche dire che all’interno delle nostre sperimentazioni alcuni avvocati avevano espresso valutazioni molto positive trent’anni fa.
PETRELLI: Mi pare che Lei Professore si riferisca ad un’esperienza che noi, all’epoca giovani avvocati, abbiamo vissuto tutti, quella della sperimentazione nel momento della introduzione del nuovo codice accusatorio nell’ottobre dell’’89, che però era una modalità di registrazione e non alterava quindi le modalità di assunzione della prova.
DI FEDERICO: No, certamente la video-verbalizzazione rappresentava compiutamente quanto avveniva nel dibattimento. Il problema casomai era quello che le norme del codice di procedura penale allora non consentivano e anche oggi non consentono una piena utilizzazione della video-verbalizzazione nel processo.
CAIAZZA: Rispondo alla sollecitazione di Francesco. Io non so, se evidentemente la nostra comunicazione sulla iniziativa politica dell’Unione contro l’introduzione del processo da remoto, può aver creato un equivoco e, quindi, l’occasione fornita dalla riflessione che fa Giuseppe Di Federico mi fornisce una utilissima occasione di chiarimento. Noi non abbiamo mai espresso alcuna avversione o, figuriamoci, indifferenza, nei confronti della video-registrazione, come forma tecnologicamente più avanzata di verbalizzazione del processo. Non so da dove questo possa essere nato, questo equivoco. Noi, voglio solo dire che addirittura nel mio stesso programma elettorale, una delle leggi che venivano indicate come oggetto della nostra iniziativa di sollecitazione al Parlamento era ad esempio quella introduzione della video-registrazione degli atti di indagine preliminare, delle sommarie informazioni testimoniali, con l’onere di allegazione alla verbalizzazione sommaria della audio e, meglio ancora, della video-registrazione che ormai è fruibile a costo zero praticamente, basta un telefonino. Quindi, più che mai il potenziamento della verbalizzazione oltre che registrata, anche video. Il tema che noi stiamo affrontando in questi tempi non ha niente a che fare con questo ma ha a che fare con la pretesa di celebrare il processo sulle piattaforme informatiche, che è tutta un’altra storia.
PETRELLI: Ecco, allora vorrei, su questo passaggio, sulla contrarietà ad utilizzare questa tecnologia nel dibattimento, quindi nella fase di formazione della prova, Lei Professore che opinione ha in proposito?
DI FEDERICO: Io sono contrarissimo all’ipotesi di un processo celebrato da remoto utilizzando forme di videoconferenza. Come dico nell’articolo, sono contrarissimo a che questo avvenga, anche se alcune cose da remoto, quando ho fatto gli esperimenti, mi sono sembrate possibili e utili, se adeguatamente regolate. Per esempio, uno dei problemi che allora esisteva, e che esiste anche oggi, era il problema del trasferimento dalle carceri ai tribunali di detenuti che erano molto distanti e del rilevante costo, anche per l’utilizzazione di numerosi carabinieri, per il loro trasferimento. Mi sembrava e mi sembra, che utilizzare la videoverbalizzazione da remoto in questo settore sia possibile se regolata in maniera da coinvolgere gli avvocati difensori, visto che alcuni dei trasferimenti dei detenuti erano solo di mera presenza in aula. Quindi è una attività da remoto che bisognerebbe regolare. In altre parole, io non sono personalmente contrario, a qualche applicazione “da remoto” anche se ne pretenderei una regolamentazione che veda coinvolti gli avvocati.
CAIAZZA: Ecco, questo è il punto. Lì è la celebrazione del processo a distanza, sul quale dice di essere assolutamente contrario, mentre questo è ancora un altro discorso ché attiene ad un altro aspetto ancora del processo a distanza. Quella relativa alla introduzione delle ipotesi allargate del detenuto che non si muove dal proprio carcere è una riforma che ci ha trovato contrari perché esclude ogni interlocuzione del difensore, anche perché esclude la necessità di ogni eventuale consenso del difensore e dell’imputato detenuto. È ovvio che se, di volta in volta, il collegamento video fosse subordinato al consenso dello stesso e al consenso tecnico del difensore o comunque, insomma, al consenso della difesa, questa modalità desterebbe un minore allarme. Se si rimettesse alla difesa la valutazione della necessità o meno in questa o quella udienza della presenza fisica del detenuto, questo assumerebbe tutt’altro significato rispetto a quello che è la regolazione normativa in questo momento, che poi, come è noto, è stata estesa con la Legge Orlando. A conferma di quel paradigma che, purtroppo, ci ha oggi evidentemente allarmato, che cioè, in questo Paese, in materia di giustizia penale, di diritto e di processo penale, l’eccezione diventa rapidamente la regola. Però io per liberare, diciamo così, l’avvocatura penalistica italiana da questa immagine un po’ così, di affezione retorica alla toga, all’aula, non so … alla penna stilografica, vorrei cogliere l’occasione per ricordare che, e l’ho anche scritto in un articolo su Il Riformista, che 11 o 12 anni fa, si da il caso che fossi io il Presidente della Camera Penale di Roma, Roma fu scelta come sede pilota per la sperimentazione dell’informatizzazione del processo penale e noi facemmo l’impossibile per ottenere questa candidatura e la ottenemmo. Brunetta e Alfano, i due Ministri all’epoca competenti, vennero in Tribunale in pompa magna nell’aula Occorsio a presentare quel progetto. Abbiamo fatto decine e decine di riunioni con il Ministero, con il Presidente del Tribunale eccetera, eccetera. Risultati zero. Ogni nostra proposta, che era quella allora – siamo nella preistoria naturalmente rispetto a oggi dal punto di vista informatico e telematico – semplicemente di estendere anche a noi l’esperimento che in quel momento avrebbe poi portato al risultato dell’informatizzazione del processo civile, cioè luogo di scambio di atti processuali e di accesso telematico agli uffici. Noi trovammo l’opposizione, la resistenza passiva e poi esplicita della Procura della Repubblica che diceva che non è proprio pensabile un sistema simile a quello civile perché qui si accede ad atti riservati, il fascicolo digitale è un fascicolo di indagine, non se ne parla proprio, è una cosa impensabile per la sicurezza, per la riservatezza dei dati e il personale, i sindacati del personale di cancelleria fecero proprio una resistenza a corpo morto, dicendo che bisognava procedere a corsi di formazione che dovevano durare non si sa quanto, addirittura per ricevere una mail eccetera. Quindi noi abbiamo abbandonato questo tema per disperazione, dico al Prof. Di Federico, per presa d’atto. Adesso improvvisamente vogliamo fare tutto da remoto, ecco perché noi abbiamo reagito in questo modo, ma noi non siamo i portatori di un’idea a-tecnologica dell’evoluzione del processo penale, tutt’altro.
PETRELLI: Allora io approfitto delle parole del Presidente Caiazza per chiedere al Prof. Di Federico: “Ma non è forse, guardandoci un po’ alle spalle, approfittando della crisi presente della quale parleremo poi un attimo, che se, diciamo non resistenze, ma non innamoramenti da parte dell’Avvocatura nei confronti della tecnologia non sono forse dipesi dal fatto che la tecnologia è stata usata sempre e soltanto per rimediare nei momenti di necessità a favore della riduzione delle garanzie e dei diritti, mentre finora noi non siamo riusciti a vedere un’applicazione della tecnologia che sia a favore di un implementazione e di un potenziamento dei diritti e delle garanzie della difesa? Non è un po’ così?
DI FEDERICO: Due cose. La prima: se posso fare un appunto che è rivolto a tutti i componenti delle professioni legali, è che tra essi vi è sempre stato in passato un prevalente orientamento negativo verso l’utilizzo di nuove tecnologie. La mia esperienza nel settore è piena di esempi di questo fenomeno. Aggiungo tuttavia che nelle singole sedi giudiziarie ove in passato feci gli esperimenti di videoverbalizzazione, alcuni avvocati espressero valutazioni positive. In un ampio volume sulle nostre sperimentazioni, sono riportate, sede per sede, le valutazioni espresse da magistrati e da alcuni avvocati. La seconda cosa che volevo dire è che allorquando si riuscirà a riflettere su cosa è capitato al processo penale nel periodo del coronavirus questo momento di conflitto sulle udienze da remoto potrebbe essere utile per pretendere di sedersi a un tavolo istituzionale, magistrati ed avvocati, e decidere cosa si può fare con le audizioni da remoto e, laddove si convenga che questo non è lesivo dei diritti della difesa, regolare il fenomeno. Quindi questa emergenza secondo me sottolinea l’importanza che l’Avvocatura pretenda di sedersi a un tavolo per considerare nel suo insieme l’uso della video verbalizzazione e, per le circostanze in cui è possibile, cercare una regolamentazione che sia di soddisfazione per tutte le parti del processo.
PETRELLI: Gian Domenico ti volevo sentire su questo aspetto perché in realtà, uscendo fuori dall’ipotesi del processo da remoto, che sembrerebbe essere stato scartato anche dalle ultime scelte legislative, prendendo atto che l’assunzione della prova è direi ontologicamente incompatibile con un’assunzione da remoto che il contraddittorio, l’immediatezza, tutti i valori tipici del giusto processo non ci consentano di assumere la prova con quelle modalità, che, ad esempio, però, come è stato detto, meglio un interrogatorio da remoto con un giudice del provvedimento cautelare piuttosto che far assumere l’interrogatorio di garanzia per rogatoria da un giudice che non conosce neanche una riga degli atti relativi alla cautela. Su questa possibile modulazione che ne pensiamo?
CAIAZZA: Noi su questo, e più in generale sul tema delle investigazioni da remoto, come avrai e avrete notato noi non abbiamo espresso particolari censure. È un tema che va meditato, affrontato, ma dirò che atti come l’esame di persone informate sui fatti ma perfino, con il consenso del difensore, interrogatori resi dall’indagato, ove dovessero essere effettuati da remoto, non porrebbero a una prima valutazione, non determinerebbero obiezioni di particolare importanza sotto il profilo delle regole e dei principi. Dirò di più. Secondo me, tutto ciò che lascia traccia originaria, video registrata (come dicevo prima, lo proponevamo come riforma addirittura) degli atti di investigazione è benvenuta secondo me. Il tema molto peculiare della rogatoria, quindi dell’interrogatorio di garanzia in luogo della rogatoria, essendo a tutti noi noto e chiaro che la rogatoria è una fictio iuris, è sicuramente un tema da prendere in considerazione perché in questo caso la forma, a meno che qualcuno non ci faccia riflettere diversamente, non incide sulla natura dell’atto e sulla qualità, diciamo così, dell’atto, come invece accade naturalmente smaterializzando l’aula e quindi distruggendo la fisicità del processo e dell’acquisizione della prova in contraddittorio tra le parti. Quindi su questo la mia risposta è che secondo me è giusto avere una pienissima disponibilità a ragionare sull’ingresso di semplificazioni, queste sono semplificazioni, se non addirittura miglioramenti, dell’antichità. In questo caso la forma, a meno che qualcuno non mi faccia e non ci faccia riflettere diversamente, non incide sulla natura dell’atto e sulla qualità dell’atto come invece accade, naturalmente, smaterializzando l’aula e quindi distruggendo la fisicità del processo e dell’acquisizione della prova in contraddittorio tra le parti. Quindi su questo la mia risposta è che, secondo me, è giusto avere una pienissima disponibilità a ragionare sull’ingresso di semplificazioni. Queste sono semplificazioni, se non addirittura miglioramenti dell’attività.
PETRELLI: Possiamo dire in qualche modo che la tecnologia o supplisce a una impossibilità oggettiva o aggiunge addirittura qualcosa a quelle che sono le garanzie dello specifico atto. Di Federico sottolinea, ad esempio, come la video-verbalizzazione degli atti di indagine preliminare costituisca una indubbia garanzia nei confronti dell’indagato perché inibisce o evita i comportamenti scorretti da parte dell’investigatore e quindi il testimone, la persona informata sui fatti che viene assunta con una videoregistrazione, indubbiamente introduce all’interno delle indagini preliminari un elemento di garanzia, di conoscenza e di controllabilità che noi sicuramente, allo stato attuale, non abbiamo. Però mi pare che, sino ad ora, nessuno si sia stracciato le vesti all’interno della magistratura, così come invece oggi vediamo fare in questo momento di difficoltà, nel quale sembra che la possibilità di celebrare processi da remoto, assente il giudice, assente addirittura, attraverso una disintegrazione, la camera di consiglio, come pure si era ipotizzato di fare, sia un passaggio quasi obbligato verso il futuro. Che ci dice in proposito Professore?
DI FEDERICO: Io sono certamente d’accordo. Per quanto riguarda la video-verbalizzazione del processo e l’uso delle tecnologie video in tutte le altre attività che hanno rilievo probatorio, compresi i sopralluoghi e le ispezioni, io mi auguro che riusciate a pretendere che si apra una riflessione a livello istituzionale. Scusate se insisto sul punto. Le attività di ricerca sul campo mi hanno portato spesso a formulare documentate proposte di riforma, a volte apprezzate ma raramente adottate, incluse quelle sulle tecnologie video che attendono da trenta anni. Nella eventuale quanto auspicabile riconsiderazione delle tecnologie video nel processo penale ritengo che sarebbe utile tenere presenti le esperienze della prolungata sperimentazione da noi effettuate: le valutazioni ufficiali espresse da Giovanni Falcone, dal Ministro della Giustizia Claudio e soprattutto quelle dei magistrati che hanno utilizzato la videoverbalizzazione. La descrizione analitica delle esperienze fatte degli aspetti positivi e delle difficoltà incontrate potrebbe aiutare a non trascurare aspetti che sono rilevanti a livello operativo.
PETRELLI: Io parto proprio da queste ultime considerazioni per fare una domanda, diciamo così, suggestiva. Lei nel suo articolo, Professore, dice giustamente che bisognerebbe analizzare a tutto campo la situazione per valutare assieme quali sono gli strumenti da promuovere e quali invece quelli da escludere. Però, siccome è stato anche detto che nessuna crisi andrebbe sprecata, lasciando intendere che le crisi possono essere occasione od opportunità per un ripensamento, l’impressione che si ha è che qualcuno voglia approfittare di questa crisi, che ha coinvolto insieme a tutti gli altri, e pesantemente, anche il settore della politica, voglia utilizzare questo momento, questa occasione, per riportare indietro le lancette del processo e tornare ad un processo semplificato dalla tecnologia e non, invece, implementato dalla tecnologia. Quindi questo tavolo che Lei propone mi sembra quanto mai opportuno e vorrei sentire un pò da voi come immaginate che possa essere colta l’opportunità della crisi in questa operazione, diciamo così, di promozione e di esclusione degli strumenti che la tecnologia ci offre.
DI FEDERICO: Siccome il Presidente parla da una posizione ufficiale, è meglio che io parli per secondo, da persona che ha sempre tentato di promuovere riforme, anche nel settore delle tecnologie, non solo video. Il mio primo articolo sull’uso degli strumenti elettronici nel processo è del 1966 (pubblicato allora sulla Rivista trimestrale di diritto e procedura civile). Sono quindi molti anni che io mi batto per ampliare una efficace l’utilizzazione delle tecnologie utili alla funzionalità del processo ed alla protezione dei diritti civili dei cittadini nell’ambito processuale.
CAIAZZA: Allora, rispondo subito. Noi intendiamo proprio cogliere questa occasione per rilanciare il tema del forte potenziamento dello strumento informatico nel processo penale. Questo perché, anche al tavolo con il Ministro, dove invece ci siamo misurati su questo mostriciattolo senza capo né coda, il Ministro ci ha detto che sta lavorando da tempo a questo obbiettivo. Noi gli abbiamo detto che ne siamo lieti e che saremmo ancora più lieti se fossimo coinvolti in questo lavoro perché credo che siamo nelle condizioni di dare dei suggerimenti importanti sulla base della nostra esperienza, non solo ragionando – come giustamente fa il Prof. Di Federico – su quella informatizzazione che può rafforzare le garanzie, ma più in generale sull’informatizzazione che ci può far lavorare meglio. Faccio un esempio. C’è una ragione precisa per la quale si continua a non autorizzare la pec, ora è stato fatto con l’ultimo decreto, limitatamente agli atti del 415-bis, ma si continua a non legittimare la pec da parte dell’avvocato nel deposito degli atti. C’è una ragione. Diversamente che nel processo civile, dove però c’è una piattaforma, mentre lì la pec o qualunque atto depositato dalle parti informaticamente arriva automaticamente, se ne va per conto suo a depositarsi nel fascicolo digitale della causa, tutto questo non c’è, perché non c’è l’infrastruttura informatica, nel settore penale. Quindi le nostre pec vanno ricevute dal cancelliere o dal personale di segreteria, stampate, o le nostre istanze, stampate, le nostre memorie, stampate, e depositate nel cartaceo. Cosa che il personale di cancelleria si rifiuta di fare, ponendo addirittura problemi: “E se mi mandi una memoria di 500 pagine con gli allegati, che devo fare? Me la devo stampare io? E chi paga?”, che sono obiezioni sensate, perché manca l’infrastruttura. Ecco perché neanche per pec possiamo depositare i motivi di appello o qualunque altra cosa. Quindi noi intendiamo cogliere questa occasione proprio per dire al Ministro: “Ecco, questo è il momento per dare un’accelerazione a tutto questo e noi saremo in prima fila su questo. E ci mancherebbe. Noi vogliamo smaterializzare tutti gli accessi agli uffici e tutti gli scambi di documenti in deposito e in copia. Questo è quello che vogliamo fare noi”.
PETRELLI: Se posso aggiungere qualcosa. Noi assistiamo davvero a delle soluzioni paradossali sotto questo profilo. Voi immaginate, semplicemente che fino a poco tempo fa chi operava le trascrizioni delle registrazioni delle udienze le trasmetteva ovviamente al tribunale tramite un file, che poi, però, veniva stampato per essere inserito nel fascicolo processale e quando noi difensori andavamo a chiedere le copie, queste non ci venivano rilasciate trasferendo telematicamente quel file (cosa semplicissima da ottenere) ma attraverso la fotocopiatura di pagine e pagine di trascrizioni dall’esemplare cartaceo inserito nel fascicolo processuale, con costi con impiego di risorse, di materiali, di tempo … Sono delle soluzioni talmente illogiche e così agevolmente superabili attraverso una semplice riorganizzazione degli uffici. Come, ad esempio, la notifica: la notifica, paradossalmente, degli atti del tribunale di Sorveglianza di Roma avviene con l’invio della notifica via pec agli ufficiali giudiziari, i quali poi vengono in studio a notificarci il cartaceo. Non si capisce perché questi passaggi non vengono superati: potremmo fare decine e decine di altri banalissimi esempi.
CAIAZZA: anche perché ci sono invece processi di particolare importanza, rilevanza, complessità in cui vengono utilizzati invece tutti gli strumenti (pensiamo alla stenotipia) e quando si vuole in un processo noi riusciamo ad ottenere la trascrizione di un’intera udienza 24 ore dopo. Quindi, quando lo si vuol fare si fa.
PETRELLI: Le potenzialità tecnologiche indubbiamente ci sono, come appunto sottolineava il Prof. Di Federico. La stessa videoregistrazione delle udienze – all’epoca – consentiva la consegna quasi immediata al difensore della videoregistrazione (all’epoca un VHS, ndr) dell’udienza con tutta la ricchezza di documentazione che poteva consentire. Il progetto è miseramente naufragato.
DI FEDERICO: adesso siamo passati a considerare le tecnologie informatiche. Non sono irrilevanti ma neanche essenziali nella utilizzazione delle tecnologie video. Le problematiche sull’uso dell’informatica nella giustizia costituiscono un argomento molto complesso di cui mi sono a ungo occupato ma che non potrei considerare adeguatamente in questa sede. Vorrei piuttosto ricordare una cosa di cui non abbiamo parlato e cioè l’attuale stato dei verbali d’udienza. Occorre quindi ricordare che attualmente la trascrizione di ciò che avviene in udienza non solo non rappresenta le comunicazioni non verbali ma non rappresenta molte cose che accadono anche verbalmente nel processo. Quindi è come se non fosse successo niente dal momento in cui la oralità è diventata formalmente il perno, il cardine del nuovo processo. È importante ricordarlo nel riproporre le tecnologie video.
CAIAZZA: non c’è dubbio. Io su questo vorrei essere chiaro: il suggerimento, l’idea del Prof. Di Federico è preziosissima; cioè noi oggi siamo nelle condizioni di recuperare la pienezza del valore dell’oralità attraverso la video registrazione perché è vero che il verbale, diciamo, non rende giustizia di quello che è accaduto e accade in un processo, nell’esame di un teste eccetera. Quindi l’abbattimento anche dei costi – parliamoci chiaro – di queste video registrazioni oggi è tale da consentirci di sperare che si possa e si debba puntare con forza sulla videoregistrazione. Io su questo sono d’accordissimo ed è una sollecitazione preziosa che dobbiamo raccogliere.
PETRELLI: assolutamente, con una chiosa, se mi posso permettere, prima che con le vostre considerazioni chiudiate. Sempre che lo strumento della video registrazione serva al controllo e alla rivisitazione di ciò che è accaduto da parte di quello stesso giudice che ha partecipato alla formazione della prova, non di un altro magistrato.
CAIAZZA: lo so e questo rischia di essere, può aprire la strada all’ulteriore facilitazione dell’indifferenza della modifica del giudice. Vedi come sono complessi i problemi.
DI FEDERICO: Può essere utile ricordare che le tecnologie video si sono evolute nel tempo e consentono di facilitarne la utilizzazione. Due soli esempi. Il richiamo degli episodi processuali che si vogliono rivedere è ora più agevole. Il secondo riguarda la dimensione della registrazione: una volta la registrazione avveniva su ingombranti cassette che tra l’altro rendevano difficoltoso il loro inserimento e la loro conservazione nel fascicolo processuale. Adesso anche la registrazione di un processo complesso e di lunga durata può essere registrata su un dischetto quasi immateriale che semplifica anche l’acquisizione della verbalizzazione da parte dell’avvocato immediatamente dopo la fine delle singole udienze.
PETRELLI: io direi che su queste parole possiamo concludere il nostro bel confronto, dicendo in conclusione questo forse: che proprio rispondendo all’invito del Prof. Di Federico di analizzare a tutto campo quelle che sono le risorse che la tecnologia ci offre, quello che possiamo dire è che forse un momento di crisi, uno stato di necessità, quale quello che stiamo attraversando non è il momento migliore per analizzare in maniera seria e completa i contributi della tecnologia. Per far questo c’è bisogno di una grande serenità e di una grande libertà che, forse, in questo momento non abbiamo; quindi, ci incontriamo al più presto, appena usciti dalla fase più dura di questa crisi.
DI FEDERICO: Ho già detto che l’evoluzione delle tecnologie video può facilitarne l’uso, tuttavia i problemi operativi emersi nel corso delle nostre sperimentazioni rimangono in gran parte invariati. Per questo ritengo possa essere di una qualche utilità, in una prospettiva riformatrice, offrire al Presidente Caiazza, al mio amico Caiazza, l’invio dell’ampio volume, già citato dianzi, contenente la descrizione analitica di tutti gli esperimenti fatti nelle sedi giudiziarie, delle cose pienamente riuscite, delle difficoltà incontrate, delle valutazioni ufficiali positive ricevute da presidenti di collegio giudicante, da Falcone e dal Ministro Martelli. Queste cose ed altre ancora possono essere utili in sede progettuale.
CAIAZZA: con grande piacere.
DI FEDERICO: chiederò all’istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del CNR di inviarvi uno di quei volumi.
PETRELLI: chiudiamo così off records, poiché sappiamo della consuetudine di Giuseppe Di Federico con l’universo radicale, vogliamo ricordare tutti insieme che oggi cade il compleanno di Marco Pannella e salutiamo insieme tutte le sue idee che oggi compiono 90 anni.