REATI OSTATIVI E PENE SOSTITUTIVE: LA PRECLUSIONE ASSOLUTA AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
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REATI OSTATIVI E PENE SOSTITUTIVE: LA PRECLUSIONE ASSOLUTA AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
“BARRING OFFENCES” AND ALTERNATIVE SANCTIONS: ABSOLUTE PRECLUSION UNDER CONSTITUTIONAL COURT’S SCRUTINY
di Davide Bianchi*
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Ordinanza del G.U.P. presso il Tribunale di Firenze del 18 aprile 2024 (Giudice: dott.ssa Fantechi) – ord. n. 130 del registro degli atti di promovimento – G.U. 3 luglio 2024, n. 46
(Artt. 3 e 27, comma 3, Cost.; Art. 59, comma 1, lett. d, l. n. 689/1981)
La Giudice della udienza preliminare di Firenze solleva questione di illegittimità costituzionale dell’art. 59, legge 24 novembre n. 681, per violazione dell’art. 3 e 27 III della Costituzione, laddove la norma prevede, in via assoluta, che la pena detentiva non possa essere sostituita nei confronti di imputati infraventunenni di reati di cui all’art. 609-bis del codice penale anche quando il Giudice ritenga che il rischio di recidiva possa essere salvaguardato dall’applicazione da una sanzione sostitutiva.
Pene sostitutive – Reati ostativi – Automatismi sanzionatori – Uguaglianza-ragionevolezza – Finalismo rieducativo – Proporzionalità – Eccesso di delega
(Art. 59 l. n. 689/1981, come sostituito dall’art. 71, comma 1, lett. g, d.lgs. n. 150/2022 – Art. 4-bis o.p. – Artt. 3, 27, 76 Cost.)
Ordinanza della Corte d’appello di Firenze del 14 febbraio 2025 (Presidente e relatore: dott. Borraccia) – ord. n. 46 del registro degli atti di promovimento – G.U. 19 marzo 2025, n. 12
(Artt. 3, 27, comma 3, e 76 Cost.; Art. 59, comma 1, lett. d, l. n. 689/1981)
La Corte di appello di Firenze, visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulla legittimità costituzionale dell’art. 59, comma 1, lettera d), della legge 24 novembre 1981, n. 689, come sostituito dall’art. 71 del decreto legislativo n. 150/2022, per contrasto con gli articoli 3, 27, comma 3, e 76 della Costituzione.
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L’art. 59, lett. d), l. n. 689/1981 pone un divieto assoluto di applicazione delle pene sostitutive in caso di condanna per uno dei reati ostativi ex art. 4-bis o.p., imponendo dunque la pena carceraria (effettiva). Tale automatismo sanzionatorio è stato rimesso al vaglio del Giudice delle leggi apparendo in contrasto con i principi rieducativo e d’uguaglianza-ragionevolezza, oltre che integrante un eccesso di delega. I dubbi di costituzionalità appaiono fondati, anche in considerazione del fatto che la disposizione impugnata fissa una presunzione realmente assoluta ed eccessiva rispetto al suo fondamento e allo stesso meccanismo preclusivo penitenziario.
Article 59(d) of Law No. 689/1981 provides an absolute prohibition on the application of alternative penalties in the event of conviction for one of the “barring offences” under Article 4-bis o.p., thus imposing the (effective) prison sentence. This sanctioning automatism has been referred to the Constitutional Court, appearing to be contrary to the principle of rehabilitation and to the principle of equality and reasonableness, as well as constituting an excess of delegated legislative powers. The doubts of constitutionality appear well-founded, also in view of the fact that the challenged provision sets a truly absolute and excessive presumption with respect to both its reason and the preclusive mechanism provided by penitentiary law itself.
Sommario: 1. La norma impugnata: un “corpo estraneo” nel micro-sistema delle pene sostitutive. – 2. I profili di illegittimità costituzionale individuati dai giudici remittenti: violazione dei principi di uguaglianza-ragionevolezza e rieducativo, eccesso di delega. – 3. Ulteriori profili di illegittimità costituzionale: ancora su uguaglianza-ragionevolezza ed eccesso di delega, spunti sulla proporzionalità. – 4. Cenni conclusivi: l’incostituzionalità c’è ma non è semplice rimediarvi.
1. La norma impugnata: un “corpo estraneo” nel micro-sistema delle pene sostitutive – Le questioni di legittimità costituzionale sollevate con le due ordinanze in commento hanno ad oggetto la lett. d) del comma 1 dell’art. 59 l. n. 689/1981, disposizione scaturita dalla c.d. Riforma Cartabia e, più precisamente, dall’art. 71, comma 1, lett. g), del D.lgs. n. 150/2022, che ha integralmente riscritto le «Condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva». Con la previsione della citata lett. d) al primo comma dell’art. 59 l. n. 689/1981, il legislatore delegato, più che disciplinare una «condizione soggettiva», ha invero inserito un’inedita preclusione oggettiva all’applicazione delle pene sostitutive, mediante il rinvio formale ai «reati di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354»[1]; per cui, qualora il giudice condanni l’imputato per uno di tali reati, risulta impedita la sostituzione della pena carceraria.
Conformemente alla lettera della legge e a quella che sembrerebbe la giurisprudenza di legittimità in via di consolidamento sul punto[2] (condivisa dai giudici remittenti), la preclusione è seccamente agganciata al titolo astratto di reato: se il reato per cui si procede rientra tra quelli “nominati” all’art. 4-bis o.p., allora resta escluso anche dalla possibilità di sostituzione, non residuando nessun margine di apprezzamento discrezionale in capo al giudicante. Si tratta di un automatismo sanzionatorio puro: è lo stesso nomen delicti a rendere impossibile l’irrogazione della pena sostitutiva, precludendo in radice ogni valutazione sulla gravità concreta del reato sub iudice e sulla personalità del suo autore, precostituendo il carcere come unica risposta all’illecito commesso[3].
È palese dunque la distonia rispetto agli altri presupposti dell’operazione sostitutiva delineati nello stesso art. 59 l. n. 689/1981, per come riconfigurato dal d.lgs. n. 150/2022: non è evidente soltanto la natura oggettiva della preclusione in discorso, che appunto non ha nulla di “soggettivo”, ma anche la sua assolutezza e genericità, o per meglio dire aspecificità in rapporto al micro-sistema delle pene sostitutive. Infatti, le condizioni soggettive di cui alle lettere a)-c) appaiono strettamente legate alla ratio e al meccanismo di funzionamento delle pene sostitutive: le prime due rispondono ad «una logica sanzionatoria del fallimento nell’esecuzione di una precedente pena sostitutiva»[4], che è risultata in tutto o in parte ma comunque significativamente violata (lett. a, prima parte, e lett. b)[5] oppure incapace di contenere la capacità criminale del reo (lett. a, seconda parte)[6], e la terza s’atteggia a “rovescio negativo” dei presupposti applicativi discrezionali di cui all’art. 58 l. n. 689/1981, dato che la sussistenza di una pericolosità sociale del soggetto talmente elevata da richiedere l’applicazione di una misura di sicurezza personale (lett. c) è difficilmente compatibile con la valutazione d’idoneità della pena sostitutiva alla «prevenzione del pericolo di commissione di altri reati» (oltre che con la prognosi d’adempimento delle prescrizioni); peraltro, in tutte queste ipotesi il legislatore non annichilisce il potere discrezionale del giudice, conservando spazi applicativi per il trattamento sostitutivo[7]. Niente di tutto ciò, invece, sub lett. d): il divieto di sostituzione scatta in base all’astratto titolo del reato ascritto, a prescindere da eventuali precedenti esperienze negative del soggetto nell’esecuzione di misure di comunità, così come dalla sua personalità concreta, a prescindere cioè da quello che è il fondamento e lo scopo delle pene sostitutive per come riflessi dalle restanti articolazioni della loro rinnovata disciplina, a cominciare dai criteri applicativi finalistici – prevalentemente di marca specialpreventiva – e modali – ispirati al principio del «minor sacrificio della libertà personale» – posti dal ricordato art. 58.
Nelle intenzioni del legislatore delegato la preclusione fissata alla lett. d) dell’art. 59 «mira ad assicurare il “coordinamento” con le preclusioni previste dall’ordinamento penitenziario per l’accesso alle misure alternative alla detenzione […] Se non si prevedesse una simile preclusione, infatti, la disciplina dell’art. 4 bis ord. penit. (e dell’art. 656, co. 9 c.p.p.) risulterebbe sostanzialmente elusa: sarebbe irragionevole limitare la concessione della semilibertà e della detenzione domiciliare, quali misure alternative alla detenzione, subordinandole alla collaborazione e alle ulteriori stringenti condizioni sostanziali e procedurali previste dall’art. 4 bis e, per altro verso, consentire al giudice all’esito del giudizio di cognizione di applicare la semilibertà sostitutiva o la detenzione domiciliare sostitutiva o, addirittura, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo»[8]. Nel prosieguo vedremo quanto la disposizione preclusiva in questione sia effettivamente congruente con questa ratio di “coordinamento” e “anti-elusiva”, per ora si noti solamente come tale disposizione mal si concili con lo spirito di fondo della riforma e, in particolare, con la ridefinizione della a disciplina di cui all’art. 59 medesimo, che, ad avviso dello stesso legislatore storico, è stata incisivamente modificata «perché, essendo per lo più imperniata su rigidi automatismi (ipotesi di recidiva: co. 1 e co. 2, lett. a) e presunzioni di pericolosità (co. 2, lett. c) necessita[va] di essere riformata e adeguata ai più recenti orientamenti della giurisprudenza costituzionale, che ha in più occasioni dichiarato l’illegittimità costituzionale di analoghi automatismi e presunzioni»[9].
2. I profili di illegittimità costituzionale individuati dai giudici remittenti: violazione dei principi di uguaglianza-ragionevolezza e rieducativo, eccesso di delega – Entrambi i remittenti ravvisano un contrasto dell’art. 59, comma 1, lett. d) l. n. 689/1981 con il principio di uguaglianza-ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e con quello rieducativo di cui all’art. 27, comma 3, Cost.
Precisamente, quanto al primo profilo di sospetta incostituzionalità, appare anzitutto «del tutto irragionevole ancorare una presunzione legale di inidoneità della pena sostitutiva a perseguire i fini di legge al mero titolo di reato addebitato all’imputato, a prescindere da una valutazione delle peculiarità del caso concreto»[10]. Per un verso, infatti, tale presunzione, tramite «un richiamo generalizzato a tutti i reati previsti dall’art. 4-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354», omologa indiscriminatamente questi ultimi, sebbene lo stesso art. 4-bis o.p. preveda «un regime penitenziario molto diverso a seconda delle diverse categorie di reati ricomprese nell’elenco, che, invece sono trattati in modo unitario per quante riguarda l’ostatività assoluta all’applicazione delle misure sostitutive»[11]. Per altro verso, si profila un’indebita differenziazione tra (autori di) reati inclusi nella black list e (autori di) reati a questa estranei, poiché siffatta «preclusione assoluta, per titolo astratto di reato, comporta un trattamento diverso nei confronti di persone che hanno riportato condanna alla stessa pena, cosicché una persona condannata alla pena di quattro anni di reclusione per un reato non ostativo (e fra i reati non ostativi vi sono anche reati molto gravi quali il tentato omicidio) potrà vedersi applicata una misura sostitutiva anche se vi sia un rischio di recidiva e sia
sottoposta a misura cautelare, mentre una persona condannata per un reato ostativo non potrà vedersi applicata una sanzione sostitutiva anche se condannata a pena inferiore e anche ove non sussista nessun
pericolo di recidiva ovvero se il rischio possa essere contenuto con una misura non carceraria»[12]. Insomma, l’assolutezza e aspecificità della preclusione impedisce al giudicante di guardare al caso concreto, andando sia ad equiparare ipotesi marcatamente differenziate alla luce dello stesso meccanismo preclusivo di cui all’art. 4-bis o.p. sia a differenziare ipotesi che sono invece assimilabili quanto a disvalore oggettivo e soggettivo del fatto compiuto e a capacità a delinquere del reo; evidente dunque la duplice vulnerazione del principio di uguaglianza-ragionevolezza.
Tale – irragionevole e discriminatorio – automatismo, poi, non può che svilire il principio rieducativo, che pure dovrebbe esser valorizzato (anche) nella fase di commisurazione (in senso ampio) del trattamento punitivo: malgrado la sussistenza di tutti gli altri requisiti di applicabilità delle pene sostitutive – pena in concreto contenuta entro i quattro anni di reclusione o arresto; valutazione in concreto positiva in ordine all’adeguatezza del trattamento sostitutivo a perseguire le finalità di prevenzione speciale (positiva e negativa) ex art. 58 l. n. 689/1981 – «si impedisce al giudice della cognizione di individuare la sanzione più adeguata al caso concreto, alla luce delle peculiarità della fattispecie e della personalità del condannato, vulnerando il principio costituzionale per cui la pena deve tendere alla rieducazione del soggetto. In altri termini, si ritiene che la norma in questa sede censurata impedisca al giudice a quo di individualizzare il trattamento sanzionatorio attraverso l’applicazione di una pena sostitutiva a quella detentiva che, alla luce delle specificità del caso concreto, potrebbe perseguire la funzione rieducativa del
condannato più e meglio dell’esperienza detentiva in carcere, che, come noto, produce sovente un effetto desocializzante e di involuzione della persona, anche alla luce della situazione critica in cui versano le carceri italiane»[13].
La Corte distrettuale fiorentina aggiunge un profilo di contrasto con l’art. 76 Cost.: nell’estromettere dalla possibilità di sostituzione l’intero catalogo dei reati indicati all’art. 4-bis o.p., il legislatore delegato sarebbe «incorso in un eccesso di delega introducendo una disciplina che finisce col tradire le rationes sottese alla legge delega, legge n. 134/2021, con cui si delegava al Governo di ridisciplinare opportunamente le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva, assicurando il coordinamento con le preclusioni previste dall’ordinamento penitenziario per l’accesso alla semilibertà e alla detenzione domiciliare». Riprendendo Corte cost., sent. n. 84/2024, il giudice a quo individua le rationes cardinali della legge di delegazione non solo e non tanto nell’esigenza deflattiva (comune al complessivo intervento riformatore) ma soprattutto nell’esigenza di «mettere a disposizione del giudice di cognizione – già in fase, dunque, di commisurazione della pena – risposte sanzionatorie alternative alle pene detentive brevi o comunque di durata contenuta, la consapevolezza dei cui effetti desocializzanti era stata all’origine della stessa introduzione delle pene sostitutive oltre un quarantennio fa: e ciò in coerenza sia con il principio del minimo sacrificio necessario della libertà personale, sia con la necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, che deve accompagnare la pena “da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue”, e dunque anche nella fase di determinazione del trattamento sanzionatorio appropriato da parte del giudice della cognizione. Principio, questo, di speciale rilievo in un contesto caratterizzato dalla situazione di significativo sovraffollamento in cui versano le carceri italiane». Posti questi «obiettivi di fondo» della riforma, nell’ottica del legislatore delegante, risulta in effetti scarsamente coerente la preclusione assoluta in questione: se, nei termini della ricordata pronuncia della Consulta, la legge-delega puntava a «mettere a disposizione del giudice di cognizione risposte sanzionatorie non carcerarie a spiccato orientamento rieducativo, e incentivare definizioni alternative del processo», vietare tout court l’accesso alle pene sostitutive rispetto ad un folto gruppo di reati quantomai eterogenei e considerati esclusivamente nella loro astrattezza certamente diverge da tali finalità, costituendo una considerevole battuta d’arresto nell’attuazione del principio di sussidiarizzazione della pena carceraria (carcere come extrema ratio) e del correlato principio della finalizzazione della sanzione penale alla risocializzazione (o perlomeno non desocializzazione) del condannato.
3. Ulteriori profili di illegittimità costituzionale: ancora su uguaglianza-ragionevolezza ed eccesso di delega, spunti sulla proporzionalità – La tensione, ravvisata dalla Corte d’appello, tra la preclusione assoluta in discorso e le linee direttrici della legge-delega è difficilmente confutabile ma non si può non osservare come quest’ultima, all’art. 1, comma 17, lett. d), richiedesse espressamente di «ridisciplinare opportunamente le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva, assicurando il coordinamento con le preclusioni previste dall’ordinamento penitenziario per l’accesso alla semilibertà e alla detenzione domiciliare». Pertanto, anche un’indiscriminata apertura ai reati ostativi ex art. 4-bis o.p. sarebbe risultata estremamente problematica, andando nella sostanza a configurare anch’essa un eccesso di delega mediante un’espansione del raggio applicativo delle pene sostitutive in violazione di un preciso criterio direttivo della legge di delegazione.
Ciò chiarito, pare restar vero che l’incorporazione “secca” dell’intero catalogo dei reati ostativi tra le condizioni negative della possibilità di sostituzione si ponga comunque in contrasto con la legge-delega, non solo per una frizione di fondo con le finalità generali della riforma delle sanzioni sostitutive ma anche per la diretta collisione con lo specifico criterio direttivo appena richiamato. Infatti, se è indiscutibile che l’avvicinamento delle pene sostitutive di maggiore severità alle misure alternative della semilibertà e della detenzione domiciliare[14] imponeva un «coordinamento con le preclusioni previste dall’ordinamento penitenziario», sembra altrettanto indubbio che tale «coordinamento» non ci sia stato. Tagliare fuori dalla possibilità di sanzionamento con pena sostitutiva l’intero “listone” di reati richiamati all’art. 4-bis o.p. non solo non realizza il risultato per così dire ottimale dell’armonizzazione tra il micro-sistema delle sanzioni sostitutive e l’apparato delle misure alternative penitenziarie, tenendo conto delle somiglianze ma anche delle nette differenze tra i due, ma non raggiunge nemmeno il minimum standard rappresentato dal pedissequo allineamento delle prime alla disciplina preclusiva delle seconde.
Il punto merita davvero di essere sottolineato: il legislatore delegato, a ben vedere, non ha proiettato sull’art. 59 l. n. 689/1981 le preclusioni previste in seno all’ordinamento penitenziario per la detenzione domiciliare e la semilibertà, in primis (ma non solo) nell’art. 4-bis o.p., ma, assai più “crudamente” e per così dire “piattamente”, ha negato tout court la sostituibilità della pena detentiva in presenza di uno qualsiasi dei – molteplici e variegati – reati ricompresi in tale ultima disposizione, senza minimamente considerare che lo stesso art. 4-bis o.p., nel prevedere i reati ostativi, traccia pure le vie – più o meno pervie – di superamento dell’ostatività. In altri termini, la stessa disciplina penitenziaria non fissa preclusioni realmente assolute, prevedendo sempre la possibilità di superare lo sbarramento legato al titolo di reato, anche rispetto ai reati di massima gravità e sintomatici di elevata pericolosità sociale (come quelli appartenenti al nucleo duro della c.d. prima fascia)[15], mentre la nuova disciplina delle condizioni di applicabilità delle pene sostitutive è totalmente invincibilmente preclusiva in dipendenza del nomen delicti: se il reato rientra tra quelli astrattamente ostativi non v’è nessuna possibilità di sostituire la pena carceraria. E tale preclusione “paralizzante”, come rilevato nell’ordinanza del G.U.P. fiorentino, vale indistintamente per tutti i reati nominati all’art. 4-bis o.p., con completo disconoscimento dei diversi gradi di ostatività ivi regolamentati, ossia delle maggiori o minori possibilità di scioglimento del vincolo preclusivo ai sensi della stessa l. n. 354/1975.
Difficile dunque ritenere che vi sia stato un qualche «coordinamento». E un “senso di disagio” rispetto all’esatto adempimento del mandato contenuto nella legge-delega affiora nello stesso corpo della disposizione censurata, la quale espunge sì in blocco i reati ostativi ma fa salva l’ipotesi in cui «sia stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale». Così, in riferimento ai reati contro la Pubblica Amministrazione inclusi nell’elenco dei reati ostativi al tempo di emanazione del d.lgs. n. 150/2022, quest’ultimo ammette(va) la possibilità di applicazione delle pene sostitutive in presenza di quella stessa condotta collaborativa che disinnesca(va) la preclusione ex art. 4-bis o.p. Secondo la Relazione illustrativa alla legge delegata «l’unica ipotesi in cui sia possibile e ragionevole sostituire la pena detentiva in caso di condanna per uno dei reati di cui all’articolo 4 bis [è] quella in cui il giudice di cognizione ritiene applicabile la circostanza attenuante della collaborazione di cui all’art. 323 bis, co. 2 c.p., richiamata dall’art. 4 bis per individuare la condotta collaborativa che funge da presupposto per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei confronti dei condannati per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione. Se il giudice di cognizione ha già accertato la collaborazione rilevante ai fini dell’art. 4 bis, non vi è ragione per precludere l’applicazione delle pene sostitutive, anticipando la concessione delle misure alternative da parte del tribunale di sorveglianza»[16]. Orbene, la clausola di salvezza costruita sull’art. 323-bis, comma 2, c.p. ha perduto d’ogni utilità, dato che la l. n. 199/2022 ha (opportunamente) escluso i reati contro la P.A. dalla black list di cui all’art. 4-bis o.p.[17]; resta però il “senso di disagio”, compiutamente esplicato proprio dalla citata Relazione illustrativa nell’affermare che «Se il giudice di cognizione ha già accertato la collaborazione rilevante ai fini dell’art. 4 bis, non vi è ragione per precludere l’applicazione delle pene sostitutive». Questa nitida affermazione, espressa con riferimento ai delitti di cui agli artt. 314, comma 1, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322-bis c.p., è perfettamente valida anche con riferimento ai reati ostativi residui: è ovvio che il senso della preclusione alla sostituzione viene meno se, prima dell’irrogazione della pena, sono maturate quelle condizioni che, in forza della legislazione penitenziaria, consentirebbero l’applicazione delle misure alternative. D’altronde, se tali condizioni già sussistono al momento dell’operazione commisurativa in fase di cognizione, è evidente che non è possibile quella temuta “elusione” della disciplina penitenziaria il cui evitamento lo stesso legislatore storico ha posto a fondamento della preclusione di cui all’art. 59, lett. d), l. n. 689/1981[18].
Si pensi al caso del riconoscimento da parte del giudice del fatto dell’attenuante di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, c.p. oppure al caso, frequentissimo, di conclamata assenza di «collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva» rispetto ad autori di reati c.d. di seconda fascia (fulgido l’esempio “classico” della rapina aggravata, così come quello “freschissimo” dell’istigazione a disobbedire le leggi aggravata[19]): in queste ipotesi non si riesce davvero a comprendere per quale motivo debba essere esclusa a priori la possibilità di applicare una pena sostitutiva[20].
Prima di chiudere sul punto, si noti che un’ulteriore franca manifestazione di “disagio” proviene ancora una volta dalla Relazione illustrativa, secondo cui il «coordinamento» richiesto dalla legge-delega «dovrà tenere conto delle eventuali modifiche apportate alla disciplina della citata disposizione [art. 4-bis o.p.] dal disegno di legge S. 2574, attualmente all’esame del Senato e approvato dalla Camera, in prima lettura, il 31 marzo 2022». Quel progetto di legge non è andato in porto per la fine della legislatura ma è stato largamente ripreso dal d.l. n. 162/2022, che, come noto, sotto la spinta di Corte Cost., ord. n. 97/2021, ha ammesso l’applicabilità delle misure alternative anche ai condannati per reati di prima fascia non collaboranti, al ricorrere di stringenti condizioni espressive di una resipiscenza del reo e del suo completo distacco dalla realtà criminale di provenienza[21]. A questo nuovo ridimensionamento dell’assolutezza (in realtà mai stata piena) della preclusione più forte tra quelle dell’art. 4-bis o.p. (quella per i reati di prima fascia) non è però seguita nessuna modifica dell’art. 59 l. n. 689/1981, che è rimasto del tutto impermeabile, risultando sempre più distante (in peius) anche dalla stessa disciplina penitenziaria.
Insomma, siamo davvero di fronte ad un automatismo puro, ad una preclusione effettivamente assoluta, che cozza col disposto e con lo spirito della legge di delegazione e che, come sottolineato in entrambe le ordinanze di sollevamento della questione di costituzionalità, s’appalesa come discriminatorio e irragionevole, oltre a contrastare col finalismo rieducativo che deve informare l’intera dinamica punitiva.
Si può aggiungere che l’assolutezza dell’automatismo consente di richiamare la granitica giurisprudenza costituzionale in tema di presunzioni assolute: queste, «specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit» […]. In particolare, l’irragionevolezza di una presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia possibile formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa»[22]. Ora, rispetto ai numerosi ed eterogeni reati ostativi di cui all’art. 4-bis o.p., è agevole l’individuazione di casi che sfuggono alla ratio che sorregge il meccanismo preclusivo, poiché è lo stesso legislatore che ha individuato tali casi nel prevedere le ipotesi di superamento dell’ostatività in seno allo stesso art. 4-bis o.p.: laddove si ricada in una di queste ipotesi, la dimostrazione dell’esorbitanza della preclusione è per tabulas, essendo ipotesi normative in cui tale preclusione viene meno. Così, se – relativamente ai reati di prima fascia – v’è stata utile collaborazione con l’Autorità Giudiziaria (o si sono soddisfatte le condizioni “alternative” introdotte dal d.l. n. 162/2022) o se – relativamente ai reati di seconda fascia – non risulta nessun legame con la criminalità mafiosa, terroristica od eversiva, è evidente che viene meno la ragione della preclusione, essendo lo stesso legislatore a riconoscere qui l’inconsistenza della presunzione di pericolosità sociale discendente dalla natura ostativa del reato. Se ciò vale – normativamente – per i benefici penitenziari, vale – logicamente – anche per le pene sostitutive, rispetto alle quali la legge-delega esigeva un «coordinamento» con la disciplina delle misure alternative.
Si può dunque tranquillamente affermare che, laddove ricorrano casi concreti inquadrabili nelle fattispecie che, ai sensi dell’art. 4-bis o.p., determinano il caducamento dell’ostatività penitenziaria, si è in presenza di «ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa», che infatti è relativa nell’ambito penitenziario ma che è assoluta rispetto alle pene sostitutive. L’assolutezza della preclusione ex art. 59 l. n. 689/1981, allora, è sicuramente ingiustificata e arbitraria, come tale contrastante con il principio costituzionale di uguaglianza-ragionevolezza.
Si potrebbe infine osservare che l’assoluta rigidità della preclusione e il suo correlato disallineamento rispetto alla disciplina penitenziaria denunciano pure una frizione con il principio di proporzionalità, intesa questa come «prospettica, orientata alla finalità della norma»[23]. Se, come esplicitato nel già ricordato passo della Relazione illustrativa, lo scopo della lett. d), del comma 1, dell’art. 59 l. n. 689/1981 è quello di evitare l’elusione delle «condizioni sostanziali e procedurali previste dall’art. 4 bis», escludendo l’applicabilità delle pene sostitutive dove le omologhe misure alternative sarebbero precluse, appare evidente che escludere le prime anche laddove le seconde sarebbero applicabili eccede la funzione assegnata alla norma preclusiva, andandosi a sacrificare senza necessità – dunque indebitamente – la posizione del condannato. La disposizione in questione, insomma, non sembra superare il «test di proporzionalità, che richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi»[24]. Occorre, peraltro, tener conto del dato – essenziale – che i diritti che risultano inutilmente incisi dalla assoluta rigidità della preclusione sono diritti fondamentali della persona umana, la quale, in forza dell’automatismo sanzionatorio censurato, si trova a subire – anche in assenza di reali esigenze – la pena carceraria (effettiva), ossia la massima restrizione fisica e la massima degradazione sociale.
4. Cenni conclusivi: l’incostituzionalità c’è ma non è semplice rimediarvi – La disposizione impugnata, in definitiva, sembra in effetti costituzionalmente illegittima alla luce di tutti i parametri evocati dai giudici remittenti. Per le ragioni già esposte, tuttavia, non pare che la Corte costituzionale possa eliminarla con un tratto di penna, restando ferma l’esigenza di «coordinamento con le preclusione previste dall’ordinamento penitenziario».
La Consulta allora, ove accogliesse le questioni di legittimità costituzionale, avrebbe le seguenti opzioni: o ritenere che spetti al legislatore rimediare, sospendendo il giudizio e rinviando con contestuale “invito” a provvedere per via legislativa alla riscrittura della disposizione censurata in senso costituzionalmente conforme; o intervenire direttamente mediante una sentenza manipolativa. In questo secondo caso, invero, l’intervento della Corte rivelerebbe un non trascurabile tasso di complessità, legato proprio alla tipologia di reati oggetto dei procedimenti penali a quibus (violenze sessuali, di cui una di gruppo). Se infatti il “coordinamento” con i meccanismi preclusivi di cui ai commi da 1 a 1-ter dell’art. 4-bis o.p. (quelli previsti per i reati che tradizionalmente sono chiamati di prima e di seconda fascia) appare piuttosto semplice, per quelli di cui ai commi 1-quater e 1-quinquies, ossia quelli per i delitti sessuali e il delitto di “sfregio permanente al viso”, il quadro si complica. Infatti, nel primo caso, parrebbe sufficiente relativizzare la preclusione facendo un riferimento diretto alle ipotesi di suo superamento già contemplate appunto ai commi da 1 a 1-ter dell’art. 4-bis o.p., in primis la collaborazione processuale e l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata. Per i reati di cui al comma 1-quater, invece, un simile rimando diretto non pare possibile, poiché qui la condizione di superamento dell’ostatività consiste nella «osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’articolo 80» o.p. Trattandosi di applicare sanzioni sostitutive in fase di cognizione, ovviamente non è possibile prendere in considerazione l’osservazione del soggetto intramuraria in fase esecutiva, occorrendo pertanto l’individuazione di una condizione “equipollente”.
In entrambi i procedimenti a quibus l’imputato aveva già intrapreso un percorso riabilitativo presso enti «che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati» per reati sessuali o espressivi di violenza di genere, anticipando l’adempimento di quello che costituisce l’obbligo condizionante la sospensione condizionale ex art. 165, comma 5, c.p. (sospensione chiaramente non concessa nei casi di specie). Difficile però ritenere che tali percorsi siano equivalenti alla «osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno», così come è difficile reperire nell’ordinamento vigente un qualche altro strumento valutativo che possa surrogarla in corso di procedimento (anche per il divieto di perizia criminologica sancito all’art. 220, comma 2, c.p.p.).
D’altro canto, se si diagnosticasse la sussistenza di un vulnus di costituzionalità (diagnosi che pare più che plausibile), non sarebbe sufficiente una sentenza di rigetto abbellita dall’auspicio che il legislatore mitighi l’automatismo sanzionatorio, poiché ciò significherebbe convalidare una presunzione assoluta – viziata da irragionevolezza – che preconfeziona il carcere come unica risposta sanzionatoria. Sembra allora prendere quota la prima delle opzioni tratteggiate: come già fatto in ordine all’art. 4-bis o.p., anche in questo caso il Giudice delle leggi, per «esigenze di collaborazione istituzionale», potrebbe rinviare il giudizio e «fissare una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame […], dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia»[25].
*Ricercatore a tempo determinato (lett. “b”) in diritto penale presso l’Università di Torino
[1] Se dunque un reato viene escluso dalla black list di cui all’art. 4-bis o.p., cadrà pure la preclusione al trattamento sostitutivo in sede di cognizione (con efficacia retroattiva – in melius – nei limiti del giudicato ex art. 2, comma 4, c.p.), e viceversa (fermo restando il divieto di retroattività in peius ex art. 2, comma 4, c.p.).
[2] Cfr. Cass. pen, Sez. III, 5 marzo 2025, n. 9916, in www.onelegale.wolterskluwer.com; Cass. pen., Sez. I, 5 aprile 2024, n. 19741, ivi, che, seguendo l’interpretazione dominante sull’art. 4-bis o.p., ha ritenuto che i delitti aggravati dal “contesto mafioso” precludano l’applicazione delle pene sostitutive anche se realizzati nella forma tentata.
[3] Concorde pare la dottrina: tra gli altri, A. Gargani, Le “nuove” pene sostitutive, in Dir. pen. proc., 2023, p. 27; G. Della Monica, La nuova fisionomia della udienza di sentencing e le persistenti criticità nell’applicazione e nell’esecuzione delle pene sostitutive, in Leg. pen., 20 settembre 2024, p. 5; volendo, D. Bianchi, Le pene sostitutive. Sistematica, disciplina e prospettive di riforma, Giappichelli, 2024, p. 164 ss.
[4] Relazione illustrativa al Decreto legislativo recante attuazione della Legge 27.9.2021 n. 134, recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, p. 214.
[5] Ossia, rispettivamente, l’aver commesso «il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della semilibertà, della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’articolo 66» e l’aver inadempiuto (colpevolmente) la pena pecuniaria nei cinque anni precedenti la commissione del nuovo reato.
[6] L’aver «commesso un delitto non colposo durante l’esecuzione delle medesime pene sostitutive» (diversa da quella pecuniaria).
[7] Quanto alle ipotesi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 59, è fatta salva la possibilità di applicazione di una pena sostitutiva più severa di quella revocata o inadempiuta; quanto all’ipotesi di cui alla lett. c), il giudice può optare per la pena sostitutiva nei «casi di parziale incapacità di intendere e di volere» (ratio della deroga che invero non sarebbe confinata alla semi-imputabilità, come invece ha ritenuto il legislatore); sia consentito ancora il rinvio a D. Bianchi, op. cit., p. 170 ss. Anche il G.U.P. fiorentino ravvisa l’esorbitanza della preclusione ex art. 59, comma 1, lett. d), rilevando che «le altre preclusioni paiono del tutto razionali e riconnesse alla pericolosità sociale dell’imputato o a suoi comportamenti».
[8] Relazione illustrativa, cit., p. 216.
[9] Relazione illustrativa, cit., p. 213.
[10] Corte app. Firenze, 14 febbraio 2025.
[11] G.U.P. Firenze, 18 aprile 2024.
[12] G.U.P. Firenze, 18 aprile 2024; similmente s’esprime la Corte d’appello remittente: «Una tale previsione normativa sembra aprire al rischio di trattare in maniera diversa situazioni differenziate dal titolo di reato ma connotate, in concreto, da eguale gravità». Il G.U.P. fiorentino aggiunge: «Nel caso di specie poi deve anche ricordarsi che l’imputato, minore di anni ventuno, avrebbe lo stesso trattamento riservato a soggetti pienamente adulti».
[13] Corte app. Firenze, 14 febbraio 2025.
[14] Su tale – comunque parziale – avvicinamento e sulle sue ragioni, sia consentito il rinvio a D. Bianchi, op. cit., p. 140 ss.
[15] Cfr. Corte cost., sent. n. 253/2019, che ha rilevato che «l’inaccessibilità ai benefici penitenziari, per il detenuto che non collabora, non è un vero automatismo, poiché è lo stesso detenuto, scegliendo di collaborare, a poter spezzare la consequenzialità della disposizione censurata», e, ciononostante, è pervenuta ad una declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis o.p., «nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti», nonché, in via consequenziale, «nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all’art. 416-bis cod. pen. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti».
[16] Relazione illustrativa, cit., p. 216.
[17] Cfr. L. Eusebi, Una ostatività finalmente relativa? Preclusioni e misure alternative: la riforma dell’art. 4-bis ord. penit., in Dir. pen. proc., 2023, p. 1005 ss.; F. Moro, L’art. 4-bis riformato dal d.l. 162/2022, conv., con modifiche, dalla l. n. 199/2022: un passo avanti e due indietro, in Sist. pen., 17 maggio 2023.
[18] V. supra, par. 1.
[19] Nuovo secondo comma dell’art. 415 c.p. («La pena è aumentata se il fatto è commesso all’interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute»), introdotto dal decreto-sicurezza 2025 (d.l. n. 48/2025), che ha contestualmente provveduto a inserire la fattispecie circostanziata tra i reati ostativi.
[20] Non è certo un caso che rispetto ai reati di seconda fascia (per cui il divieto di accesso ai benefici penitenziari vale solo in presenza dei ricordati «collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva») una parte della giurisprudenza di merito, discostandosi da una littera legis ritenuta del tutto irragionevole, ammetta la sostituzione. Per l’applicazione del lavoro di pubblica utilità sostitutivo in un caso di rapina aggravata connotata da ridotto disvalore del fatto concreto (rapina impropria avente ad oggetto bulloni metallici del valore di pochi euro, in concorso con lesioni guaribili in cinque giorni) e da ridottissima capacità criminale dell’imputato (ultrasessantacinquenne incensurato), v. Trib. Monza, 6 dicembre 2023, n. 1506/23, inedita, con ampia motivazione sul punto, ove si evidenzia l’incongruenza dell’interpretazione letterale con le finalità della riforma e si chiarisce che «Fattispecie concrete come quella da cui ha tratto origine il presente procedimento […] dimostrano, anzi, quanto una valutazione fondata sul solo nomen iuris del reato in contestazione possa rivelarsi fuorviante».
[21] Cfr. Autori citati a nota 17.
[22] Cfr. Corte cost., n. 253/2019, cit., che richiama le sentenze n. 185 del 2015, n. 232, n. 213 e n. 57 del 2013, n. 291, n. 265, n. 139 del 2010, n. 41 del 1999 e n. 139 del 1982; nello stesso senso, recentemente, Corte cost., sent. n. 88/2023 e sent. n. 43/2024; in dottrina v. per tutti G. Leo, voce Automatismi sanzionatori e principi costituzionali, in Libro dell’anno del Diritto 2014, reperibile in www.treccani.it.
[23] V. F. Viganò, La proporzionalità nella giurisprudenza recente della Corte costituzionale: un primo bilancio, in Sist. pen., 8 gennaio 2025, p. 11 ss.
[24] Così Corte cost., n. 88/2023, cit., in tema di proporzionalità “prospettica”.
[25] Corte cost., ord. n. 97/2021.