Enter your keyword

TRACCIAMENTO DEL CONTAGIO: GOOGLE E APPLE SÌ, LO STATO ITALIANO NO? DI GIOVANNI VANNINI

TRACCIAMENTO DEL CONTAGIO: GOOGLE E APPLE SÌ, LO STATO ITALIANO NO? DI GIOVANNI VANNINI

VANNINI – TRACCIAMENTO DEL CONTAGIO: GOOGLE E APPLE SÌ, LO STATO ITALIANO NO?.PDF

di Giovanni Vannini*

Il virus, l’attacco, la difesa, le ‘Tre T’. Il mappamondo digitale e le possibilità tecnologiche. La norma e l’etica. Potere, controllo, tecnologia, mobile app, informazione, privacy, salute, libertà, dignità della persona: osservazioni per un dibattito.

Silent leges inter arma. Cicerone, Pro Milone, IV, 11.

Il mondo è andato in guerra, il nemico era il virus, e l’attacco è stato rapido e incisivo. Covid-19 non ha fatto distinzioni di sesso, etnia, religione, identità di genere, nazionalità, orientamento politico né altro. Ha garantito i diritti di tutti, agendo nel perfetto rispetto del principio di non discriminazione. Certo, in relazione al tasso di mortalità si potrebbe pensare che sia stato particolarmente selettivo a sfavore dei più anziani, ma l’aggressore non ha puntato a loro, ha attaccato l’umanità. Non era colpa del Covid-19 se una parte della popolazione mondiale, specie nei paesi a più alto reddito, era avanti negli anni.

A fronte della universalità dell’attacco, la difesa si è organizzata per macro regioni su uno scacchiere geo-politico caratterizzato dalla chiara contraddizione tra un mondo globalizzato, in cui il virus è il vero globetrotter, e i confini tra i molteplici sistemi di governo del potere. In pratica, Covid-19 aveva in mano il mappamondo fisico quando ha attaccato, mentre la difesa si è organizzata guardando al mappamondo politico, frammentato. Una situazione di sproporzionato vantaggio strategico a favore del virus.

Il mondo (politico) si è messo a cercare soluzioni, ma ognuno per sé. Osservando le potenze in difesa dal globale al locale, si potrebbe dire che c’è stata una reazione ai seguenti livelli: globale, con l’Organizzazione Mondiale della Sanità in prima linea; di unione di Stati, l’Unione Europea; statale, con Cina, India, i singoli paesi europei e gli Stati Uniti tra i più esposti; italiano, in cui c’era il Governo, le Regioni (che gestiscono la Sanità), e i Comuni. Le strategie difensive sono state o rallentate o depotenziate a causa della geografia politica della risposta; in alcuni casi, come ha evidenziato l’Economist, alcuni Paesi hanno addirittura manipolato i fini facendo passare per salute pubblica scelte che andavano a rafforzare una concezione autocratica del governare, anche in alcune democrazie.

Si può dire che Covid-19 è andato per la sua strada, potente veloce e adattivo, e che i danni che ha provocato, al netto di fattori di vulnerabilità noti (uno su tutti uno stato di immunodepressione nel soggetto colpito) o ancora in fase di studio (ad esempio il livello di inquinamento dell’aria), dipendono dalla frammentazione e natura dei sistemi di potere che ha incontrato sulla sua strada.

Una discriminante dell’efficacia della difesa è certamente la capacità del potere di controllo civico del governo di una certa area geo-politica. La Cina esercita il potere con capacità coercitive differenti da UE e USA, ma anche da Singapore, Taiwan, Corea del Sud. C’è tuttavia un altro livello che incide sulla capacità ed efficacia della difesa dal Covid-19: la disponibilità da parte dei governi di tecnologie digitali che favoriscono il controllo e l’esercizio del potere. Non esiste ancora un mappamondo del digitale, ma la tecnologia è certamente un antagonista di un Covid-19 che si muove forte e veloce, in modo adattivo, sul mappamondo fisico.

Sul fronte dell’uso del digitale concentriamoci su Cina e Italia. Le due nazioni, di fronte a un nemico nuovo, potente e veloce, hanno per prime visto i propri cittadini percorrere i passaggi di sottovalutazione-incredulità-choc-orgoglio-ironia-stanchezza. L’insieme degli elementi che connotano il potere esecutivo cinese, rendendolo pressoché unico e certamente ben lontano da quello italiano, lo rendono relativamente immune agli effetti di ritorno dell’opinione pubblica su tutto il ciclo del vissuto emotivo collettivo. La Cina ha subito esercitato il potere nel modo più tradizionale imponendo, a una popolazione più portata all’obbedienza rispetto a quella italiana, limitazioni alle libertà drastiche e inderogabili, anche con l’uso apparentemente forzoso della tecnologia, che si è spinta fin dentro gli smartphone. Il governo italiano ha potuto contare su un periodo di sospensione del (pre)giudizio del mal-governo nelle fasi di choc e orgoglio. In quelle fasi, nello specifico e irripetibile contesto (non c’è mai una seconda possibilità di affrontare una novità per la prima volta) che si è creato a causa della paura collettiva di perdere la vita propria o i propri cari, il Governo ha preso decisioni di limitazione delle libertà individuali e dei diritti assolutamente eccezionali. Il potere in Italia non ha però potuto né voluto muoversi esercitando un controllo totale e assoluto tramite la tecnologia, e si è aperto un dibattito che si è specificamente concentrato sull’uso del digitale, e più precisamente di un’app di tracciamento dei contagi.

Il contesto delle misure eccezionali adottate dal Governo in Italia è quello in cui è maturato il dibattito su opportunità, efficacia, rischio ed etica dell’uso di tecnologie di tracciamento come una delle azioni di difesa dall’attacco del virus. Si è parlato di strategia delle ‘3 T’: testare, tracciare, trattare. Cerchiamo di offrire spunti critici per riflettere sulla relazione tra salute, libertà, diritto alla privacy, opportunità, efficacia ed etica di tracciamento e rintracciamento (track e tracing) tramite una mobile app per smartphone.

A livello mondiale, il mappamondo digitale ci racconta di una nazione di 5,2 miliardi di utenti di telefonia mobile, di cui 3,8 ha uno smartphone, e 4,54 miliardi di persone connesse a internet a inizio 2020. Mediamente ogni persona trascorre 6 ore e 43 minuti al giorno su internet, come media globale. Su questa scala, Facebook a marzo 2020 ha raggiunto una popolazione di 3 miliardi di utenti unici attivi su circa 4 miliardi di utenti dei social media; più di 2 miliardi usano YouTube, 1 Instagram, 1 TikTok, 350 milioni Twitter. Google, proprietaria di Chrome, Android, e servizi che oltre al motore di ricerca includono Gmail, G-Suite, Google Maps e Waze, si può stimare che abbia oltre 3,5 miliardi di utenti. Apple conta su una popolazione di 1,5 miliardi di utenti dei propri servizi.

Cosa sanno Apple, Google e Facebook dei propri utenti? In linea generale, se si ha uno smartphone in tasca, il tracciamento della posizione è un’opzione a disposizione dell’utente e in Italia la penetrazione di smartphone supera il 93% nella popolazione tra i 18 e i 75 anni.

Che moltissime persone scelgano servizi che li tracciano è noto non solo a chi abbia competenze tecniche, ma anche al marketing, al mondo della pubblicità e dell’e-commerce, tra gli altri. Il tracciamento può avvenire in vari modi, e in generale passa attraverso le app che abbiamo installato nel dispositivo digitale (smartphone, tablet, smartwatch, ecc.). L’idea con cui molti Paesi hanno pensato di andare a contrastare Covid-19 è stata di usare la rete internet e il suo potenziale. Dal punto di vista della pura lettura dei mappamondi, quello fisico visto dal virus che attacca e quello digitale sotto gli occhi di noi che difendiamo, l’uso del digitale è un atto di pura logica. Ma la sensatezza della scelta di ferma qui. La creazione di una app globale non esiste né è mai stato pensato di poterla concepire da parte dei differenti Governi.

Guardiamo all’Italia. Se mettiamo insieme il fatto che la quasi totalità della popolazione italiana dispone di uno smartphone su cui scaricare un’app, la possibilità di preservare il diritto alla privacy e all’anonimato anche con tecnologie di tracciamento, la disponibilità alla collaborazione col Governo da parte di Apple e Google, e il fatto che quasi tutti abbiamo già autorizzato una o più società a tracciarci con app e altri software progettati per influenzare i nostri consumi, allora si potrebbero associare un senso di sicurezza, opportunità ed efficacia all’idea della realizzazione e diffusione dell’app. Ci sono però diversi elementi che mettono in questione proprio questi punti.

Prima osservazione, il tracciamento degli utenti da parte delle app serve a trasformare i dati e le informazioni raccolti in strategie di marketing per orientare i consumi. Incide sulla dimensione del consumatore, non della persona in quanto tale e come cittadino, come sarebbe nel caso in cui tracciamento e raccolta la facesse lo Stato. Nel momento in cui è uno Stato a raccogliere i dati, il fine cambia e riguarda direttamente tutto ciò di cui si occupa lo Stato, inclusi salute, scuola, sicurezza, servizi al cittadino e alle imprese, ecc. Il proprietario di un’app cui ho concesso l’autorizzazione a tracciarmi per finalità commerciali può riservarmi un privilegio per esempio in forma di sconto che altri non hanno, ma lo Stato creando filtri o privilegi potrebbe costituire cittadini di serie ‘A’ e di serie ‘B’.

C’è un altro rischio, che è quello che i dati siano rubati, con potenziali conseguenze molto gravi. Su questo piano, il rispetto della privacy non è solo una questione di identità, ma di sicurezza e libertà.

Altra osservazione: app volontaria o obbligatoria? Covid-19 ha creato condizioni eccezionali e la risposta dello Stato è stata assolutamente eccezionale. Se riteniamo democraticamente, tutti insieme, che si debba e si possa rispondere al virus anche imponendo al cittadino l’uso obbligatorio di un’app, allora l’eventuale norma potrebbe avere legittimità e sostegno. Tuttavia, sia nel remoto caso che sia imposta in Italia come un obbligo, peraltro già scartato, sia di volontarietà dell’installazione dell’app, ci sono ancora altre osservazioni da sviluppare.

Supponiamo che l’app sia stata concepita e sviluppata nel rispetto dell’anonimità dell’utente, cosa in effetti possibile con l’uso della tecnologia Bluetooth. La prima lista di requisiti per renderla accettabile e, se vogliamo, a norma di legge è che sia una soluzione necessaria e proporzionata. In buona sostanza, deve essere efficace nel contenimento del virus e non raccogliere né conservare informazioni che non siano adeguate allo scopo per cui è nata. Vale anche per i tempi: non avrebbe senso che conservasse gli spostamenti in memoria per cinque anni dato il periodo di incubazione e contagiosità indicato dagli scienziati.

L’app deve essere, in più, basata su elementi scientifici e non su distorsioni o pregiudizi. Sia la storia sia il comportamento di alcuni politici nel mondo dimostrano che pregiudizi e discriminazioni sono sempre all’ordine del giorno in casi come questo della pandemia, vuoi per motivi etnici, o religiosi, o di orientamento sessuale per esempio.

Altro componente della lista dei requisiti è che abbia una data di scadenza, che il software di sorveglianza (come potremmo meglio definire l’app senza timore di essere contraddetti) cessi di funzionare e sia cancellato una volta superata la crisi per cui è nato.

La trasparenza è un altro elemento. Il Governo che vuole introdurre tecnologie di tracciamento deve offrire informazioni dettagliate su quali informazioni sono raccolte, come, per quanto tempo, con quali strumenti e metodologie vengono trattati i dati, come i dati sono usati per prendere decisioni sulla salute pubblica, e quali sono i risultati, con aggiornamenti regolari e un approccio di open data.

Il diritto al ricorso a un’istanza definitiva umana nelle decisioni prese da sistemi tecnologici è un altro punto. Se, in virtù dell’applicabilità degli effetti di tracciamento connessi all’uso di tecnologie di sorveglianza, un cittadino subisse una limitazione personale, dovrebbe essergli garantito l’immediato accesso al ricorso motivato contro il provvedimento.

Ricordiamo che il tutto deve essere scientificamente fondato: questo è un prerequisito insuperabile. Tutto ciò definito, la riflessione sull’eticità dell’app, volta a garantire che il cittadino sia rispettato secondo criteri più alti ed evoluti che ispirano sia la convivenza civile sia il diritto nel suo complesso, ci porta a toccare alcuni altri elementi che possono rendere l’app una scelta perseguibile o meno.

Lo scopo e il funzionamento dell’app devono essere assolutamente chiari e conosciuti, altrimenti l’utente potrebbe per esempio interpretare scorrettamente un alert e prendere decisioni sbagliate e/o pericolose. Non deve monitorare il comportamento di una persona; deve essere accessibile a chiunque la voglia installare; deve essere cancellabile in ogni momento; il suo uso deve essere giustificato nell’ambito di un preciso e trasparente stato di fatto del contagio.

In questo quadro di osservazioni, se anche si realizzassero le condizioni di rispetto normativo ed etico e si decidesse di investire su sviluppo, diffusione, uso e gestione dell’app, si dovrebbe comunque fare i conti con le intenzioni e le attitudini dell’utente: in quanti effettivamente la scaricherebbero volontariamente, i livelli di alfabetizzazione al digitale medi in Italia e i rischi insiti nel basarsi sulle auto-dichiarazioni in relazione alle sintomatologie individuali.

Gli scienziati insistono sul fatto che una reale efficacia dell’app si avrebbe laddove vi fosse l’adozione spontanea all’uso corretto della stessa da parte del 60% della popolazione. L’app anti Covid-19 dovrebbe essere correttamente adottata da più di trenta milioni di italiani. Le app più diffuse sui cellulari del Bel Paese raggiungono i 24 milioni di utenti al massimo.

Ulteriore elemento a detrimento dell’investimento collettivo in un’app: l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) nei dati del report del 2019 scrive che solo il 44% degli individui tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (gli ultimi dati disponibili sono del 2017) in Italia. Questo, insieme con il fatto che non tutti possono permettersi uno smartphone dotato delle tecnologie necessarie, provocherebbe una discriminazione e sarebbe causa della creazione di cittadini di serie ‘A’ e ‘B’.

Ultimo ma non ultimo elemento chiave per riflettere, la validità di un sistema volontario che si basa su autodichiarazioni. Stiamo disegnando uno scenario di un’app che si muove nel pieno rispetto delle leggi, dunque non invia autonomamente informazioni sullo stato di salute né a medici o ospedali né tantomeno a centri di coordinamento tipo forze di polizia o enti votati alla protezione della salute pubblica. In tal caso i primi due errori di sistema che potrebbero verificarsi sono la segnalazione di falsi positivi o la mancata segnalazione di falsi negativi. L’app funziona contro il virus solo se impiegata come parte della strategia delle ‘3 T’, dunque un’omissione o cattiva interpretazione dei propri sintomi da parte del cittadino potrebbe produrre a cascata una serie di conseguenze di non poco conto, se non anche estreme, come per esempio il rischio di bloccare l’attività di un ospedale. Sono i casi in cui un utente con un mal di testa si spaventa, sospetta di aver contratto il virus e attiva la segnalazione oppure, al contrario, di un utente con tosse e altri sintomi che li sottovaluta e non ne ‘informa’ l’app. Si possono facilmente immaginare le conseguenze pericolose in entrambi i casi.

Ulteriore rischio è che un utente volutamente non registri una situazione con chiari ed evidenti sintomi. Può succedere perché ha un lavoro precario e una situazione di fattuale necessità che lo spinge a scegliere di omettere, ed è solo uno dei mille esempi possibili. Dalla parte opposta, potrebbe esserci un negativo che per qualche motivo ha intenzione di creare il panico, per cui per esempio dedica tutto un giorno a frequentare posti a rischio di rapido contagio e poi il giorno dopo segnala di avere tutti i sintomi.

Per chiudere, il furto di identità e l’uso illegale di dati da parte di pirati che potrebbero entrare nei cellulari impone di considerare anche i rischi che ne derivano.

Sul campo di battaglia tra un nemico globale, agile e velocissimo, e una serie di strategie di difesa disomogenee, tardive, che dipendono da collaborazione con i colossi della tecnologia, diffusione dei dispositivi, propensione a scaricare app, competenze informatiche e rischi di varia natura, pur in un quadro di pieno rispetto della privacy e dei principi etici l’app resta una scommessa più che un possibile strumento efficace, al momento.

*Professore a contratto di Social Media Marketing e formatore presso l’IUSVE, Istituto Universitario Salesiano Venezia

___

Risorse

https://www.eff.org/deeplinks/2020/03/protecting-civil-liberties-during-public-health-crisis

https://www.eff.org/issues/covid-19

https://thephilosophyofinformation.blogspot.com/2020/04/mind-app-considerations-on-ethical.html

https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/scoreboard/italy

https://wearesocial.com/it/digital-2020-italia