ATTUALI CRITICITÀ DELLA MAGISTRATURA E DEL CSM – DI ALESSIO LANZI
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di Alessio Lanzi*
Il triste momento che la magistratura sta attraversando porta irreparabilmente ad una pericolosa perdita del prestigio di cui dovrebbe godere l’Autorità Giudiziaria. Ciò è dovuto ad una grave crisi di sistema che la riguarda, a partire dallo strapotere delle Procure; ma anche la giurisdizione vera e propria, la categoria dei giudici, non sempre è stata immune da anomalie, specie quando si è voluta sostituire al Legislatore. In un tale contesto, fra l’enorme peso delle Procure e le deviazioni di numerosi giudici creativi, sta il Consiglio Superiore della Magistratura. Gli artefici del cd. “Sistema” influiscono grandemente sulle sue attività e risoluzioni. In un tale scenario, la componente “laica” del Consiglio può svolgere una qualche funzione di riequilibrio. È comunque urgente e necessario un intervento legislativo di riforma del CSM, specie con riferimento all’accesso della componente togata, con il ricorso al “sorteggio” fra gli eletti (e non viceversa). Per superare il correntismo sarebbe anche opportuna la regola dello scrutinio segreto per l’accesso agli incarichi direttivi e semidirettivi. È poi curioso che all’interno del CSM non si parli praticamente mai di diritto e di procedura penale riguardo ai temi della giustizia penale. Mai una parola né un riferimento alle scelte interpretative e applicative della disciplina penale, sostanziale e processuale, di cui ha fatto uso il candidato ad un incarico di rilievo. Anche questo è un tema che, per dare credibilità e fiducia all’amministrazione di una effettiva “Giustizia Penale”, dovrebbe essere radicalmente rivisto in sede normativa.
Il triste momento che la magistratura sta attraversando porta irreparabilmente ad una pericolosa perdita del prestigio di cui dovrebbe godere l’Autorità Giudiziaria.
Quello che viene svelato, e che appare sui media e sulle rivelazioni di parte, è però il picco più appariscente di una grande crisi di sistema che coinvolge l’ordine giudiziario.
Un potere che in parte è uscito, anche per svariati motivi di carattere sociologico e ordinamentale, dal proprio perimetro costituzionale, e che con una reiterata attività di supplenza e di interventi oltre i propri limiti si è reso vero e proprio soggetto politico, attribuendosi prerogative che non gli possono essere concesse.
L’orrido spaccato che è emerso affonda le sue radici in numerose anomalie.
Probabilmente la principale è lo strapotere delle Procure, che condiziona la politica vera e propria, detta l’agenda della gestione della cosa pubblica, comporta intrighi e manovre per assicurarsene il controllo.
Sul punto, ben oltre tutti gli orpelli che da tempo si è cercato di trovare con improbabili riforme, il punto centrale rimane l’indispensabile separazione delle carriere tra Giudice e PM e la creazione di un CSM ad hoc per i pubblici ministeri.
Ma anche la giurisdizione vera e propria, la categoria dei giudici, non sempre è stata immune da anomalie, specie quando si è voluta sostituire al Legislatore, lo ha esautorato, superando volutamente la lettera della legge e agendo quale vero e proprio giudice di scopo, e dunque si è resa anch’essa soggetto politico, travalicando la regola imposta dall’articolo 101, 2° comma della Costituzione.
Il ruolo che il potere giudiziario, giudicante, è riuscito a farsi assegnare da un pavido e miope legislatore, specie con l’introduzione della nomofilachia (istituto di per sé accettabile, ma dalle conseguenze devastanti se calato nel contesto del nostro sistema confuso), ha determinato il ruolo essenziale delle Sezioni Unite.
E allora non possiamo che guardare con apprensione anche la deriva che sta talvolta prendendo la nostra giurisprudenza a tal proposito.
Precedenti che sviliscono la chiara lettera della legge, che integrano a loro piacimento il precetto penale e la sua rilevanza.
Non è un caso che addirittura gli incidenti di costituzionalità investano non solo la disposizione di legge ma anche l’interpretazione che ne danno e l’applicazione che ne fanno i giudici.
Sovente, poi, si sente anche parlare di un diritto vivente che dovrebbe tener conto di un imprecisato e impalpabile “sentimento di giustizia”, in alcun modo però regolamentato; realizzandosi così il presupposto per la figura del “giudice di scopo” ed il consolidamento del principio della giurisprudenza come fonte del diritto.
E talvolta, a parziale giustificazione di tutto ciò, a guardar bene oltre il perimetro dell’articolo 101, 2° comma, della Costituzione, si enuncia la rassicurante conclusione di un “diritto vivente soggetto alla legge”.
In realtà, dal momento che il giudice è certo, e necessariamente, soggetto alla legge, la sua giurisprudenza è legittima solo se la rispetta, senza spazi per allargare la prospettiva costituzionale anche ad un diritto vivente eventualmente esorbitante dallo stretto perimento della disposizione.
In un tale contesto, fra l’enorme potere delle Procure e le deviazioni di numerosi giudici creativi, sta il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di rilevanza costituzionale deputato ad organizzare, amministrare e gestire la Magistratura unificata di Giudici e PM.
I terribili e raccapriccianti spaccati, emersi a seguito di ancora oscure situazioni ed evenienze della primavera del 2019, hanno fatto emergere una realtà, talvolta intuita, ma certo per i più non ipotizzabile nella sua reale dimensione e gravità.
Si è così visto, confermato e capito come nelle mani di un ristretto numero di magistrati (nell’ordine numerico di non più di qualche punto percentuale del numero dei magistrati italiani) stesse tutta la gestione della Magistratura e, con essa, della componente togata e delle attività del CSM.
Credo però che sarebbe riduttivo parlare, a tal proposito, solo della degenerazione delle correnti e del fenomeno del correntismo.
L’aggregazione dei magistrati in correnti risponde infatti ad una ineliminabile e avvertita esigenza di aggregazione degli individui sulla base di affinità culturali ed ideologiche che li accomunano; e questo è un bene.
Quello che ha determinato la degenerazione del correntismo è che l’aggregazione nasce in realtà il più delle volte dalla ricerca del potere, dalla volontà di far parte di un gruppo principalmente (se non unicamente) per assicurarsi dei privilegi; e così per supportare e promuovere anche posizioni altrui solo per assicurarsi una rete di clientele utile poi alla propria affermazione.
Gli artefici di una tale situazione (che Palamara ha definito “il Sistema”) influiscono grandemente sulle attività e le risoluzioni del CSM, sovente organizzate e raggiunte sulla base di accordi fra loro intercorsi.
Di fronte a ciò, non è raro il contrasto promosso, con lodevole impegno, da quei pochi che non sono corrivi alle logiche correntizie; ma si tratta di attività destinate il più delle volte all’insuccesso se non accompagnate dall’appoggio di una corrente.
In un tale scenario, la componente “laica” del Consiglio, composta da coloro che sono stati eletti dal Parlamento (8 rispetto a 18 magistrati componenti), può svolgere una qualche funzione di riequilibrio, operando – in nome della società civile che li ha designati – una vera e propria funzione di contrappeso alla componente togata che altrimenti sarebbe del tutto autoreferenziale.
Ma non sempre ciò è facile e possibile, e per diversi fattori, in quanto: in realtà i laici operativi sono effettivamente solo sette (il laico nominato vicepresidente non partecipa mai alle votazioni e, salvo personalità incombenti, svolge più che altro funzioni di rappresentanza e organizzative); si può realizzare il caso di laici funzionali a una corrente e a questa proclivi; può esservi un condizionamento del laico da parte di quella forza politica che lo ha designato, e che così partecipa contingentemente alle finalità di una corrente.
Fermo restando che comunque la componente laica è essenziale allo spirito, alla funzionalità e alla struttura di un organo come il CSM, tali distorsioni possono essere grandemente esorcizzate solo sottolineando e auspicando che i partiti designino laici che, per curriculum, autorevolezza ed esperienza professionale possano ritenersi impermeabili a simili commistioni.
In un tale quadro, avviene dunque che sovente il fenomeno del correntismo, e i giochi di potere che lo caratterizzano, condizionano fortemente, all’interno del Consiglio, le sue decisioni, e, fra queste, le attribuzioni degli incarichi direttivi e semidirettivi[1].
Poiché ciò è ormai sotto gli occhi di tutti, è veramente urgente e necessario un intervento legislativo di riforma del CSM, specie con riferimento all’accesso della componente togata.
In tale prospettiva, pur nel rispetto dell’art. 104 della Costituzione, che prevede l’elezione dei componenti togati da parte di tutti i magistrati ordinari, da tempo mi sono dichiarato favorevole al ricorso al “sorteggio” fra gli eletti (e non viceversa).
In tal modo, fermo il presupposto dell’elezione, le correnti non potrebbero interferire con l’alea del sorteggio; così realizzandosi una minore dipendenza del nominato dalla corrente.
Come anche mi sono reso promotore, unitamente ad altri componenti laici del CSM, della proposta di una modifica regolamentare nel senso di prevedere lo scrutinio segreto con riferimento alla nomina per gli incarichi direttivi e semidirettivi della magistratura.
Ciò, infatti, consentirebbe al singolo consigliere togato, nel segreto dell’urna, di esercitare un voto libero e indipendente, non condizionato dall’appartenenza alla corrente.
Non può essere casuale, infatti, la circostanza che allo stato le correnti (salvo talune lodevoli eccezioni) votino sempre compatte su un candidato agli incarichi direttivi e semidirettivi.
Evidentemente il vincolo di corrente di regola prevale sulla propria opinione personale.
C’è veramente da augurarsi, specie ora, con un Ministro della Giustizia dall’alto profilo scientifico e istituzionale, che si realizzi finalmente una profonda riforma del CSM e delle sue caratteristiche.
Fra queste, non da ultimo, anche la completa ristrutturazione della Commissione disciplinare, che, allo stato, è composta dalla quasi totalità dei componenti del CSM, togati e laici.
Il che comporta seri problemi e criticità per quanto concerne incompatibilità e sovrapposizione di ruoli fra questa e le altre Commissioni; a parte anche – in un momento critico e d’emergenza qual è il presente – le notevoli difficoltà per la gestione e l’organizzazione dei lavori ordinari delle varie altre Commissioni.
Infine, vorrei rappresentare una curiosa considerazione, frutto dell’esperienza ormai pluriennale di componente del CSM.
È indubbio che i temi di maggior contrasto e criticità riguardano sempre la giustizia penale, specie, come già detto, la nomina dei vertici delle grandi Procure.
Orbene, con riferimento alla giustizia penale, penso proprio di aver maturato una qualche esperienza, dopo quasi mezzo secolo di esercizio dell’avvocatura nelle difese penali e dopo non meno di quarant’anni di insegnamento del diritto penale.
Ho ben chiaro, dunque, quali sono i temi che maggiormente riguardano il processo penale e quali criticità vi si incontrano nel concreto.
A fronte di ciò, sono dunque non poco stupito dal fatto che, per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia penale, non si parla praticamente mai di diritto e di procedura penale; e delle loro peculiarità applicative.
Tutto si riduce sempre e solo a valutazioni comparative basate sugli incarichi ricoperti; sulle capacità ed attitudini a gestire amministrativamente un ufficio; ai rapporti coi colleghi, coi dirigenti e coi funzionari nell’ambito delle funzioni già ricoperte.
Mai una parola né un riferimento alle scelte interpretative e applicative della disciplina penale, sostanziale e processuale, di cui ha fatto uso il candidato ad un incarico direttivo.
Quello che interessa per essere ai vertici di un ufficio che dispensa la giustizia penale è sempre indifferente alla conoscenza, alla valutazione critica e all’applicazione delle regole volute dalla Legge per quel settore di attività.
I contenuti di una sentenza redatta dal candidato, in punto di buona e corretta applicazione degli istituti penalistici, non vengono minimamente considerati, né suscitano alcuna curiosità.
La fondatezza giuridica delle contestazioni mosse dal PM, così come l’esito giudiziario delle sue iniziative, non interessano in modo alcuno (!).
Si vive nel limbo di una selezione puramente amministrativa di coloro che poi, una volta assunto l’incarico, decideranno del destino delle persone a seguito dell’impiego e dell’applicazione degli Istituti penalistici.
È come se medici e sanitari, confrontandosi fra loro, pensassero solo all’organizzazione del reparto, alla gestione del personale e mai alle efficaci cure da somministrare ai pazienti; come se i piloti di aeromobili venissero selezionati solo sulla base della conoscenza dei servizi di terra, delle strutture aereoportuali e non in relazione alle capacità operative di gestire tecnicamente un volo e un atterraggio; e via dicendo…
Alla mia incredula domanda di come tutto ciò sia possibile, e di come questo si concili con la sempre ventilata prospettiva di dare rilevanza al “merito” (nella comune accezione che ne ha la società civile), mi è stato risposto che la “valutazione tecnica” (così si chiama) riguarda solo gli accessi in Cassazione, a seguito di giudizi espressi da una apposita Commissione.
Praticamente: è come se dalle indagini preliminari, fino alla sentenza di appello, nel processo penale non si dovesse mai applicare il diritto penale, sostanziale e processuale, e rendere conto di come lo si è fatto!
Anche questo è un tema che, per dare credibilità e fiducia all’amministrazione di una effettiva “Giustizia Penale”, dovrebbe essere radicalmente rivisto in sede normativa.
Per il momento, ce lo possiamo solo augurare.
*Componente del Consiglio Superiore della Magistratura eletto dal Parlamento
[1] Addirittura abbiamo appreso che tali deviazioni hanno anche realizzato vere e proprie campagne giudiziarie rivolte contro esponenti di spicco della società civile; così condizionando ed incidendo sullo stesso assetto dello Stato democratico. Questa mostruosità evidentemente esula dalle vere e proprie tematiche del CSM, e non ci si può che augurare che venga chiarita e compiutamente disvelata, per ripristinare, quantomeno, la dignità della “cosa pubblica”, ferita e umiliata.