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CESSAZIONE DELL’ENTE E RESPONSABILITÀ PER L’ILLECITO DERIVANTE DA REATO EX D.LGS. 231/01.  LA CASSAZIONE PRENDE POSIZIONE SULLE CONSEGUENZE DELLA “ESTINZIONE FRAUDOLENTA” DELLA PERSONA GIURIDICA – DI FABRIZIO SARDELLA

CESSAZIONE DELL’ENTE E RESPONSABILITÀ PER L’ILLECITO DERIVANTE DA REATO EX D.LGS. 231/01. LA CASSAZIONE PRENDE POSIZIONE SULLE CONSEGUENZE DELLA “ESTINZIONE FRAUDOLENTA” DELLA PERSONA GIURIDICA – DI FABRIZIO SARDELLA

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CESSAZIONE DELL’ENTE E RESPONSABILITÀ PER L’ILLECITO DERIVANTE DA REATO EX D.LGS. 231/01. LA CASSAZIONE PRENDE POSIZIONE SULLE CONSEGUENZE DELLA “ESTINZIONE FRAUDOLENTA” DELLA PERSONA GIURIDICA.

THE EXTINCTION OF A COMPANY AND THE CONSEQUENCES REFLECTING ON ITS CRIMINAL LIABILITY PURSUANT LEGISLATIVE DECREE N. 231 OF 2001. THE SUPREME COURT PRONOUNCES ON THE EFFECTS OF THE “UNLAWFUL EXTINCTION” OF THE LEGAL PERSON.

di Fabrizio Sardella*

Cass. Pen., Sez. V, sent. 27 aprile 2021, (dep. 5 luglio 2021), n. 25492.

Responsabilità degli enti da reato – Costituzione dell’ente nel procedimento – Vicende modificative dell’ente – Cessazione dell’attività – Elusione fraudolenta – Obbligo solidale del pagamento della pena in capo al cessionario.

(Artt. 2, 27, 33, 39, 41 D.Lgs. 231/01; art. 150 c.p.)

SOMMARIO: 1. La disciplina ex D.Lgs. 231/01 sulle vicende modificative dell’ente – 1.1 L’estinzione dell’ente. Il fallimento e le altre cause – 2. Nomina del difensore dell’ente. Conseguenze dell’atto disposto dall’amministratore in conflitto – 3. La vicenda oggetto della sentenza: i fatti accertati nel giudizio di merito – 4. Le argomentazioni della Corte di Cassazione – 5. Rilievi critici – 6. Conclusioni.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte ha analizzato le conseguenze della cessazione dell’attività dell’ente originariamente incolpato nel procedimento penale (ex art. 5 D.Lgs. 231/01) ed il ruolo processuale dell’ente che, di fatto, sia succeduto a quest’ultimo a seguito nell’attività. Connotano le statuizioni della Corte di Cassazione due presupposti: in primis, l’ente incolpato ab origine è stato ritenuto “fraudolentemente cessato” e, quindi, la Corte ha ritenuto che se ne fosse determinata la “morte” al solo scopo di evitare l’applicazione del trattamento sanzionatorio. In secondo luogo, la nomina del difensore dell’ente poi cessato era stata conferita dal Legale Rappresentante in conflitto, in quanto imputato a sua volta nel procedimento. In funzione di quanto premesso, la Corte ha ritenuto applicabile al caso di specie la disciplina della cessione di azienda ex art. 33 del Decreto e, conseguentemente, è stato disapplicato l’art. 39, reputando che l’ente cessionario partecipasse al processo non in qualità di responsabile per l’illecito, ma in quanto (solo) solidalmente obbligato al pagamento della sanzione pecuniaria. L’approfondimento riguarda i risvolti applicativi dell’art. 39 D.Lgs. 231/01 in caso di cessazione dell’ente, con specifica considerazione delle prerogative difensive riconosciute in capo all’ente reputato cessionario. Vengono, poi, considerati alcuni passaggi della sentenza che destano perplessità, anche con riguardo a possibili profili di incoerenza motivazionale interna del provvedimento in commento.

The Ruling of the Supreme Court, here analyzed, takes into consideration the consequences of the extinction of a Company, occurred during the Criminal Proceeding, on its Criminal liability (pursuant Article 5 of Legislative Decree n. 231 of 2021) and on the legal person that succeeded the Company on the management of its core activities. The premises must be made before starting the analysis of the Decision: first, the liable legal person was considered as “unlawfully extinct”, the Court indeed considered that the legal person was terminated on purpose, in order to avoid the application of the sanctions provided by the Decree 231; secondly, the appointment of the Company’s Attorney came from a legal representative of the Company, who was, in turn, accused in the same Criminal Proceeding and then in a conflict of interest. The Court decided to apply the regulation of Article 33 of the Legislative Decree n. 231 of 2021, and rejected the discipline of Article 39, because the legal person was participating to the Proceedings as civilly obligated to the payment of the financial penalty, and not being subject of the Criminal accusation. The present study regards the application of Article 39 in case of termination of the Company, especially in relationship with the rights of defense for the transferee Company. The focus moves then on some questionable arguments of the decision, also considering that profiles of incoherence could possibly emerge from the Sentence.           

1. La disciplina ex D.Lgs. 231/01 sulle vicende modificative dell’ente.

Il D.Lgs. 231/01 contiene, al Capo II – Sezione II, disposizioni peculiari, atte a regolare il rapporto tra vicende modificative e imputazione della responsabilità patrimoniale da “colpa organizzativa” in capo dell’ente[1]. Il principio ispiratore della disciplina è essenzialmente improntato a mantenere le sanzioni pecuniarie ancorate al centro di interesse economico, mentre quelle interdittive restano incardinate al ramo d’azienda nel cui contesto si sia manifestata l’insufficienza organizzativa propiziatrice delle condotte illecite presupposto. La ratio che ha mosso il legislatore è quella di imputare le conseguenze della condotta illecita – siano esse di carattere patrimoniale od operativo – sul soggetto giuridico risultante, allorché quest’ultimo abbia tratto benefici economici dalla vicenda modificativa. Nell’ambito della disciplina delle vicende modificative, il Decreto ricomprende, altresì, la cessione d’azienda, che la Corte ha inteso applicare nel caso analizzato nella presente sede. In particolare, l’art. 33 prevede che, in caso di cessione dell’azienda nel cui contesto sia stato commesso il reato, il cessionario è obbligato in solido al pagamento della sanzione pecuniaria, previo tentativo di escussione del cedente. Mentre per altre vicende modificative il Decreto stabilisce espressamente le sorti della responsabilità derivante da reato[2], in relazione alla cessione d’azienda non viene specificato il destino della responsabilità da reato. La disposizione si cura esclusivamente di garantire la trasmissione dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria. La più che evidente ragione risiede nel fatto che la cessione d’azienda differisce smaccatamente dagli altri istituti considerati, non comportando la stessa una successione nella soggettività giuridica, quanto, piuttosto, il mero passaggio di controllo da un cedente ad un cessionario del «complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa».

Inoltre, il D.Lgs. 231/01 nulla prevede con specifico riguardo a quelli che sono gli effetti dell’estinzione dell’ente sui meccanismi di attribuzione della responsabilità derivante da reato[3]. Urge, infatti, sottolineare che le sole cause di estinzione dell’illecito espressamente menzionate dal Decreto sono la prescrizione dell’illecito amministrativo[4] e l’intervenuta amnistia in relazione al reato presupposto. Solo tali condizioni conducono alla dichiarazione di improcedibilità prevista dal D.Lgs. 231/01[5]. Tuttavia, stante la parificazione normativa tra i diritti processuali dell’ente incolpato e quelli di cui gode la persona fisica imputata, in quanto compatibili[6], gli effetti giuridici della cessazione dell’ente sembrano potersi ritenere equivalenti a quelli conseguenti alla morte del reo. Pertanto, l’estinzione dell’ente dovrebbe comportare, parimenti, l’estinzione del reato. A questa conclusione è giunta, però, solo parte della dottrina[7], mentre altri autori hanno criticato fortemente l’idea di ricorrere a tale parificazione. Da un lato, infatti, difetterebbero i fondamenti normativi atti a giustificarla e, dall’altro, si tratterebbe di una scelta marcatamente irragionevole. Secondo gli autori che hanno proposto teorie alternative, infatti, gli effetti della parificazione tra cessazione dell’ente e morte del reo potrebbero essere propedeutici all’adozione di condotte fraudolente intese ad eludere l’applicazione della sanzione pecuniaria a carico dell’ente condannato, il quale potrebbe aggirare l’onere del pagamento tramite la propria cancellazione dal registro delle imprese[8]. Tale ultimo rilievo, ancorché fondato, non dovrebbe però destare grosse preoccupazioni. In concreto è infatti difficile ipotizzare che una società strutturata ed operativa, anche se di piccole dimensioni, possa considerare l’ipotesi di ricorrere alla cancellazione dal registro delle imprese per il solo scopo di eludere la sanzione[9].

Per quanto attiene alla posizione della giurisprudenza, risulta ormai consolidato il principio secondo cui la cancellazione della società indagata o incolpata dal registro delle imprese origina un fenomeno del tutto assimilabile a quello regolato dall’art. 150 c.p., con la conseguente estinzione dell’illecito dipendente da reato[10]. La giurisprudenza di merito, spingendosi oltre, ha evidenziato l’inapplicabilità di un’estensione analogica delle disposizioni in materia di vicende modificative dell’ente al caso della cessazione dell’impresa, in quanto tale interpretazione costituirebbe, a tutti gli effetti, un’analogia in malam partem[11]. Il medesimo approccio interpretativo è stato adottato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che, nella sentenza n. 41082 del 2019, ha affermato che in caso di estinzione dell’ente si devono applicare le regole del processo penale riguardanti la posizione dell’imputato persona fisica. Tale sentenza compie però un passo ulteriore, introducendo una distinzione tra estinzione “fisiologica” e “fraudolenta” dell’ente, senza però prendere una posizione definitiva sui risvolti processuali di una eventuale estinzione «patologica»[12]. È vieppiù doveroso specificare che detta sentenza afferma che, in caso di estinzione fraudolenta, si imporrà la «valutazione dell’eventuale responsabilità degli autori della cancellazione patologica». Tale prospettiva ermeneutica è diretta a sollecitare un accertamento della responsabilità penale degli autori del reato (che sono sempre le persone fisiche) per le condotte fraudolente e/o dissimulatorie poste in essere[13]. Viceversa, non sembra corroborare in alcun modo la possibilità di operare un’estensione analogica della disciplina in materia di vicende modificative al caso della “estinzione fraudolenta”, ossia al caso in cui l’ente sia estinto e le attività proseguano altrimenti. Il tema dei risvolti processuali ex D.Lgs. 231/01 del caso di “cessazione fraudolenta” è affrontato quindi ex novo dalla sentenza in commento. Quivi si definiscono delle conseguenze riguardanti il caso in cui l’estinzione dell’ente sia volutamente provocata dai soggetti che lo amministrano, allo scopo di aggirare l’applicazione di eventuali sanzioni di cui al Decreto. Premesso che non esiste alcuna previsione normativa che disciplini espressamente tale situazione e ribadito che la Giurisprudenza non ha sinora fornito un incontrovertibile approdo interpretativo, occorre chiedersi se sia corretto che l’autorità giudiziaria faccia ricorso allo strumento dell’analogia legis, estendendo ai casi di “cessazione fraudolenta” gli effetti giuridici predisposti dall’art. 33 con riguardo alla disciplina della cessione d’azienda. Ed ancor prima, è giusto comprendere meglio la nozione di estinzione dell’ente, specificamente, poi, connotata dalla fraudolenza.

1.1   L’estinzione dell’ente: il fallimento e le altre cause.

A fini anzidetti non ci si può esimere dallo svolgere una breve ricognizione sulle più rilevanti cause di estinzione dell’ente. Una delle più comuni e, certamente, tra le più analizzate in giurisprudenza è il fallimento. Tale dichiarazione è da considerarsi nella prospettiva del suo impatto sul procedimento penale a carico dell’ente stesso. In generale, ad affiancare l’estinzione volontaria della società, che può avvenire per spontanea iniziativa dei soci, anche senza particolari ragioni giustificative, vi sono le cause di matrice giudiziale e quelle di carattere coatto amministrativo[14]. Per quanto di interesse nella presente sede occorre prendere in considerazione la prima tra le due categorie, analizzando gli effetti della procedura concorsuale fallimentare sull’ente. In particolare, interessa identificare correttamente il momento in cui l’ente può dirsi estinto all’esito dell’iter fallimentare, considerandone le conseguenze sul procedimento penale nel quale l’ente risulti, eventualmente, incolpato. In conseguenza della dichiarazione di fallimento, infatti, si perviene al sostanziale svuotamento dell’ente dalle facoltà che normalmente gli pertengono. In particolare, il soggetto fallito viene privato del potere decisionale e di disposizione in relazione al proprio patrimonio, sicché la società diviene essenzialmente inattiva, così configurando una situazione assimilabile, sotto il profilo degli effetti sostanziali, alla morte del reo/persona fisica. Sulla base di tali considerazioni, si era sviluppato in seno alla giurisprudenza di merito, un orientamento volto a parificare gli effetti della sentenza di fallimento a quelli del decesso della persona fisica, con la conseguente estinzione dell’illecito amministrativo contestato e la dichiarazione di non doversi procedere nei confronti della società. In taluni casi veniva finanche proposta una lettura atta a considerare la separazione soggettiva tra la curatela fallimentare e la società responsabile quale fonte di estinzione dell’illecito, motivata proprio nel fatto che la funzione retributiva e special-preventiva della sanzione ex D.Lgs. 231/01 mal si raccordasse con l’intervenuta successione nella titolarità effettiva sugli interessi dell’ente, e quindi con la diversità di soggetti coinvolti. Tuttavia, gli orientamenti maturati nel contesto dei giudizi di merito non hanno superato il vaglio della Corte di Cassazione, la quale ha invero sempre ritenuto imprescindibile, al fine di considerare estinta la società e, con essa, l’illecito alla medesima addebitato ai sensi del Decreto 231, la sopravvenienza della formale e definitiva cancellazione della società dal registro delle imprese ad opera del Curatore fallimentare[15]. È pertanto possibile concludere che, ogni qualvolta viene avviata una procedura concorsuale in pendenza di procedimento 231, lo stesso rimane in vita, ed il fallimento subentra anche nel correlato rapporto processuale pendente, venendo così chiamato a rispondere delle sanzioni pecuniarie eventualmente comminate all’ente.

Risulta doveroso circoscrivere in maniera chiara i casi di cessazione dell’ente che possano essere definiti come “patologici” e, quindi, caratterizzati da fraudolenza. La dottrina più attenta ha isolato specifici fattori di fraudolenza, presupposti in presenza dei quali si può intuire il carattere patologico della decisione di indurre la cessazione della società. Anzitutto è necessario che ricorra un prerequisito, ossia la consapevolezza in capo alla compagine societaria, circa l’esistenza di un procedimento penale, anche in fase di indagini preliminari, volto ad accertare la responsabilità ex D.Lgs. 231/01 a carico dell’ente. Inoltre, l’estinzione ben potrà apparire elusiva nel caso in cui, in sede di liquidazione non vengano presi in considerazione, in via precauzionale, i possibili esborsi correlati al soddisfacimento dell’obbligazione pecuniaria passibile di insorgere all’esito dell’eventuale provvedimento di condanna[16]. Naturalmente è inevitabile che la scelta estintiva adottata della compagine sociale si qualifichi come decettiva e contaminata da malafede.

2. Nomina del difensore dell’ente: conseguenze dell’atto disposto dall’amministratore in conflitto.

Prima di addentrarci ulteriormente nell’analisi della sentenza in commento, è doverosa una disamina della disposizione di cui all’art. 39 del Decreto 231. Ebbene, la disciplina prevede che l’ente debba necessariamente costituirsi in giudizio per tramite del proprio Legale Rappresentante pro tempore, il quale si deve pertanto premurare di conferire nomina e procura speciale al legale che assumerà il ruolo di difensore dell’ente nel procedimento penale. Qualora il Legale Rappresentante dell’ente non risulti indagato o imputato nel procedimento, nulla quaestio. Le problematiche insorgono laddove, al contrario, questi risulti a sua volta coinvolto nel procedimento penale, sicché la sua strategia processuale e difensiva sarebbe passibile di porsi in contrasto con quella della persona giuridica rappresentata dal medesimo. Poiché il legislatore si è limitato a prevedere che «l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo», le problematiche processuali sono state risolte in concreto dallo strumento nomofilattico. Sicché, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, sul Legale Rappresentante in conflitto vige un generale ed assoluto divieto di rappresentanza, la società dovrà necessariamente identificare al proprio interno un altro e diverso procuratore, munito dello specifico potere di conferire nomina al difensore, in modo da superare la presunzione di conflitto d’interesse e garantire il pacifico esercizio delle facoltà difensive dell’ente incolpato[17]. L’eventuale processo a carico dell’ente celebrato in violazione di tale principio, ossia con la partecipazione di un difensore di un difensore della persona giuridica nominato dal Legale Rappresentante in conflitto, si svolge essenzialmente in assenza del difensore della parte privata. In tale situazione emerge inesorabilmente l’insanabile violazione del diritto di difesa dell’ente, che è causa di nullità assoluta ed insanabile ai sensi degli artt. 178, comma I lett. c) e 179 c.p.p. e comporta, pertanto, la regressione del procedimento[18]. Del tutto prive di efficacia risultano, infatti, le attività svolte in giudizio dal legale dell’ente nominato in una condizione di incompatibilità[19]. La soluzione prospettabile, una volta appurata l’inefficacia ed invalidità della nomina conferita dal rappresentante coimputato, consiste nella dichiarazione di contumacia – rectius assenza[20] – dell’ente ai sensi dell’art. 41 D. Lgs. 231/01 ed alla conseguente nomina ex officio di un difensore.

3. La vicenda oggetto della sentenza: i fatti accertati nel giudizio di merito.

Plurimi soggetti operanti all’interno di un ente ponevano in essere una serie di condotte di falso, reputate penalmente rilevanti e meritevoli di condanna dal Tribunale di prime cure, sentenza poi confermata in appello. Complessa è la vicenda processuale che ha coinvolto l’ente di riferimento: all’esito, la condanna è infatti stata comminata a carico di un diverso soggetto collettivo, nel cui alveo operativo sarebbe confluito il responsabile dell’illecito amministrativo, la cui estinzione veniva reputata fraudolenta ed intesa espressamente ad aggirare l’applicazione delle sanzioni previste dal Decreto. Ad avviso dei Giudici di merito proprio la natura fraudolenta dell’estinzione e la successione fra gli enti giustificava la condanna a carico del secondo soggetto, responsabile di non aver adeguatamente presidiato il rischio di realizzazione del reato previa adozione di un Modello Organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello realizzatosi.

L’ente condannato proponeva quindi ricorso, del quale due sono i motivi che interessano in questa sede: in primo luogo, il ricorrente tacciava di nullità la sentenza di primo grado ed ogni conseguente atto processuale (art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p.), in virtù del fatto che la nomina al difensore del primo ente era stata conferita dal Legale Rappresentante in condizioni di incompatibilità ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. 231/01, essendo quest’ultimo imputato nel medesimo procedimento. Tramite il secondo motivo di ricorso venivano censurati, invece, i vizi motivazionali e la violazione degli artt. 27 e 35 del D.Lgs. 231/01, per la mancata declaratoria di estinzione dell’illecito amministrativo. L’ente condannato lamentava, infatti, che all’esito della cessazione del soggetto collettivo a cui era stato ascritto originariamente il reato presupposto si fosse verificata una mera devoluzione di beni in capo a sé, non anche un fenomeno successorio rilevante ai fini della trasmissione della responsabilità ex crimine, come ad esempio una fusione, una scissione o, ancora, una cessione d’azienda.

4. Le argomentazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato ambedue i motivi di doglianza, reputandoli manifestamente infondati. Il ragionamento della Corte si articola attraverso alcuni snodi fondamentali. Il Collegio pone anzitutto in evidenza l’inapplicabilità dell’art. 39 al caso di specie, ribadendo quanto già statuito in sede d’appello, ossia che la presenza del secondo ente «nel giudizio scaturisce non dal fatto che esso sia l’ente nell’interesse o vantaggio diretto del quale l’attività degli imputati è stata posta in essere, ma dal fraudolento trasferimento delle attività» del primo soggetto collettivo «in favore di un soggetto diverso, al fine di sottrarre il primo alle conseguenze sanzionatorie di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001». Richiamando la sentenza n. 41082 del 2019, analizzata nel primo paragrafo, la Corte ritiene di giustificare l’estensione della disciplina della cessione d’azienda al caso ivi in analisi. Secondo la lettura proposta dalla Corte, pertanto, qualora siano accertate la natura fraudolenta e l’intento elusivo dell’estinzione dell’ente, è giustificata «l’applicazione dell’art. 33 del D.Lgs. 231 del 2001 che prevede la responsabilità solidale del cessionario dell’azienda». Sottolinea la Corte che l’art. 33 non disciplina aspetti inerenti alla responsabilità dell’ente da reato, ma conferma l’applicabilità del solo istituto civilistico della responsabilità solidale del cessionario per il pagamento della sanzione. L’ente condannato viene considerato, nel caso concreto, quale soggetto solidalmente obbligato al pagamento di tale sanzione. In quanto a venire in rilievo è la sola responsabilità civilistica dell’ente cessionario, a nulla rilevano i limiti imposti dal principio di legalità di cui all’art. 2 del D.Lgs. 231/01, né le regole di cui all’art. 39 in materia di costituzione dell’ente nel procedimento. Gli ermellini concludono rilevando che, considerate le peculiarità della vicenda (fraudolenta estinzione), è del tutto irrilevante la mancanza nel procedimento dell’ente responsabile dell’illecito derivante da reato.

5. Rilievi critici

Nell’analisi della sentenza della Corte di Cassazione è inevitabile prendere le mosse dall’identificazione dei punti cruciali nonché dei dubbi sollevati dalla pronuncia: la “estinzione fraudolenta” dell’ente incolpato ab origine giustifica (sempre) l’analogica applicazione della disciplina in materia di cessione d’azienda? Quali sono gli effetti della conferma della sentenza di condanna sull’ente cessionario?

Nel tentare di rispondere al primo quesito, pare evidente che la Corte abbia inteso sterilizzare, tramite la propria interpretazione, il rischio che la condotta elusiva potesse consentire all’Ente originario di aggirare fraudolentemente l’applicazione della sanzione pecuniaria. In tal maniera, la Corte ha ottenuto il risultato di trasferire gli effetti patrimoniali della sanzione sull’ente di destinazione, facendo uso dell’unico strumento giuridico disponibile, l’unico al quale ricorrere senza contraddire i principi che regolano la responsabilità penale (applicabili alla responsabilità ex D.Lgs. 231/2001). La cessione d’azienda, infatti, comporta la mera comunicazione della responsabilità civilistica per il pagamento della sanzione pecuniaria, e, quindi, può sottrarsi ai limiti posti dal principio di legalità, che di fatto preclude ogni facoltà di estendere, invece, la responsabilità per l’illecito derivante da reato, la quale costituirebbe fuor di dubbio una vietata analogia in malam partem.  Siano però consentiti alcuni rilievi critici. Vero è, come già si è evidenziato poc’anzi, che il Decreto non disciplina espressamente il modus operandi da adottarsi in situazioni assimilabili a quella considerata nel caso di specie. E parimenti vero è che il richiamo operato dalla Cassazione alla sentenza n. 41082 del 2019 risulta essere insufficiente a giustificare l’arbitraria applicazione dell’art. 33 del Decreto, così prefigurando un’automatica applicazione dell’istituto della cessione d’impresa, sostanzialmente a salvaguardia dell’esazione della sanzione pecuniaria. Non è sufficiente però il richiamo alla precedente decisione. Tale sentenza, come già si è detto ed urge ribadire, non prende alcuna posizione definitiva in merito alle misure da adottarsi in conseguenza dell’estinzione fraudolenta dell’ente incolpato, limitandosi, invero, a stabilire che l’estinzione del reato a carico dell’ente consegue all’estinzione non fraudolenta del medesimo. Quando la cessazione dell’attività è surrettizia ed è dovuta al comportamento elusivo dei vertici, saranno queste persone fisiche a risponderne, anche penalmente. Non ci sono precedenti pronunce che affermino cosa ne sia della responsabilità dell’ente cessato fittiziamente.

Sicché la Corte avrebbe dovuto meglio argomentare la propria scelta, senza limitarsi ad escludere profili di conflittualità con il principio di legalità basandosi sul fatto che ad essere trasmessa in capo al “cessionario” sarebbe stata la sola responsabilità solidale al pagamento della sanzione pecuniaria. L’elemento di novità della sentenza, non adeguatamente indagato, è proprio l’estensione degli effetti della cessione d’azienda al caso di fraudolenta estinzione dell’ente incolpato. È davvero un automatismo possibile?

Non la pensava così la Corte territoriale, ad esempio. La sentenza di Cassazione conferma la decisione della Corte d’Appello mutandone in modo significativo le ragioni a sostegno. I Giudici di secondo grado non si limitavano ad applicare al cessionario la mera condanna al pagamento della sanzione pecuniaria, bensì dichiaravano quest’ultimo ente «responsabile dell’illecito amministrativo». Sicché viene a manifestarsi una chiara incoerenza interna alla pronuncia, laddove da un lato la Cassazione afferma e riconosce che, tanto la disapplicazione dell’art. 39, quanto l’applicazione dell’art. 33 del D.Lgs. 231/01, rispetto alla posizione del ricorrente, trovano giustificazione nel fatto che il medesimo sia parte processuale ai soli fini della responsabilità civilistica; dall’altro lato, però, conferma la condanna in sede d’appello che espressamente affermava la responsabilità per l’illecito dipendente da reato.

Si tratta di posizione antitetiche che producono anche effetti diversi. Dalla sentenza di condanna ex D.Lgs. 231/01, ancorché la pena inflitta sia esclusivamente pecuniaria, scaturiscono conseguenze marcatamente distinte da quelle della responsabilità civilistica solidale verso il pagamento della sanzione stessa. La condanna per l’illecito ex D.Lgs. 231/01 porta con sé molteplici effetti pregiudizievoli nei confronti dell’ente destinatario. Rispetto al semplice pagamento della sanzione pecuniaria, infatti, la condanna per l’illecito ex D.Lgs. 231/01: comporta l’iscrizione a Certificato dell’Anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato della sanzione; produce effetti in termini di potenziale recidiva, così consentendo, in caso di una seconda condanna, l’applicazione di sanzioni interdittive ai sensi dell’art. 13 del Decreto; preclude alla società il conseguimento del Rating AGCM[21].

La scelta della Corte d’Appello, pur in aperto contrasto con i principi generali applicabili all’imputato, giustificava la presenza dell’ente cessionario nel procedimento penale. Viceversa, volendo condividere la tesi della Corte di Cassazione, occorre specificare che il cessionario non può comunque subentrare nel procedimento penale succedendo nella soggettività processuale al cedente. L’ente cessionario, in qualità di mero coobbligato al pagamento della sanzione pecuniaria, dovrebbe essere autonomamente avocato in giudizio come civilmente obbligato, posto in tal ruolo processuale nelle condizioni di introdurre le proprie controdeduzioni. Ciò che non risulta ammissibile, invece, è che siano confusi i due ruoli processuali: l’ente incolpato dovendo essere assimilato in tutto e per tutto all’imputato persona fisica non si può in alcun modo sovrapporre alla figura del civilmente obbligato al pagamento della sanzione pecuniaria, sul quale non possono ricadere gli effetti diretti ed immediati della condanna, ma solo le eventuali conseguenze sul piano civilistico.

Inoltre, è da porre in dubbio proprio l’insorgenza stessa dell’obbligazione al pagamento della sanzione pecuniaria, poiché non è possibile condannare l’ente incolpato, in quanto estinto. Proprio come avverrebbe con riguardo alla figura del reo/persona fisica, infatti, una volta sopravvenuta la “morte” in pendenza di giudizio, ed essendo quindi mancante una condanna definitiva che cristallizzi il giudicato, risulta impossibile identificare sia l’insorgenza dell’obbligazione civilistica principale al pagamento della sanzione pecuniaria, sia, naturalmente, l’obbligazione in solido che, di rimando, potrebbe insorgere in capo al civilmente responsabile qualora il condannato dovesse risultare insolvente. Manca un soggetto condannato, manca il momento della preventiva escussione del medesimo in sede di esecuzione della pena. Per tali evidenti ragioni, non è dato rinvenire le ragioni giustificative sulle quali poserebbe la condanna a carico dell’ente cessionario.

In breve, la Corte di Cassazione ha quindi mantenuto in vita una sentenza che ha utilizzato lo strumento della condanna sostanzialmente penale ex D.Lgs. 231/01 al fine di veicolare una mera responsabilità civilistica a carico del coobbligato, e ciò è stato giustificato in funzione della avvenuta “estinzione fraudolenta”. A giudizio di chi scrive, stante l’impossibilità di identificare, nel caso di specie, una persona giuridica che potesse “ereditare” la responsabilità proveniente da reato il giudice incaricato avrebbe dovuto procedere a dichiarare l’estinzione dell’illecito e la conseguente improcedibilità. È non condivisibile, invero, un’impostazione interpretativa che si sostanzia nell’applicazione all’ente di una condanna per fatto altrui. Il sospetto è quello di trovarsi dinnanzi ad uno stratagemma atto a garantire l’esazione della sanzione pecuniaria, che si risolve, però, in una sostanziale estensione analogica in malam partem della responsabilità da reato, e, quindi, in una violazione degli artt. 2 D.Lgs. 231/01 e 27 della Costituzione.

Il comportamento delle persone fisiche che hanno fittiziamente chiuso l’ente incolpato andrà indagato e, ove accertato oltre ogni ragionevole dubbio, punito. Tutto questo, però, non si può riverberare tout court sulla responsabilità dell’ente che ha proseguito l’attività, senza che si sia prefigurata una ben determinato condizione successoria[22]. In ogni caso, non sono stati adeguatamente motivati i presupposti giuridici che consentirebbero ciò.

Infine, per quanto attiene alla disapplicazione dell’art. 39 D.Lgs. 231/01, occorre specificare che la nullità che consegue alla nomina del difensore da parte di un Legale Rappresentante incompatibile è assoluta e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche d’ufficio[23]. La Corte ben avrebbe potute ritenere fondato il secondo motivo di ricorso, anche considerando quest’ultimo quale mero civilmente obbligato al pagamento della sanzione pecuniaria. Sanzione, quest’ultima, che mai avrebbe potuto essere irrogata qualora la nullità fosse stata correttamente rilevata in giudizio.

6. Conclusioni

La condizione di generale incertezza sul tema affrontato discende, in ogni caso, dalla mancanza di una disciplina specifica riguardo agli effetti dell’estinzione dell’ente sulla responsabilità derivante da reato di quest’ultimo, oltre che sul conseguente procedimento penale, instaurando o instaurato che sia. Fatta salva l’eventuale responsabilità penale degli amministratori o dei soggetti che, in ogni modo, hanno determinato la fraudolenta cessazione dell’ente, al fine di estendere la responsabilità al cessionario è necessario un intervento additivo al testo del Decreto 231, che possa regolare in maniera chiara e tassativa le ipotesi di estinzione dell’ente[24], sia che si tratti di un’estinzione fisiologica, sia che nasconda, invece, elementi di illiceità, indicandone le conseguenze amministrative, penali e civili.

*Avvocato del Foro di Milano

[1] Per un approfondimento sul concetto di “colpa di organizzazione”, si vedano C.E. Paliero, C. Piergallini, La colpa di organizzazione, in Resp. ammin. delle soc. e degli enti, n. 3, 2006; E. Villani, Alle radici del concetto di colpa di organizzazione nell’illecito dell’ente da reato, Napoli, 2016.

[2] In caso di fusione, l’ente risultante «risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione» (art. 29); in caso di scissione parziale «resta ferma la responsabilità dell’ente scisso», gli enti beneficiari della scissione sono solidalmente obbligati al pagamento della sanzione pecuniaria, limitatamente al patrimonio netto trasferito al singolo ente, le sanzioni interdittive trovano invece applicazione nei confronti dell’ente nel quale sia confluito il ramo d’azienda nel cui ambito sia stato commesso il reato (art. 30).

[3] Lacuna, questa, che era già stata portata in evidenza all’interno della relazione accompagnatoria al Decreto. Le problematiche interpretative insorgevano, inoltre, in ordine alla corretta collocazione nel tempo del momento a partire dal quale una società potesse considerarsi definitivamente estinta. Con la riforma del diritto societario attuata tramite il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, e la contestuale modifica dell’art. 2459 c.c. la questione può dirsi risolta, potendosi utilmente individuare tale soglia nel giorno della cancellazione dal registro delle imprese. Tale principio ha trovato ampia conferma in Cass. Civ., S. U., 22 febbraio 2010, n. 4060, in foro.it, 2011, p. 1499; Cass.Civ., S.U. n, 22 febbraio 2010, n. 4061, in Giust. civ., 2010, p.1648; Cass. Civ., S.U. 22 febbraio 2010, n. 4062, in foro.it, 2011, p. 1498, le quali hanno affermato che la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società, anche in pendenza di rapporti non definiti.

[4] Salvo interruzioni, ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. 231/01 il termine è di cinque anni dalla data di consumazione del reato presupposto.

[5] Per una panoramica approfondita sugli aspetti procedimentali del processo a carico dell’ente, si veda M. Ceresa Gastaldo, Procedura penale delle società, Torino, 2021.

[6] Stabilita ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. 231/01.

[7] Per una ricostruzione esaustiva si vedano: V. Napoleoni, Le vicende modificative dell’ente, in Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi, Milano 2010, 283 e ss.; P. Sfameni, Responsabilità patrimoniale dell’ente in Responsabilità “penale” delle persone giuridiche, a cura di A. Giarda, E. M. Mancuso, G. Spangher, G. Varraso, Milano, 2007, 250; L.D. Cerqua, Diritto penale delle società, tomo primo, Padova, 2009, 1467.

[8] Per una più approfondita ricognizione delle posizioni dottrinali che manifestano contrarietà all’assimilazione della cessazione dell’ente alla morte del reo si vedano P. Chiaraviglio, L’estinzione della società imputata ex d.lgs. n. 231/2001 e la “morte del reo”: due varianti dello stesso istituto?” in Arch. pen., 2020, n. 2; nonché G.J. Sicignano, Gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese sulla responsabilità “da reato” dell’ente, in Dir. Pen. Contemporaneo, 2014, n. 2.

[9] Peraltro, le sanzioni ex D.Lgs. 231, secondo quelli che sono i parametri di cui all’art. 11, comma secondo, del Decreto, debbono tenere conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente incolpato, ed essere quindi proporzionate al profilo dimensionale ed economico dello stesso. Lo scopo che anima l’intera disciplina della responsabilità degli enti da reato non è quello di punire e sanzionare, quanto, piuttosto, quello di motivare il tessuto imprenditoriale ad strutturare il proprio assetto organizzativo interno secondo elevati standard di compliance integrata.

[10] Recentemente, Cass. pen., Sez. II, 10 settembre 2019, n. 41082, in C.E.D Cass. n. 2771070

[11] In tal senso si è espresso il Trib. di Milano, 20 ottobre 2011, n.m, che oltre a stabilire che «L’estinzione di una s.r.l. a seguito della sua liquidazione volontaria e della sua cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione dell’illecito ex. D.lgs. 2001, n. 231, per il quale la s.r.l. sia stata rinviata a giudizio prima della sua cancellazione dal registro delle imprese, analogamente a quanto avviene per il reato imputato alla persona fisica nel caso di morte di quest’ultima», ha altresì affermato chiaramente come una eventuale estensione analogica introdurrebbe, surrettiziamente, «una forma di responsabilità per fatto altrui che si porrebbe in evidente contrasto con i principi di responsabilità personale e di colpevolezza (art. 27 Cost.)». Cosicché, conclude il Tribunale, l’esito della cancellazione di una società dal registro delle imprese non può che comportate l’estinzione dell’illecito e la conseguente improcedibilità dell’azione penale, in piena sovrapposizione rispetto a quanto avviene nel caso di morte della persona fisica imputata per un reato.

[12] In tal senso si esprime anche C. Santoriello, Niente processo per le società fallite quando la procedura concorsuale è conclusa, in IlPenalista.it. L’autore, nel commentare la sentenza della Cass. pen. Sez. II, 10 settembre 2019, n. 41082, C.E.D Cass n. 2771070 ,evidenzia la mancanza di specificazioni in ordine alla distinzione tra cessazione fisiologica e fraudolenta, operata dalla Corte: “Tale distinzione, per l’appunto, lascia però in ombra quali siano tali comportamenti truffaldini e come gli stessi vadano accertati – ad esempio, possono essere accertati nello stesso procedimento nei confronti della società o devono essere provati in altra sede; devono essere oggetto di un accertamento giudiziale pieno o possono essere ritenuti incidentalmente dal giudice che procede nei confronti dell’ente collettivo?”.

[13] Secondo P. Chiaraviglio, Op. cit., la sentenza parrebbe individuare nella responsabilità patrimoniale del liquidatore (l’autore della cancellazione) il rimedio dell’estinzione patologica dell’ente. Possono ad esempio venire in rilievo profili di rilevanza penale della condotta di quest’ultimo ai sensi dell’art. 2633 c.c.

[14] In ogni caso, il procedimento di liquidazione della società di capitali è espressamente regolato dal codice civile (Libro Quinto, Titolo V, Capo VIII «Scioglimento e liquidazione delle società di capitali», artt. 2484-2496.

[15] In tal senso si esprime Cass. pen., sez. V, 15 novembre 2012, n. 44824, in Resp. Civ. e Prev., 2012,6, p.2077. In senso conforme: Cass. Pen., sez. V, 16 novembre 2012, n. 4335, in Cass. pen., 2013, p. 3695; Cass. Pen., S.U., 25 settembre 2014, n. 11170, C.E.D. Cass. n. 263679 – 01

[16] Così P. Chiaraviglio, Op. Cit.

[17] Tra le altre Cass. Pen. S.U. 28 maggio 2015. n. 33041, in Cass.Pen. 2016,1,51; Cass.Pen.Sez. II, 13 ottobre 2017, n. 51654, in C.E.D. Cass. n. 271360 e Cass.Pen. Sez. VI, 26 febbraio 2019, n. 15329 in C.E.D. Cass. n. 27543301.

[18] Così Cass. Pen. Sez. III, 19 dicembre 2017, n. 56427, n.m.

[19] In tal senso Cass. Pen., Sez. II, 19 ottobre 2018, n. 52480, n.m.

[20] Per un interessante approfondimento sulle problematiche inerenti al rapporto tra contumacia-assenza e responsabilità dell’ente da reato si veda G. Varraso, L’Abrogazione di “diritto” e di “fatto” della contumacia dell’ente nel D.lgs. n. 231 del 2001, in archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, 2016.

[21] Il Rating AGCM consiste nella valutazione di conformità alla legge valutata ad opera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. I requisiti per l’accesso alla procedura di analisi ed al conferimento del rating sono definiti dalla Delibera AGCM del 15 maggio 2018, n. 27164. È doveroso evidenziare che ogni organizzazione che risulti interessata al riconoscimento di un rating dovrà risultare incensurata sotto il profilo della responsabilità da reato delle persone giuridiche ex D.Lgs. 231/01.

[22] Come affermato anche dalla stessa Corte di Cass. Pen., Sez. VI. n. 39914 del 2018. n.m., la funzione del sistema sanzionatorio di cui al Decreto 231 non è soltanto punitiva-retributiva, ma anche “special-preventiva”.

[23] Tale principio di diritto risulta ormai consolidato presso la giurisprudenza di legittimità. Consacrato con la pronuncia delle Cass. Pen., S.U., 28 maggio 2015, n. 33041, in Cass.Pen. 2016,1,51, il principio è stato ribadito con costanza dalla giurisprudenza di merito e di legittimità. Di recente, tra le altre, Cass. Pen., Sez. VI, 26 febbraio 2019, n. 15329, C.E.D. Cass. n. 27543301.

[24] Già alcuni esponenti della dottrina si sono espressi (in tal senso G.J. Sicignano, Op. cit.), suggerendo, come possibile approccio a livello normativo, quello ispirato alla Ley Organica spagnola, all’interno della quale è prevista una vera e propria “clausola antielusiva”, secondo la quale “non estingue la responsabilità penale lo scioglimento occulto o meramente apparente della persona giuridica” (art. 130, comma secondo del Còdigo Penal Espanol). Si è quindi suggerito di addurre tale disposizione al comma secondo dell’art. 27 del D.Lgs. 231/01, così derogando al generale principio secondo cui “Dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio o con il fondo comune”, a cui già deroga la disciplina in materia di cessione d’azienda (art. 33).