È POSSIBILE CONFIGURARE IL CONCORSO FORMALE DI REATI TRA BANCAROTTA FRAUDOLENTA E PECULATO – DI EDOARDO VITTORIO LAZZARO
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È POSSIBILE CONFIGURARE IL CONCORSO FORMALE DI REATI TRA BANCAROTTA FRAUDOLENTA E PECULATO
THE CRIMES OF FRAUDULENT BANKRUPTCY AND EMBEZZLEMENT CAN CONCUR
di Edoardo Vittorio Lazzaro*
Cass. pen., Sez. VI, sent. 5 novembre 2020 (dep. 16 aprile 2021), n. 14402, Pres. Fidelbo – Est. e Rel. Silvestri
Bancarotta fraudolenta per distrazione – peculato – concorso formale – ammissibilità –sussiste
(Artt. 81 e 314 c.p., 216 l.fall.)
È configurabile il concorso formale tra il reato di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto essi si differenziano tra loro per il soggetto attivo, per l’interesse tutelato, per le modalità di aggressione del bene giuridico, per il momento della consumazione e per la condizione di punibilità, prevista solo in relazione al reato fallimentare.
SOMMARIO: 1. Introduzione al giudizio – 2. I reati coinvolti. Cenni – 3. Le argomentazioni della Corte 3.1 Il ne bis in idem tra C.E.D.U. e Costituzione 3.2 La sussistenza del concorso formale tra le condotte contestate
Con la sentenza annotata la Corte di cassazione ha riaffermato che nel caso in cui vengano contestati due o più reati con lo stesso rinvio a giudizio non viene violato il principio del ne bis in idem, sancito sia nella C.E.D.U. che nel codice di rito. La Corte ha inoltre stabilito che i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare distrattiva e peculato, in quanto connotati da elementi e offensività differenti, possono concorrere.
With the annotated sentence, the Court of Cassation reaffirmed that in the event that two or more crimes are contested with the same indictment, the ne bis in idem principle, enshrined in both the ECHR and the code of criminal procedure, is not violated. The Court also established that the crimes of fraudulent patrimonial bankruptcy and embezzlement, as characterized by different elements and offensiveness, can concur.
1. Introduzione al giudizio.
Nella pronuncia in esame la Corte di cassazione ha enucleato il principio secondo cui è configurabile il concorso formale tra il delitto di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione trattandosi di reati che si differenziano per struttura ed offensività.
Prima di addentrarsi nelle motivazioni addotte dalla Corte, si espongano i fatti che hanno condotto alla pronuncia.
L’imputato, incaricato di pubblico servizio, in ragione del proprio ruolo di amministratore unico, aveva la disponibilità di ingenti somme di denaro appartenenti ad una società partecipata interamente dal Comune di Vigasio. Di tale denaro, circa un milione di euro, si era appropriato con l’emissione di assegni bancari a sé stesso e con mancati versamenti di contanti. L’imputato aveva inoltre reimpiegato il denaro sottratto per fini personali ed aveva redatto bilanci falsi. Aveva inoltre causato un grave dissesto economico alla società, sfociato nella dichiarazione di fallimento.
Per queste condotte l’imputato è stato condannato in primo grado per i reati di peculato, bancarotta fraudolenta per distrazione, autoriciclaggio e bancarotta impropria. La Corte d’Appello di Venezia ha confermato la sentenza.
Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando quattro motivi: col primo contestava la violazione di legge poiché la sentenza impugnata sarebbe viziata poiché non avrebbe tenuto in considerazione quanto enucleato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200/2016 in ordine al principio ne bis in idem fra i reati di peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione; col secondo motivo censurava la violazione di legge e il vizio di motivazione in quanto la Corte di appello non avrebbe tenuto conto che parte delle somme indicate nella imputazione sarebbero state destinate al pagamento del corrispettivo delle opere di ristrutturazione dell’abitazione principale dell’imputato e, quindi, per un bene ad uso esclusivamente personale – e non attività finanziaria –, escluso dall’ambito della punibilità della norma di cui all’art. 648-ter.1 c.p. co. 4; il terzo motivo atteneva al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l’ultimo alle pene accessorie.
Nella trattazione che segue, ci si occuperà esclusivamente della parte della sentenza attinente al ragionamento che concerne il concorso formale tra peculato e bancarotta.
2. I reati coinvolti. Cenni.
È opportuno richiamare brevemente la disciplina dei reati più rilevanti nella trattazione, cioè il peculato, previsto dall’art. 314 c.p., e la bancarotta fraudolenta per distrazione, disciplinata allora dall’art. 216 co. 1 n. 1 l.fall.
Il peculato consiste nella condotta posta in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio che «avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria» .
Oggetto specifico della tutela penale è non solo la tutela del regolare funzionamento e del prestigio degli enti pubblici, ma anche e soprattutto quello di impedire danni patrimoniali alla Pubblica Amministrazione . La Corte di cassazione ha sancito che essendo il peculato un reato plurioffensivo, «l’eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all’appropriazione non esclude la sussistenza del reato, atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell’agente l’altro interesse protetto dalla norma, diverso da quello patrimoniale, cioè quello del buon andamento della pubblica amministrazione» .
Dato che il peculato è un reato proprio – come dispone l’art. 314 c.p. – soggetto attivo può essere solo un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, ma non anche un esercente un servizio di pubblica utilità .
Oggetto materiale del delitto è il denaro o la cosa mobile, di cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio abbia, per ragioni di ufficio, il possesso o comunque la disponibilità della cosa o del denaro .
Si noti peraltro che la giurisprudenza ritiene che il possesso qualificato è anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento .
Il possesso, come inteso dalla norma, consiste nella possibilità di disporre, al di fuori della sfera altrui di vigilanza, della cosa sia in virtù di una situazione di fatto, sia in conseguenza della funzione giuridica esplicata dall’agente nell’ambito della Pubblica Amministrazione. La nozione di “possesso” va intesa in senso ampio, concretandosi sia in un rapporto diretto tra il pubblico ufficiale e la res, sia in rapporti di altra indole che, comunque, importino la facoltà di disporre della cosa per destinarla al conseguimento di particolari scopi .
Il peculato – nell’ipotesi di cui si tratta, ovverosia quella prevista dall’art. 314 co. 1 c.p. – è un reato a dolo generico, e il momento della consumazione del delitto coincide con quello in cui ci si appropria dolosamente di beni mobili o di somme di denaro della pubblica amministrazione di cui si è in possesso per ragione del proprio ufficio o servizio .
L’altro reato coinvolto nella trattazione è la bancarotta fraudolenta prefallimentare perpetrata tramite distrazione del denaro.
La struttura di questo reato è disciplinata dall’art. 216 l.fall. Tale norma delinea un reato a struttura composita, che vede come soggetto attivo una figura qualificata, l’imprenditore. Invero solo per la bancarotta propria il soggetto attivo è l’imprenditore, mentre per la bancarotta c.d. impropria possono essere attori anche amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite.
Anche gli oggetti materiali del reato differiscono a seconda del tipo di bancarotta che viene posta in essere, consistendo essi in beni dell’imprenditore (bancarotta patrimoniale); documenti e scritture contabili (bancarotta documentale); condotte che vanno a preferire alcuni creditori a detrimento di altri (bancarotta preferenziale). Nel caso de quo si è in presenza di bancarotta patrimoniale fraudolenta.
L’art. 216 l.fall. prevede una serie di condotte con cui si può perpetrare tale delitto – distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione, dissipazione, esposizione o riconoscimento di passività inesistenti – ma quella che interessa nella trattazione è la prima: la distrazione di beni.
Per distrazione si intende ogni atto di disposizione patrimoniale preordinato a finalità diverse dall’attività d’impresa, allo scopo di assicurare l’utilità del bene a sé o a terzi evitandone l’apprensione agli organi del fallimento, con conseguente depauperamento in danno dei creditori .
Si noti che l’elemento soggettivo del reato di bancarotta suscita perplessità in dottrina con riguardo a certe condotte integranti la fattispecie, tra cui anche la distrazione. Per la dottrina maggioritaria si tratterebbe di dolo generico , il quale deve essere concepito come consapevolezza di agire ponendo in pericolo la garanzia patrimoniale dei creditori . La giurisprudenza, peraltro, ritiene sufficiente la consapevolezza di destinare il patrimonio sociale a finalità diverse da quella dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare pregiudizio all’impresa o ai creditori .
Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento , il quale è considerato una condizione obiettiva di punibilità .
3. Le argomentazioni della Corte.
3.1 Il ne bis in idem tra C.E.D.U. e Costituzione.
Il ragionamento della Sezione Sesta esordisce trattando della sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016, citata dal difensore dell’imputato nella formulazione del primo motivo di ricorso. Questa sentenza interviene sul tema se il principio del ne bis in idem in materia penale, enunciato dall’art. 4 Prot. n. 7 C.E.D.U., abbia un campo applicativo diverso e più favorevole all’imputato del corrispondente principio recepito dall’art. 649 c.p.p., ed introduce dei canoni ermeneutici per l’individuazione dell’idem factum al fine di applicare o meno il principio ne bis in idem.
La Corte costituzionale ha esposto che il fatto storico-naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l’accezione che gli conferisce l’ordinamento: fatto è dunque l’accadimento materiale, depurato dal giogo dell’inquadramento giuridico. Questo fatto comprende l’oggetto fisico su cui cade il gesto, e sarà fatto “identico” quando vi sia «corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona» .
Pertanto la C.E.D.U. impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest’ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell’agente .
Sulla scorta di quanto esposto dalla Corte costituzionale, la Corte di cassazione esamina il rapporto tra il ne bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p. e il concorso formale di reati, previsto dall’art. 81 c.p.
Il tema del bis in idem attiene al piano processuale e impedisce la formulazione di una seconda azione penale per lo stesso fatto storico, anche se a venire contestato sia un reato diverso da quello già giudicato con sentenza definitiva, e posto con quest’ultimo in concorso formale. Si noti peraltro che nel caso in esame il pubblico ministero non ha esercitato più volte l’azione penale, ma il procedimento è unico per tutti i reati, rendendo pertanto improprio il riferimento del difensore alla violazione del principio del ne bis in idem, il quale – si ribadisca – agisce sul piano delle preclusioni processuali e non nel caso di processo oggettivamente cumulativo .
3.2 La sussistenza del concorso formale tra le condotte contestate.
Prima di acclarare se sussista il concorso formale tra peculato e bancarotta fraudolenta nel caso di specie, la Suprema Corte verifica se sia presente tra le fattispecie incriminatrici un concorso apparente di norme, dovuto al rapporto di specialità (art. 15 c.p.) ovvero di sussidiarietà (art. 84 c.p.) tra i delitti.
Con riferimento alla prima tipologia di rapporto, non si ravvisa alcuno degli elementi previsti dall’art. 15 c.p. per l’applicazione del criterio di specialità – cioè se più leggi penali o più disposizioni della stessa legge penale regolino la stessa materia .
In relazione alla verifica della sussistenza dei presupposti dell’art. 84 c.p., si può pacificamente ritenere che la bancarotta abbia un disvalore autonomo e insuscettibile di inglobare quello del peculato .
Orbene, la Corte afferma che i due reati si differenziano sia per la loro struttura che per il bene giuridico che ledono.
Nella bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare, infatti, il reato si perfeziona quando l’agente provoca il depauperamento dell’impresa, mentre la dichiarazione di fallimento costituisce una condizione obiettiva estrinseca di punibilità, mancando la quale non è possibile procedere all’imputazione per il reato de quo poiché è assente un qualsivoglia nesso di causalità con la condotta posta in essere dall’agente e con il suo elemento soggettivo.
Tale fattispecie incriminatrice, pertanto, configura un reato di pura condotta e di pericolo, che si consuma se si verifica la condizione obiettiva di punibilità.
Il peculato, invece, è un reato proprio, istantaneo e che si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica l’appropriazione del denaro o della cosa mobile. Esso, infatti, si distingue dalla bancarotta per una serie di elementi, enumerati dalla Corte. In primo luogo per il soggetto attivo: nel reato di cui all’art. 314 c.p. l’agente deve ricoprire la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio e costui deve avere la disponibilità dei beni oggetto dell’appropriazione in ragione del proprio ufficio – e non, come nell’appropriazione indebita, per una designazione intuitu personae . In secondo luogo tra i reati in oggetto differisce l’interesse tutelato poiché nel caso della bancarotta l’interesse tutelato è costituito dalla preservazione del patrimonio dell’impresa e dalla tutela dei creditori , mentre nel peculato l’interesse tutelato non è solo il patrimonio della PA, ma anche la tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost. . Elementi di diversità emergono anche dal momento consumativo dei reati, dal fatto che nel peculato manca una condizione obiettiva di punibilità e, infine, dalla modalità di aggressione del bene giuridico tutelato poiché «nel peculato, a differenza della bancarotta, non ogni condotta “appropriativa” assume rilievo» : sono censurabili solo quelle condotte che dimostrino che la pubblica funzione viene sfruttata dall’agente alla stregua di una sua dotazione privata, di cui si serve per finalità estranee a quelle fisiologiche. L’abuso del rapporto qualificato che la legge istituisce tra l’attore e la res inficia i principi previsti dall’art. 97 Cost. .
Alla luce di questo ragionamento condotto dalla Corte di cassazione si può affermare che i reati di bancarotta fraudolenta e peculato, avendo struttura ed offensività differenti, possono dar luogo ad un concorso formale.
* Legal intern presso Dentons Europe – Studio Legale e Tributario (Milano)