FRANCIA: NO ALLA DISCUSSIONE IN VIDEOCONFERENZA SENZA L’ASSENSO DELL’IMPUTATO E AULE APERTE AI GIORNALISTI – DI FEDERICO CAPPELLETTI
CAPPELLETTI – FRANCIA: NO ALLA DISCUSSIONE IN VIDEOCONFERENZA SENZA L’ASSENSO DELL’IMPUTATO E AULE APERTE AI GIORNALISTI.PDF
di Federico Cappelletti*
Il Conseil d’Etat sospende il provvedimento emergenziale francese che consente l’utilizzo della videoconferenza per la discussione avanti le Cours d’Assises e le Cours Criminelles senza l’accordo dell’imputato ed apre le porte delle aule ai giornalisti.
Nel contesto dello stato di emergenza sanitaria dichiarato in Francia per far fronte al riacutizzarsi della pandemia da Covid-19, un’ordinanza del Governo del 18 novembre 2020 è intervenuta su diverse norme di procedura penale al fine – secondo il dettato del suo art. 1 – “di consentire la continuità dell’attività dei tribunali penali in quanto essenziali per il mantenimento dell’ordine pubblico“. L’Associazione degli avvocati penalisti per prima – seguita da altre associazioni, Ordini forensi e dal Sindacato dei magistrati – aveva chiesto al giudice incaricato del procedimento sommario presso il Consiglio di Stato di sospendere in via d’urgenza alcune disposizioni della citata ordinanza, in particolare l’estensione delle possibilità di ricorrere alla videoconferenza (art. 2) e la limitazione dell’accesso del pubblico alle udienze (art. 4).
Con provvedimento reso in data 27 novembre 2020[1], è stata sospesa la possibilità – riconosciuta dall’impugnata ordinanza governativa – di utilizzare la videoconferenza nelle udienze avanti le Cours d’Assises e le Cours criminelles[2], dopo la chiusura dell’istruttoria dibattimentale, per la requisitoria del pubblico ministero e le arringhe dei difensori.
Le disposizioni censurate, infatti, sono state ritenute violare in modo grave e manifestamente illegittimo i diritti della difesa ed il diritto a un processo equo.
È stato evidenziato, in particolare, da un lato, come, dinnanzi alle Corti deputate a giudicare i crimini, la gravità delle pene previste ed il ruolo assegnato all’intimo convincimento dei magistrati e dei giurati attribuiscano un rilievo peculiare all’oralità del procedimento; d’altro lato, è stato sottolineato il carattere essenziale, durante le requisitorie e le arringhe finali, della presenza fisica delle parti civili e degli imputati, in particolare quando questi rendano delle dichiarazioni per ultimi, prima della chiusura del dibattimento. In queste circostanze, le limitazioni riconducibili alla pandemia in corso, i vantaggi della videoconferenza e le garanzie che la circondano non sono stati ritenuti motivi sufficienti a giustificare la violazione dei principi fondanti il processo penale e i diritti delle persone fisiche coinvolte nel processo.
I ricorrenti sostenevano, inoltre, che l’estensione dei casi in cui il giudice può utilizzare la videoconferenza senza il consenso dell’interessato, specie se detenuto, al di là delle ipotesi già previste dall’articolo 706-71 del codice di procedura penale transalpino, violassero in modo grave e manifestamente illegittimo i diritti della difesa e il diritto ad un equo processo, nonché il diritto ad un ricorso effettivo, il diritto alla libertà e alla sicurezza e il diritto alla comparizione personale e fisica dell’imputato durante il processo penale, garantito sia dall’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che dalle disposizioni dell’articolo 6 § 1 della CEDU.
La richiesta di sospensione con riferimento a tali doglianze è stata, tuttavia, respinta sul presupposto che il maggiore impiego della videoconferenza sarebbe reso necessario dalle grandi difficoltà pratiche incontrate dall’amministrazione penitenziaria nella traduzione dei detenuti in considerazione dei vincoli particolarmente pesanti imposti dall’attuale situazione sanitaria e dalla necessità di combattere il diffondersi dell’epidemia all’interno delle carceri e dei tribunali.
Inoltre, le disposizioni impugnate si limiterebbero ad offrire un’opzione ai giudici, che devono, in ogni caso, valutare se tali difficoltà giustifichino il ricorso alla videoconferenza, in particolare alla luce dello stato di salute del detenuto e dell’importanza dell’udienza. È, poi, loro responsabilità, come previsto dalle disposizioni poste sotto scrutinio, assicurare che i mezzi di telecomunicazione utilizzati permettano di certificare l’identità delle persone e garantiscano la qualità della trasmissione nonché la riservatezza delle conversazioni, in particolare tra l’avvocato e il suo cliente. Infine, sempre secondo l’estensore del provvedimento in commento, l’utilizzo della videoconferenza, consentendo di evitare il rinvio delle udienze, contribuirebbe al rispetto del diritto delle parti di veder deciso il processo che le riguarda entro un termine ragionevole.
Ciononostante, per quanto concerne le udienze relative alla decisione sulla detenzione cautelare avanti la chambre de l’instruction, alla luce di tre recenti decisioni del Conseil constitutionnel in materia[3], è stato, altresì, ricordato come spetti al giudice che presiede assicurare che il detenuto abbia la possibilità di comparire fisicamente dinanzi alla Camera a intervalli ragionevoli.
Da ultimo, con riferimento alla richiesta di sospendere il provvedimento impugnato nella parte in cui consente di limitare l’accesso del pubblico all’udienza, il giudice incaricato del procedimento sommario, pur disattendendo la richiesta dei ricorrenti, ha comunque precisato che tale facoltà non riguarda i giornalisti e che spetta ai giudici garantire che il suo esercizio sia giustificato e proporzionato alla situazione sanitaria al momento dell’udienza.
Tali indicazioni sono in tanto apprezzabili, in quanto risultano contemperare in modo soddisfacente sia le esigenze di tutela della vita e della salute pubblica che il diritto all’equo processo nella sua declinazione del principio che prevede la pubblicità dei procedimenti giudiziari, preordinato a tutelare le parti processuali da un’amministrazione segreta della giustizia e senza controllo del pubblico[4].
Il garantire, comunque, l’accesso all’aula d’udienza ai giornalisti, che incarnano – per dirla con la Corte di Strasburgo – the vital public-watchdog role[5]ed il rimarcare la necessità di un controllo costante sulla giustificazione e la proporzionalità della limitazione in relazione alle circostanze concrete di luogo e di tempo, appaiono, infatti, contrappesi efficaci circa il rispetto dei principi del fair trial.
Tale ultima necessità di continuo controllo sulla giustificazione e proporzionalità della restrizione alla pubblicità delle udienze dovrebbe essere tenuta sempre presente anche nel nostro processo penale al fine di evitare l’automatismo del lockdown delle aule giudiziarie nel nome della perdurante emergenza pandemica[6].
*Avvocato, Responsabile Osservatorio Europa Unione Camere Penali Italiane
[1] Conseil d’Etat, ord. 27 novembre 2020, Association des Avocat Penalistes et autres, in www.conseil-etat.fr.
[2] In Francia vi sono tre categorie di reati: le contravvenzioni, giudicate dal Tribunal de police; i delitti, giudicati dal Tribunal correctionel; i crimini, giudicati dalla Cour d’Assises; è in corso un esperimento di Cour criminelle che giudica gli autori di reati punibili da 15 a 20 anni di reclusione nei seguenti dipartimenti: Ardennes, Calvados, Cher, Guadeloupe, Guyane, Haute-Garonne, Hérault, Isère , Loire-Atlantique, Moselle, Pyrénées-Atlantiques, Reunion, Seine-Maritime, Val-d’Oise e Yvelines.
[3] Conseil constitutionnel, n. 2019-778 DC del 21 marzo 2019, n. 2019-802 QPC del 20 settembre 2019 e n. 2020-836 QPC del 30 aprile 2020, in www.conseil-constitutionnel.fr, con le quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma che prevede la partecipazione mediante videoconferenza alle udienze relative alla decisione sulla detenzione cautelare anche senza il consenso esplicito della persona attinta dalla misura; per il commento si rinvia ad A. Barletta, “Consiglio costituzionale francese: no alla video conferenza in materia di libertà personale”, in www.dirittodidifesa.eu.
[4] Corte EDU, Plen., 22 febbraio 1984, Sutter c. Svizzera, § 26; Corte EDU, 14 novembre 2000, Riepan c. Austria, § 27; Corte EDU, 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c.Italia, § 34; Corte EDU, 08 luglio 2008, Perre ed altri c. Italia, § 23; Corte EDU, 28 ottobre 2010, Krestovskiy c. Russia, § 24, in www.hudoc.echr.coe.int.
[5] Corte EDU, GC, 27 marzo 1996, Goodwin c. Regno Unito, § 39, in www.hudoc.echr.coe.int.
[6] Come noto, il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, recante “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”, prevede all’art. 23, co. 3 che le udienze dei procedimenti penali alle quali è ammessa la presenza del pubblico possano celebrarsi a porte chiuse, ai sensi dell’art. 472, co. 3, del codice di procedura penale.