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GIURISPRUDENZA CORTE DI GIUSTIZIA UE – 4/2020

GIURISPRUDENZA CORTE DI GIUSTIZIA UE – 4/2020

GIURISPRUDENZA CORTE DI GIUSTIZIA UE 4-2021.PDF

A cura dell’Osservatorio Europa dell’Unione delle Camere Penali Italiane e del dott. Folco Gianfelici, cultore della materia in diritto penale presso l’Università degli Studi di Perugia, con il coordinamento del Prof. Vico Valentini, Professore Associato di Diritto Penale presso la medesima Università e componente dell’Osservatorio Europa UCPI

4/2021

 

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA CORTE DI GIUSTIZIA U.E. (GRANDE SEZIONE), SENTENZA DEL 12 MAGGIO 2021, CAUSA C-505/19, DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DAL VERWALTUNGSGERICHT WIESBADEN

«Rinvio pregiudiziale – Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen – Articolo 54 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 50 – Principio del ne bis in idem – Articolo 21 TFUE – Libera circolazione delle persone – Avviso rosso dell’Interpol – Direttiva (UE) 2016/680 – Liceità del trattamento di dati personali contenuti in un simile avviso»

Nella causa C-505/19 la Grande Sezione della CGUE ha ritenuto che:

1) l’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995, nonché l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, letti alla luce dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano all’arresto provvisorio, da parte delle autorità di uno Stato parte dell’Accordo fra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato a Schengen il 14 giugno 1985, o da parte di quelle di uno Stato membro, di una persona interessata da un avviso rosso pubblicato dall’Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol) su richiesta di uno Stato terzo, a meno che non sia accertato, in una decisione giudiziaria definitiva adottata in uno Stato parte di detto accordo o in uno Stato membro, che tale persona è già stata giudicata in via definitiva rispettivamente da uno Stato parte del suddetto accordo o da uno Stato membro per gli stessi fatti su cui si basa detto avviso rosso;

2) le disposizioni della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio, lette alla luce dell’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, firmata il 19 giugno 1990, e dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali, devono essere interpretate nel senso che esse non ostano al trattamento dei dati personali contenuti in un avviso rosso emesso dall’Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol), fintanto che non sia stato accertato, con decisione giudiziaria definitiva adottata in uno Stato parte dell’Accordo fra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato a Schengen il 14 giugno 1985, o in uno Stato membro, che con riferimento ai fatti su cui detto avviso si basa si applica il principio del ne bis in idem, purché un simile trattamento soddisfi le condizioni previste da tale direttiva, in particolare in quanto esso è necessario per l’esecuzione di un compito di un’autorità competente, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della suddetta direttiva.

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CORTE DI GIUSTIZIA U.E. (QUINTA SEZIONE), SENTENZA DEL 29 APRILE 2021, CAUSA C-665/20, X., DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DAL RECHTBANK AMSTERDAM (NETHERLANDS)

«Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Mandato d’arresto europeo – Motivi di non esecuzione facoltativa – Articolo 4, punto 5 – Persona ricercata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti in un paese terzo – Condanna che sia stata eseguita o che non possa più essere eseguita secondo le leggi del paese della condanna – Attuazione – Margine di discrezionalità dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione – Nozione di “stessi fatti” – Sconto di pena concesso da un’autorità non giurisdizionale in virtù di una misura di clemenza di carattere generale»

Nel Caso X. la Corte di Giustizia ha stabilito che un m.a.e. può essere eseguito su richiesta dell’autorità giudiziaria di uno Stato Membro, anche qualora i fatti oggetto del m.a.e. siano gli stessi già giudicati in uno Stato Terzo, nel territorio del quale la pena è stata eseguita in base alla legge di quello stato.

Se anche è vero che il caso rientra tra quelli che impongono di rifiutare l’esecuzione del m.a.e.,   l’articolo 4, punto 5, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che, quando uno Stato membro sceglie di recepire tale disposizione nel suo diritto interno, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve disporre di un margine di discrezionalità al fine di determinare se occorra o meno rifiutare l’esecuzione del m.a.e. per il motivo previsto da detta disposizione.

Inoltre, l’articolo 3, punto 2, e l’articolo 4, punto 5, della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, devono essere interpretati nel senso che la nozione di «stessi fatti», contenuta in queste due disposizioni, deve essere oggetto di un’interpretazione uniforme.

Infine, in base all’articolo 4, punto 5, della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, che subordina l’applicazione del motivo di non esecuzione facoltativa previsto da tale disposizione alla condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi del paese della condanna, deve essere interpretato nel senso che tale condizione è soddisfatta qualora la persona ricercata sia stata condannata per gli stessi fatti con sentenza definitiva a una pena detentiva che ha parzialmente scontato nel paese terzo della condanna e che per il resto le è stata condonata da un’autorità non giudiziaria di quel paese, in virtù di una misura di clemenza di carattere generale che vale anche per persone condannate per fatti gravi e che non è fondata su considerazioni oggettive di politica penale. Spetta all’autorità giudiziaria dell’esecuzione, nell’esercizio del potere discrezionale di cui dispone, operare un bilanciamento tra, da un lato, la prevenzione dell’impunità e la lotta contro la criminalità e, dall’altro, la garanzia della certezza del diritto per la persona interessata.

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CORTE DI GIUSTIZIA U.E. (QUARTA SEZIONE), SENTENZA DEL 20 MAGGIO 2021, CAUSA C-8/20, BUNDESREPUBLIK DEUTSCHLAND, DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DALLO SCHLESWIG-JOLSTEINISCHES VERWALTUNGSGERICHT (TRIBUNALE AMMINISTRATIVO DELLO SCHLESWIG HOLSTEIN)

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Domanda di protezione internazionale – Motivi d’inammissibilità – Articolo 2, lettera q) – Nozione di “domanda reiterata” – Articolo 33, paragrafo 2, lettera d) – Rigetto da parte di uno Stato membro di una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile a motivo del rigetto di una domanda precedente presentata dall’interessato in uno Stato terzo che ha concluso con l’Unione europea un accordo relativo ai criteri e ai meccanismi che consentono di determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati parti di tale accordo – Decisione definitiva adottata dal Regno di Norvegia»

Con riguardo allo spazio di libertà sicurezza e giustizia in tema di immigrazione, la Corte di Giustizia dell’Unione europea L’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che prevede la possibilità di respingere in quanto inammissibile una domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di detta direttiva, rivolta a tale Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide la cui precedente domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato, rivolta a uno Stato terzo che attua il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, conformemente all’accordo tra la Comunità europea e la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia relativo ai criteri e meccanismi per determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno Stato membro oppure in Islanda o in Norvegia – Dichiarazioni, sia stata respinta da tale Stato terzo.

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CORTE DI GIUSTIZIA U.E. (QUARTA SEZIONE), SENTENZA DEL 3 GIUGNO 2021, CAUSA C-546/19, WESTERWALDKREIS, DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DAL BUNDESVERWALTUNGSGERICHT (CORTE AMMINISTRATIVA FEDERALE, GERMANIA)

 «Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica di immigrazione – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Direttiva 2008/115/CE – Articolo 2, paragrafo 1 – Ambito di applicazione – Cittadino di un paese terzo – Condanna penale nello Stato membro – Articolo 3, punto 6 – Divieto d’ingresso – Motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza – Revoca della decisione di rimpatrio – Legittimità del divieto d’ingresso»

Rispetto alle politiche comuni in tema di immigrazione, la Corte di Giustizia ha stabilito che l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva si applica a un divieto di ingresso e di soggiorno, imposto da uno Stato membro, che non si è avvalso della facoltà prevista dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, nei confronti di un cittadino di un paese terzo che si trovi sul suo territorio e sia destinatario di un provvedimento di espulsione, per motivi di pubblica sicurezza e di ordine pubblico, sulla base di una precedente condanna penale. Aggiunge in proposito la Corte che la direttiva 2008/115 deve essere interpretata nel senso che essa osta al mantenimento in vigore di un divieto di ingresso e di soggiorno imposto da uno Stato membro a un cittadino di un paese terzo che si trovi sul suo territorio e sia oggetto di un provvedimento di espulsione, divenuto definitivo, adottato per motivi di pubblica sicurezza e di ordine pubblico sulla base di una precedente condanna penale, qualora la decisione di rimpatrio adottata nei confronti di tale cittadino dal suddetto Stato membro sia stata revocata, sebbene tale provvedimento di espulsione sia divenuto definitivo.

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CORTE DI GIUSTIZIA U.E. (TERZA SEZIONE), SENTENZA DEL 10 GIUGNO 2021, CAUSA C-901/19, BUNDESREPUBLIK DEUTSCHLAND, DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DAL VERWALTUNGSGERICHTOF BADEN-WÜRTEMBERG (TRIBUNALE AMMINISTRATIVO SUPERIORE DEL LAND BADEN WÜRTEMBERG, GERMANIA)

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia d’asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95/UE – Requisiti per la concessione della protezione sussidiaria – Articolo 15, lettera c) – Nozione di “minaccia grave e individuale” alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale – Normativa nazionale che prevede il requisito di un numero minimo di vittime civili (morti e feriti) nella regione interessata»

Con riguardo alla politica comune in materia d’asilo, la Corte di Giustizia ha stabilito che    l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una normativa nazionale secondo la quale, nel caso in cui un civile non sia interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, l’accertamento dell’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del civile stesso, derivante dalla «violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato», ai sensi di tale disposizione, è subordinato alla condizione che il rapporto tra il numero di vittime nella zona interessata e il numero totale di individui di cui è composta la popolazione di tale zona raggiunga una determinata soglia. Dunque, l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che, per stabilire l’esistenza di una «minaccia grave e individuale» ai sensi di tale disposizione, è richiesto un esame complessivo di tutte le circostanze del caso di specie, in particolare di quelle che caratterizzano la situazione del paese d’origine del richiedente.

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CORTE DI GIUSTIZIA U.E. (GRANDE SEZIONE), SENTENZA DEL 22 GIUGNO 2021, CAUSA C-718/19, ORDRE DES BARREAUX FRANCOPHONES E GERMANOPHONE E A. (MESURES PRÉVENTIVES EN VUE D’ÈLOIGNEMENT), DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DA COUR CONSTITUTIONELLE (CORTE COSTITUZIONALE, BELGIO)

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Articoli 20 e 21 TFUE – Direttiva 2004/38/CE – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Decisione di porre fine al soggiorno dell’interessato per motivi di ordine pubblico – Misure preventive volte ad evitare qualsiasi rischio di fuga dell’interessato durante il periodo concessogli per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante – Disposizioni nazionali simili a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115/CE – Durata massima del trattenimento ai fini dell’allontanamento – Disposizione nazionale identica a quella applicabile ai cittadini di paesi terzi»

Secondo la Corte di Giustizia gli articoli 20 e 21 TFUE nonché la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, devono essere interpretati nel senso che: 1) non ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, in pendenza del termine loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante a seguito dell’adozione nei loro confronti di una decisione di allontanamento per motivi di ordine pubblico, o durante il periodo di proroga di tale termine, disposizioni volte ad evitare il rischio di fuga che sono simili a quelle che, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, mirano a recepire nel diritto nazionale l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, a condizione che le prime disposizioni rispettino i principi generali previsti all’articolo 27 della direttiva 2004/38 e che non siano meno favorevoli delle seconde 2)  ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, che dopo la scadenza del termine impartito o della proroga di tale termine non si siano conformati a una decisione di allontanamento adottata nei loro confronti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, una misura di trattenimento ai fini dell’allontanamento della durata massima di otto mesi, durata che è identica a quella applicabile nel diritto nazionale ai cittadini di paesi terzi che non si siano conformati a una decisione di rimpatrio adottata per tali motivi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

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CORTE DI GIUSTIZIA U.E. (GRANDE SEZIONE), SENTENZA DEL 22 GIUGNO 2021, CAUSA C-719/19, STAATSSECRETARIS VAN JUSTITIE EN VEILIGHEID, DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DA RAAD VAN STATE (CONSIGLIO DI STATO, PAESI BASSI)

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Direttiva 2004/38/CE – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Articolo 15 – Fine del soggiorno temporaneo di un cittadino dell’Unione nel territorio dello Stato membro ospitante – Provvedimento di allontanamento – Partenza fisica di tale cittadino dell’Unione da detto territorio – Effetti nel tempo del provvedimento di allontanamento – Articolo 6 – Possibilità per tale cittadino dell’Unione di godere di un nuovo diritto di soggiorno al suo ritorno in detto territorio»

Con riguardo al diritto dei cittadini dell’Unione di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri, la Corte di Giustizia ha stabilito che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che un provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione dal territorio dello Stato membro ospitante, adottato sul fondamento di tale disposizione per il motivo che il medesimo cittadino dell’Unione non beneficia più di un diritto di soggiorno temporaneo in detto territorio in forza della menzionata direttiva, non è pienamente eseguito per il solo fatto che tale cittadino dell’Unione ha lasciato fisicamente detto territorio nel termine impartito dal provvedimento in parola per la sua partenza volontaria. Per beneficiare di un nuovo diritto di soggiorno ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva nello stesso territorio, il cittadino dell’Unione che è stato oggetto di un siffatto provvedimento di allontanamento deve non soltanto aver lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro ospitante, ma anche aver posto fine in modo reale ed effettivo al suo soggiorno nel territorio di cui trattasi, cosicché, in occasione del suo ritorno in detto territorio, il suo soggiorno non possa essere considerato, in realtà, come una continuazione del suo precedente soggiorno nello stesso territorio. Spetta al giudice del rinvio verificare se ciò avvenga nel caso di specie, tenendo conto di tutte le circostanze concrete che caratterizzano la situazione specifica del cittadino dell’Unione interessato. Se da una siffatta verifica risulta che il cittadino dell’Unione non ha posto fine al suo soggiorno temporaneo nel territorio dello Stato membro ospitante in modo reale ed effettivo, tale Stato membro non è tenuto ad adottare un nuovo provvedimento di allontanamento sulla base dei medesimi fatti che hanno dato luogo al provvedimento di allontanamento già adottato nei confronti di suddetto cittadino dell’Unione, ma può basarsi su quest’ultimo provvedimento al fine di obbligare lo stesso a lasciare il suo territorio.

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CORTE DI GIUSTIZIA U.E. (QUARTA SEZIONE), SENTENZA DEL 2 SETTEMBRE 2021, CAUSA C-66/20, DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI TRENTO

Su iniziativa della Procura della Repubblica di Trento è stata devoluta alla Corte del Lussemburgo la questione inerente la possibilità che un ordine di indagine europeo sia emesso anche da una autorità amministrativa che svolga attività inquirente e di raccolta prove, senza la prescritta convalida da parte dell’autorità giudiziaria del Paese emittente, e quindi, in ultima istanza, se sia possibile per uno Stato membro prevedere per specifiche autorità amministrative la possibilità di emettere ordini europei di indagine senza obbligo di convalida ai fini dell’efficacia dell’ordine stesso.

I giudici europei, però, hanno dichiarato irricevibile la domanda ribadendo che, sebbene l’articolo 267 TFUE non subordini la possibilità di adire la Corte al carattere contraddittorio del procedimento nel corso del quale il giudice nazionale formula una questione pregiudiziale, i giudici nazionali possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essi è pendente una controversia e se essi sono chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a concludersi con una decisione avente carattere giurisdizionale.

Con riguardo al caso di specie, il giudice europeo ha rilevato che, quando agisce in qualità di autorità di esecuzione di un ordine europeo di indagine, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2014/41, una Procura italiana, quale la Procura di Trento, non è chiamata a dirimere una controversia e non può, di conseguenza, essere considerata come soggetto esercitante una funzione giurisdizionale.

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE BOBEK NELLE CAUSE C-117/20 BPOST E C-151/20 NORDZUCKER E A.

Nelle conclusioni rese in data 2 settembre 2021, l’avvocato generale Michal Bobek ha ritenuto che l’articolo 50 della Carta – il quale sancisce il principio del ne bis in idem – debba avere lo stesso contenuto indipendentemente dall’ambito del diritto dell’UE a cui esso si applica, salvo quando una specifica disposizione di diritto dell’UE garantisca espressamente un livello di protezione più elevato.

Egli ha sottolineato, inoltre, che lo scopo stesso del principio del ne bis in idem è quello di
proteggere la parte interessata da un secondo procedimento, operando come una vera e propria barriera di tal che deve essere definito ex ante ed in via normativa, non potendo, viceversa, dipendere da elementi circostanziali specifici di un determinato procedimento (successivo).

 In virtù di quanto precede, quindi, ha proposto un test unificato della sussistenza del ne bis in idem ai sensi dell’articolo 50 della Carta per sostituire quello attuale che si articolerebbe in un mosaico frammentato e parzialmente contraddittorio.

Il test unificato dovrebbe basarsi su una triplice identità: dell’autore del reato, dei fatti rilevanti e dell’interesse giuridico protetto.

Per il testo integrale delle conclusioni in C-117/20, clicca qui