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GIUSTO PROCESSO E NUOVA IPOTESI DI RINNOVAZIONE ISTRUTTORIA IN APPELLO: ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA, MOLTA PIÙ OMBRA CHE LUCE – DI EMANUELE ANTONINI

GIUSTO PROCESSO E NUOVA IPOTESI DI RINNOVAZIONE ISTRUTTORIA IN APPELLO: ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA, MOLTA PIÙ OMBRA CHE LUCE – DI EMANUELE ANTONINI

ANTONINI – GIUSTO PROCESSO E NUOVA IPOTESI DI RINNOVAZIONE ISTRUTTORIA IN APPELLO ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA MOLTA PIÙ OMBRA CHE LUCE.pdf

GIUSTO PROCESSO E NUOVA IPOTESI DI RINNOVAZIONE ISTRUTTORIA IN APPELLO: ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA, MOLTA PIÙ OMBRA CHE LUCE.

DUE PROCESS AND THE NEW HYPOTHESIS OF RENOVATION OF TRIAL ISTRUCTORY: IN THE LIGHT OF CASE LAW, MORE SHADOW THAN LIGHT.

di Emanuele Antonini*

Cass. pen., Sez. II, 28 novembre 2019, (dep. 2 marzo 2020), n. 8475, Pres. Verga – Est e Rel. Saraco – P.M. Aniello (conf.)

Impugnazioni – Appello – Dibattimento – Rinnovazione dell’istruzione – Riforma della sentenza di condanna – Rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa decisiva – Limitazione alle sole prove individuate dal p.m. – Necessità

(Art. 111, comma 2 e 3 Cost. – Art. 6, comma 3, lett. d) C.E.D.U. – Art. 495, comma 1 c.p.p. – Art. 603, comma 3 bis c.p.p.)

In tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a seguito di impugnazione del pubblico ministero, il giudice d’appello è obbligato ad assumere nuovamente non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che – secondo le ragioni puntualmente e specificamente prospettate nell’atto di impugnazione del pubblico ministero – siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa “proscioglimento-condanna”.

 

Una pronuncia che rischiava di passare inosservata consolida un peculiare orientamento della S.C.: la rinnovazione dell’istruttoria in appello, nella formula dell’art. 603, comma 3bis c.p.p., sarebbe da circoscrivere esclusivamente alle prove dichiarative individuate dal Pubblico Ministero nel proprio atto di impugnazione, a garanzia della speditezza del giudizio. Tale impostazione tuttavia non è convincente, non solo perché priva di un esplicito sostegno letterale nella norma, ma anche perché conferendo una opinabile preferenza all’economia processuale a discapito del principio del contraddittorio, disattende l’intento garantista delle pronunzie della Corte E.D.U. ispiratrici della riforma del 2017: così interpretata la nuova ipotesi di rinnovazione è trasformata in un’arma processuale utile solo all’accusa per ripetere l’istruttoria sfavorevole del primo grado, con effetti paradossali. L’ambito della prova da rinnovare in caso di overturning sfavorevole – pur non potendo coincidere con l’intera istruttoria – non può che corrispondere a tutte le prove dichiarative ricadenti nel thema probandum trasmesso alla cognizione del giudice di appello, purché decisive, garantendo per ognuna di esse un contatto immediato fra giudice e fonte di prova.

A judgment that risked to be unnoticed consolidates a particular opinion of the S.C.: to ensure speedy trial, witness testimony identified by the Public Prosecutor in his own appeal brief is the only evidence that a court may admit in appeal pursuant to Art. 603, paragraph 3 bis, Code of Criminal Procedure. However, this approach is unconvincing, not only because it lacks explicit support in the law, but also because it gives a questionable preference to speedy trial at the expense of the right to present evidence and disregards the intent of the European Court of Human Right’s rulings that inspired the 2017 reform. Pursuant to the S.C.’s interpretation, the new Art. 603 Code of Criminal Procedure provision would be paradoxically transformed into a procedural weapon in the hands of the prosecution for the purposes of obtaining admission of preliminary investigation evidence unfavorable to the defendant. The type of evidence that may be reintroduced in appeal in the event of a judgment unfavorable to the defendant surely cannot coincide with the entire evidence introduced at trial. Nevertheless, in order to ensure an immediate “contact” between the judge and the source of evidence, the appeals’ court should be allowed to hear all witness testimony falling within the thema probandum as defined by the appeal brief, as long as it provides the court with “decisive” evidence.

Sommario: 1. Una curiosa vicenda processuale. – 2. Il non possumus della Corte di Cassazione. La rinnovazione limitata a prove “mirate” a disposizione del pubblico ministero: l’economia processuale prevale sul principio del contraddittorio. – 3. Il necessario riassetto degli interessi: il contatto immediato va esteso a tutte le fonti dichiarative decisive per il tema di prova devoluto. – 4. Conclusioni. Il giusto processo nell’ombra: più che non possumus, non volumus.

  1. Una curiosa vicenda processuale.

Con una sentenza di esemplare rigidità[1] la Corte di Cassazione ci offre una utile occasione per misurare la consistenza di quel che rimane del giusto processo nella prassi giudiziaria italiana.

Questo il peculiare fatto processuale, da cui è indispensabile muovere per le considerazioni che seguiranno: in un giudizio avente variamente a oggetto reati di ricettazione, rapina, lesioni e sequestro di persona, il giudice di prime cure, all’esito dell’ascolto dei testimoni a carico, evidentemente foriero di un risultato opposto a quello sperato dall’accusa, aveva revocato l’ammissione dei testi e del consulente indicati dalla difesa di uno degli imputati, ritenendoli a questo punto inutili, per poi pronunziare sentenza pienamente assolutoria in favore di quello stesso imputato.

La Corte di appello, decidendo sulla impugnazione del pubblico ministero aveva dal canto suo ordinato la rinnovazione dell’istruttoria a mente dell’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. limitatamente ai principali testi dell’accusa, ignorando per converso i testi e consulenti a discarico già revocati in primo grado (in vista dell’assoluzione) e dunque mai ascoltati; rivalutate  in termini accusatori le dichiarazioni (ri)assunte dai soli testi del PM, aveva infine riformato la sentenza impugnata con pronuncia di condanna.

A fronte di questa decisione, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza di appello per aver rinnovato l’istruttoria limitatamente ai testi del pubblico ministero senza recuperare le prove dichiarative revocate in primo grado per sopravvenuta (mal pronosticata, diremmo) inutilità. La Corte territoriale – sosteneva la difesa – era insomma giunta a una sentenza di condanna senza che all’imputato fosse mai stata data occasione di “difendersi provando”, così sostanzialmente estromettendolo dal contraddittorio.

Tuttavia le ragioni del ricorso sono parse alla Suprema Corte manifestamente infondate: di un obbligo di più ampia rinnovazione dell’istruttoria, come quello adombrato dal ricorrente, proprio non vi sarebbe traccia nel nostro impianto ordinamentale, che anzi legittimerebbe serenamente un tale fenomeno giuridico. Spiega infatti la Corte che la presunzione di completezza della istruttoria di primo grado può essere derogata con la rinnovazione della istruttoria dibattimentale in appello solo quando il giudice ritenga discrezionalmente di non poter decidere allo stato degli atti[2]. Si tratta dunque di istituto eccezionale, quello previsto all’art. 603 c.p.p., nel rispetto della cui logica deve essere letta anche la novella legislativa, anticipata dalla nota sentenza “Dasgupta”[3], che obbliga alla rinnovazione istruttoria nel caso di impugnazione del pubblico ministero: la locuzione dell’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. per cui «il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale» non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo alcune “mirate” di esse, quando siano state a) individuate dal pubblico ministero come oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di prime cure e b) ritenute decisive dal giudice di appello per lo scioglimento dell’alternativa “proscioglimento-condanna”. La ragione è innanzitutto di economia processuale: una rinnovazione integrale comporterebbe una automatica e irragionevole dilatazione dei tempi processuali[4].

La Corte di appello avrebbe insomma operato legittimamente: ritenute decisive le prove indicate dal PM, le ha assunte nuovamente e, sulla base di una valutazione difforme da quella del giudice del primo grado, senza assumere una sola prova a discarico, ha condannato l’imputato. Questi – si aggiunge semmai ob iterimputet sibi (o meglio al difensore) di non aver chiesto esplicitamente la rinnovazione dell’istruttoria con riferimento ai propri mezzi di prova pretermessi[5].

  1. Il non possumus della Corte di Cassazione. La rinnovazione limitata a prove “mirate” a disposizione del pubblico ministero: l’economia processuale prevale sul principio del contraddittorio.

Di fronte a una pronuncia così riduttiva della aspettativa a un processo giusto, occorre domandarsi se davvero nel nostro ordinamento non vi sia spazio per soluzioni giuridiche praticabili per recuperare in appello l’assetto originario di un contraddittorio sovvertito nel primo grado di giudizio, come vorrebbe far intendere il così insuperabile non possumus espresso dalla Corte Suprema, o se piuttosto il risultato cui è pervenuta la sentenza in commento non denunci una ben precisa scelta valoriale e di sistema in tema di rinnovazione istruttoria in appello.

Non possiamo infatti dimenticare che il diritto della parte a “difendersi provando”, stabilito dall’art. 495, comma 2, c.p.p., corrispondente al principio della “parità delle armi” sancito dall’art. 6, comma 3, lett. d), della C.E.D.U., al quale si richiamano tanto l’art. 111, comma 2, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti[6], quanto l’art. 111, comma 3, della medesima Carta, costituisce una delle ragioni fondative del diritto di difesa e dunque una delle condizioni strutturali di accettabilità sociale dell’esito del rito collettivo che giustifica l’uso della forza punitiva. È del resto un dato di cultura giuridica condivisa che l’esigenza di garantire una difesa attiva all’imputato ha costituito una delle ragioni centrali dell’opera di riforma del legislatore del 1988, che vi ha costruito attorno la fase cruciale del giudizio di primo grado.

Occorre tuttavia prendere atto che tale esigenza, se proiettata sul giudizio di appello, ha da sempre trovato un significativo impedimento nelle ataviche resistenze culturali che lo hanno strenuamente mantenuto legato alla forma cartolare[7]; le stesse resistenze che si compendiano nella tralatizia formula della presunzione di completezza del giudizio di primo grado, con conseguente eccezionalità della rinnovazione istruttoria in appello.

In questo contesto giuridico e culturale riverberatosi nella impostazione seguita dalla sentenza che ispira questo commento, l’effetto di marginalizzazione delle esigenze difensive è apparso alla Corte di legittimità nient’altro che una delle accettabili “esternalità” di una costruzione interpretativa “blindata” della nuova ipotesi di rinnovazione in appello; costruzione ormai stratificata nella giurisprudenza di legittimità[8] che tradisce risultati esattamente contrari all’ispirazione garantista che ne aveva animato lo sviluppo in sede sovranazionale[9].

I passaggi decisivi su cui si fonda un tale risultato ermeneutico sono due, da leggere in combinazione. Da un lato si rileva come la disposizione di cui all’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. comporti un obbligo di riassunzione della prova dichiarativa decisiva, a fronte delle ipotesi totalmente discrezionali previste ai commi 1 e 3 della stessa norma, dall’altro ci viene comunicato che l’individuazione delle prove dichiarative da rinnovare è a disposizione del pubblico ministero, dovendosi limitare per economia processuale la rinnovazione obbligatoria a quelle oggetto dei suoi motivi specifici di impugnazione (le prove mirate evocate nelle Sezioni Unite “Troise”); le prove restanti sarebbero invece eventualmente affidate alla discrezionalità del giudice a mente della normativa tradizionale: il risultato è la costituzione di una formidabile arma per l’accusa, che acquista così un diritto di ripetizione dell’istruttoria sfavorevole del primo grado, a tutto svantaggio dell’imputato assolto.

Guadagna così nuova attualità una preoccupazione che trapelava in dottrina già nei primi commenti alla c.d. riforma Orlando. Si è da subito segnalato, infatti, come «continuare a vedere nella rinnovazione una garanzia, addirittura una tutela della presunzione d’innocenza, non [abbia] molto senso». E come invece «la rinnovazione sia stata costruita, piuttosto, come un diritto riconosciuto al pubblico ministero le cui pretese non siano state soddisfatte in primo grado[10]».

A ben vedere la perplessità non è mitigata nemmeno dal carattere di decisività (su cui si dovrà tornare) della prova da riassumere: il tema rilevante è l’effetto riduttivo prodotto sull’interesse dell’imputato dall’asserito obbligo di orientare il giudizio di decisività sulle sole prove oggetto dell’impugnazione del pubblico ministero; in definitiva «se il presupposto [per la rinnovazione] si attiva nell’area critica formulata dalla parte impugnante alla decisione liberatoria di primo grado va da sé che la rinnovazione si configuri inevitabilmente come una prerogativa a disposizione dell’accusatore[11]». Si pensi, esemplificativamente, al caso di un teste a carico ritenuto inattendibile in primo grado, cui è così consentita una nuova deposizione in appello con ampi margini di recupero dei passaggi controversi; in un caso del genere nulla di diverso da un nuovo controesame spetterebbe invece alla difesa su quel tema di prova, anche se nel primo grado di giudizio avesse contribuito a determinare l’inattendibilità del teste anche per mezzo dei propri testimoni a discarico, la cui versione inspiegabilmente non meriterebbe la stessa necessaria percezione diretta del giudice di appello, sol perché rimasti estranei ai motivi di impugnazione dell’accusa.

  1. Il necessario riassetto degli interessi: il contatto immediato va esteso a tutte le fonti dichiarative decisive per il tema di prova devoluto.

In un panorama come quello appena delineato, sembra però possibile sostenere che se da un lato pare condivisibile che l’introduzione dell’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. non valga – per sé – a sovvertire il principio di presunzione di completezza dell’istruttoria di primo grado, né a riscrivere completamente la logica dell’appello da giudizio di revisione a nuovo giudizio, è anche vero che l’intervento legislativo ha prodotto una ampia ridiscussione delle connotazioni di quel giudizio: è stato largamente sostenuto in dottrina come l’introduzione della ipotesi che commentiamo abbia quantomeno valorizzato lo scopo cognitivo dell’appello e dunque la sua vocazione accusatoria, al pari del giudizio di primo grado, sostituendo la “logica di controllo” con la “logica dell’accertamento”, «secondo la quale il giudizio di impugnazione dovrebbe strutturarsi per dare modo alle parti di esercitare il più ampio diritto alla prova nel contraddittorio orale, che per il giudice significa anche coltivare il contatto diretto con la prova acquisita, unica via per una sentenza pronunciata oltre ogni ragionevole dubbio[12]».

Posto che la pur sempre mantenuta funzione di controllo del giudizio di appello e le conseguenti ragioni di economia processuale impediscono che alla locuzione «il giudice dispone la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale» corrisponda una obbligatoria ripetizione integrale del processo dibattimentale per ogni impugnazione del pubblico ministero fondata sull’erronea interpretazione di una prova dichiarativa[13], e posto che è quindi indispensabile individuare un limite alla prova da rinnovare, nella nuova ottica di accertamento del giudizio di impugnazione sembra allora del tutto consentito indagare se l’istanza di contraddittorio valida (anche) per questo grado di giudizio consenta di recuperare in appello solo il contraddittorio intorno alle prove selezionate dal pubblico ministero oppure anche tutte le altre che con esse siano in rapporto di dipendenza logica, perché ricadenti nello stesso segmento del thema probandum; anche perché la disposizione di legge è sul punto incontrovertibilmente muta: la norma non dice nulla in merito al contenuto della attività istruttoria cui è chiamato il giudice di appello[14].

Al fine di condurre una tale indagine vi è primariamente da osservare che il caso di rinnovazione introdotto dall’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. non costituisce un monolite procedurale ad attivazione automatica e dunque sottratto alle scelte discrezionali che invece caratterizzano i casi tradizionali.  Anche il contenuto della nuova disposizione, per come già sviluppato nell’interpretazione – che chiameremmo genetica – della sentenza Dasgupta, lascia in realtà un ben percepibile margine di intervento valutativo al giudice[15], il quale dispone la rinnovazione solo se ritiene le prove dichiarative oggetto dell’impugnazione del PM decisive per l’esito del processo[16].

E’ dunque il giudizio di decisività sulle prove, in quanto cruciale snodo valutativo, ad assumere valore dirimente per procedere alla rinnovazione nel caso previsto al comma 3 bis dell’art. 603 c.p.p.; persino le Sezioni Unite Troise, che a ogni costo intendono valorizzare l’economia processuale e dunque la limitazione delle prove orali da assumere a quelle individuate dal pubblico ministero, operano invariabilmente un richiamo al concetto di decisività, criterio già cristallizzato dalle Sezioni Unite Dasgupta, che hanno notoriamente stabilito che «devono ritenersi prove dichiarative “decisive” quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull’esito del giudizio di appello, nell’alternativa proscioglimento-condanna”». Ma anche nella lezione della sentenza Dasgupta non è dato rintracciare alcun elemento che indirizzi il contenuto della valutazione di decisività sulle sole prove individuate dal P.M.

D’altro canto pare indubbio che, pena la rinnovazione integrale del dibattimento, occorra pure individuare un criterio guida nella selezione della prova da rinnovare e sembra inesorabile che tale ruolo debba essere assegnato ai motivi di impugnazione «attinenti alla valutazione della prova dichiarativa»; è del resto in funzione di quei motivi che si delimita anche l’area della cognizione del giudice penale, modulata sul principio devolutivo; è in funzione del loro contenuto, insomma che è possibile trasmettere al giudice dell’appello la cognizione di un preciso thema decidendum e di un preciso, corrispondente thema probandum.

Avendo riguardo alla ratio della novella legislativa, appuntata sulla garanzia di una pronuncia a cognizione (e non più a motivazione)[17] rafforzata rispetto a quella ordinariamente propria del giudizio di appello, in garanzia di un convincimento oltre ogni ragionevole dubbio, le doglianze del pubblico ministero potranno dunque fungere da strumento selettivo, non delle fonti di prova, ma del tema di prova da rimettere in discussione[18]. Solo così la valutazione di decisività includerà tutte le prove che nella sentenza di primo grado hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, poiché in primo grado esse sono state oggetto di un giudizio coordinato – e non isolato – finalizzato a esaurire il tema di prova per il quale erano state concepite. Il perimetro della prova da rinnovare allora non potrà che corrispondere «a ogni prova dichiarativa rilevante per provare la fondatezza del motivo d’appello e, di conseguenza, [a] ogni prova contraria a quest’ultima, pure essa necessariamente rilevante[19]». Qualora il novero delle prove così individuato dovesse rivelarsi eccessivo sarà comunque possibile affidarsi a una valutazione di manifesta superfluità ai fini della decisione[20]. Si garantisce così, nel momento di doveroso ripristino in appello della migliore prassi gnoseologica per l’accertamento del fatto – giusta l’immediatezza nell’acquisizione dell’informazione probatoria prescritta per superare una sentenza di proscioglimento – anche la praticabilità del contraddittorio nella sua forma più ampia, comprensiva del diritto a difendersi provando. Di talché la sentenza di appello giunga a superare il peso congiunto di quella precedente e della presunzione di innocenza su una base cognitiva altrettanto accettabile di quella sperimentata nel primo grado[21].

La natura “mirata” delle prove da assumere, per come voluta dalla sentenza in commento ossia rimessa alla disponibilità del pubblico ministero, non trova allora conforto in un singolo dato della disposizione, e costituisce un mero, opinabile risultato interpretativo, dichiaratamente strumentale al principio di economia processuale; principio che, a pena di negare rilevanza a tutto il dibattito sorto attorno alla nuova ipotesi di rinnovazione istruttoria e alla stessa ragion d’essere della sua introduzione normativa, deve però constatarsi recessivo rispetto all’esigenza di garantire immediatezza anche in appello per le prove incidenti su un tema dirimente del processo, sia pure solo in caso di oveturning sfavorevole all’imputato presunto innocente.

  1. Il giusto processo nell’ombra: più che non possumus, non volumus.

Quid iuris allora per il caso che ci ha ispirato, in cui il giudice di prime cure ha prima ammesso una prova a discarico con riferimento a un preciso tema di prova, per poi revocarla in quanto ormai inutile per il sopravvenuto risultato liberatorio delle prove dichiarative richieste dall’accusa?

Occorre innanzitutto considerare che il concetto di rinnovazione istruttoria non esclude di principio le prove non assunte in primo grado anche quando non noviter repertae o productae. L’art. 603, comma 1, c.p.p. autorizza alla rinnovazione istruttoria – locuzione identica a quella adottata al comma 3 bis – anche nel caso di prove nuove non sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado. In seno a tale ultima categoria di prova è maturata da tempo nell’insegnamento della Corte di legittimità una lettura estensiva che da una iniziale apertura a ogni «prova non assunta in primo grado e per la quale non siano intervenute preclusioni[22]» è giunta a ricomprendere persino «l’insieme degli elementi già suscettibili di introduzione nel corso del giudizio di primo grado ma che, per eventualità di vario genere, ne siano rimasti esclusi, e, cioè, la prova nota alle parti nel giudizio di primo grado ma non acquisita[23]». L’adozione del termine “rinnovazione” vuol significare riapertura della fase istruttoria, non riedizione di una prova già assunta; ancora una volta la lettera della disposizione di cui all’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. non pone limiti alla prova da (ri)assumere in appello.

In secondo luogo varrà considerare che la decisione offerta dal giudice di prime cure sul thema probandum oggetto di censura non è stata di mera irrilevanza delle prove a discarico non assunte, giacché esse sono state ammesse superando il vaglio dell’art. 495, comma 1, c.p.p.; con quella decisione il giudice ha invece offerto una valutazione complessa della prova dichiarativa, frutto di un giudizio di comparazione fra l’informazione liberatoria già acquisita e quella (presumibilmente) liberatoria da acquisire, risolvendosi nell’attribuzione alla prima di un valore di decisività e alla seconda di un valore dipendente (e non autonomo) di “non necessità”; una volta rimesso in discussione il primo condizionante attributo (per mezzo della censura del pubblico ministero), alla decisione di “non necessità-dipendente” espressa sulla prova revocata non poteva che essere assegnato un valore inverso di “necessarietà” ai fini del decidere da parte del giudice di appello.

Cosicché, stante la portata dell’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. non limitata alle prove dichiarative selezionate dal pubblico ministero, ma estesa a tutte quelle rilevanti per provare la fondatezza del motivo d’appello e, di conseguenza, a ogni prova contraria a quest’ultima, vi era una ben percorribile strada per riassestare, per mezzo del potere officioso proprio del giudice di appello, l’assetto fondamentale del contraddittorio sovvertito officiosamente in primo grado. Una strada che tuttavia si è scelto di non percorrere, in un quadro tutto orientato su schemi restrittivi del diritto di difesa e di valorizzazione dell’economia processuale. Di giusto processo, insomma, soltanto l’ombra.

*Avvocato del Foro di Roma

[1] Cass. pen., Sez. II, 28 novembre 2019 (dep. 2 marzo 2020), n. 8475, Pres. Verga – Est. e Rel. Saraco – P.M. Aniello.

[2] In tal senso Cass. pen., S.U., 17 dicembre 2016, n. 12602, Ricci in C.E.D. Cass. 266820.

[3] Cass. pen., S.U., 28 aprile 2016, n. 27620, Dasgupta, in Cass. pen., 2016, p. 3203 ss.

[4] In questo senso Cass. pen., S.U., 21 dicembre 2017 n. 14800, Troise, in Dir. pen. cont. Online, 17 aprile 2018.

[5] Circostanza che – preme sottolineare – è valsa per la corte di legittimità solo a determinare il carattere manifesto della infondatezza della censura, non certo a rigettarla.

[6] Così Cass. pen. Sez. V, 12 febbraio 2020 n. 16976, in C.E.D. Cass. n. 279166, ma anche Cass. pen., Sez. VI, 5 ottobre 2017, n. 53823 in C.E.D. Cass. n. 271732; Cass. pen., Sez. V, 17 febbraio 2012, n. 18351, in C.E.D. Cass. n.  252680; Cass. pen., Sez. V, 30 settembre 2013, n. 51522, in C.E.D. Cass. n. 257891; Cass. pen., Sez. II, 10 febbraio 2015, n. 9761 in C.E.D. Cass. n.  263210.

[7] Ne tratta D. CHINNICI, Contraddittorio e giudizio di appello. Ortodossia europea, resistenze interne e graduali aperture in attesa del “sigillo” del legislatore, in D. Negri – R. Orlandi (a cura di), Le erosioni silenziose del contraddittorio, Torino, 2017, pp. 199-205, ove si sottolineano anche serie aporie logiche cui è soggetto il postulato di maggiore autorevolezza di un giudice di appello che diversamente da quello di prime cure non coltiva alcun contatto diretto con la fonte di prova.

[8] Cass. pen., Sez. I, 7 novembre 2018, n. 12928, in C.E.D. Cass. n. 276318; Cass. pen., Sez. II, 13 dicembre 2018, n. 5231 in C.E.D. Cass. n. 276050; Cass. pen., Sez. III, 4 febbraio 2020, n. 16444 in C.E.D. Cass. n. 279425.

[9]  Si vedano in proposito Corte E.D.U., 5 ottobre 2011, Dan c. Moldavia; Corte E.D.U., 26 giugno 2012, Gaitanaru c. Romania; Corte E.D.U., 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania; Corte E.D.U., 4 giugno 2013, Hanu c. Romania; Corte E.D.U., 9 aprile 2013, Fluera¸s c. Romania; Corte E.D.U., 5 luglio 2016, Lazu c. Moldavia; Corte E.D.U., 28 febbraio 2017, Manoli c. Moldavia; Corte E.D.U., 29 giugno 2017, Lorefice c. Italia; Corte E.D.U., 14 febbraio 2017, Potoroc c. Romania; Corte E.D.U., 9 gennaio 2018, Ghincea c. Romania; Corte E.D.U., 20 aprile 2018, Stoica c. Romania.

[10] A. CAPONE, La riassunzione delle prove dichiarative e la riforma della decisione in appello, in Dir. Pen. Cont. Online, 9 ottobre 2018, p. 8.

[11] S. TESORIERO, Una falsa garanzia: l’obbligatoria attuazione del contraddittorio nel giudizio d’appello, in Cass. pen., 2017, p. 3687.

[12] V. AIUTI, Codice di procedura penale, Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, coordinato da Bronzo, sub. art. 603, Giuffrè, 2015, p. 530, il quale così sintetizza le voci della dottrina maggioritaria sul tema.

[13] Come pure aveva a suo tempo ritenuto parte della dottrina M. CERESA-GASTALDO, La riforma dell’appello, tra malinteso garantismo e spinte deflative, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3/2017, p. 166.

[14] P. BRONZO, La nuova ipotesi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, in G.M. Baccari–C. Bonzano–K. La Regina–E. Mancuso (a cura di), Le recenti riforme in materia penale, Padova, 2017, p. 423.

[15] D. CHINNICI, Contraddittorio e giudizio di appello. Ortodossia europea, resistenze interne e graduali aperture in attesa del “sigillo” del legislatore, cit., p. 210, che sottolinea peraltro l’indeterminatezza del concetto di decisività.

[16] Sui limiti di una simile valutazione prognostica in fase anticipata vedi S. TESORIERO, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della C.E.D.U., in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3-4/2014, p. 260 e ss.; D. CHINNICI, op. cit., pp. 210 e ss.

[17] Come era per Cass. Sez. Un., sent. n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, in Cass. pen., 2005, p. 3732.

[18] Ossia dei fatti che si riferiscono alla imputazione per come trasmessa al giudice di appello, stante l’operatività generale del principio di cui all’art. 187 c.p.p.: il thema probandum coincide con i fatti oggetto della imputazione), cfr. Cass. pen., Sez. V, 2 maggio 2019, n. 18264, in C.E.D. Cass. n. 276246.

[19] Così P. BRONZO, La nuova ipotesi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, cit., p. 424 ss, riprendendo identiche considerazioni di V. AIUTI, Obbligo di rinnovazione e prova dichiarativa, in A. Marandola – T. Bene (a cura di), La riforma della giustizia penale, Milano, 2017, p. 255.

[20] Soggiunge V. AIUTI, Obbligo di rinnovazione e prova dichiarativa, cit., p. 255.

[21] Per il diverso caso della rinnovazione a seguito di pronuncia assolutoria resa in giudizio abbreviato vedi S. TESORIERO, Una falsa garanzia: l’obbligatoria attuazione del contraddittorio nel giudizio d’appello, cit., p. 3668 e ss. il quale si esprime in termini assai critici rispetto al fulcro argomentativo seguito dalle Sezioni Unite Palatano, sostenendo che l’interpretazione estensiva ivi fornita produca uno snaturamento del rito abbreviato e uno svilimento per il diritto di difesa.

[22] Cass. pen., Sez. V, 25 giugno 1992, n. 8852, in C.E.D. Cass. n. 191623.

[23] Cass. pen., Sez. III, 13 settembre 2016, n. 47963, in C.E.D. Cass. n. 268656 nel corpo della motivazione.