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NÉ CONTENZIONE NÉ CONTENITORI – DI ANTONELLA CALCATERRA E MICHELE PASSIONE

NÉ CONTENZIONE NÉ CONTENITORI – DI ANTONELLA CALCATERRA E MICHELE PASSIONE

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NÉ CONTENZIONE NÉ CONTENITORI

di Antonella Calcaterra* e Michele Passione**

Idee sparse intorno alla sentenza 22 del 2022 della Corte costituzionale. Un punto di arrivo sul non ritorno. Almeno si spera.

Sommario: 1. La quaestio e le doglianze. – 2. Anomalie. – 3. Le risposte della Corte.

  1. La quaestio e le doglianze.

Con la sentenza n.22, depositata il 27 gennaio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222 del codice penale e dell’art 3 ter della legge 9 del 2021 sollevate dal Gip di Tivoli con riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27 e 110 della Costituzione.

Si tratta di una sentenza tanto attesa dagli operatori che lavorano in ambito psichiatrico/giudiziario ed emessa dopo il passaggio istruttorio disposto con l’ordinanza 131 del 24 giugno 2021 per l’acquisizione di informazioni dai Ministeri della Giustizia e della Salute e dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.  La relazione ampia e corposa depositata ha permesso, forse per la prima volta, di avere un focus effettivo sulla gestione congiunta, da parte delle Regioni e della Giustizia, dei pazienti psichiatrici che entrano nel circuito penale e che sono destinatari di misure di sicurezza (che dovrebbero essere applicate secondo i parametri indicati dalla legge 81/2014 e con il supporto della psichiatria territoriale adeguatamente strutturata e finanziata per garantire interventi in linea con il quadro normativo delineato).  Il rapporto, purtroppo, ha restituito una narrazione diversa, tanto da indurre la Corte costituzionale a sollecitare un quadro di interventi non differibili e la urgente necessità di una complessiva riforma del sistema.

Ma su questi torneremo dopo aver riassunto da dove prende le mosse questo intervento del Giudice delle leggi.

Il Giudice per le indagini preliminare presso il Tribunale di Tivoli con l’ordinanza dell’11 maggio 2020 aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 206 e 222 c.p. e art. 3 ter del D.L. n. 211/2011 convertito con modificazioni dalla L. n. 9/2012, come modificato dall’art. 1 comma 1 lett. A) D.L. n. 52/2014, “in relazione agli artt. 27 e 110 Cost. nella parte in cui attribuendo l’esecuzione del ricovero provvisorio presso una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) alle Regioni ed agli organi amministrativi da esse coordinati e vigilati, escludono la competenza del Ministero della Giustizia in relazione all’esecuzione della detta misura di sicurezza detentiva provvisoria nonché nella parte in cui consentono l’adozione con atti amministrativi di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza in violazione della riserva di legge in materia, rispetto a quanto previsto dagli artt. 2, 3, 25, 32 e 110 Cost.” .

Il Giudice rimettente l’11 giugno 2019 aveva emesso ordinanza con la quale era stata disposta nei confronti dell’indagato per reati di violenza e minaccia la misura di sicurezza del ricovero presso una REMS, “da individuarsi a cura del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (DAP)”.  Il Giudice aveva ritenuto, sulla base delle indicazioni cliniche del consulente nominato e delle condotte disfunzionali pregresse, che una diversa e meno restrittiva misura fosse insufficiente a fronteggiare la pericolosità sociale dell’indagato, posta la totale assenza di consapevolezza di malattia e di compliance nelle cure.

Il Pubblico Ministero aveva quindi chiesto al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di indicare la REMS presso la quale potesse essere eseguito il ricovero e, con riferimento a tale domanda, il DAP comunicava che, come previsto dal Decreto 1.10.2012 emanato dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro della Giustizia, le REMS sono ad esclusiva gestione sanitaria ed il trattamento delle persone sottoposte alla misura di sicurezza detentiva era affidato al Servizio Sanitario Regionale (SSR). Gli uffici della Regione Lazio comunicavano l’impossibilità di eseguire la misura per mancanza di disponibilità di posti nel territorio, “sia di fatto, per la scarsità di risorse materiali ed umane, che in punto di diritto per quanto qui di interesse, a causa del sostanziale diniego dell’Amministrazione penitenziaria per la ritenuta incompetenza in materia di gestione delle REMS e segnatamente per la asserita intrasferibilità fuori dal territorio regionale, mancando finanche presso l’Amministrazione centrale uno strumento di conoscenza della disponibilità nazionale dei posti in REMS”.

In attesa della disponibilità di un posto per il ricovero in REMS, il Giudice aveva disposto l’applicazione temporanea della libertà vigilata ‘terapeutica’ presso una Struttura residenziale psichiatrica per trattamenti terapeutico riabilitativi (SRTR) a carattere estensivo nel territorio della Regione Lazio, da individuarsi a cura del Centro salute mentale (CSM) competente. Tuttavia, veniva meno anche la possibilità concreta di dar luogo alla libertà vigilata, soluzione ‘ponte’ individuata dal Giudice per contenere i profili di pericolosità della persona sino al suo ricovero in REMS, posto che l’indagato ripetutamente rifiutava il ricovero residenziale, o se ne allontanava, e comunque non si sottoponeva ad alcuna delle terapie imposte con il provvedimento di applicazione temporanea della detta misura, che pertanto veniva revocata.

Il GIP richiamava nel suo provvedimento di rimessione degli atti alla Corte la prima risoluzione del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) del 19.09.2017 nella quale “si constatava che pressoché in tutte le Regioni interessate vi era assoluta carenza di posti e sostanziale ineseguibilità delle misure di sicurezza detentive anche per persone di particolare pericolosità sociale, non essendo nemmeno possibile trasferire da una regione all’altra gli internati per mancanza di un effettivo coordinamento da parte del Ministero della Giustizia”, e la successiva risoluzione del 25.09.2018, con la quale il medesimo CSM sollecitava l’elaborazione di Protocolli operativi in tema di misure di sicurezza psichiatriche da parte degli Uffici giudiziari di merito e di sorveglianza, insieme al Ministro della Giustizia e alle Autorità regionali competenti, sollecitando l’adozione di accordi che potessero garantire la risoluzione delle gravi inefficienze descritte.

Ad avviso del rimettente l’impossibilità di eseguire il ricovero in REMS trova le proprie ragioni nel vigente assetto normativo che disciplina l’assegnazione nelle REMS.

In particolare il Giudice evidenziava la sostanziale equiparabilità della misura di sicurezza detentiva provvisoria del ricovero in REMS con le altre misure di natura giudiziaria penale restrittive della libertà personale. Secondo il Giudice a quo la misura provvisoria del ricovero in REMS si distingue nettamente da altri provvedimenti di natura sanitaria di tipo coattivo, quale ad esempio il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), non soltanto per le ragioni poste a fondamento della restrizione della libertà personale, ma anche per lo stesso ruolo accordato all’Autorità giudiziaria. Nel caso di TSO la limitazione della libertà si giustifica e legittima esclusivamente per la tutela della salute del paziente ex art. 32 Costituzione, ed è previsto un intervento ex post del Giudice, volto a convalidare gli interventi coattivi di cura già posti in essere sulla persona. Nel caso del ricovero in REMS, invece, concorrono altresì esigenze di ordine pubblico e di tutela dei diritti dei terzi diversi dall’infermo, secondo quanto previsto dagli artt. 2 e 25 Cost., e l’Autorità giudiziaria interviene ex ante nel valutare i presupposti (commissione di un reato o di un quasi reato e pericolosità sociale dell’incapace) e nel disporre la misura.

Di conseguenza, il GIP evidenziava la necessità che l’esecuzione della misura di sicurezza detentiva provvisoria sia affidata per gli aspetti materiali “all’organo che sovrintende l’Amministrazione penitenziaria, ossia il Ministro della Giustizia, al quale spettano ai sensi dell’art. 110 Cost. l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia con le relative responsabilità […]. Il Ministro della Giustizia è l’unico espressamente menzionato dalla Costituzione a causa della rilevanza delle sue attribuzioni nell’ambito del potere esecutivo con riferimento all’Ordine giudiziario, sia per quanto attiene alla facoltà di esercizio dell’azione disciplinare sia per quanto attiene alle complessive responsabilità organizzative e politiche che gli vengono attribuite davanti al Parlamento”.

La seconda ragione trae fondamento dal riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni sancito all’art. 117 Costituzione. Ai sensi di tale disposizione, spetta allo Stato “la legislazione esclusiva in materia di: … h) ordine pubblico e sicurezza … l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale…”. Rilevava al riguardo il giudice a quo che “L’attribuzione costituzionale al Ministro della Giustizia in materia di organizzazione e dei servizi relativi alla giustizia, quindi, impone che spetti a quest’ultimo la competenza a provvedere in relazione all’esecuzione dei provvedimenti dell’Autorità giudiziaria per motivi di omogeneo, ordinato ed efficace trattamento degli internati nei cui confronti va eseguito il ricovero in REMS. La sottrazione al Ministro della Giustizia di ogni competenza diretta in materia, peraltro, non solo va ritenuta conforme alle disposizioni sopra menzionate ma è anche in concreto ritenuta dal DAP, quale articolazione dell’Amministrazione che cura l’esecuzione delle misure restrittive della salute personale”.

Inoltre, il sistema attuale lederebbe i richiamati principi costituzionali anche nella parte in cui consente l’adozione, con atti amministrativi, di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza in violazione della riserva di legge.

In definitiva, ad avviso del giudice remittente, “il sistema così delineato […] determinava l’ineseguibilità della misura di sicurezza provvisoria detentiva disposta nel presente procedimento, oltre a numerosissime altre misure di sicurezza definitive e provvisorie emesse da altri organi giudiziari, e causava una disomogenea applicazione sul territorio nazionale delle norme di trattamento penitenziario previste a tutela dei diritti inviolabili degli internati infermi di mente, esponendo a rischio la vita o l’incolumità degli stessi infermi di mente, oltre che quelle degli operatori e dei terzi, con ulteriore violazione di diritti fondamentali relativi agli obblighi di protezione dello Stato nei confronti dei cittadini dalle persone socialmente pericolose”.

Prima di affrontare gli esiti del giudizio e l’approdo della Corte costituzionale appaiono senza dubbio interessanti i risultati dell’istruttoria cui è stato dato riscontro con ampia relazione congiunta dei Ministeri della Salute e della Giustizia.

Questo il quadro restituito, sul quale vi è conformità di visione.

Alla data del 21 luglio 2021 erano presenti ed attive 36 REMS per un totale di 652 posti letto disponibili di cui 596 occupati. In ciascuna Regione appariva in linea di massima rispettato il principio di territorialità; solo 19 persone erano inserite in REMS di Regioni differenti, mentre 15 persone erano senza fissa dimora e 58 straniere.

I dati risultano invece divergenti in ordine al numero delle persone in lista di attesa: secondo il DAP al 31.7.2021 erano 750, mentre secondo la Conferenza Stato Regioni erano 568, oltre a 103 persone non direttamente inseribili perché detenute per altro titolo.  Il tempo di attesa è indicato in 304 giorni.

A parere di entrambi le principali difficoltà di funzionamento dei luoghi di cura per la salute mentale esterni alla REMS “per gli imputati e per le persone assolte in via definitiva sono ascrivibili:  in primo luogo alla carenza di risorse (personale strutture e finanziamenti) allocate ai servizi di salute mentale, cui è destinato solo il 2,9 per cento delle risorse complessive per il SSN; in secondo luogo alla mancanza di efficace coordinamento tra l’Amministrazione della Giustizia e i servizi sanitari territoriali; ed infine alla complessità psichiatrica, sanitaria, sociale e giudiziaria di alcune situazioni che richiedono particolare impegno per costruire la motivazione alla cura e per favorire una sufficiente adesione della persona ai progetti proposti”. Un passaggio questo che delinea tristemente la principale difficoltà strutturale che, di fatto, impedisce da anni la messa a regime di un sistema di riforma che dovrebbe basarsi principalmente sulla presa in carico territoriale del paziente.

Sicuramente molto interessanti alcune ulteriori considerazioni rimesse in ordine alle difficoltà incontrate nella gestione e nella organizzazione della REMS dalle quali emergono analisi differenziate e preoccupanti.

Il Ministero della Giustizia riconosce che il principio della misura detentiva come extrema ratio sia stato scarsamente recepito in ambito giurisdizionale e che sia ancora attiva e vigente una logica custodialistica ben lontana dalle innovazioni di sistema; e si sofferma anche sul problema della scarsa comunicazione tra le Autorità sanitarie e giudiziarie evidenziando che laddove “anche tramite protocolli d’intesa i servizi psichiatrici si sono dimostrati efficienti nell’indicare da subito soluzioni terapeutiche alternative alle REMS, al fine di procedere alla cura e al contenimento del paziente autore di reato, inevitabilmente il principio della misura detentiva come estrema ratio ha trovato concretizzazioni più concrete” .  Di fatto il Ministero della Giustizia nel dare atto della presenza di ben 14 protocolli regionali ammette la persistenza dell’approccio custodialistico dei magistrati. A loro volta il Ministero della Salute e la Conferenza Stato e Regioni lamentano “proprio l’insufficiente applicazione del principio di extrema ratio della misura di sicurezza detentiva – verosimilmente a causa della scarsa fiducia nelle misure di sicurezza non detentive e della debolezza dei servizi – che sarebbe alla base dell’aumento delle richieste di ricovero che non hanno trovato esecuzione. Di sicuro rilievo appare anche il passaggio nel quale (§ 5.12 Ritenuto in fatto) si osserva come secondo il “nuovo approccio culturale sotteso alla riforma […] la malattia mentale non è più un male incurabile ma un disturbo, di natura anche sociale, curabile o almeno gestibile nell’ambito di un percorso di vita che tenda all’autonomia. Di talché ricercare nella dotazione dei posti in REMS la soluzione al problema delle misure di sicurezza è espressione della cultura precedente la riforma, che, come prima risposta alla malattia mentale, immaginava un luogo in cui collocare la persona (rinunciando a ogni forma di inclusione sociale del malato”). Da qui la indicata necessità di accelerare i percorsi di sostegno ai servizi territoriali al fine di indirizzare le risorse verso una salute di comunità.

Un focus impietoso su quelle che sono le carenze e le criticità di un sistema che fatica ad andare e regime, da anni lamentate da chi opera compiutamente nel settore e che rischiano di mandare all’aria una riforma dalla quale non si può recedere.

Nel dare atto della costituzione di due meccanismi congiunti di coordinamento di tutti gli attori istituzionali, ossia l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) e l’Organismo di coordinamento per il superamento degli OPG, interessanti appaiono le proposte congiunte dei redattori della relazione: in primis il rafforzamento delle rete dei servizi di salute mentale e, a seguire, un maggior coordinamento e più ampio dialogo  tra le istituzioni, la previsione di criteri uniformi per le liste di attesa e di meccanismi di rivalutazione periodica della condizione giuridica e sanitaria delle persone destinatarie di misure di sicurezza detentive.

Tutte proposte utilissime, e oseremmo dire ovvie; molte di esse sono contenute già nei vari protocolli redatti a livello regionali rimasti per anni lettera morta.

Occorreva che la Corte costituzionale arrivasse ad aprire il sipario su un sistema che per anni non è riuscito ad andare a regime e che oggi propone passaggi imprescindibile e che dovevano essere messi a punto subito?

E’ auspicabile che ora gli enti interessati anche a fronte dell’assegnazioni di 60 milioni di euro nell’ambito di fondi per il 2021 “vincolati agli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale, alla qualificazione dei percorsi per l’effettiva presa in carico e per il reinserimento sociale dei pazienti con disturbi psichiatrici autori di reato a completamento del processo di attuazione della legge 81 del 2014” si muovano nella direzione giusta e necessaria senza ulteriori indugi.

  1. Anomalie.

Fin qui, la fotografia scattata dalle varie agenzie interpellate dalla Corte[1] .

Prima di entrare nel merito, è opportuno evidenziare alcune peculiarità della vicenda, che possono costituire oggetto di ulteriori spunti di riflessione.

Al § 2 del Ritenuto in fatto la Corte da conto che “Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio, né si è costituita la persona sottoposta a indagini nel giudizio a quo”.

Non deve stupire l’assenza della parte privata, atteso il contesto di marginalità nel quale è maturata la vicenda, ma (oltre che generalmente rara) la mancata costituzione dell’Avvocatura Generale dello Stato, pur ovviamente immotivate le ragioni della stessa, costituisce espressione di un disagio istituzionale e di una diversa chiave di lettura al problema posto sul tavolo da parte del Ministero della Giustizia e della Salute. Un silenzio assordante.

In secondo luogo, al § 2.1 del Considerato in diritto la Corte rileva come “entrambi i gruppi di censure sono formulati nei confronti del combinato disposto degli artt. 206 e 222 cod. pen. e dell’art.3 ter del d.l. n.211 del 2011, come convertito nel testo da ultimo modificato dal d.l. n.52 del 2014”, dando però correttamente atto che “gli artt. 206 e 222 cod. pen. […] nulla dispongono né in merito alle competenze del Ministro della Giustizia, né in merito alla più precisa disciplina delle REMS; onde le questioni di legittimità costituzionale che hanno ad oggetto tali disposizioni del codice penale debbono considerarsi in radice inammissibili per aberratio ictus”.

Quanto alle censure cui accenna la Corte, vi è ancora da dire che queste vertevano anche, come sopra ricordato, sulla pretesa violazione del riparto di competenza tra Stato e Regioni in materia di misure di sicurezza (secondo la prospettazione del rimettente), dovendosi affidare allo Stato la legislazione esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza (art.117, comma 2, lett.h, Cost.) e giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale (lett.l). Ciò nonostante, il Giudice a quo non ha utilizzato il parametro contenuto nel Titolo V tra quelli che si assumono violati[2], di talché la Corte non ha preso (a ragione) in considerazione alcuna gli argomenti sviluppati a pg. 14 dell’ordinanza di rimessione.

Ancora; al § 3 del Considerato in diritto la Corte evidenzia giustamente come (in disparte quanto si dirà a breve sul punto) “non incide sull’ammissibilità di tali questioni la circostanza che, come comunicato a questa Corte successivamente all’ordinanza istruttoria n.131 del 2021, l’interessato nel giudizio a quo sia stato nel frattempo giudicato nel merito dal Tribunale di Tivoli, sezione penale, per il reato rispetto al quale il GIP rimettente procedeva in via cautelare , e sia stato ivi assolto con sentenza ormai passata in giudicato, con la quale gli è stata applicata una misura di sicurezza diversa dal ricovero in REMS”. L’assunto appare assolutamente condivisibile, posto che “dall’art.21 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale si desume infatti un principio generale di autonomia del giudizio incidentale di costituzionalità, che come tale non risente delle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione; sicché la rilevanza delle questioni rispetto alla decisione del processo a quo deve essere vagliata ex ante, con riferimento al momento della prospettazione delle questioni stesse (sentenze n.127 del 2021 e n.84 del 2021)[3].

Desta invece non poche perplessità il silenzio della Corte su quanto qui di seguito si evidenzia, richiamato il § 4 del Ritenuto in fatto della sentenza.

Si è infatti segnalato che in pendenza del giudizio di legittimità costituzionale il Tribunale monocratico di Tivoli (un diverso Giudice rispetto al rimettente) trasmetteva alla Corte la sentenza emessa il 15 aprile 2021, divenuta irrevocabile il primo giugno 2021, con la quale l’imputato veniva assolto per difetto di capacità di intendere e di volere. La Corte evidenzia che “nella motivazione della sentenza si dava atto in particolare che – nelle more dell’odierno giudizio di legittimità costituzionale – il 5 ottobre 2021 era stato possibile eseguire nei confronti di P.G. il ricovero in REMS ordinato dal GIP, e che la perizia medico – psichiatrica disposta dal Tribunale in sede di giudizio dibattimentale aveva evidenziato un quadro di maggiore consapevolezza della propria patologia e disponibilità a seguire le cure, il che consentiva un giudizio di diminuita pericolosità sociale, che rendeva la meno restrittiva misura della libertà vigilata adeguata a fronteggiare il livello di pericolosità attuale che il G. presenta e maggiormente utile a favorirne il percorso terapeutico”.

Prima di procedere ai rilevi che seguono, occorre evidenziare che dall’ordinanza di rimessione si evince come in data 2 aprile 2020 il Pubblico Ministero avesse presentato la richiesta di fissazione dell’udienza dibattimentale per l’emissione della citazione diretta davanti al Tribunale di Tivoli, ottenendo indicazione presidenziale della data dell’8 aprile 2020 ai fini dell’emissione del decreto di citazione a giudizio, ancora non emanato.

Dalla lettura della sentenza sopra riportata non è dunque dato comprendere come possa il Tribunale aver dato conto “nella motivazione  della sentenza” dell’esecuzione della misura di sicurezza che sino a quel momento era rimasta inevasa, e che ha costituito il thema decidendum dell’intera vicenda; essendo la sentenza divenuta irrevocabile il primo giugno, ed emessa il 15 aprile, non era dunque possibile per il Giudice laziale, salvo immaginare capacità divinatorie, anticipare quanto accaduto mesi dopo.

È invece possibile ritenere (sia pur in ciò condizionati dalla limitata acquisizione degli atti di causa) che il GIP abbia sollevato l’incidente di costituzionalità siccome ancora avente la materiale disponibilità del fascicolo.

La ricostruzione temporale delle cadenze processuali sopra descritte non può esimerci dal riflettere sull’ortodossia di quanto occorso.

Ed infatti, con la già richiamata sent.n.127 del 2021 la Consulta, preso atto di aver appreso che il Presidente del Tribunale aveva disposto la prosecuzione del giudizio a quo nonostante la pendenza dell’incidente di costituzionalità (evenienza definita “patologica”), ha affermato di non poter “esimersi dal rilevare come detto provvedimento contrasti con quanto disposto dall’art.23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale); ciò che impone la trasmissione degli atti del presente giudizio al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per gli eventuali provvedimenti di competenza”, a nulla valendo nell’opinione della Corte la giustificazione offerta dal Giudice salentino (lo stato cautelare dell’imputato, con la connessa “esigenza di anticipare la trattazione del giudizio a quo”).

Per ciò che concerne la vicenda che ci occupa appare dunque legittimo chiedersi se possa dirsi conforme al citato art.23 la progressione processuale sopra evidenziata; ed infatti, stante la condizione di libertà della parte nel momento in cui veniva sollevata la questione, non vale in proposito l’orientamento giurisprudenziale monolitico[4] secondo cui, nell’ipotesi di sospensione del procedimento dovuto alla proposizione di questione di legittimità costituzionale, non possono ritenersi sospesi anche i termini di custodia cautelare, neppure nel caso in cui la rimessione degli atti alla Corte sia stata determinata da una questione proposta dall’imputato. Breve: se dunque nel caso di specie non poteva operare il distinguo tra plessi procedimentali distinti, e dunque soccorre l’art.23 che si esprime in termini di sospensione del giudizio in corso, vi è da chiedersi su quale base si sia potuto applicare una misura di sicurezza coercitiva (per poi sostituirla con altra) in un giudizio sospeso, posto che proprio questo meccanismo, denunciato come ostacolato dalle disposizioni vigenti dal Giudice a quo, costituiva il cuore della quaestio sollevata dal GIP di Tivoli.

  1. Le risposte della Corte.

Appare condivisibile quanto affermato dalla Corte, laddove evidenzia (§ 5.2 Considerato in diritto) la “vocazione naturale di ogni misura di sicurezza al loro [degli autori di reato] recupero sociale che accomuna, nel vigente quadro costituzionale, pene e misure di sicurezza (sentenze n.197 del 2021, punto 4 del Considerato in diritto e n.73 del 2020, punto 4.4. del Considerato in diritto)”.

E tuttavia, in considerazione della ritenuta “natura ancipite della misura di sicurezza a spiccato contenuto terapeutico che l’assegnazione in una REMS conserva nella legislazione vigente” (§ 5.3 Considerato in diritto), la Corte ritiene che essa si misuri con il tema della libertà personale e con il corollario costituzionale della riserva di legge, sia per ciò che concerne l’an che per quanto attiene al quomodo. L’assunto, di matrice garantista, ci pare però contrasti coi distinguo apposti tra pena e misura di sicurezza con la sent n.197 del 2021.

Incidentalmente, si osserva come la Corte non prenda minimamente in considerazione, e a ragione, l’incidenza del parametro di cui all’art.27 Cost., evocato dal Giudice a quo a sostegno della quaestio, ma in alcun modo illustrato in parte motiva nell’ordinanza di rimessione.

Ed ancora, non pare condivisibile quanto affermato al § 5.3.2. Considerato in diritto, ove si afferma che “l’art.3 – ter del d.l. n.211 del 2011, come convertito, in questa sede censurato, rappresenta la sola disposizione contenuta in un atto avente forza di legge su cui si fonda, oggi, l’intera disciplina dell’assegnazione a una REMS”, e conterrebbe “tre principi generali – esclusiva gestione sanitaria, attività di vigilanza perimetrale e di sicurezza esterna, destinazione di norma delle strutture a soggetti residenti nella regione”, restando invece “i modi di esecuzione della misura, e dunque della privazione della libertà che ne è connaturata, […] pressoché esclusivamente affidati a fonti subordinate e accordi tra il Governo e le autonomie territoriali[5], e ci pare provi troppo in proposito la rappresentata esigenza di tutela uniforme dei diritti fondamentali delle persone vulnerabili (con speciale riferimento alla contenzione) rispetto alla pedissequa e predeterminata disciplina primaria dei modi mediante i quali le assegnazioni alle REMS debbono essere eseguite.

A fronte dei rammentati vulnera che il Giudice delle leggi evidenzia come derivanti dalla disciplina di settore in vigore, diffusamente elencati al § 5.4 Considerato in diritto, appare condivisibile l’affermazione per la quale né l’assegnazione in soprannumero delle persone in lista di attesa alle REMS né la loro collocazione provvisoria in carcere (o comunque il loro illegittimo trattenimento sine titulo) costituirebbero un rimedio praticabile.[6] Su quest’ultimo aspetto, non pare davvero possibile trascurare quanto recentemente stabilito dalla Corte EDU[7], che ha condannato il nostro Paese per violazione degli articoli 5 §§ 1 e 5, 6 e 34 CEDU.

Tra i possibili rimedi, invece, posto che la situazione “reclama di essere eliminata con ogni strategia opportuna” […] “mediante l’articolata gamma di interventi già indicati dai diversi attori istituzionali: dalla valorizzazione e potenziamento delle alternative terapeutiche per la salute mentale sul territorio, sì da contenere il più possibile la necessità di ricorrere ai provvedimenti custodiali delle REMS, ad iniziative dirette alla definizione di standard condivisi nella scelta della misura più appropriata in relazione alla situazione clinica e alla pericolosità sociale dei singoli interessati; sino eventualmente alla realizzazione di nuove REMS, laddove se ne evidenzi l’imprescindibilità per far fronte a una domanda che si rivelasse non ulteriormente riducibile” la Corte ipotizza anche il ricorso agli “ordinari poteri sostituitivi del Governo, ai sensi dell’art.120, secondo comma, Cost”.

Sfugge tuttavia a chi scrive quali poteri potrebbe attivare il Ministro della giustizia “in materia di collocazione in REMS”, tanto che la Corte ha alla fine emesso una sentenza di inammissibilità (non potendo bastare, all’evidenza, una stringata ordinanza) “vestita”.

  1. Quel che resta del giorno.

Che fare, allora?

I contenitori, com’è noto, fan presto a riempirsi; è sufficiente tornar con la mente alla recente stagione ministeriale (si spera definitivamente archiviata) del “tutto intra moenia” a far temere che il monito con cui si conclude la sentenza “non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati dalla presente pronuncia” possa autorizzare fughe in avanti.

Qualcuno guarda con favore anche all’implementazione delle scatole cinesi[8], preconizzando “un integrale revisione del sistema

Altri commentatori[9], pur aderendo ai rilievi della Corte, osservano come “la riforma organica chiesta dalla Consulta dovrebbe comprendere la disciplina sull’infermità psichica dei condannati, introducendo con chiarezza, a livello di normativa primaria, il principio di incompatibilità assoluta tra permanenza in carcere e riconosciuta infermità di mente”, ritenendo “essenziale un intervento sulla disciplina dell’ordinamento penitenziario, volto a introdurre una misura alternativa specificatamente destinata a soggetti psichiatrici (quale l’affidamento terapeutico per soggetti psichiatrici, modellato sull’affidamento per tossicodipendenti), già proposta dalla commissione Giostra (recte: Pelissero)  e contenuta, altresì, nella proposta di legge n.2939, depositata l’11 marzo alla Camera dei deputati (primo firmatario, Magi)”[10].

Ed è a questa proposta, alla cui redazione chi scrive ha contribuito con convinzione, che occorre guardare per disattivare il meccanismo del doppio binario, che alimenta incessantemente il sistema delle misure di sicurezza detentive, qualsiasi sia il bacino che si ritenga necessario, superando definitivamente la categoria ascientifica della pericolosità sociale del folle reo.

“Nel dichiarare l’inammissibilità questa Corte deve tuttavia affermare come non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia”; sono le parole con le quali si conclude(va) la sentenza di inammissibilità n.279 del 2013, richiamata espressamente – in uno alla sent. n.32 del 2021 (quest’ultima pur afferente a diverso contesto) dalla sentenza n.22.

Impossibile non constatare come ancora una volta il battente sia montato a rovescio; se nove anni fa i giudici a quibus sollecitarono un intervento volto a ridurre l’overcrowding penitenziario, lesivo della Dignità dell’Uomo detenuto[11], oggi il monito potrebbe portare ad una implementazione dell’internamento (il termine, orribile, non è mai cambiato, e non a caso riemerge con i suoi fantasmi lo scenario di un tempo).

Alegher.

* Antonella Calcaterra, Avvocata del Foro di Milano

** Michele Passione, Avvocato del Foro di Firenze

 

[1] Per una più ampia e diffusa analisi delle risposte fornite alla Corte, si vedano i documenti allegati.

[2] Sul punto, sia consentito il rinvio a M. Passione, Come una terra che diventa straniera, in questa Rivista, 18 maggio 2021.

[3] Il principio è stato ancor più recentemente ribadito con la sent. n.30 del 2022, commentata in questa Rivista da S. Amato, L’interesse del minore “stella polare” per il giudizio del Magistrato di sorveglianza. Incostituzionale l’impossibilità di una valutazione anticipata per l’applicazione della detenzione domiciliare speciale, 26 febbraio 2022.

[4] Ex multis, cfr. Cass. SSUU 6.7.1990; Cass. Sez.III, 1.2.2012, n.4377; Cass. Sez.I, 27.8.2019, n.45319.

[5] Secondo K. Poneti, Le Rems in prospettiva costituzionale: sul diritto alla salute contro al potere di rinchiudere, in L’Altro Diritto, 11 maggio 2021, nessuna violazione alla riserva di legge potrebbe rilevarsi sul punto, attesa la natura “di atto amministrativo di fissazione di criteri unitari in materia di salute, competenza concorrente […] non comportando esso [DM] né la modifica di atti legislativi né deroghe ai medesimi”.

[6] Sul punto, cfr. P. Pellegrini, Liste di attesa per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive: analisi e possibili soluzioni, in Diritto Penale e Uomo, 23 marzo 2021; volendo, cfr. A. Calcaterra, Misure di sicurezza con ricovero in REMS: il ritorno al passato no!, in Diritto Penale e Uomo, 12 giugno 2020; M. Passione, Questione di Giustizia, in La Società della Ragione, 19 febbraio 2021. Pur muovendo da una prospettiva adesiva all’incidente di costituzionalità promosso dal Gip di Tivoli, M. Patarnello, Le Rems: uscire dall’inferno solo con le buone intenzioni, in Questione Giustizia, 2 giugno 2020, evidenziava che “si tratterebbe di imprimere alla disciplina una curvatura che potrebbe apparire restrittiva di diritti, se non propriamente securitaria”.

[7] Corte EDU, Sez.I, 24 gennaio 2022 (n.11791/20), Sy c. Italia; negli stessi termini, essendo stata già adottata la misura cautelare ex art.39 del Regolamento, si attende la pronuncia nell’affaire Ciotta c. Italia.

[8] F. Gualtieri, L’applicazione delle misure di sicurezza detentive e il “malfunzionamento strutturale” del sistema delle REMS, secondo C. Cost., sentenza n.22 del 2022: un punto di svolta nel percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, in Giustizia insieme, 7 febbraio 2022.

[9] F. Fiorentin, Un assetto deficitario su tanti profili che non tutela pazienti e collettività. La decisione della Consulta, in Guida al Diritto n.7, 26 febbraio 2022.

[10] La proposta è stata ripresa nell’articolato della Commissione Ruotolo per l’innovazione del sistema penitenziario, con la previsione all’art. 47 septies o.p. (affidamento in prova di condannati con infermità psichica).

[11] A. Pugiotto, L’urlo di Munch della magistratura di sorveglianza, in Diritto Penale Contemporaneo, 9 marzo 2014.