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GLI ATTACCHI ALLA FUNZIONE DIFENSIVA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO: IL CASO AZERBAIGIAN ED IL VALORE DELLA SOLIDARIETÀ NELL’AVVOCATURA – DI FEDERICO CAPPELLETTI

GLI ATTACCHI ALLA FUNZIONE DIFENSIVA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO: IL CASO AZERBAIGIAN ED IL VALORE DELLA SOLIDARIETÀ NELL’AVVOCATURA – DI FEDERICO CAPPELLETTI

CAPPELLETTI – GLI ATTACCHI ALLA FUNZIONE DIFENSIVA NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO.PDF

di Federico Cappelletti*

Vorrei dedicaste la stessa attenzione con la quale seguite le mie vicende anche alla situazione degli altri avvocati e difensori dei diritti umani ingiustamente perseguitati in Iran e nel mondo”.

Nasrin Sotoudeh, 22 novembre 2020.

Sommario. 1. Lo statuto internazionale della tutela della professione forense2. Le fonti degli attacchi alla funzione difensiva3. Il caso Azerbaigian 4.  La Corte di Strasburgo e gli attacchi alla professione forense in Azerbaigian – 4.1. I procedimenti di sospensione e radiazione dall’albo dell’Ordine degli Avvocati dell’Azerbaigian – 4.2. I casi di sospensioni e radiazioni pendenti avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo comunicati alle parti – 4.3. Il rifiuto della richiesta di essere iscritti all’albo tenuto dall’Ordine degli Avvocati dell’Azerbaigian – 4.4. I procedimenti penali nei confronti degli avvocati impegnati nelle Organizzazioni non governative – 4.5. Il problema dell’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo da parte dell’Azerbaigian – 5. Conclusioni: il valore della solidarietà nell’Avvocatura.

  1. Lo statuto internazionale della tutela della professione forense

Secondo la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, sono tali le persone che, come singole o associandosi, promuovono e tutelano i diritti umani a livello nazionale ed internazionale[1].

Ne consegue che l’avvocato – per quella che è l’essenza stessa della sua attività e della sua funzione sociale di garante dell’effettività della difesa dei diritti dei cittadini[2] attraverso l’esercizio di un diritto a sua volta fondamentale qual è il diritto di difesa – è a pieno titolo egli stesso un difensore dei diritti umani, ragion per cui è oggetto nel mondo di vessazioni e persecuzioni, spesso, purtroppo, portate alle estreme conseguenze da parte di chi ne teme l’indipendenza e la libertà.

Non è un caso, infatti, che le minacce agli avvocati ed ai difensori dei diritti umani, di norma, siano il segnale dell’assenza o dello scadimento del livello di democrazia di un Paese.

Per molti versi, tuttavia, l’interesse rivolto agli avvocati perseguitati e, più in generale, la coscienza dei rischi che derivano dagli attacchi diretti al ceto forense, è relativamente recente; molte organizzazioni sono state, invero, create per assicurare, principalmente, la tutela dei giornalisti e dei giudici, anche se, molto spesso, gli avvocati vi sono stati associati in virtù della nozione globale di “giuristi”.

Evidenziare il ruolo del singolo avvocato, che può divenire vittima della causa che difende, non era ancora all’ordine del giorno, come, invece, accade oggi grazie a molteplici iniziative[3].

A livello di fonti internazionali, in particolar modo, assumono rilievo centrale i Principi Fondamentali relativi al Ruolo degli avvocati, adottati dalle Nazioni Unite nel corso dell’Ottavo Congresso sulla prevenzione del crimine e sul trattamento degli autori di reati tenutosi a L’Avana dal 27 agosto al 7 settembre 1990[4], e che riprendono per una parte i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite[5], in particolare gli articoli 7, 8, 10, 11, ma anche gli articoli 2, 14, 26 della Convenzione relativa ai diritti civili e politici[6].

Si tratta di regole che devono rimanere inviolabili perché sono dei modelli da seguire per i Paesi delle Nazioni Unite che vogliono dotarsi di una vera giustizia. Fra queste, vanno tenuti ben a mente il Principio 17: “Qualora la sicurezza degli avvocati sia minacciata nell’esercizio della loro professione, essi devono essere protetti adeguatamente dalle autorità”, così come il Principio 18: “Gli avvocati non devono essere identificati con i loro clienti o con le cause dei loro clienti come conseguenza dell’esercizio delle loro funzioni”.

Tali principi hanno ottenuto riconoscimento nel quadro della c.d. “Grande Europa” solo dieci anni più tardi allorquando il Consiglio d’Europa ha adottato il 2 ottobre 2000 – facendone espresso rimando – la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa sulla libertà d’esercizio della professione di avvocato[7].

Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto la necessità di una rigorosa tutela degli avvocati in virtù del loro specifico status, rimarcando che “la libertà degli avvocati di esercitare la loro professione senza impedimenti è uno degli elementi essenziali di ogni società democratica e un presupposto essenziale per l’applicazione effettiva della Convenzione, in particolare per la garanzia di un processo equo e il diritto alla sicurezza personale[8]. Con ciò, quindi, offrendo un contributo significativo al rafforzamento del ruolo della professione forense nel cuore del sistema giudiziario europeo[9].

           In virtù della cennata normativa internazionale, quindi, sussiste un vero e proprio obbligo in capo agli Stati di protezione degli avvocati nell’esercizio della loro professione[10].

  1. I fronti degli attacchi alla funzione difensiva

Gli attacchi alla funzione difensiva provengono da molteplici fronti[11]: possono avere matrice governativa[12], originare dalla criminalità organizzata o da organizzazioni terroristiche[13]; possono, altresì, derivare da fondamentalisti religiosi[14], dai clienti stessi o dalle controparti[15], od, ancora, aver luogo nei mezzi d’informazione e in rete, soprattutto nei social network, come, sempre più spesso, accade anche nel nostro Paese dove si assiste alla delegittimazione della figura professionale dell’avvocato, troppo sovente identificato con la causa o col cliente che difende. Il che avviene anche attraverso improvvide uscite di rappresentanti della politica e della magistratura, atte a scatenare ridde di insulti che possono pericolosamente fungere da volano ai crimini d’odio secondo lo schema ben delineato dalle risultanze dell’indagine “La piramide dell’odio in Italia” della Commissione parlamentare istituita dalla Camera dei Deputati nel 2016[16].

Non possiamo dimenticare, da ultimo, come la persecuzione nei confronti delle avvocate e degli avvocati nel libero esercizio della loro attività professionale possa promanare anche dalle stesse rappresentanze istituzionali dell’Avvocatura, ossia gli Ordini forensi.

Le sanzioni disciplinari, in particolare quelle che inibiscono temporaneamente o definitivamente l’esercizio della professione, rappresentano uno strumento di repressione particolarmente odioso ed umiliante per chi le subisce posto che, da un lato, vanificano anni di studio, di impegno e confiscano le prospettive future anche economiche, dall’altro, gettano sul destinatario lo stigma della scorrettezza.

  1. Il caso Azerbaigian

Sospensioni e radiazioni arbitrarie dall’albo degli avvocati caratterizzano, tra gli altri – oltre a Paesi come la Cina e l’Iran – anche la Repubblica dell’Azerbaigian, alla quale è stato dedicato il focus della giornata internazionale dell’avvocato minacciato 2021, ove sono impiegate specialmente per estromettere quelli fra loro specializzati nella tutela dei diritti umani che risultino “scomodi” per aver denunciato casi di tortura perpetrati dalle autorità, fenomeni di corruzione o ancora espropriazioni forzate oppure per il solo fatto di difendere persone legate ai partiti politici dell’opposizione[17].

Il che non fa che minare l’indipendenza del ceto forense dato che la gran parte dei suoi appartenenti evita di occuparsi di tali casi dimostrandosi, così, in tutta la sua vulnerabilità e limitatezza nel ruolo di garante della difesa.

Vale, in proposito, la pena evidenziare come, dai più recenti rilevamenti, la Repubblica dell’Azerbaigian vanti il minor numero di avvocati ogni centomila abitanti fra tutti i 47 Paesi del Consiglio d’Europa[18], il sistema regionale al quale ha aderito nel gennaio del 2001[19]. A fronte, infatti, di una popolazione di circa 10 milioni di abitanti, oggi gli avvocati abilitati a difendere avanti le Corti nazionali sono meno di duemila, con tutto ciò che ne consegue in termini di accesso alla giustizia.

In generale, gli avvocati in Azerbaigian – ed in particolar modo quelli fra loro specializzati nella tutela dei diritti umani o che difendono casi politicamente sensibili – al pari degli altri difensori dei diritti umani, fra i quali i giornalisti e gli attivisti delle ONG, sono spesso soggetti ad intimidazioni nell’esercizio della loro attività, nei casi più gravi anche con un uso tanto disinvolto, quanto strumentale del diritto e della procedura penale, da parte di un esecutivo che è incline a sottoporre continuamente a stress test i tre pilastri sui quali si fonda l’azione del Consiglio d’Europa, ovvero la tutela dei diritti fondamentali, la democrazia e lo stato di diritto, come ha avuto modo di sottolineare in più occasioni anche la Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto del Consiglio d’Europa – nota come Commissione di Venezia[20].

  1. La Corte di Strasburgo e gli attacchi alla professione forense in Azerbaigian.

Molti avvocati attinti da provvedimenti disciplinari o da abusi del diritto penale nei loro confronti, in considerazione del fatto che la Repubblica dell’Azerbaigian è, anche, Stato Parte della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo dall’aprile del 2002[21], si sono rivolti alla Corte di Strasburgo la quale in diverse occasioni si è occupata, e si sta occupando, di ricorsi presentati nell’interesse di coloro che hanno subito prevaricazioni correlate direttamente all’esercizio dell’attività professionale o indirettamente con riferimento al loro impegno per la difesa dei diritti umani.

La casistica può essere ricondotta, essenzialmente, a due tipologie; la prima è quella degli avvocati specializzati nella difesa dei diritti umani sospesi dall’esercizio della professione o radiati dall’albo all’esito di procedimenti disciplinari , oppure, ancora, non ammessi all’iscrizione all’albo necessaria per patrocinare avanti le giurisdizioni del Paese; la seconda, invece, è quella relativa alle denunciate violazioni convenzionali con riferimento ai procedimenti penali avviati nei confronti dei difensori dei diritti umani, fra i quali gli avvocati, per l’attività prestata nell’ambito di Organizzazioni non governative.

4.1. I procedimenti di sospensione e radiazione dall’albo dell’Ordine degli Avvocati dell’Azerbaigian

Nel primo filone, con precipuo riferimento a sospensioni e radiazioni, abbiamo tre sentenze tutte recentissime, del 2020, a partire dal caso Namazov c. Azerbaigian[22].

Elchin Namazov, difeso dall’avv. Khalid Bagirov – nome che ritroveremo più avanti non già come difensore, ma, a sua volta, come ricorrente – è un avvocato, oggi quarantatreenne, specializzato nella tutela dei diritti umani il quale, prima di essere radiato dall’Ordine degli Avvocati dell’Azerbaigian a titolo definitivo all’inizio del 2012, aveva difeso diverse persone legate ai partiti politici dell’opposizione quali giornalisti, blogger o attivisti.

Nell’approcciarsi al caso, la Corte, come d’abitudine, ha dato conto della normativa interna rilevante, evidenziando, in particolare, che dalla lettura della Legge sugli avvocati e sull’Attività Forense del 28 dicembre 1999, si evince che la commissione disciplinare è istituita presso il Presidium, cioè  il Consiglio, dell’Ordine nazionale per l’esame delle denunce e degli esposti relativi alle violazioni deontologiche commesse dagli avvocati nell’esercizio delle loro funzioni professionali e per la risoluzione delle questioni relative alla loro responsabilità disciplinare.

Il Presidium dell’Ordine degli Avvocati, ai sensi dell’art. 22 della prefata Legge, può irrogare nei confronti degli iscritti le seguenti sanzioni disciplinari sulla base di un parere della commissione disciplinare: l’avvertimento, la censura e la sospensione dall’esercizio della professione per un periodo da tre mesi a un anno.

Nel caso in cui sussistano motivi di radiazione, il Presidium, sempre sulla base di un parere della commissione disciplinare, può rivolgersi al tribunale perché vi provveda e sospendere l’attività dell’incolpato fino alla decisione del tribunale sulla vicenda.

La Corte, nello specifico, ha ritenuto all’unanimità sussistere la violazione del diritto al rispetto della vita privata del ricorrente, garantito dall’art. 8 della Convenzione, poiché il procedimento che aveva portato alla sua radiazione dall’albo degli avvocati si era svolto in assenza di adeguate garanzie procedurali, nonché per il fatto che i tribunali nazionali non avevano fornito una motivazione pertinente e sufficiente, né garantito la proporzionalità della sanzione.

Con riferimento alla qualificazione della violazione nell’ambito dell’art. 8 della Convenzione, la Corte ha ribadito che la nozione di “vita privata” ai sensi della citata norma è un termine ampio e non suscettibile di una definizione esaustiva ben potendo abbracciare molteplici aspetti dell’identità fisica e sociale della persona. Tutela, inoltre, il diritto allo sviluppo personale e il diritto di formare e sviluppare relazioni con altri esseri umani e con il mondo esterno, compresi i rapporti di natura professionale o commerciale. È, invero, nel corso della loro vita lavorativa che la maggior parte delle persone ha una significativa opportunità di sviluppare relazioni con il mondo esterno[23], ragion per cui è incontestabile che la radiazione per condotta professionale deontologicamente scorretta, da un lato, impedisce a chi la subisce di esercitare la sua professione compromettendo, così, un’ampia gamma di relazioni professionali e di altro tipo, dall’altro, intacca la sua reputazione professionale e sociale con gravi conseguenze.

La Corte, in particolare, ha rilevato che, sebbene nell’infliggere una sanzione disciplinare al ricorrente la commissione disciplinare dell’Ordine e il Presidium avessero fatto esplicito riferimento alla sentenza del tribunale interno ed alle trascrizioni delle udienze che avevano portato all’esposto disciplinare, essi, tuttavia, si erano rifiutati di fornirgli una copia di tali documenti. La commissione disciplinare aveva, inoltre, rifiutato di ascoltare la testimonianza di altri avvocati che avevano partecipato alle udienze nelle quali si sarebbero verificati i fatti disciplinarmente rilevanti, al fine di fornire chiarimenti.

I presidenti della commissione disciplinare e dell’Ordine degli avvocati avevano, vieppiù, criticato apertamente il ricorrente per le sue frequenti apparizioni sui media e per la sua affiliazione a un partito politico dell’opposizione, circostanze che non erano collegate all’oggetto del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti.

I tribunali nazionali, per parte loro – secondo la Corte – non solo non avevano provveduto a porre rimedio alle carenze testé evidenziate, ma non risultavano aver neppure valutato sufficientemente la proporzionalità dell’ingerenza[24].

I Giudici alsaziani hanno, pertanto, ritenuto necessario richiamare l’attenzione sulla Raccomandazione R (2000) 21 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sulla libertà di esercizio della professione di avvocato, la quale, al paragrafo 30, stabilisce chiaramente che nella determinazione delle sanzioni per gli illeciti disciplinari commessi dagli avvocati dev’essere rispettato il principio di proporzionalità dell’interferenza. Nel caso di specie, tuttavia, le giurisdizioni interne, nelle loro decisioni, si erano limitate a fare riferimento ad una precedente sanzione disciplinare, peraltro ignorando il fatto che non era prevista dalla legge come tale. Inoltre, non avevano fornito alcuna motivazione sul perché non sarebbe stata irrogabile una sanzione più lieve, come la sospensione dall’esercizio della professione in luogo della radiazione, la quale è una sanzione talmente severa da comportare un effetto paralizzante sull’esercizio delle funzioni di avvocato difensore[25].

Sulla stessa lunghezza d’onda è il caso Ismayilov c. Azerbaigian[26].

Aslan Ismayilov, avvocato di spicco e voce critica nei confronti del sistema giudiziario e dell’esecutivo del suo Paese, è stato radiato il 10 settembre 2013 con provvedimento del tribunale distrettuale di Nariman al quale l’Ordine degli Avvocati dell’Azerbaigian, in data 8 maggio 2013, aveva deferito il caso perché assumesse la relativa decisione.

Alla base della disposta radiazione vi era la denuncia di un giudice del tribunale distrettuale di Sabail a Baku che ha sostenuto di essere stato insultato nel suo ufficio dall’avvocato Ismayilov, il quale, con riferimento allo stesso occorso, aveva a sua volta denunciato il comportamento del giudice al Ministero della Giustizia, sostenendo che quest’ultimo l’avrebbe insultato, gli avrebbe impedito di uscire dalla sua stanza e che era di parte per precedenti ruggini.

La Corte, nello specifico, ha ritenuto sussistere all’unanimità la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione sul diritto all’equo processo nella sua declinazione per cui i provvedimenti giurisdizionali devono essere adeguatamente motivati evidenziando come il diritto in parola non possa essere considerato effettivo se le richieste e le osservazioni delle parti non sono realmente “ascoltate”, cioè adeguatamente esaminate dai tribunali nazionali[27].

Nonostante, infatti, nel corso del procedimento giudiziario nazionale il ricorrente avesse presentato una serie di argomentazioni, sostenute da prove, che erano decisive per l’esito del caso, i giudici nazionali non hanno fornito risposta sul punto, di tal che non hanno assolto l’obbligo di motivare adeguatamente le loro decisioni ai sensi dell’art. 6 § 1 CEDU che, quindi, è risultato violato nel caso di specie.

Assimilabile ai casi precedenti è, da ultimo, il caso Bagirov c. Azerbaigian[28].

Khalid Bagirov, è un avvocato, oggi quarantacinquenne, specializzato nella difesa dei diritti umani che ha patrocinato in più di cento ricorsi avanti la Corte di Strasburgo, ivi compreso il caso Namazov c. Azerbaigian.

I ricorsi, poi, riuniti, riguardavano sia la sua sospensione dall’esercizio della professione forense per un anno che la successiva radiazione dall’albo professionale a causa di alcune dichiarazioni rese, rispettivamente, nell’ambito di una conferenza dove si era espresso sulla brutalità della polizia nel caso di un detenuto morto in custodia, ed in aula, per le critiche sul funzionamento del sistema giudiziario nel Paese con riferimento all’incapacità delle giurisdizioni domestiche di implementare la pronuncia resa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso del suo cliente Ilgar Mammadov, noto politico dell’opposizione[29].

La sua radiazione dall’albo aveva suscitato un notevole interesse da parte del pubblico e dei media sia all’interno del Paese che a livello internazionale ed è stata condannata da numerose ONG nazionali e internazionali[30].

Nel caso di specie era accaduto che nel mese di febbraio del 2011 l’avv. Bagirov aveva preso parte ad un convegno con altri avvocati per discutere i problemi incontrati dalla professione legale in Azerbaigian quando aveva commentato la brutalità della polizia e la conseguente morte in detenzione di una persona la cui madre è poi diventata sua cliente. Su richiesta del capo del dipartimento di polizia della città di Baku, l’Ordine degli avvocati ha avviato nei suoi confronti un procedimento disciplinare, all’esito del quale, nell’agosto del 2011, il Presidium lo ha sospeso dall’esercizio della professione forense per un anno sull’assunto che avrebbe violato il dovere di riservatezza, decisione contestata dall’interessato avanti le giurisdizioni interne sostenendo che non aveva rivelato alcuna informazione riservata, poiché la madre aveva già tenuto – prima del convegno di febbraio e, quindi, di diventare sua cliente – una conferenza stampa sostenendo che la polizia avesse torturato ed ucciso suo figlio.

Nel 2014 è stato avviato un ulteriore procedimento disciplinare nei suoi confronti perché, durante il processo a carico del suo cliente Ilgar Mammadov, avrebbe profferito delle osservazioni sul funzionamento del sistema giudiziario e su un giudice in particolare ritenute tali da aver “gettato un’ombra sullo Stato” ed “offuscato la reputazione della magistratura“. Il Presidium ha, così, deferito il caso ai tribunali nazionali, che nel luglio 2015 ne hanno disposto la radiazione dall’albo degli avvocati.

L’avv. Bagirov ha sostenuto in ricorso che le sanzioni disciplinari comminategli avevano violato il suo diritto alla libertà di espressione e al rispetto della vita privata (artt. 10 ed 8 CEDU). Nel giudizio è, anche, intervenuto quale terzo il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa richiamando l’attenzione sugli ostacoli che gli avvocati in Azerbaigian incontrano nell’esercizio della loro attività e sostenendo che la radiazione o la minaccia di radiazione dall’albo professionale può essere uno strumento per punire gli avvocati che si occupano di casi sensibili o per impedir loro di farlo.

Con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 10 della Convenzione, la Corte ha osservato che, nel caso in esame, la dichiarazione in contestazione resa dal ricorrente non si sostanziava solo in una critica generale al funzionamento del sistema giudiziario in Azerbaigian, ma aveva anche preso di mira direttamente un giudice che si era già occupato in precedenza del caso di Ilgar Mammadov.

Pur ammettendo che l’accusa rivolta al giudice di non essere tale era irrispettosa e poteva ritenersi offensiva, al contempo, i Giudici di Strasburgo hanno evidenziato la necessità di accertare se la sanzione inflitta al ricorrente dalle giurisdizioni interne rispondesse ad un giusto equilibrio tra l’esigenza di tutelare l’autorità della magistratura e quella di tutelare il suo diritto alla libertà di espressione.

Al riguardo, è stato illustrato come i giudici nazionali non abbiano preso in considerazione una serie di elementi che avrebbero dovuto essere valutati per vagliare le dichiarazioni del ricorrente: in particolar modo, il fatto che erano state rese in un’aula di tribunale, nel corso del procedimento penale, in qualità di difensore del suo cliente. Anche se, poi, i suoi commenti sul giudice erano probabilmente offensivi, tuttavia, esprimevano principalmente le critiche del ricorrente alle decisioni assunte dai tribunali nazionali nel procedimento penale contro Ilgar Mammadov.

Circa la ritenuta violazione dell’art. 8 CEDU, come nel caso Namazov, poc’anzi illustrato, la Corte ha sottolineato come nel procedimento giudiziario relativo alla radiazione del ricorrente i giudici nazionali non avessero valutato adeguatamente la proporzionalità dell’ingerenza, sempre in considerazione del fatto che la sanzione della radiazione costituisce la sanzione disciplinare più severa nella professione legale, con conseguenze irreversibili sulla vita professionale di un avvocato.

Non avendo i tribunali nazionali dato conto del perché la dichiarazione del ricorrente in aula avesse concretato una colpa così grave da giustificare la sanzione disciplinare più severa, la Corte ha concluso che le motivazioni fornite dai tribunali nazionali a sostegno della radiazione dall’albo del ricorrente non erano pertinenti e sufficienti e che la sanzione inflitta al ricorrente risultava sproporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito.

In considerazione, poi, del fatto che il ricorrente, con precipuo riferimento alla sua radiazione, aveva sostenuto che la forma più appropriata di riparazione individuale sarebbe stato il ripristino della sua appartenenza all’Ordine degli avvocati dell’Azerbaigian, la Corte, pur lasciando al Comitato dei Ministri il compito di vigilare, sulla base delle informazioni fornite dallo Stato convenuto e tenendo conto dell’evoluzione della situazione del richiedente, sull’adozione di misure volte, tra l’altro, a ripristinare la sua attività professionale, ha evidenziato come tali misure dovranno essere realizzabili, tempestive, adeguate e sufficienti a garantire il massimo ristoro possibile per la violazione riscontrata dalla Corte, e reintegrare il ricorrente, per quanto possibile, nella posizione in cui si trovava prima della radiazione dall’albo.

Nonostante queste tre pronunce, tutte del 2020, siano definitive, l’Azerbaigian non vi ha dato esecuzione, risultando come il Comitato dei Ministri sia ancora in attesa del piano d’azione da parte dello Stato convenuto[31].

 

4.2. I casi di sospensioni e radiazioni pendenti avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo comunicati alle parti

Sempre con riferimento alle violazioni lamentate in relazione allo svolgimento e all’esito del procedimento disciplinare nei confronti dei Colleghi azerbaigiani, vale la pena ricordare come siano pendenti e comunicati alle parti i seguenti ulteriori ricorsi:

– il primo, Mehdiyev c. Azerbaigian[32], relativo alle lamentate violazioni degli artt. 6, 8, 10, 18 della Convenzione per mancata motivazione della decisione, l’illegittima ingerenza nei diritti del ricorrente al rispetto della vita privata ed alla libertà di espressione derivante dalla radiazione ed il fatto che tali diritti sarebbero stati limitati per scopi diversi da quelli previsti dalla Convenzione;

– altri due ricorsi, Karimli c. Azerbaigian[33] e Hasanov c. Azerbaigian[34], riguardano profili di violazione, oltre che degli artt. 6, 8, 10, e 18, come nel caso precedente, anche dell’art. 1 del Primo Protocollo alla Convenzione in considerazione dell’interferenza con il godimento pacifico dei beni dei ricorrenti a seguito, rispettivamente, della loro sospensione e radiazione dall’albo professionale;

– il più risalente, Mammadov c. Azerbaigian[35] (ric. n. 43327/14), comunicato il 3 settembre 2018, afferisce, invece, alle denunciate violazioni degli artt. 6, 10, 11 della Convenzione con riferimento alla motivazione della decisione con la quale è stata disposta la radiazione, nonché l’illegittima ingerenza nelle libertà di espressione e di associazione conseguente alla massima sanzione disciplinare impostagli.

4.3. Il rifiuto della richiesta di essere iscritti all’albo tenuto dall’Ordine degli Avvocati dell’Azerbaigian

Con riferimento, invece, al rifiuto della richiesta di essere iscritti all’albo assume rilievo il caso Hajibeyli e Aliyev c. Azerbaigian[36].

I ricorrenti, Annagi Hajibeyli ed Intigam Aliyev sono noti attivisti della società civile e avvocati per i diritti umani.

Lamentavano di non essere stati ammessi all’Ordine degli Avvocati azerbaigiani perché avevano pubblicamente criticato lo stato della professione legale nel loro Paese.

Nel 2005 avevano presentato domanda di ammissione all’Ordine in base alla nuova legge che mirava a riformare la professione legale. All’epoca esercitavano entrambi da anni la professione di avvocato sulla base di un permesso speciale rilasciato dal Ministero della Giustizia. In virtù delle disposizioni transitorie della nuova legge potevano essere ammessi all’esercizio dell’avvocatura senza aver superato l’esame di abilitazione, a condizione fossero in possesso dei requisiti necessari per esercitare la professione di avvocato. Il Presidium dell’Ordine, tuttavia, respingeva le loro domande, di tal che gli interessati, negli anni seguenti, adivano le giurisdizioni nazionali, tuttavia, senza successo.

La Corte ha accertato, all’unanimità, la violazione dell’art. 10 della Convenzione (libertà di espressione) ritenendo l’interferenza non fosse da ritenersi prevista dalla legge dal momento che – sia dalle risultanze dei verbali delle riunioni in cui il Presidium dell’Ordine aveva esaminato le loro domande, che dal contenuto delle audizioni dei ricorrenti avanti il Presidium – era emerso come non si fosse minimamente parlato della sussistenza dei presupposti per l’iscrizione all’albo, ma solo ed esclusivamente della loro posizione circa il funzionamento dell’Ordine e sullo stato della professione legale nel Paese. Il diniego, inoltre, sarebbe stato opposto senza motivazione sulla sussistenza o meno dei requisiti per l’iscrizione.

La Corte ha anche ritenuto sussistente, sempre all’unanimità, la violazione dell’art. 34 CEDU, posto che nel 2014, durante la perquisizione dell’ufficio dell’avv. Intigam Aliyev nell’ambito del procedimento penale che aveva portato al suo arresto – poi, dichiarato, come vedremo nel prosieguo, illegittimo dalla Corte di Strasburgo – le autorità avevano sequestrato l’intero fascicolo relativo al ricorso presentato nel caso in parola, per restituirlo solo due mesi e mezzo dopo, realizzando, così, un’indebita ingerenza ed un grave ostacolo all’effettivo esercizio del diritto di ricorso individuale dei ricorrenti.

4.4. I procedimenti penali nei confronti degli avvocati impegnati nelle Organizzazioni non governative

Il secondo tipo di casistica affrontata dalla Corte è quella relativa alle denunciate violazioni convenzionali con riferimento ai procedimenti penali avviati nei confronti dei difensori dei diritti umani, fra i quali gli avvocati, per l’attività prestata nell’ambito di ONG.

Significativo tra questi casi è Aliyev c. Azerbaigian[37], afferente, questa volta, l’incriminazione e l’arresto avvenuti nel 2014 dell’avv. Intigam Aliyev, il quale, oltre ad essere un rinomato avvocato specializzato nella tutela dei diritti umani che ha rappresentato numerosi ricorrenti avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, è, anche, il presidente della Legal Education Society, una ONG specializzata nell’organizzazione di programmi di formazione per avvocati, difensori dei diritti umani e giornalisti, nella preparazione di rapporti relativi a varie questioni di diritti umani in Azerbaigian, nonché nell’assistenza dei ricorrenti alla Corte di Strasburgo e nella presentazione di comunicazioni al Comitato dei Ministri nel contesto dell’esecuzione delle sentenze della Corte.

Ha, anche, collaborato con varie organizzazioni internazionali su progetti relativi ai diritti umani, tra cui il Programma europeo per l’educazione ai diritti umani per i professionisti del diritto (HELP) del Consiglio d’Europa.

Il 24 giugno 2014, durante la sessione di giugno dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il ricorrente, insieme ad altri difensori locali dei diritti umani, invitato a partecipare quale relatore ad un evento collaterale organizzato dal Consiglio d’Europa, aveva presentato una relazione sugli abusi dei diritti umani in Azerbaigian.

Nel mese di agosto del 2014 l’Ufficio del Procuratore Generale lo ha accusato di imprenditorialità illegale, evasione fiscale su larga scala e abuso di potere aggravato in relazione alle attività della sua ONG.

È stato arrestato e tenuto in custodia cautelare per tre mesi e i suoi ricorsi contro la detenzione sono tutti stati respinti. Sono anche stati perquisiti la sua casa e l’ufficio della sua associazione nonché sequestrati documenti ed oggetti vari, compresi, come più sopra evidenziato, i fascicoli relativi ai ricorsi alla Corte di Strasburgo.

Nel dicembre del 2014 la Procura generale ha presentato nuove accuse: appropriazione indebita ad alto livello, falsificazione da parte di un funzionario ed evasione fiscale su vasta scala.

Nell’aprile 2015 è stato condannato a sette anni e mezzo di reclusione, ridotti a cinque anni con la condizionale nel marzo 2016, quando è stato rilasciato.

La Corte, all’unanimità, ha ritenuto sussistere la violazione dell’art. 3 della Convenzione (divieto di tortura) in relazione alle condizioni della sua detenzione preventiva, nonché le violazioni dell’art. 5 § 1 (diritto alla libertà e alla sicurezza) in considerazione della mancanza di un ragionevole sospetto che egli avesse commesso un reato come giustificazione della sua detenzione, e dell’art. 5 § 4 (controllo della detenzione) a causa della mancanza di un adeguato controllo giurisdizionale sulla legittimità della sua detenzione. Sono state, anche, accertate le violazioni dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e delle comunicazioni) con riferimento alla  perquisizione del suo ufficio e della sua abitazione, e dell’art. 18 (limite all’applicazione delle restrizioni ai diritti), poiché la Corte ha considerato che le misure adottate contro il ricorrente fossero volte a metterlo a tacere e a punirlo per le sue attività in materia di diritti umani piuttosto che per uno degli scopi legittimi previsti dalla Convenzione. La Corte ha posto l’accento, in particolare, sul fatto che questo caso rientrava in “un preoccupante modello di arresto e detenzione arbitraria dei critici del Governo, degli attivisti della società civile e dei difensori dei diritti umani” ed ha invitato il Governo ad adottare misure per proteggere tali persone, garantendo che non vi fossero più procedimenti ritorsivi e abusi del diritto penale nei loro confronti.

4.5. Il problema dell’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo da parte dell’Azerbaigian

Se la Corte, attraverso le sue parole e le sue condanne, contribuisce a fornire un quadro ben preciso ed allarmante del clima in cui si trovano, loro malgrado, a vivere ed operare gli avvocati specializzati nella tutela dei diritti umani, una realtà che non può essere ignorata  è che l’Azerbaigian ha il poco edificante primato di essere il Paese che esegue di meno le sentenze della Corte di Strasburgo avendo implementato, secondo le più recenti statistiche, solo circa il 16 per cento delle medesime[38].

Va da sé, quindi, che la sistematica mancata esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo anestetizzi, di fatto, la loro portata a discapito delle vittime delle violazioni accertate, a maggior ragione quando la sentenza su una disposta radiazione o sospensione intervenga in un lasso temporale che varia dai 5 ai 7 anni successivi all’introduzione del ricorso, con conseguente problematica giustiziabilità dei diritti e delle libertà fondamentali in gioco.

  1. Conclusioni: il valore della solidarietà nell’Avvocatura

Il quadro descritto, fatto di procedimenti penali pretestuosi, arresti e condanne illegittime e provvedimenti disciplinari tali da privare di prospettive per il futuro chi le subisce è, purtroppo, comune a troppi altri Colleghi e Colleghe nel mondo, fra i quali l’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh, che per la sua storia di sadica persecuzione giudiziaria, sofferenza e, soprattutto, grandissimo coraggio può essere ritenuta – senza possibilità alcuna di smentita – come l’archetipo dell’avvocato difensore dei diritti umani.

In una videocall che ho avuto con lei e con suo marito Reza Khandan il 22 di novembre dello scorso anno, quando era stata scarcerata in licenza sanitaria, alla domanda che le ho rivolto, se c’era qualcosa in particolare che volesse la comunità internazionale dei giuristi facesse per lei, mi ha risposto: “Vorrei dedicaste la stessa attenzione con la quale seguite le mie vicende anche alla situazione degli altri avvocati e difensori dei diritti umani ingiustamente perseguitati in Iran e nel mondo”.

Una frase che mi ha commosso allora, come mi commuove oggi, e che ha rivelato, una volta di più la sua grandezza e l’importanza della solidarietà per preservare e rinsaldare i valori della libertà e dell’indipendenza del Foro: perché gli avvocati silenti o, ancor peggio, conniventi, fanno il gioco del tiranno di turno.

E, allora, cosa possiamo fare come singoli e come appartenenti all’Avvocatura istituzionale ed associata nell’interesse dei tanti Colleghi e difensori dei diritti umani perseguitati nel mondo per il solo fatto di aver adempiuto correttamente al loro mandato professionale pagandone le conseguenze?

Le opzioni sono molteplici: si va dalla redazione di appelli e petizioni in loro favore, ai ricorsi al Comitato dei Diritti Umani dell’ONU e alle richieste di intervento avanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[39] o il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa in sede di esecuzione delle condanne nei casi che li riguardino; dalle azioni di lobbying nei confronti delle istituzioni internazionali per sensibilizzare al tema in generale e a casi specifici[40], alla partecipazione a fact-finding missions[41] o quali osservatori internazionali a processi nei confronti delle nostre Colleghe e dei nostri Colleghi perseguiti a causa dell’esercizio della funzione difensiva[42] all’esito delle quali stilare report da diffondere e valorizzare anche in ambito giurisdizionale[43]. Grande importanza riveste anche l’organizzazione di eventi volti a far sì che il Foro e l’opinione pubblica si sentano coinvolti in prima persona e ne parlino.

In questo senso, un seguito concreto alla chiamata alla solidarietà di Nasrin – per altro agevole da mettere in pratica – potrebbe consistere nell’ “adozione” di un’avvocata o un avvocato minacciati da parte di ciascun Ordine e diramazione territoriale delle associazioni forensi – tanto a livello nazionale che internazionale, anche in collaborazione con le amministrazioni locali – con la conseguente organizzazione di campagne ed iniziative volte a tener sempre viva l’attenzione della società e dei media sulle loro storie perché non vengano mai dimenticate.

Il tutto con capillarità e sobrietà perché tali interventi non devono essere animati da autoreferenzialità ma, al contrario, avere quale unico scopo quello di prestare la voce a coloro nel mondo ai quali è stata temporaneamente o definitivamente confiscata e far conoscere le loro vicende, che danno conto di uno sconfinato amore per la Toga, che onorano col loro esempio e, soprattutto, ad ogni costo.

In ogni caso, il nostro ruolo ci chiama a spenderci con dedizione e convinzione – ciascuno per quanto nelle sue possibilità e disponibilità – in difesa dei diritti umani e di chi li difende.  Tale impegno – che reca in sé il senso più profondo e nobile della nostra professione e delle responsabilità che comporta – lo dobbiamo a coloro che sono giunti e giungono al punto di sacrificare il proprio lavoro, i propri affetti, la propria libertà ed anche la propria vita per assicurare agli altri un futuro migliore e più giusto.

*Avvocato, responsabile Osservatorio Europa dell’Unione delle Camere Penali Italiane.

*Testo elaborato degli interventi svolti ai convegni “La giornata internazionale dell’avvocato minacciato – Focus Azerbaijan”, organizzato dall’Unione delle Camere Penali Italiane, svoltosi il 22 gennaio 2021, “24 gennaio – Giornata dell’avvocato minacciato”, organizzato dall’Ordine degli avvocati di Bologna e dalla Fondazione Forense Bolognese, svoltosi il 25 gennaio 2021 e “La giornata internazionale dell’avvocato minacciato 2021 – Focus Azerbaijan”, organizzato dall’Ordine degli avvocati di Padova e dalla Camera Penale di Padova “Francesco De Castello”, svoltosi il 5 febbraio 2021.

[1] In questo senso, l’art. 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei diritti umani adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 53/144, 8 marzo 1999, in www.ohchr.org.

[2] Si veda, l’art. 2, co. 2, della L. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, in www.consiglionazionaleforense.it.

[3] Fra di esse si ricordano, quanto all’Italia, quelle poste in essere dall’Osservatorio avvocati Minacciati dell’Unione delle Camere Penali Italiane, dai Giuristi Democratici e dal Consiglio Nazionale Forense, mentre a livello internazionale le attività dell’Observatoire Mondial des Droits de la Défense et des violations des droits des avocats dell’ Institut des Droits de l’Homme des Avocats Europeéns – il più antico, fondato nel 1984 – dall’OIAD, da Lawyers4Lawyers, da European Association of Lawyers for Democracy & World Human Rights e dalla Day of the Endangered Lawyer Foundation.

[4] Si vedano, Principi Fondamentali relativi al Ruolo degli avvocati, adottati dalle Nazioni Unite nel corso dell’Ottavo Congresso sulla prevenzione del crimine e sul trattamento degli autori di reati tenutosi a L’Avana dal 27 agosto al 7 settembre 1990 (A/RES/45/121), in www.ohchr.org.

[5] Si veda, Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in www.ohchr.org.

[6] Si veda, Convenzione relativa ai diritti civili e politici, adottata e aperta alla firma, alla ratifica e all’adesione con la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 2200A (XXI) del 16 dicembre 1966, entrata in vigore il 23 marzo 1976, conformemente all’art. 49, in www.ohchr.org.

[7] Si veda, Raccomandazione Rec (2000)21 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla libertà d’esercizio della professione di avvocato, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 25 ottobre 2000, durante la 727e riunione dei Rappresentanti dei Ministri, in www.coe.int.

[8] Si veda, Corte EDU, Elçi ed altri c. Turchia, nn. 23145/93 e 25091/94, 13 novembre 2003, § 669, in www.hudoc.echr.coe.int.

[9] Così D. Spielmann, C. Henry, “Les avocats et la Convention europeenne des droits de l’homme”, in I diritti dell’uomo, 2016, pp. 510 ss.

[10] Si veda, B. Favreau, “L’indépendance de l’avocat”, Edizioni del Consiglio d’Europa, Strasburgo, 2003 e B. Favreau “L’indépendance des avocats et des magistrats: une condition de l’état de droit”, in Rivista Ellenica dei diritti dell’Uomo – n 24, Sakkoulas, Atene, 2004, pp. 1101-1132.

[11] Per un quadro d’insieme completo, si vedano le pubblicazioni “Ces Avocats assassinés, emprisonnés, persécutés dans le monde” a cura dell’Institut des Droits de l’Homme des Avocats Europeéns.

[12] È quanto avviene in molti Paesi dell’America Latina, in Cina, Egitto, Turchia ed Iran, solo per ricordarne alcuni.

[13] In Italia, in questo senso, alcuni esempi – fra i, purtroppo, tanti – che illuminano costantemente la via della nostra professione sono quelli dei martiri della Toga Fulvio Croce, assassinato a Torino dalle Brigate Rosse nel 1977, Giorgio Ambrosoli ammazzato a Milano nel 1979, Serafino Famà ed Enzo Fragalà, uccisi dalla mafia, rispettivamente, a Catania nel 1995 ed a Palermo nel 2010.

[14] Come nel caso delle minacce di morte all’avvocato pakistano Saif-ul-Malook, difensore della cristiana Asia Bibi che ha fatto assolvere dalla Suprema Corte dopo la condanna a morte per blasfemia comminatale in primo grado e confermata in appello. Per la sua testimonianza resa alla Conferenza organizzata dall’Unione delle Camere Penali Italiane in collaborazione con il Consiglio Nazionale Forense in occasione della Giornata internazionale dell’avvocato minacciato 2020 con focus sul Pakistan, ci si permette di rinviare a F. Cappelletti, “Il reato di blasfemia in Pakistan. Secondo l’avvocato di Asia Bibi uno stigma anche per i difensori”, in www.articolo21.org.

[15] Come nei casi degli avvocati Francesca Trombino, uccisa a martellate dall’ex marito di una sua cliente a Pordenone nel 1998, e Lorenzo Alberto Claris Appiani, freddato da un ex cliente in Tribunale a Milano nel 2015.

[16] Si tratta di una pubblicazione del mese di luglio del 2018 contenente la relazione finale dei lavori della Commissione Parlamentare sulla intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio istituita dalla Camera nel maggio del 2016 – e, successivamente, dedicata a Jo Cox, deputata presso la Camera di Comuni del Regno Unito barbaramente uccisa a Leeds il 16 giugno 2016 da un nazionalista a causa della sua ferma contrarietà alla Brexit che aveva scatenato nei suoi confronti una violenta campagna d’odio sui media da parte di chi, invece, era favorevole all’uscita dall’Unione Europea

– in cui alla base della piramide sono collocati stereotipi, rappresentazioni false o fuorvianti, insulti, linguaggio ostile normalizzato o banalizzato che creano discriminazioni che sfociano, ad un livello superiore, nel linguaggio d’odio il quale, a sua volta, può arrivare, quale esito ultimo, a condizionare ed ispirare i crimini d’odio contro le persone ritenute “diverse” in ragione del sesso, dell’orientamento sessuale, dell’etnia, del colore della pelle, della religione professata e – si aggiunge – anche della professione esercitata.

[17] Per approfondire le storie delle avvocate e degli avvocati che nell’ultimo decennio hanno subito procedimenti disciplinari sfociati nelle più gravi sanzioni o sono stati sottoposti a procedimenti penali, si veda il reportAzerbaijani human rights lawyers who have been disbarred, suspended or criminally prosecuted” a cura dell’European Human Rights Advocacy Centre, un team di esperti che fa riferimento alla Middlesex University School of Law e si occupa degli abusi dei diritti umani in Russia e nelle repubbliche ex sovietiche, offrendo assistenza alla vittime.

Fra di esse merita ricordare quella dell’avvocata Irada Javadova, radiata nel 2018, la quale è stata anche membro del Presidium, ossia il Consiglio, dell’Ordine degli avvocati dell’Azerbaigian dal 2012 al 2017, e come tale fu l’unica a votare contro la proposta di radiazione dell’avvocato Yalchin Imanov. Dopo aver denunciato in una lettera aperta la possibile detenzione arbitraria di una sua Cliente, quest’ultima scriveva alle Autorità sostenendo che tale iniziativa non era stata concordata e di non aver mai rilasciato procura per rappresentarla all’avv. Javadova la quale, nonostante abbia sempre negato l’addebito e prodotto la documentazione dalla quale risultava smentito per tabulas l’assunto della Cliente è stata, comunque, radiata.

[18] Si veda, European judicial systems. Efficiency and quality of justice”, CEPEJ Studies, n. 26, pag. 172, ove risulta come l’Azerbaigian avesse il minor numero di avvocati ogni 100.000 abitanti nell’area del Consiglio d’Europa tra il 2010 e il 2016: in particolare, risultava aver 9 avvocati per 100.000 abitanti nel 2016, a fronte di una media di 162 avvocati per 100.000 abitanti negli altri stati membri del Consiglio d’Europa.

[19] L’Azerbaigian è il 43° Stato ad essere entrato a far parte del Consiglio d’Europa, il 25 gennaio 2001; per altre notizie si veda la scheda del Paese sul sito istituzionale del Consiglio d’Europa.

[20] Qui l’elenco delle Opinioni della Commissione di Venezia con riferimento alla Repubblica dell’Azerbaigian, in www.venice.coe.int.

[21] Si veda, Tabella delle sottoscrizioni e ratifiche della CEDU, in www.coe.int.

[22] Si veda, Corte EDU, Namazov c. Azerbaigian, n. 74354/13, 30 gennaio 2020, in www.hudoc.echr.coe.int.

[23] Si veda, Corte EDU, Denisov c. Ucraina [GC], n. 76639/11, 25 settembre 2018, §§ 95-96, §§ 100-09, §§ 115-17, citata in sentenza, in www.hudoc.echr.coe.int.

[24] Così, Corte EDU, Namazov c. Azerbaigian, cit., §§ 48, 49 e 50 in www.hudoc.echr.coe.int.

[25] Si veda, Corte EDU, Igor Kabanov c. Russia, n. 8921/05, 3 febbraio 2011, §§ 55 e 57, in www.hudoc.echr.coe.int.

[26] Si veda, Corte EDU, Aslan Ismayilov c. Azerbaigian, n. 18498/15, 12 marzo 2020, in www.hudoc.echr.coe.int.

[27] In questo senso, Corte EDU, Donadze c. Georgia, n. 74644/01, 7 marzo 2006, §§ 32-35, e Carmel Saliba c. Malta, n. 24221/13, 29 novembre 2016, § 65, in www.hudoc.echr.coe.int.

[28] Corte EDU, Bagirov c. Azerbaigian, nn. 81024/12 e 29198/15, 25 giugno 2020, in www.hudoc.echr.coe.int.

[29] Corte EDU, Ilgar Mammadov c. Azerbaigian, n. 15172/13, 22 maggio 2014, in www.hudoc.echr.coe.int. Al riguardo merita evidenziare come, per la prima volta nella storia, il Comitato dei Ministri, ai sensi dell’art. 46 § 4 della Convenzione abbia adito la Corte il 5 dicembre 2017, investendola della decisione se la Repubblica dell’Azerbaigian fosse venuta meno all’obbligo di cui all’art. 46 § 1 della Convenzione di rispettare ed eseguire proprio tale sentenza. Nella sua risposta a questa domanda la Grande Camera della Corte, con sentenza del 29 maggio del 2019, ha sottolineato che le azioni delle autorità erano state motivate da ragioni illegittime, contrarie alla Convenzione dei diritti dell’uomo, e che l’Azerbaigian era tenuto a porre rimedio alle conseguenze delle violazioni subite dal ricorrente. Nel mese di aprile del 2020, le autorità hanno comunicato al Comitato dei Ministri che la Corte suprema dell’Azerbaigian aveva riesaminato il caso di Ilgar Mammadov e aveva annullato la condanna alla luce della sentenza emessa, per l’appunto dalla Grande Camera, ragion per cui il Comitato dei Ministri ha chiuso la procedura d’infrazione avviata contro l’Azerbaigian.

[30] Fra le molte prese di posizione, si ricordano quella del Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che il 10 dicembre del 2014 ha, al proposito, dichiarato che “in questo contesto di crescente intimidazione dei difensori dei diritti umani in Azerbaigian, una tale, evidente, pressione sugli avvocati indipendenti che difendono gli attivisti della società civile è inaccettabile“; nonché quella dell’allora Relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei difensori dei diritti umani, Michel Forst, che, il 22 settembre 2016,  al ritorno della sua visita in Azerbaigian, ha fatto riferimento, nel suo comunicato di fine missione, al caso della radiazione dell’avvocato Bagirov evidenziando come fosse stato radiato senza motivo. Quanto, invece, alla situazione degli avvocati per i diritti umani, ha dichiarato che “la radiazione degli avvocati per i diritti umani, insieme ai procedimenti penali, alle perquisizioni e alla confisca dei loro beni, sono parte delle più ampie vessazioni che i difensori dei diritti umani subiscono nel Paese“. Ed ha anche affermato che “per gli avvocati membri dell’ordine degli avvocati, i procedimenti disciplinari sono stati uno dei principali mezzi di ritorsione per il loro impegno in difesa dei diritti umani o per le loro attività professionali“, entrambe citate in sentenza.

[31] Si veda lo stato di esecuzione della sentenza Namazov c. Azerbaigian, leading case dei tre esaminati, in www.hudoc.exec.coe.int.

[32] Corte EDU, Mehdiyev c. Azerbaigian, n. 36057/18, comunicato il 20 novembre 2020, in www.hudoc.echr.coe.int.

[33] Corte EDU, Karimli c. Azerbaigian, n. 39797/19, comunicato il 15 settembre 2020, in www.hudoc.echr.coe.int.

[34] Corte EDU, Hasanov c. Azerbaigian, n. 68035/17, comunicato il 4 giugno 2018, in www.hudoc.echr.coe.int.

[35] Corte EDU, Mammadov c. Azerbaigian, n. 43327/14, comunicato il 3 settembre 2018, in www.hudoc.echr.coe.int.

[36] Corte EDU, Hajibeyli e Alyiev c. Azerbaigian, nn. 6477/08 e 10414/08, 19 aprile 2018, in www.hudoc.echr.coe.int.

[37] Corte EDU, Aliyev c. Azerbaigian, nn. 68762/14 e 71200/14, 20 settembre 2018, in www.hudoc.echr.coe.int.

[38] Si veda, Scheda informativa sull’Azerbaigian a cura del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, Dipartimento per l’esecuzione delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in www.coe.int; sintomatico in tal senso il fatto – ricordato in nota n. 29 – che la prima procedura introdotta dal Comitato dei Ministri nei confronti di uno Stato Parte della Convenzione ai sensi del suo art. 46 § 4 per mancata esecuzione di una sentenza della Corte abbia visto come convenuta proprio la Repubblica dell’Azerbaigian.

[39] In questo senso si ricordano gli interventi dell’International Commission of Jurists, nei casi Bagirov c. Azerbaigian, nn. 81024/12 e 29198/15, cit. ed Hajibeyli e Alyiev c. Azerbaigian, nn. 6477/08 e 10414/08 cit.; nonché gli interventi del Council of Bars and Law Societies of Europe (CCBE), dell’Ordine degli avvocati di Parigi e del Consiglio Nazionale degli Ordini Forensi francesi nel caso Morice c. Francia [GC], n. 29369/10, 23 aprile 2015, relativo all’accertata violazione del diritto di libertà di espressione del ricorrente, avvocato, che aveva reso delle dichiarazioni alla stampa pesantemente critiche circa l’operato dei Giudici istruttori di un caso del quale si stava occupando, ragion per cui era stato condannato per diffamazione.

[40] Fra le molte iniziative in questo senso, si ricorda, da ultima, la lettera inviata dall’European Criminal Bar Association, su iniziativa dell’Unione delle Camere Penali Italiane, alle istituzioni dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa per una loro presa di posizione in difesa di Nasrin Sotoudeh.

[41] Quali, ad esempio, quelle condotte nelle Filippine e in Colombia da Lawyers4Lawyers, in Egitto da Unione delle Camere Penali Italiane, Giuristi Democratici, European Association of Lawyers for Democracy and World Human Rights, Legal Team Italia, Avocats Européens Démocrates – European Democratic Lawyers, Day of the Endangered Lawyer Foundation, ed in Turchia (Diyarbakir) da Unione delle Camere Penali Italiane, International Association of Democratic Lawyers, European Association of Lawyers for Democracy and World Human Rights, Avocats Européens Démocrates – European Democratic Lawyers, al fine di verificare il rispetto dei diritti fondamentali degli individui sottoposti a coprifuoco.

[42] Si vedano, al proposito, la pubblicazione in lingua italiana del Rapporto Febbraio 2020 di The Arrested Lawyers Initiative, “La persecuzione di massa degli avvocati in Turchia”, a cura del Consiglio Nazionale Forense ed il report La giustizia in Turchia in periodo di guerra. L’incontro coi Colleghi detenuti nel supercarcere di Silviri” a cura dell’Unione delle Camere Penali Italiane.

[43] Si veda, Cass., Sez. VI Penale, Sent. n. 54467, del 21 dicembre 2016, in www.italgiure.giustizia.it, con la quale la Suprema Corte, nel ritenere insussistenti le condizioni per la richiesta estradizione verso la Turchia ha, tra le altre cose, fatto riferimento al report della fact-finding mission in Turchia (Diyarbakir) indicata in nota n. 41.