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IL LABIRINTO TELEMATICO PER LA TRASMISSIONE DEGLI ATTI – DI LUDOVICA TAVASSI

IL LABIRINTO TELEMATICO PER LA TRASMISSIONE DEGLI ATTI – DI LUDOVICA TAVASSI

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IL LABIRINTO TELEMATICO PER LA TRASMISSIONE DEGLI ATTI

di Ludovica Tavassi*

Dopo più di due anni dall’entrata in vigore del cosiddetto processo penale telematico, l’interprete si ritrova in un vero e proprio labirinto normativo esposto al continuo innesto di regole nuove e di prassi cangianti. La scelta legislativa di affidare alle fonti di rango secondario la disciplina delle modalità digitali di deposito degli atti suscita non poche perplessità, sia con riferimento alla riserva di legge processuale stabilita dall’art. 111 comma 1 Cost., sia in relazione alla tassatività delle invalidità messa in crisi dalla inedita irricevibilità dei documenti digitali decretata non dal giudice, ma dal sistema telematico. Per riportare anche il regime digitale degli atti nell’alveo del giusto processo costituzionale bisogna recuperare la certezza del diritto di fonte primaria e la prevalenza assiologica di un principio di conservazione degli atti rispetto al mero efficientamento della gestione dei carichi giudiziari.

After more than two years since the entry into force of the so-called telematic criminal trial, the interpreter finds himself in a real regulatory labyrinth exposed to the continuous insertion of new rules and changing practices. The legislative choice to entrust to secondary sources the regulation of the digital modalities of filing acts raises not a few perplexities respect to the procedural law reservation established by Article 111 paragraph 1 of the Italian Constitution and in relation to the peremptory nature of the invalidity put into crisis by the unprecedented inadmissibility of digital documents decreed not by the judge, but by the telematic system.

In order to also bring the digital regime of acts back into the realm of constitutional due process, it is necessary to recover the legal certainty of the primary source and the axiological prevalence of a principle of preservation of acts with respect to the mere efficiency of the management of judicial loads.

Sommario: 1. L’incompiuta semplificazione tecnologica del processo penale. – 2. Il processo penale telematico secondo la cd. Riforma Cartabia. – 2.1. Le resistenze giurisprudenziali e i disorientamenti delle prassi sperimentate. – 3. Le nuove forme telematiche. – 3.1. Il Portale deposito atti. – 4. Forme e formalismi tecnologici.

  

  1. L’incompiuta semplificazione tecnologica del processo penale.

Lo statuto normativo che attualmente regola le forme telematiche del deposito degli atti (art. 111-bis c.p.p.) e l’accesso al fascicolo informatico (art. 111-ter c.p.p.) resta un cantiere non soltanto aperto ad una permanente opera di adeguamento regolamentare[1], ma soprattutto esposto al rischio che siano direttamente le prassi a colmare i vuoti e le intersezioni diventando all’occorrenza la vera regula iuris.

Nonostante l’emanazione dei tanto attesi decreti ministeriali[2] necessari per riempire la cornice normativa solo abbozzata dalla cd. Riforma Cartabia[3], ci troviamo di fronte a una disciplina instabile, basata su un complesso sistema di rinvii interni, che lascia agli addetti alla gestione delle piattaforme lo spazio per decretare “la ricevibilità” di un atto, così sostituendosi alla valutazione di ammissibilità che dovrebbe invece essere ad appannaggio esclusivo della giurisdizione[4].

La legge processuale ha così lasciato spazio a una normativa fluida e cangiante ben distante da quegli standard di determinatezza e prevedibilità da cui non ci si deve mai discostare quando si interviene su materie coperte da riserva di legge, come la disciplina del processo penale[5].

Il baco della riforma, infatti, sta proprio nella scelta del legislatore, ispirata dalla volontà di tenere una posizione neutrale rispetto alle tecnologie da adottare[6], di subappaltare alle fonti di rango subordinato il continuo aggiornamento della regolazione delle modalità digitali e delle condizioni di validità degli atti. In tutte le disposizioni codicistiche rimodulate sulle frequenze digitali, segnatamente gli art. 110 commi 2 e 4, 111 comma 2-bis, 111-bis commi 1 e 2, 111-ter comma 1, c.p.p., è sempre presente una clausola di rinvio alla normativa secondaria. Ciò provoca, nella realtà processuale di tutti i giorni, un’applicazione delle regole frammentaria, disomogenea, variabile a seconda degli uffici giudiziari in cui si opera.

Ci troviamo, così, al cospetto di una disciplina ben lontana dall’obiettivo di essere semplice, univoca, prevedibile e di facile accesso. Si registra quasi quotidianamente l’innesto di nuovi provvedimenti, variamente assortiti fra protocolli, circolari, direttive ministeriali e chissà cos’altro in futuro.

A riprova di ciò sono state varate due ulteriori novità: la l. 30 dicembre 2024, n. 207, recante il “bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027”, che ha introdotto una nuova disciplina delle spese di giustizia per l’ottenimento digitale delle copie[7], e decreto del Ministero delle Giustizia n. 206 del 27 dicembre 2024[8], per differire nuovamente, in base alla tipologia degli atti e degli uffici giudiziari, i termini dell’entrata in vigore dell’obbligo di deposito in forma esclusivamente telematica[9].

Nonostante questi continui e frammentari adeguamenti, allo stato attuale, ossia dopo più di due anni dalla riforma, per giustificare lo straniante disorientamento in cui si ritrova chiunque abbia la necessità di trasmettere un atto processuale nel labirinto normativo non si può più invocare né il mancato periodo di training per gli addetti agli uffici giudiziari, né la carenza di personale, né il fulmineo evolversi delle tecnologie digitali, dal momento che gli strumenti di creazione, gestione e trasmissione digitale dei documenti, come i PDF (Portable Document Format), la PEC (posta elettronica certificata), i servizi di condivisione in Cloud, o gli stessi portali ministeriali, fanno parte da anni dell’almanacco delle strumentazioni tecnologiche: segnatamente dal 1993 i primi, dal 2005 la seconda, dal 2006 i terzi.

Non è infatti un caso se la preponderante presenza dei dispositivi e delle tecniche che hanno reso il mondo immediatamente interconnesso ha indotto, già nel 2005, l’adozione del Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82) per regolare l’informatizzazione dell’organizzazione e dell’azione della pubblica amministrazione[10], né che, nel rito civile, già a far data dal 30 giugno 2014, il deposito degli atti avviene obbligatoriamente attraverso la PEC e la piattaforma dedicata (art. 16 bis d.l. 179 del 2012)[11].

Per il processo penale, invece, se non fosse stato per lo stato di necessità creatosi durante la pandemia da covid-19, sarebbe rimasta immutata quella propensione al quieta non movere che aveva spinto anche il legislatore nel 1988 ad affidarsi alle già consolidate cadenze del precedente codice[12]. Infatti, nonostante quanto era stato già disposto dall’art. 16 comma 4 d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla L. 17 novembre 2012, n. 221)[13] e dal Regolamento (UE) eIDas n. 210 del 2014[14], soltanto l’emergenza pandemica ha costretto il legislatore a sperimentare metodi e tecniche processuali nuovi e inusitati[15], almeno per la ricezione degli atti trasmessi dalle parti, abbattendo le non più giustificabili barriere ideologiche[16].

Il terreno del diritto processuale era rimasto inspiegabilmente quasi del tutto impermeabile all’evoluzione digitale fino all’entrata in vigore del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, che ha promosso la necessità di individuare, con uno o più decreti, le regole tecniche per l’adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione proprio di quelle categorie inscritte nel d.lgs. n. 82 del 2005 (art. 4 d.l. 193 del 2009). Ne è seguita una rapsodica sperimentazione normativa[17] che, per inseguire il rapido evolversi delle tecniche di trasmissione informatica degli atti, ha fatto affidamento sulle fonti regolatorie di rango secondario[18], come i Decreti ministeriali (d.m. giustizia del 21 febbraio 2011, n. 44)[19], che a loro volta, per individuare le specifiche tecniche, come tutt’ora accade, rimandano ai provvedimenti emanati dal responsabile del DGSIA[20].

Di questo modo di legiferare, al netto della tardività delle scelte, stiamo scontando tutt’ora i difetti di fabbrica, ai quali si cerca di porre rimedio con protocolli, intese, circolari di varia provenienza. Bisogna, invece, denunciare come nella disciplina persista l’ingiustificata assenza di punti cardinali legislativi univoci, come ad esempio una nuova declinazione del principio di conservazione degli atti[21], che avrebbero indicato la via assiologicamente orientata da percorrere per la corretta costruzione di questo nuovo paradigma tecnologico. Al contrario, per supplire alla debolezza della modalità di legiferare attraverso i rinvii alle regolamentazioni secondarie, si ricorre alle promesse di istituire «adeguati spazi di interlocuzione tra i difensori e le segreterie dell’Ufficio di Procura per la risoluzione delle questioni tecniche», come recentemente stabilito nel Protocollo sottoscritto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, l’Ordine degli Avvocati di Milano, la Camera Penale di Milano, in data 12 novembre 2024[22].

Non si può rimettere, pur essendo tentativi apprezzabili, alla negoziazione volontaria, su base locale, l’applicazione di quelle regole tecniche da cui dovrebbe dipendere, nel processo telematico, l’effettività e l’uniformità dei diritti processuali degli imputati su tutto il territorio nazionale. Del resto, anche tenendo conto della specifica realtà locale, non è detto che la difesa sia esclusivamente esercitata da avvocati del circondario.

Ma ciò che più preoccupa è che il diritto protocollare attribuisce una indebita rilevanza, in ambito (para)normativo, alle esigenze organizzative degli uffici che non possono come non devono essere valorizzate al di là di quanto già stabilito dalla legge. Infatti, al netto del localismo giudiziario dei protocolli di intesa, l’assenza di stabili indicazioni, anche valoriali, da parte delle fonti legislative subordina alla arbitraria sensibilità degli uffici giudiziari l’esercizio effettivo dei diritti fondamentali. Si rimette pertanto alle prassi la determinazione del destino degli atti, ma soprattutto dei diritti delle parti permettendo, sulla base di vuoti formalismi, di condizionare la ricevibilità di un atto. Infatti, quando si tratta di voler trasmettere la nomina del difensore sprovvista dell’indicazione dei dati del registro delle notizie di reato o dell’atto abilitante, soltanto ispirandosi al principio di conservazione, si eviterebbe il respingimento di un “documento informatico”[23] per ragioni puramente formalistiche che non corrispondono a un preciso interesse, nemmeno per il sistema giudiziario.

La maggiore criticità delle modalità di trasmissione digitale degli atti si annida, infatti, proprio nella possibilità di dichiarare l’“irricevibilità tecnologica” di un atto depositato a portale. Essa rappresenta una nuova forma di invalidità elevabile dagli addetti degli uffici giudiziari, senza alcuna motivazione da cui si possa desumerne il motivo.

Sebbene sia apprezzabile che, nell’avvicendarsi dei Provvedimenti DGSIA, questo potere si sia ridotto sino a prevedere che «a seguito dell’invio dell’atto processuale i sistemi informativi ministeriali procedono alla verifica ed accettazione automatica del deposito degli atti inviati dai difensori rispetto ai quali vi è corrispondenza tra i dati inseriti sul PDP ed i dati di registro del procedimento penale, senza intervento degli operatori di segreteria e di cancelleria» (art. 18, comma 11 Provv. DGSIA)[24], sarebbe auspicabile che ogni atto venisse accolto nell’ambiente digitale, magari segnalando l’anomalia al depositante, ma lasciando che sia sempre un giudice a valutarne tanto l’ammissibilità quanto l’efficacia secondo le forme tassativamente previste dalla legge, fra le quali non presenziano i cd. “valori di stato”, quali inviato, in transito, accettato, in verifica, rifiutato o in errore tecnico. Le mancate corrispondenze dei numeri che individuano i registri delle notizie di reato o quelli dei procedimenti, l’assenza dell’atto abilitante, della firma digitale su un allegato, rappresentano soltanto dei formalismi che non dovrebbero mai poter pregiudicare l’efficacia di un atto delle parti. Non dovrebbe poter essere condizionato l’esercizio di un diritto alle capacità divinatorie dell’avvocato chiamato ad apporre la giusta combinazione del RGNR per vedersi accettato quel documento che gli permette di prestare la necessaria assistenza tecnica. Altrimenti si rischierà davvero che possa meglio essere prestata anche l’assistenza difensiva da un’IA che ben meglio di un professionista umano potrà riempire con precisione i campi di un modello preimpostato.

Il nuovo formalismo digitale sembra, infatti, voler preludere a una riduzione degli atti processuali proprio a semplici moduli riconoscibili dai lettori ottici, con campi e spazi predeterminati, magari ispirati a un draconiano principio di sinteticità, che favoriscano le esigenze organizzative degli uffici attraverso una gestione automatizzata della ricezione degli atti, per finire con l’apposizione obbligata di codici a barre di riconoscimento già in uso presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. Questi strumenti certamente potrebbero ancor più semplificare il lavoro degli uffici giudiziari, ma al prezzo, troppo alto, di comprimere gli spazi di libertà d’espressione del diritto di difesa. Questo non è un tributo all’efficienza che possiamo accettare di dover pagare nemmeno in cambio dei fondi PNRR.

  1. Il processo penale telematico secondo la cd. Riforma Cartabia.

 Si deve, come detto, alla necessità di evitare i contatti umani negli uffici giudiziari di tutto il Paese durante la pandemia causata dal Covid-19, il superamento della sedimentata consuetudine alle notificazioni a mezzo posta e ai depositi a mano presso le cancellerie[25]. Senza la crisi sanitaria sarebbe probabilmente rimasto immutato l’impiego processuale degli atti analogici o comunque la transizione al digitale sarebbe avvenuta in tempi ancora più lunghi[26]. Con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, pertanto, è stato portato a compimento, anche nel processo penale, l’innesto di quell’ambiente digitale[27] in grado di accogliere le tecniche digitali di formazione e di trasmissione degli atti processuali, dopo un ulteriore periodo di assestamento favorito dalla disciplina transitoria (art. 87 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, a cui si è dovuto successivamente aggiungere il riparatore art. 87-bis d.lgs. n. 150 del 2022[28]), in attesa che, per l’entrata in vigore della normativa stabilita per rimodellare gli artt. 110-111 ter c.p.p., fossero adottati i decreti ministeriali integrativi delle specifiche tecniche entro il 31 dicembre 2023, ad oggi, come detto, ancora una volta fatti oggetto di differimento dal d.m. 206 del 2024[29].

Indubbiamente l’ammodernamento delle modalità soprattutto di trasmissione degli atti non poteva non diventare protagonista anche della cd. Riforma Cartabia[30] mossa dall’esigenza di ridurre la durata media dei processi, come stabilito nel P.N.R.R.[31]. Tuttavia, la tecnica usata per disporre la regolamentazione di queste nuove forme lascia tutt’ora molti dubbi e alcune preoccupanti perplessità sui futuri sviluppi, anche in merito all’efficientamento del processo. Difatti, sebbene non si possa negare che la scelta di abdicare al compito di definire le modalità tecnologiche e le condizioni di validità degli atti ai provvedimenti ministeriali, soprattutto quelli del DGSIA, sia giustificata dalla migliore capacità di “fitting” di tali disposizioni[32], non si può nascondere che ci si aspettava un prodotto normativo che avrebbe superato i difetti emersi durante la sperimentazione, sia pandemica che successiva. Infatti, si era già avuto prova di quanto una siffatta stratificazione normativa potesse produrre, come fatto, problematici disorientamenti nei quali le prassi sono state costrette a diventare, nella confusione, la vera regula iuris, ma non sempre facendo prevalere gli interessi delle parti su quelli legati alla gestione dei carichi di lavoro degli uffici.

L’intenzione di preconizzare soltanto gli effetti per appaltare la definizione delle condizioni di validità degli atti[33] alla più agile flessibilità delle fonti regolamentari, allora, sarebbe risultata meglio orientata, come detto, se, sul piano assiologico, la cornice fosse stata chiusa quantomeno dal principio di conservazione degli atti processuali[34]. Questo canone ermeneutico avrebbe fatto certamente risparmiare tempo prezioso ma soprattutto avrebbe fornito agli interpreti le più giuste coordinate per orientarsi nelle valutazioni di indispensabilità dell’assolvimento di quei soli requisiti formali che presidiano l’effettiva tutela di tutti gli interessi in gioco, anche quando le modalità tecnologiche si evolvono più velocemente dei processi di adeguamento normativo[35].

Un simile accorgimento avrebbe altresì evitato il vero punto di crisi di questa nuova impostazione: la possibilità lasciata agli uffici addetti alla ricezione degli di atti di creare la nuova forma di invalidità della irricevibilità dei cd. documenti informatici per cause non tassativamente previste dalla legge, ascrivibili più alla categoria dei formalismi tecnologici che non a quella, come anticipato, delle forme necessarie per rendere effettivi i diritti delle parti. Senza dimenticare le disfunzioni che si riflettono direttamente sull’autorità procedente, come recentemente segnalato anche dalla stampa nazionale[36].

Non si può, allora, ancora tributare alla nuova disciplina il merito di aver adeguato apprezzabilmente le strutture della giustizia penale con la contemporaneità tecnologica e di aver riportato al centro della cultura del processo la prevalenza sui formalismi delle forme necessarie per rendere effettivi i diritti delle parti[37]. Come si dirà meglio in seguito, il famigerato portale (PDP), a quattro anni dalla sua inaugurazione, mostra tutti i suoi limiti, non essendo né al passo con le migliori tecnologie, né ispirato alla cultura del giusto processo. Esso, infatti, continua ad essere un semplice canale di ricezione che non consente né una semplificazione degli adempimenti connessi al deposito, richiedendo per i suoi imprevedibili malfunzionamenti l’utilizzo in parallelo degli altri canali rappresentati dalla PEC o dal deposito analogico, né la possibilità di consultare con immediatezza gli atti digitali contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o quelli del dibattimento. Il suo funzionamento continua a ricordare da vicino quello di un’antica, ma telematica, buca delle lettere nella quale non è nemmeno certo e prevedibile il momento di apertura e di raccolta della corrispondenza “imbucata”.

2.1 Le resistenze giurisprudenziali e i disorientamenti delle prassi.

 Già nella fase di transizione sperimentale, gli uffici giudiziari sommersi dagli esorbitanti carichi di lavoro e ancorati alla volontà di non volersi distaccare dalle abitudini analogiche che hanno sempre funzionato, non si sono rivelati pronti ad accogliere le nuove forme digitali. Le rassegne del massimario della Cassazione sono state disseminate, infatti, di dichiarazioni di inammissibilità legate alle forme di deposito delle impugnazioni[38], senza soluzione di continuità con quella pervasiva “cultura dell’inammissibilità”[39] con cui la Suprema Corte, da circa un quarto di secolo, si difende da quello che ritiene un impiego dilatorio e strumentale dei mezzi di impugnazione[40].

Gli esempi sono molteplici e spaziano dalle pronunce che hanno dichiarato “draconianamente” inammissibile un intero ricorso per l’assenza di sottoscrizione di un solo allegato da parte del difensore[41], a quelle, del tutto parossistiche, in cui si ribaltano sull’imputato gli effetti negativi scaturiti dall’inosservanza degli obblighi di legge rimessi in capo al personale delle cancellerie[42].

In più occasioni, infatti, è stata dichiarata l’inammissibilità per la mancata dimostrazione, da parte della difesa, dell’effettiva ricezione degli atti presentati telematicamente[43], in assenza dell’attestazione della cancelleria circa l’avvenuto deposito delle richieste inviate tramite posta elettronica certificata. La difesa, dunque, non avrebbe dovuto dar per scontato che il giudice avesse avuto conoscenza dell’atto trasmesso digitalmente e non avrebbe potuto censurare in sede di legittimità il difetto di motivazione sul punto, mancando l’attestazione della cancelleria dell’avvenuto deposito delle richieste inviate tramite posta elettronica certificata. Il richiedente, stando a tale impostazione, pur avendo conseguito la comunicazione di “avvenuta consegna” inviata dal sistema telematico, si sarebbe dovuto recare fisicamente presso la cancelleria per verificare l’effettiva ricezione della sua richiesta, tutto ciò in piena pandemia. La ricevuta di “avvenuta consegna”, inviata dal sistema telematico, pertanto, non è stata ritenuta attestazione sufficiente a surrogare una verifica empirica circa quanto realmente avvenuto in cancelleria, come se la condotta digitale fosse solo virtuale e non sortisse effetti processuali.

Questo modo di intendere le forme telematiche ha neutralizzato considerevolmente gli effetti positivi di un già tardivo ingresso nel processo penale delle modalità digitali di deposito degli atti. Si è così giunti a dichiarare inammissibili i ricorsi per cause non previste dalla legge[44]. Già nell’art. 24 comma 5 d.l. n. 137 del 2020 e poi nell’art. 87-bis comma 2 d.lgs. 150 del 2022, era stato stabilito in maniera chiara che, «ai fini dell’attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma 4, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l’atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo, il personale di segreteria e di cancelleria provvede, altresì, all’inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell’atto ricevuto con l’attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell’ufficio e dell’intestazione della casella di posta elettronica certificata di provenienza».

Dal momento che l’atto inviato a mezzo p.e.c. non poteva essere depositato dall’utente materialmente nel fascicolo del giudice, l’invio della comunicazione elettronica faceva sorgere l’obbligo, dunque non certo la mera facoltà, in capo al personale delle cancellerie, non solo di attestare l’avvenuto deposito, di registrare la data di ricezione, ma anche di provvedere all’inserimento materiale nel predetto fascicolo di copia analogica dell’atto ricevuto, con l’attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell’ufficio e dell’intestazione della casella di posta elettronica certificata di provenienza, proprio perché i giudici non hanno un indirizzo di posta elettronica personale dove ricevere gli atti relativi ai processi di cui si occupano[45].

Non poteva, pertanto, essere addossato sul difensore l’ulteriore onere di dover verificare, presso gli uffici di cancelleria, l’avvenuto assolvimento di siffatte prescrizioni stabilite dalla legge[46]. Né tantomeno, la negligenza degli uffici di cancelleria poteva essere letta come una difformità in grado di rendere inammissibile il ricorso «per la mancata allegazione di quanto si assume sia avvenuto, non risultando adeguatamente provata la presenza della copia analogica dell’atto inviato telematicamente nel fascicolo cartaceo della Corte di appello»[47].

In questo modo, la normativa sperimentale ha dato soltanto ulteriore adito a quella cultura dell’efficienza del risultato[48] che, pur di vedere diminuito il numero dei ricorsi pendenti, ha ribaltato sull’imputato il prezzo dell’inadeguatezza delle strutture e degli operatori[49], in nome di un vuoto formalismo che tradisce i principi costituzionali di cui, invece, il giudice di legittimità dovrebbe essere l’estremo difensore[50].

Le forme, del resto, sono da rispettare quando tutelano le garanzie soggettive e la migliore riuscita, sul piano epistemologico, della verifica giurisdizionale dell’accusa[51]. Non si può brandire lo scudo della inammissibilità, creata anche praeter legem, per l’inosservanza di regole formali nemmeno riguardanti l’attività di parte[52]. L’esercizio del diritto di difesa deve prevalere e semmai sanare i vizi di forma delle procedure che perfezionano il compimento di un atto[53]. Si tratta di un diritto inviolabile che non dovrebbe essere negato in nome di nessuna inadempienza di carattere formale, soprattutto di quelle che non riguardano l’imputato[54].

Questi sono gli indirizzi metodologici e le coordinate assiologiche che avrebbero dovuto informare la riforma della disciplina del libro II dal momento che avrebbero consegnato un messaggio chiaro: la “cultura dell’inammissibilità” o le nuove tendenze alla non ricevibilità non devono prevalere quando c’è in gioco il favor rei. In tutti questi casi, gli uffici giudiziari non possono sbarrare la strada all’esercizio del diritto di accesso alla giurisdizione dell’accusato incolpevole[55].

  1. Le nuove forme digitali.

 La disciplina degli atti si apre oggi con il riformato art. 110 c.p.p. La disposizione è adesso rivolta a regolare non la sola sottoscrizione, ma la forma dell’atto nel suo complesso, come si evince già dalla sua nuova intitolazione. Con essa, pertanto, si stabilisce che la forma principale per la redazione e la conservazione degli atti è quella del “documento informatico”[56], creato mediante l’incorporazione di un atto giuridico in un file digitale che deve assicurarne «l’autenticità, l’integrità, la leggibilità, la reperibilità, l’interoperabilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza». Sono fatti salvi dal vincolo di nascere digitali, al comma 3, tutti quegli atti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere redatti in forma di documento informatico. Ma anche per loro, il successivo comma 4 prescrive che «debbano essere convertiti senza ritardo in copia informatica ad opera dell’ufficio che li ha formati o ricevuti, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici»[57].

Dunque, non solo cambia la forma dell’atto, ma anche le scelte lessicali non sono più quelle impiegate per distinguere “il documento” formato fuori dal procedimento dall’”atto processuale”[58]. Anche in materia linguistica si è preferito allinearsi al nuovo binomio “documento informatico-documento analogico” elaborato dal Codice dell’amministrazione digitale che distingue il primo come il documento “elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”, mentre, il secondo, come “la rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” (art. 1 comma 1 lett. p e p-bis)[59].

Da ogni angolazione, pertanto, trova conferma la rinuncia definitoria delle condizioni di validità degli atti in favore di una normativa di cornice a più riprese riempita dalle fonti regolamentari[60], come avvenuto, da ultimo, in data 7 agosto 2024, grazie al provvedimento emanato dal DGSIA[61], dopo solo otto mesi dal precedente, in ragione dell’ulteriore necessità di adottare nuove specifiche tecniche previste dall’articolo 34, comma 1, del decreto 21 febbraio 2011, n. 44, anch’esso da poco novellato dal decreto ministeriale del 29 dicembre 2023, n. 217[62].

Ciononostante, nell’art. 15, comma 1, lett. c) del provvedimento del 7 agosto 2024, dedicato al “formato dell’atto nel procedimento in forma di documento informatico”, è ancora previsto che l’atto del procedimento in forma di documento informatico deve essere ottenuto «dalla trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini». Questa prescrizione crea non trascurabili dubbi interpretativi per gli atti di nomina del difensore. Come si potrà raccogliere la firma autografa dell’assistito sull’atto analogico se poi non è ammessa la scansione di immagini?

Si dovrà sperare che le cancellerie più virtuose vogliano riconoscere una soluzione analoga a quanto previsto dall’art. 16 comma 3 Provv. DGSIA, ossia, come per la procura alle liti, accettare una copia informatica per immagine di un documento analogico, poi riprodotta in formato PDF o PDF/A e firmata digitalmente dal difensore? Resta tuttavia inspiegabile perché non prevedere la stessa modalità anche per gli atti penali, al netto di una inutile complessità tecnologica di cui non si riconosce l’interesse sottostante.

3.1 Il deposito a portale degli atti.

 Anche per i depositi degli atti è stata tracciata una cornice normativa che necessita di essere completata da una disciplina di dettaglio di rango inferiore e in continuo aggiornamento. Il principio di stretta legalità, in questo modo, versa in uno stato di profonda crisi mancando le coordinate essenziali per rispettare una previsione, come quella dell’art. 111-bis c.p.p., per cui «in ogni stato e grado del procedimento, il deposito di atti, documenti, richieste, memorie ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici».

All’interno di questa cornice, il portale telematico per il deposito degli atti si è comunque conquistato il ruolo di canale principale, eccettuati quegli atti che, per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere acquisiti in copia informatica e per quelli che le parti compiono personalmente (art. 111-bis commi 3-4 c.p.p.).

Cionondimeno, il portale non offre ancora le funzionalità sperate: anche volendo tralasciare la datata e non certo intuitiva veste grafica, permangono i disservizi in ordine alla effettiva funzionalità che rimane condizionata dalla scelta della cancelleria di scaricare i documenti nel frattempo accumulatisi. Non è infrequente che l’atto depositato, con immediata attestazione di deposito, rimanga in lavorazione per giorni o a volte per mesi, in attesa che qualcuno, dall’altra parte dello schermo, decida di “scaricarlo”. Senza poi dimenticare che oggi, l’unica funzionalità attiva è solamente quella del deposito, non essendo possibile la piena e consultazione degli atti digitali contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o del dibattimento.

Una modifica apprezzabile della disciplina sarebbe stata quella di addebitare i costi di copia dei documenti informatici, ammesso e non concesso che siano davvero tali, direttamente nella nota delle spese processuali da addebitare al solo condannato in via definitiva, per evitare che siano addossati anticipatamente, e senza possibilità di ripetizione, su un presunto innocente rimasto tale anche all’esito del processo. Altrimenti, come auspicato anche dall’Unione delle Camere Penali Italiane, che diventi completamente gratuita l’estrazione dei duplicati dei documenti digitali[63].

Nel solco di una ragionevole riduzione dei costi di copia si colloca, comunque apprezzabilmente, la recente introduzione del diritto forfetizzato da parte dei nuovi artt. 269 e 269 bis del d.P.R. n 115/2002[64]. Ad oggi, pertanto, per il rilascio di copie di atti e di documenti su supporto diverso da quello cartaceo è stato previsto il pagamento di un diritto forfettizzato di 25€ per il rilascio delle copie sugli strumenti di memorizzazione di massa fisici (chiavette USB, CD, DVD) e di 8€ per le copie trasmesse con modalità telematiche (posta elettronica, pec o portali).

Anche per quel che riguarda le attività di deposito, tuttavia, i possibili “valori di stato” che può assumere l’atto caricato sul portale svelano chiaramente la farraginosità della procedura. L’art. 13 del Provvedimento DGSIA del 7 agosto 2024 prevede che il file può risultare: inviato, in transito, accettato, in verifica, rifiutato o in errore tecnico. Al momento dell’allegazione, pertanto, i cd. “soggetti abilitati esterni” non hanno certezza che l’atto depositato, dopo esser transitato all’ufficio compente e aver superato la verifica di corrispondenza tra i dati inseriti e quelli del registro del procedimento, sia stato scaricato. L’unico modo di raggiungere la certezza che l’atto sia entrato a far parte del fascicolo resta ancora quello di recarsi fisicamente in cancelleria per una doppia verifica, anche analogica.

Pertanto, l’obiettivo di efficientare le procedure non può ritenersi propriamente raggiunto, piuttosto in tanti casi si costringono ancora gli avvocati a un doppio lavoro, prima tramite gli applicativi informatici, in ambiente digitale, poi, in quello reale delle cancellerie.

Senza dimenticare che, diversamente da quanto sostenuto dalla giurisprudenza, l’omessa ricezione da parte degli uffici giudiziari di un atto depositato regolarmente tramite portale dovrebbe far maturare una nullità per inosservanza delle disposizioni inerenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private (art. 178 lett. c c.p.p.) e configurare una responsabilità disciplinare per le cancellerie, quando non addirittura penale per omissione o rifiuto di un atto d’ufficio di cui all’art. 328 c.p.

Rimane comunque irrisolto il nodo dell’accettazione dell’atto. Ad oggi, ma la disciplina cambia quasi quotidianamente, il deposito genera una ricevuta che attesta il corretto invio ai sensi dell’art. 172 comma 6-bis c.p.p. In seguito, l’atto può rimanere “in lavorazione” per un periodo indeterminato che va da qualche ora, a qualche giorno o settimana. Dipende, infatti, dalle cancellerie decidere se e quando “aprire” il portale per scaricare gli atti. Questo tempo indefinito è inaccettabile nella misura in cui solo all’esito dello “scarico” verrà decisa la sorte dell’atto: accettato o rifiutato, il tutto ad opera di un non meglio identificato “addetto”. Nel frattempo, potrebbero essere spirati i termini perentori per il deposito dell’atto, si pensi al caso di una impugnazione. In una eventualità del genere cosa potrebbe accadere? Quando, ad esempio, una impugnazione venisse rifiutata per dati incoerenti (è accaduto, anche se i dati del procedimento erano corretti) e il termine per la sua presentazione fosse già decorso? Si celebrerà comunque il giudizio di impugnazione introdotto da un atto rifiutato “a portale”? Probabilmente le risposte le darà la prassi più che la giurisprudenza, ma appare evidente che un sistema così impostato contravviene alle regole minime del giusto processo regolato dalla legge e del rispetto del diritto di difesa.

Proprio a causa di queste incertezze, lo strumento di gran lunga più tranquillizzante rimane la PEC che garantisce una ricevuta di deposito in tempo reale, senza successive questioni in tema di accettazione. La proroga del cd. regime di deposito a doppio binario telematico e cartaceo introdotta dal d.m. 206 del 2024 ha rimandato al 31 dicembre 2025 quel fatidico momento in cui anche la PEC dovrà cedere il passo al solo portale. Ma resta fortemente incerto se anche per questa nuova scadenza si saranno risolte tutte le angosciose questioni relative funzionamento del portale. Allo stato attuale, rimane l’auspicio che l’uso, finora salvifico, della PEC e dell’ancor più tranquillizzante vecchio deposito cartaceo sia protratto molto a lungo. Ciononostante, sarebbe, però, un amaro risultato quello di aver cambiato tutto, affinché nulla cambi. Inoltre, bisognerebbe anche tenere in debita considerazione che prima di fare cessare anche le modalità di deposito cartaceo bisognerebbe risolvere una questione certamente di non poco momento, ma troppo spesso dimenticata, ossia la titolarità in capo all’imputato della maggior parte dei diritti processuali, compreso quello di presentare impugnazioni diverse dal ricorso per cassazione. Finché l’imputato manterrà queste prerogative, l’accesso fisico alle cancellerie per i depositi cartacei non potrà mai essere negato, non potendosi imporre ai privati l’uso del portale o comunque delle tecnologie informatiche. La procedura per il deposito si complica quando si tratta della trasmissione dell’atto di nomina alla Procura della Repubblica: nonostante le ripetute critiche levate su questo aspetto fin dai primi provvedimenti DGSIA[65], permane l’obbligo di allegare l’“atto abilitante” alla trasmissione dell’atto di nomina del difensore quando il procedimento si trova in fase di indagine preliminare e non è stato ancora emesso o non è previsto uno degli avvisi di cui agli articoli 408, 411 o 415 bis c.p.p. (art. 19 comma 4 Provv. DGSIA)[66].

Sebbene, l’avvocatura abbia apprezzato che l’assenza dell’atto abilitante non condizioni più l’accoglimento delle nomine depositate dopo l’avvenuta discovery e che non debba necessariamente essere integrato dal certificato delle iscrizioni suscettibili di comunicazione previsto dall’art. 335 comma 3 c.p.p.[67], risulta ancora un singolare adempimento quello di dover dichiarare come si sia venuti a conoscenza dell’esistenza di un procedimento relativo al proprio assistito.

Analoga attestazione abilitante non è mai stata prevista per il deposito della nomina in formato analogico ex art. 96 comma 2 c.p.p. La validità dell’atto di nomina ha sempre prescisso dalla conoscenza ufficiale del procedimento, compreso il numero di registro delle notizie di reato che veniva apposto a cura degli addetti all’ufficio per la ricezione degli atti. Su questo terreno è chiarissima la regressione determinata dalla digitalizzazione e la resistenza diffidente alle forme telematiche quando utilizzate dalle parti private.

Allo stato attuale, anche per le altre criticità già messe in evidenza, il portale per il deposito degli atti penali sembra essere ispirato da un vero e proprio criterio della complicazione tecnologica che subissa i diritti soggettivi di imbriglianti formalismi tecnologici. 

  1. Forme e formalismi tecnologici.

 La valutazione della “ricevibilità” di un atto non può essere compiuta sulla base della corrispondenza di vuoti formalismi, né sulla base della sensibilità degli uffici giudiziari. Gli oneri digitali impropriamente imposti alla difesa ripropongono, in molti aspetti, più che un progresso, un percorso a ritroso in cui dall’utilizzo delle forme di trasmissione digitale si torna all’accesso “analogico” alle cancellerie, tradendo così anche le ambizioni efficientiste. E sono proprio queste ultime a rendere l’avvicendamento delle correzioni ai provvedimenti, ai decreti, ai protocolli, alle intese, sempre poco vicine all’obiettivo di perfezionare uno statuto che possa permettere di ritenere giusto il processo penale telematico, su basi di certa prevedibilità.

Si rende necessario, allora, non soltanto adeguare la qualità delle reti, del personale e delle infrastrutture tecnologiche, ma riportare al centro della scena processuale i diritti che si rispecchiano nelle forme processuali per favorire il miglior raggiungimento dello scopo cognitivo del processo penale.

Se diversamente si patrocina, come si è fatto nella riscrittura del libro II, l’abbandono di una disciplina degli atti coperta dalla riserva costituzionale di legge, bisognerebbe almeno bilanciare il vulnus con regole generali di garanzia, come il principio di conservazione degli atti, che semplifichino e limitino la possibilità di dichiarare irricevibile una richiesta magari soggetta a termini di decadenza o la nomina del difensore in ragione di vuoti formalismi che pregiudicano l’esercizio dei diritti fondamentali. Tal principio di conservazione, per le impugnazioni, dovrebbe tradursi in un espresso divieto di dichiararne l’inammissibilità per inosservanza delle forme telematiche di deposito, in modo da sterilizzare sul nascere la pericolosa categoria di matrice tecnico-pratica della irricevibilità.

La Procedura penale deve rimanere, anche nel nuovo ambiente digitale, la disciplina dei limiti imposti all’autorità procedente e, in special modo, all’arbitrio di ogni potere, anche di quello che intenda abusare dei formalismi tecnologici per raggiungere obiettivi politici, come quello di ridurre del 25% la durata media dei processi penali nell’arco di cinque anni.

In caso di dubbio sulla corrispondenza di dati che possono essere anche tranquillamente inseriti o corretti dalle cancellerie, il personale impegnato negli uffici giudiziari non può dichiarare irricevibile un atto processuale sulla base di una categoria non prevista nel sistema tassativo delle invalidità. Spetta soltanto al giudice il potere di dichiarare irricevibile, o meglio inammissibile, un atto processuale nel rispetto dei presupposti di legge tassativi e prevedibili.

La nuova disciplina ibrida del processo penale digitale, invece, sta condizionando la validità degli atti a un vuoto formalismo digitale in grado di neutralizzare il diritto di accesso al giudice e, al tempo stesso, di rendere inutilmente complesse attività che, proprio grazie alle tecnologie, dovrebbero tendere sempre più verso quell’aspirazione programmatica alla semplificazione risalente all’art. 2 n. 1, della legge delega n. 81 del 1987.

La deriva digitale alla quale stiamo assistendo va arginata prima che altri sistemi, come l’intelligenza artificiale, possano allontanare ancor di più i valori dalle tecnologie. Se l’impiego delle risorse umane negli uffici giudiziari non sarà in grado di applicare il principio di conservazione per agevolare l’accoglimento di un atto, tanto varrà affidare tali attività amministrative ad algoritmi che parimenti non potranno mai imparare a distinguere le forme dai formalismi, ma almeno non saranno condizionati dagli effetti negativi causati dagli eccessivi carichi di lavoro.

Un buon correttivo per il processo penale telematico è certamente quello di accompagnare le future novità con l’inserimento di un principio di conservazione degli atti che sancisca, per ogni situazione, la prevalenza dell’ineliminabile profilo assiologico della procedura penale e la necessità che queste valutazioni restino affidate al solo giudice umano.

*Ricercatrice di Diritto processuale penale presso Università degli Studi di Milano-Bicocca

[1] In data 12 novembre 2024, l’Osservatorio Informatizzazione del Processo penale dell’UCPI ha dato notizia di un ulteriore “Nota del DGSIA riguardante gli aggiornamenti evolutivi sui sistemi APP, ReGeWEB e PDP, consultabile su www.camerepenali.it.

[2] Cfr. il decreto del Ministro della giustizia 29 dicembre 2023, n. 217, in Gazz. Uff., Serie generale n. 303, del 30 dicembre 2023, sul quale sia consentito rinviare a L. Tavassi, Formalismi giurisprudenziali e forme tecnologiche nel giusto processo digitale, in Arch. pen., fasc. 1, 2024, passim.

V., altresì, Decreto del Ministero delle Giustizia n. 206 del 27 dicembre 2024, intitolato “Regolamento concernente modifiche al decreto 29 dicembre 2023, n. 217 in materia di processo penale telematico, in Gazz. Uff., Serie generale n. 304 del 30 dicembre 2024.

[3] Il riferimento chiaramente è al Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, pubblicato in Gazz. Uff., S.O. n. 243, del 17 ottobre 2022.

[4] Per alcune riflessioni sulle linee di intervento seguite, cfr. Bargi, Il giudice penale e la legge da applicare: dal Codice Rocco alle regole europee, in Il giusto processo. Tra modello europeo e resistenze interne¸ a cura di Gaito, Milano, 2022, 94-95; Delvecchio, Prospettive e tempi della digitalizzazione del processo, in Proc. pen. giust., 2022, 8 ss.; A. Gaito-Landi, Laltare e le forse inevitabili vittime. Osservazioni sul processo penale à la Cartabia, in Arch.  pen., 2022, n. 2, 20; Galgani, …Along came il processo penale telematico. Le disposizioni generali sugli atti, in Riforma Cartabia: la nuova giustizia penale, cit., 400 ss.; Ead., Il processo penale telematico, cit., 114; Ead., Forme e garanzie nel prisma dell’innovazione tecnologica, cit., 317 ss.; EAD., Il processo penale in “ambiente” digitale: ragioni e (ragionevoli) speranze, in Quest. giust., 2021, 4, 181 ss.; Ead., Contributo per un rito penale dal volto digitale: gli assist offerti dalla legge delega “Cartabia”, in Marandola, Riforma Cartabia e rito penale – La legge delega tra impegni europei e scelte valoriali, Milano, 2022, 39; Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia, in www.sistemapenale.it, 2 novembre 2022, 72; Id., La digitalizzazione del processo, in Giustizia per nessuno. L’inefficienza del sistema penale italiano tra crisi cronica e riforma Cartabia, a cura di Gialuz-Della Torre, Torino, 2022, 293 ss.; Giordano, L’istituzione del processo penale telematico ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in www.ilprocessotelematico.it; La Rocca, Il modello di riforma “Cartabia”: ragioni e prospettive della Delega n. 134/2021, in Arch. pen., 2021, 3, 8 ss.; Nocerino, La riforma Cartabia in materia di processo penale telematico e la circolazione digitale degli atti, in Camm. dir., 2022, n. 4, 1 ss.; Scella, La riforma Cartabia del processo penale: spinte efficientistiche e questioni irrisolte, in Dir. pen. proc., 2022, n. 9, 1134; Tonini, Le nuove tecnologie e la riforma Cartabia, in Dir. pen. proc., 2022, 293 ss.; Trapella, La rivoluzione digitale alla prova della riforma, in Arch. pen., fasc. 3, 2022, 1 ss.

[5] Hanno rilevato alcuni aspetti problematici di questa prolusione normativa, anche Brunelli, Contributo allo studio della notificazione telematica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 99; Bove, Notifiche telematiche (PPT), in IlProcessoTelematico, 11 luglio 2019, 1; Petrucci, Il processo telematico e la lezione del Gattopardo, in Quest. giust. (web), 23 ottobre 2017, 1; Id., Introduzione alle fonti del Processo Penale Telematico, in La magistratura, 2017, fasc. 1-2, 32.

[6] Allo stesso modo, si era orientato anche il Legislatore europeo come si può riscontrare nel considerando 27 del Regolamento (UE) n. 910/2014, in base alla quale si riteneva opportuno si restasse «neutrali sotto il profilo tecnologico [benchè fosse] auspicabile che gli effetti giuridici prodotti dal presente regolamento [fossero] ottenibili mediante qualsiasi modalità tecnica, purché siano soddisfatti i requisiti da esso previsti».

[7] In Gazz. Uff., 31 dicembre 2024, n. 305, Suppl. ord. n. 43, p. 152. La nuova disciplina (artt. 269 e 269 comma 1-bis d.P.R. n. 115/2002) ha rimodulato i diritti in funzione della natura del supporto con cui viene rilasciata la copia.

[8] Supra nota 2.

[9] Per una dettagliata analisi delle modifiche introdotte, si rinvia alla nota emanata il 31 dicembre 2024 dalla Giunta dell’Ucpi, dal titolo Il processo penale telematico può essere attuato unicamente nel rispetto del pieno ed effettivo diritto di difesa, consultabile su www.camerepenali.it.

L’atto in oggetto è stato accompagnato da una circolare del Ministero della Giustizia del 31 dicembre 2024, edita anche su www.sistemapenale.it.

[10] Sul quale, si v. Arcella-Vitrani, Cad e decreto “semplificazioni”: tutte le novità, Milano, 2021, passim; Cassano-Giurdanella, Il Codice della Pubblica Amministrazione digitale. Commento al d.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005, Milano, 2005, passim; De Giovanni, Il codice dell’Amministrazione digitale: genesi, evoluzioni, principi costituzionali e linee generali, in Rass. avv. Stato, 2018, 3, 155 ss.; Ferrari, Il codice dell’amministrazione digitale e le norme dedicate al documento informatico, in Riv. dir. proc., 2007, 415 ss.; M.L Maddalena, La digitalizzazione della vita dell’amministrazione e del processo, in Foro amm. 2016, 2535 ss.

Oltre a R. Miliacca, Processo telematico unico per tutti i settori della giustizia, in ItaliaOggi, 29 maggio 2018, p. 34, che aveva lanciato l’idea di estendere le regole recate dal Cad a un disegno di legge delega che regolasse un unico processo telematico per tutti i settori giurisdizionali.

Per una più approfondita analisi dell’impatto e dello sviluppo che ha avuto tal corpo normativo in riferimento al processo penale, si rinvia a B. Galgani, Forme e garanzie nel prisma dell’innovazione tecnologica. Alla ricerca di un processo penale “virtuoso”, Milano, 2022, 124-125.

[11] Si ricorda che oggi l’art. 16 bis D.l. 179 del 2012 è stato abrogato dall’art. 11 comma 1 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, in Gazz. Uff., del 17 ottobre 2022, n. 243, suppl. ord. n. 38.

[12] Come riconosciuto anche nella Rel. prog. prel. c.p.p. 1988, in Gazz. Uff., Serie generale, 24 ottobre 1988, n. 250, suppl. ord. n. 2, 50.

[13] Per tal ragione, fra gli altri, anche F. Cananzi, Dall’emergenza alla legge delega al governo: verso un processo penale veramente telematico?, in www.sistemapenale.it, 2022, n. 3, 140, ha definito il rito penale rispetto a quello civile «il figlio di un dio minore». Delvecchio, L’informatizzazione della giustizia penale, cit., p. 61, nonché B. Galgani, Forme e gaaranzie nel prisma dell’innovazione tecnologica, cit., 128-133, concordano nel ritenere che siffatto ritardo dell’adozione delle tecniche tecnologiche nel processo penale sia dovuto al mancato coraggio di emanare una disciplina organica e sistematica protesa a una omogenea informatizzazione di tutte le attività processuali. Difatti, secondo M. Bozzaotre, Il processo penale telematico dal punto di vista della difesa, testo riveduto e corredato di note dell’intervento svolto nell’ambito del Corso “La telematica nel processo penale” organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura il 7-9 febbraio 2018, in DisCrimen, 14 novembre 2018, 4, all’epoca poteva parlarsi soltanto di «scampoli di processo penale telematico».

[14] Il Regolamento (UE) eIDas del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014, n. 910, in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, abrogativo la direttiva 1999/93/CE, in Gazz. Uff. UE, L.257/73, del 28 agosto 2014, che ha fornito una base normativa comune per interazioni elettroniche sicure fra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.

[15] Mazza, Distopia del processo a distanza, in Arch. pen., 2020, n. 1, 2, difatti, ha inquadrato quel periodo come «un formidabile laboratorio di sperimentazione».

[16] S.M. Corso, Le auspicabili ricadute della normativa emergenziale sulla comunicazione telematica prevista nel d.d.l. 2020 per la riforma della procedura penale, in Arch. pen., 2020, n. 2, 9, ha messo in evidenza che «se quando la notificazione è diretta dall’ufficio giudiziario al difensore, la via telematica è “mezzo tecnico idoneo”, [non può cessare di esserlo] nel caso inverso. [Dunque] vi sarebbe da ritenere che alla base della diversità di disciplina vi sia la precisa scelta di mantenere qualche ostacolo alla piena esplicazione delle funzioni difensive in vista di una possibile deflazione dei carichi di lavoro».

Sul tema si sono soffermati, con diversi accenti, anche Cananzi, Dall’emergenza alla legge delega al governo: verso un processo penale veramente telematico?, cit., 117 ss.; Delvecchio, L’informatizzazione della giustizia penale, cit., 63; Galgani, …Along came il processo penale telematico. Le disposizioni generali sugli atti, in Riforma Cartabia: la nuova giustizia penale, a cura di Castronuovo-Donini-Mancuso-Varraso, Milano, 2023, 397 ss.; Ead., Il processo penale telematico, in Dir. pen. proc., 2023, n. 1, 114 ss.; Ead., Forme e garanzie nel prisma dell’innovazione tecnologica. Alla ricerca di un processo penale “virtuoso”, Milano, 2022, 136 ss.; Lorusso, Processo penale e bit oltre l’emergenza, in Proc. pen. giust., 2020, 1009; Gialuz, L’emergenza nell’emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifesto e “terzo tempo”, in www.sistemapenale.it, 1° maggio 2020; Procaccino, Between a rock and a hard place. La faticosa “digitalizzazione” del processo penale tra fonti tradizionali e soft law, in Cass. pen., fasc. 4, 2021, 1432 ss.; Trabace, Il deposito telematico delle impugnazioni, prima durante e dopo l’emergenza epidemiologica, in Arch. pen., 2023, 12.

Una puntuale ricostruzione delle novelle legislative intervenute durante il periodo pandemico è stata effettuata anche da Corte cost., sent. n. 96 del 14 aprile 2022, in Gazz. Uff., n. 16 del 20 aprile 2022, che, tuttavia, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 153 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost., nella parte in cui non consente alle parti o ai difensori di eseguire le notificazioni al pubblico ministero mediante posta elettronica certificata.

[17] Rilevano gli aspetti problematici di questa prolusione normativa, anche Brunelli, Contributo allo studio della notificazione telematica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 99; Bove, Notifiche telematiche (PPT), in IlProcessoTelematico, 11 luglio 2019, 1; Petrucci, Il processo telematico e la lezione del Gattopardo, in Quest. giust. (web), 23 ottobre 2017, 1; Id., Introduzione alle fonti del Processo Penale Telematico, in La magistratura, 2017, fasc. 1-2, 32.

[18] Siffatti provvedimenti sono stati inquadrati nella categoria del cd. “diritto soffice” da Pagallo, Il diritto nell’età dell’informazione. Il riposizionamento tecnologico degli ordinamenti giuridici tra complessità sociale, lotta per il potere e tutela dei diritti, Torino, 2014, 18 ss. e 93 ss.

Sul tema, si sono soffermati anche R. Bin, Soft law, no law, in Soft law e hard law nelle società postmoderne, a cura di A. Somma, Torino, 2009, 31; Bucalo, Autorità indipendenti e soft-law. Fonti, contenuti, limiti e tutele, Torino, 2018, passim.

[19] Come specificato da Fichera, Gli istituti del processo telematico nella gerarchia delle fonti anche sovranazionali, in Giust. ins. (web), 23 aprile 2021, si tratta di «un regolamento ministeriale ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988, che nella sostanza, sulla scia del precedente costituito dal d.p.r. n. 123 del 2001[15], detta la disciplina concreta del processo telematico, sia civile che penale, attraverso la predisposizione di una serie di norme di dettaglio sulla tenuta dei registri informatici di cancelleria, sui depositi telematici degli atti, nonché sulle comunicazioni e notificazioni, comprese quelle tra avvocati».

[20] Si ricorda che, con tale acronimo, si indica La Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati. Essa rappresenta una delle tre direzioni generali che compongono il Dipartimento per la transizione digitale, l’analisi statistica e le politiche di coesione, istituito con d.p.c.m. 22 aprile 2022, n. 54. Le sue funzioni sono state successivamente disciplinate dal D.m. 13 agosto 2022, fatto salvo quanto disposto dall’art. 3, comma 6, D.p.c.m. 15 giugno 2015, n. 84 e successive modificazioni, come riportato su www.giustizia.it/giustizia/page/it/ddsc_direzione_sistemi_informativi_automatizzati.

[21] Sul tema, per un approfondimento nell’ambito del processo penale, si v. Vergine, La conservazione dell’atto processuale penale, Padova, 2017, passim. Siffatto principio ha trovato accoglimento sia nell’ambito civilistico che in quello amministrativo. Lontano da una pretesa di esaustività, fra i moti, cfr., per il primo, Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 252 e 398; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2012, 211; Costantino, Questioni processuali tra poteri del giudice e facoltà delle parti, in Riv. dir. proc., 2010, 1031; Donzelli, Pregiudizio effettivo e nullità degli atti processuali, Napoli, 2020, 146 ss.; Gradi, Il principio del contraddittorio e la nullità della sentenza della «terza via», in Riv. dir. proc., 2010, 839; Marelli, La conversione degli atti invalidi nel processo civile, Padova, 2000, 97 ss. e 142 ss.; Minoli, L’acquiescenza nel processo civile, Milano, 1942, 261, nt 12; Poli, Invalidità ed equipollenza degli atti processuali, Torino, 2012, 5 ss.; Montesano, Questioni attuali su formalismo, antiformalismo e garantismo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 2; A. Proto-Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 95; Id., Violazione di norme processuali, sanatoria «ex nunc» o «ex tunc» e rimessione in termini, in Foro it., 1992, I, 1719 ss.

Mentre per il secondo, v. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968, 21; Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971, 261 ss.; Grassetti, Conservazione (principio di), in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1961, 176 ss.; Giannini, Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, 853; Immordino, Riesame dell’atto ad esito conservativo e situazioni giuridiche soggettive dei privati interessati, in Giani, Immordino, Manganaro (a cura di), Temi e questioni di diritto amministrativo, Napoli, 2019, 227 ss.; Ramajoli, L’annullamento d’ufficio alla ricerca di un punto d’equilibrio, in Riv. giur. urb., 2016, 122; Sassani, Le azioni, in Il codice del processo amministrativo, in B. Sassani e S.A. Villata (a cura di), Torino, 2012, 351, nt 17; Villata-Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2017, 603-604.

[22] Tale provvedimento è, al momento, consultabile sul sito www.camerapenalemilano.it.

[23] La definizione normativa di questo istituto è stata perfezionata nell’art. 1 comma 1 lett. p e p bis) del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale, in Gazz. Uff. n. 112 del 16-05-2005 – Suppl. Ordinario n. 93, dove si distingue il documento informatico come «la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti», dal documento analogico che si riferisce alla «rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti».

[24] In verità, questa novità era già stata inserita nell’art. 13-bis del D.m. n. 44 del 2011 ad opera del D.m. n. 217 del 2023 che ha introdotto anche l’utilizzo del sistema di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR: Optical Character Recognition), per attestare il deposito, appena effettuata l’analisi algoritmica di coerenza del testo del documento con le informazioni fornite dal difensore all’accesso al portale, impegnando gli uffici giudiziari, soltanto in caso di anomalie che impediscono l’inserimento dell’atto nell’opportuno fascicolo.

A riguardo, cfr. Bove-Pascot, Processo Penale Telematico: dalla fase emergenziale alla digital transformation della giustizia penale, cit., 17, Cananzi, Dall’emergenza alla legge delega del Governo: verso un processo penale veramente telematico?, in Sist. pen., 2022, 143; Galgani, Forme e garanzie, cit., 379; Ead., …Along came il processo penale telematico, cit., 419; Patscot-Bisogni, Intelligenza artificiale e dati giudiziari: verso una “iurisfera” digitale del procedimento penale (telematico), in ilProcessoTelematico, 17.3.2022; oltre a Tavassi, Formalismi giurisprudenziali e forme tecnologiche nel giusto processo digitale, cit., 20-21.

[25] Evidenzia questi aspetti anche Borgna, Ieri, oggi e domani: una conclusione, in Negri-Zilletti (a cura di), Nei limiti della costituzione. Il codice repubblicano e il processo penale contemporaneo, Milano, 2019, 314.

[26] Infatti, come affermato da Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, vol. II, Atti del processo, Padova, 1938, 216, «quanto alla carta, l’uso ne è così costante, da potersi escludere che, in pratica, il problema relativo a una scrittura processuale su materia diversa si possa presentare».

[27] Come indicato nella Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., 185.

[28] La modifica è stata introdotta dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modifiche in L. n. 199/2022, in Gazz. Uff., Serie generale n. 304 del 30 dicembre 2022, recante «misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti di detenuti o internati che con collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazioni anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni e illegali» per colmare quel vuoto normativo in cui si sarebbero ritrovati gli atti non depositabili sul portale, come quelli di impugnazione, per i quali era stata abrogata la possibilità di deposito fuori sede e a mezzo posta ordinaria prevista dagli artt. 582 comma 2 e 583 c.p.p. Infatti, sono stati espressamente riprodotti i contenuti dell’art. 24 commi 1-3 del d.l. n. 137/2020 relativi al deposito degli atti nel portale dei servizi telematici per protrarne la vigenza fino all’adozione dei regolamenti ministeriali.

[29] Supra nota 9.

[30] Fra gli altri, Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sist. pen., 15 ottobre 2021, 6, aveva posto in evidenza come «una delle cause della lentezza del processo penale va[da] individuata nello scarso livello di digitalizzazione degli atti e di informatizzazione delle procedure. I procedimenti penali prendono corpo ancora oggi in fascicoli cartacei, che devono fisicamente transitare da un ufficio all’altro, durante l’iter processuale. Emblematica la foto di un motoscafo carico di fascicoli, consegnata alla Ministra Cartabia dai vertici degli uffici giudiziari durante una recente visita a Venezia».

[31] A riguardo, Amodio, La cultura della speditezza processuale nella riforma Cartabia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, 1, p. 9, ritiene che si tratti della «prima volta che il nostro Paese legifera in base ad un trattato internazionale che impone riforme del sistema di giustizia a fronte di finanziamenti da istituzioni straniere», dunque, sarebbe stato «lo spirito europeo ad attivare la penna del legislatore italiano imponendogli i traguardi dell’efficienza e della speditezza dei congegni processuali».

Tuttavia, Mazza, Il processo che verrà: dal garantismo cognitivo al decisionismo efficientista, in Arch. pen., 2022, 2, 5, nota 12, invece, fa notare come si tratti di un “vulgato lectio” dal momento che «il Governo italiano, con scelta del tutto autonoma, ha deciso di impegnarsi su questo fronte, senza che nel piano europeo fosse richiesto tale sforzo».

[32] Come ritenuto da Galgani, Forme e tecnologie, cit., 328, la quale osserva che «sarebbe sciocco e controproducente rinunciare alla fisiologica ‘flessibilità’ della normativa di rango subordinato in quanto di per sé particolarmente fitting all’adeguamento rapido agli standard tecnologici via via fissati a livello sovranazionale».

[33] In generale, cfr. Cesari, L’atto processuale penale, in Camon-Cesari-Daniele-Di Bitonto-Negri-Paulesu (a cura di), Fondamenti di procedura penale, IV, Padova, 2023, 225 ss.; Conso, voce Atti processuali (dir. proc. pen.), in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 145 ss.; Galati, Atti processuali penali, in Dig. disc. pen., I, Torino, 1987, 359; Lorusso, voce Atti e provvedimenti penali, in Dig. disc. pen., Agg., III, Tomo I, Torino, 2005, 87 ss.; Lozzi, Atti processuali (dir. proc. pen.), in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988, 2 ss.; Mazza, La norma processuale nel tempo, in Trattato di procedura penale, diretto da Ubertis e Voena, Milano, 1999, 10 ss.; Nappi, voce Documentazione degli atti processuali, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 163; Rivello, La struttura, la documentazione e la traduzione degli atti, Milano 1999, passim; Gius. Sabatini, Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, Torino, 1953, 627; Voena, Atti, in Conso-Grevi-Bargis (a cura di), Profili del nuovo codice di procedura penale, IV, Padova, 1996, 145.

[34] Supra nota 19.

[35] A riguardo, sia consentito ancora rinviare alle riflessioni già svolte in Tavassi, Formalismi giurisprudenziali e forme tecnologiche nel giusto processo digitale, cit., 23.

[36] L. Ferrarella, Processo penale telematico. L’app ministeriale fallisce ancora, sul Corriere della sera del 13 novembre 2024, p. 21, denuncia che, anche sul versante dell’accusa, si riscontrano gravi malfunzionamenti: «sulla piattaforma, mancano convalide di arresti, decreti penali, patteggiamenti; il pm scrive un atto ma l’”esistenza” è subordinata alla validazione dell’utente “segreteria”».

[37] Si ricorda la distinzione operata già da Chiovenda, Le forme nella difesa giudiziale del diritto (1901), in Saggi di diritto processuale civile, I, rist., Milano, 1993, 354, che aderendo a Jhering, Geist des romischen Rechts, Leipzig, 1888, sostenne nella prolusione del 1901 presso l’Università di Parma che «le forme sole rendono possibile la precisa determinazione dell’oggetto delle contestazioni; tracciando la via che le parti debbono seguire, sostituiscono l’ordine al disordine, e se ciò porta ritardi evita ritardi maggiori; escludono la licenza dei litiganti e l’arbitrio del giudice, garantendo il libero esercizio della difesa giudiziale, onde Jhering ebbe ad osservare che i popoli che professano il vero culto della libertà sentono istintivamente il valore delle forme come palladio di questa».

[38] Sull’istituto dell’inammissibilità, v. Aa. Vv., Inammissibilità: sanzione o deflazione? Atti del convegno di Roma 19-20 maggio 2017, a cura dell’Osservatorio Cassazione U.C.P.I., Milano, 2018, passim; Aa. Vv., La corte assediata. Per una ragionevole deflazione dei giudizi penali di legittimità, Milano, 2014, 9 ss.; Caprioli, I nuovi presupposti di ammissibilità dei ricorsi per cassazione, in www.lalegislazionepenale.it; Dell’anno, Il ridimensionato accesso dell’imputato al ricorso per cassazione, in www.dirittifondamentali.it; Dinacci, L’essere ed il dover essere dell’inammissibilità delle impugnazioni tra dato positivo, costituzione ed azione giurisprudenziale, in Arch. pen., 2020, 1 ss.; Fonti, L’inammissibilità degli atti processuali penali, Padova, 2008, 121 ss.; Gerardi, L’inammissibilità delle impugnazioni. Evoluzione o involuzioni?, in Arch. , 2019, 1, 1 ss.; La Rocca, Inammissibilità cedevole e favor impugnationis offuscato, ivi, 2018, 3, 1 ss.; Maggio, Nuove ipotesi d’inammissibilità dell’impugnazione, in Proc. pen. giust., 2022, 153 ss.; Marafioti, Selezione dei ricorsi penali e verifica d’inammissibilità, cit., 150 ss.; Mazza, La nuova cultura dell’inammissibilità fra paradossi e finzioni legislative, cit., 3472 ss.; Morselli, Inammissibilità: la Cassazione muta natura, ora Corte autoregolatrice che dissimula la denegata giustizia “purgando” i ricorsi, in Arch. pen., 2021, 2, 1 ss.; Scella, Il vaglio d’inammissibilità dei ricorsi per cassazione, Torino, 2006, 45 ss.; Spangher, Inammissibilità: l’inarrestabile erosione dei diritti delle parti, in Dir. pen. proc., 2022, 5-6.

[39] Per un approfondimento critico della tematica, si rinvia a Marafioti, Selezione dei ricorsi penali e verifica d’inammissibilità, Torino, 2004, 159 ss.

[40] Su tale fenomeno, fra gli altri, si è soffermato Mazza, La nuova cultura dell’inammissibilità fra paradossi e finzioni legislative, in Cass. pen., 2010, n. 10, 3472, denunciando che si tratti di «una forma di autodifesa della Corte assediata dal sovraccarico di lavoro che grava sui suoi magistrati sproporzionata rispetto alla reale consistenza della minaccia».

In precedenza, la situazione di crisi dei carichi di lavoro della Corte di cassazione era stata oggetto di studi anche dall’Associazione fra gli studiosi del processo penale che ha dedicato al tema più convegni: il Convegno di Napoli del 18 maggio 2012; il Convegno di Roma del 27-29 settembre 2012. Gli atti sono consultabili in La Corte assediata. Per una ragionevole deflazione dei giudizi penali di legittimità, Milano, 2014, passim.

[41] Per i riferimenti e l’analisi delle pronunce che rientrano in siffatta casistica, si rinvia a Galgani, Forme e garanzie nel prisma dell’innovazione tecnologica, cit., p. 181, nota 184; Giordano, La giurisprudenza e la digital transformation del processo penale, in Sist. pen., 8 gennaio 2024; Porcu, Il portale del processo penale telematico, cit., p. 1414; Trabace, Il deposito telematico delle impugnazioni, prima, durante e dopo l’emergenza epidemiologica, cit., p. 19; Turtur-Salemme, Epopea dell’impiego della posta elettronica certificate nel procedimento penale, in ilPenalista, 20 dicembre 2020. Per un punto di vista diverso, cfr. Giordano, Sulla sottoscrizione digitale degli allegati all’impugnazione trasmessa a mezzo PEC, in www.ilpenalista.it, 30 giugno 2022.

[42] Cass., sez. I, sent. n. 32566 del 3 novembre 2020, in Sist. pen., 2 dicembre 2020, annotata criticamente da Agostino, Art. 24 del decreto “ristori”: l’interpretazione restrittiva della cassazione in tema di deposito telematico degli atti durante il periodo emergenziale; Cass., sez. II, sent. n. 3436 del 1° dicembre 2020, in ilProcessotelematico, 17 marzo 2021, con nota di Giordano, Dalla Corte di Cassazione ancora parole chiare sull’uso della Pec nel processo penale.

[43] Come accaduto in Cass., sez. III, sent. n. 26782 del 2 febbraio 2023, Benini Galeffi, inedita. Si sono pronunciate nello stesso modo, anche Cass., sez. I, sent. n. 51157, del 21 dicembre 2023, inedita; Id., sez. III, sent. n. 15246, del 2 marzo 2023, inedita.

[44] Si ricorda che il tassativo catalogo dei casi di inammissibilità previsto dall’art. 591 c.p.p. è stato ampliato dall’art. 87-bis comma 7 d.lgs. n. 150 del 2022 e prevedeva le ipotesi in cui: a) l’atto non è sottoscritto digitalmente dal difensore;  b) l’atto è inoltrato da un indirizzo PEC che non è presente nel menzionato Reginde;  c) l’atto è trasmesso a un indirizzo PEC non riferibile all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro provvedimenti resi in materia di misure cautelari, personali o reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile all’ufficio competente a decidere il riesame o l’appello.

Manca, pertanto fra questi, il caso in cui manca l’attestazione di ricezione da parte della cancelleria ed è stato eliminato quello in cui a mancare è la sottoscrizione digitale delle copie informatiche allegate all’atto di impugnazione principale precedentemente previsto dall’art. 24 comma 6-sexies del D.l. n. 137 del 2020.

[45] Così secondo anche Cass., sez. III, sent. n. 15246 del 2 marzo 2023, cit., dove, riguardo all’art. 24 commi 4 e 5 d.l. 137 del 2020, si afferma che «si tratta, invero, di una previsione che, con riguardo al processo penale, tiene conto dello stato del relativo statuto telematico all’epoca delle comunicazioni in questione, invero estraneo a forme di immediata e presunta conoscenza, in capo alla persona fisica del giudice (in composizione monocratica o collegiale) – in qualità di destinatario di un indirizzo di posta elettronica personale espressamente disciplinato quale possibile fonte di cognizione di quanto inviatogli -, degli atti inviati per via telematica in relazione ai processi affidatigli».

[46] Cass., sez. I, sent. n. 51157, del 21 dicembre 2023, cit., 2-3, in cui si afferma che «la parte che intende dimostrare di aver inviato all’autorità giudiziaria un atto in formato digitale a mezzo p.e.c. che non risulti inserito nel fascicolo processuale ha l’onere di produrre in giudizio l’originale informatico del messaggio sottoscritto digitalmente dal gestore del sistema, attestante l’avvenuto recapito nella casella del destinatario; il deposito della copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna non costituisce prova idonea a dimostrare l’effettiva ricezione del messaggio di posta elettronica quando esso non risulti annotato e allegato al fascicolo processuale».

[47] Cass., sez. III, sent. n. 26782, del 2 febbraio 2023, cit., 7.

[48] Per tutti, Mazza, Ideologie della riforma Cartabia: la Procedura penale del nemico, in Dir. pen. proc., 2023, fasc. 4, 481, evidenzia come in una distopica visione di efficienza processuale, «il processo più breve è quello che non si celebra, […] la difesa e il difensore che ambiscano ad esercitare le loro prerogative costituzionali sono intesi quali nemici dell’efficienza e vanno, di conseguenza, limitati, facendo ricorso allo strumentario da tempo sperimentato in giurisprudenza, composto da vuoti e rigorosi formalismi, oneri del tutto ingiustificati, termini giugulatori, decadenze, inammissibilità».

Della stessa opinione è anche Pulvirenti, Dalla “Riforma Cartabia” una spinta verso l’efficienza anticognitiva, in Proc. pen. giust., 2022, 639.

[49] L’imposizione di incombenze sproporzionate a carico della difesa è stata censurata anche da Corte e.d.u. 9.6.2022, Xavier c. Francia, §§ 58-59. In dottrina, fra gli altri, sul tema si è soffermata anche Parlato, Disparità telematica e normativa pandemica: tra irragionevolezza e «ironia della sorte», in Giur. cost., 2022, n. 2, 1016 ss.

[50] In questo senso, si orienta anche Corte Edu, Sez. III, 19 maggio 2005, Kaufmann c. Italia, § 31, affermando che «il ressort de la jurisprudence de la Cour que ce droit n’est pas absolu et se prête à des limitations implicitement admises, notamment quant aux conditions de recevabilité d’un recours, car il appelle de par sa nature même une réglementation par l’Etat, lequel jouit à cet égard d’une certaine marge d’appréciation (voir, parmi d’autres, Levages Prestations Services c. France, arrêt du 23 octobre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-V, p. 1543, § 40). Toutefois, ces limitations ne sauraient restreindre l’accès ouvert à un justiciable de manière ou à un point tels que son droit à un tribunal s’en trouve atteint dans sa substance même. En outre, les limitations appliquées ne se concilient avec l’article 6 § 1 que si elles poursuivent un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (Cordova c. Italie (no 1), no 40877/98, § 54, CEDH 2003-I ; voir également le rappel des principes pertinents dans Fayed c. Royaume-Uni, arrêt du 21 septembre 1994, série A no 294-B, pp. 49-50, § 65)».

[51] Per tutti, Chiovenda, Le forme nella difesa giudiziale del diritto (1901), in Saggi di diritto processuale civile, I, rist., Milano, 1993, 354, aderendo a Jhering, Geist des romischen Rechts, Leipzig, 1888, sostenne nella prolusione del 1901 presso l’Università di Parma, la necessarietà delle forme, affermando che «le forme sole rendono possibile la precisa determinazione dell’oggetto delle contestazioni; tracciando la via che le parti debbono seguire, sostituiscono l’ordine al disordine, e se ciò porta ritardi evita ritardi maggiori; escludono la licenza dei litiganti e l’arbitrio del giudice, garantendo il libero esercizio della difesa giudiziale, onde Jhering ebbe ad osservare che i popoli che professano il vero culto della libertà sentono istintivamente il valore delle forme come palladio di questa».

[52] Non mancano pronunce in cui la Cassazione adotta anche questo approccio: Cass., sez. III, 10.2.2023, n. 5744, in Giur. pen., 15.2.2023, (presto però contraddetta da Cass., sez. IV, 15.7.2022, in Arch. pen., 2023, n. 1, p. 1 ss., annotata da Gerardi, Nuove regole e nuovi problemi ma ‘inammissibilità, come sempre, la soluzione, e Cass., sez. III, 7.9.2022, n. 3297, in Giur. pen., 8 settembre 2022.

[53] Per un’analisi dei casi in cui le forme tradiscono i principi, si v. Nobili, Forme e valori duecento anni dopo, cit., 1-9.

[54] Infatti, anche ad avviso di Siragusa, L’appello penale pandemico dopo la legge di conversione: continua la deroga al codice di procedura penale, in www.ilpenalista.it, 4 gennaio 2021, in riferimento alla L. n. 176 del 2020, «[i]l principio del favor impugnationis è stato sacrificato sull’altare di un burocratico sistema delle impugnazioni a mezzo pec» e «il sistema delle impugnazioni […] “appesantito” da un sistema sanzionatorio processuale, quello delle nuove inammissibilità, di chiaro stampo autoritario».

[55] Come riconosciuto anche in C.edu, sez. I, 13 gennaio 2011, Evaggelou c. Grecia; C.edu, sez. III, 26 luglio 2007, Walchli c. Francia, § 29, dove è stato affermato che «subordinare l’ammissibilità degli atti di impugnazione a un formalismo eccessivo, può andare a ledere la stessa essenza del right to a court, costituendo dunque una violazione dell’art. 6 § 1 CEDU».

[56] Supra nota 21.

[57] Per un primo commento, v. Sola, Sub art. 110 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda-Spangher, I, 2023, 1483 ss.

[58] Lupo, Sub art. 110 c.p.p., in Commento al nuovo codice di Procedura penale, coordinato da Chiavario, II, Torino, 1990, 33, riteneva che la scelta del legislatore delegato del 1988 di non menzionare accanto alla sottoscrizione dell’atto, quella del documento (come si legge[va] nell’art. 139 comma 1 c.p.p. abr.) fosse conseguente al fatto che nel Codice cd. Vassalli fossero stati nettamente distinti «gli atti del procedimento dai documenti (formati fuori del processo), i quali sono stati disciplinati come mezzi di prova (art. 234 ss.)».

Di opinione diversa, Ubertis, Sub art. 110 c.p.p., in Commentario del nuovo codice di Procedura penale, diretto da Amodio-Dominioni, vol. II, Milano, 1989, 3, a cui si rimanda per la lettura delle sue puntualizzazioni in merito all’idea che non fosse stata ancora sciolta l’equivocità del termine “atto”.

[59] Si sofferma sull’argomento, per tutti, P. Tonini, Processo penale telematico e prova informatica. Le nuove tecnologie e la riforma Cartabia, in Dir. pen. proc., 2022, 295, il quale ravvisa «nell’informatica non una forma di rappresentazione di un fatto, bensì un metodo di incorporamento della rappresentazione». L’Autore aveva condotto precedenti analisi del tema già in Id., Documento informatico e giusto processo, in Dir. pen. proc., 2009, 401 ss. Inoltre, alla tematica è stata anche dedicata un’opera collettanea, quale L’evoluzione delle categorie tradizionali: il documento informatico, in Cybercrime, a cura di Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, Milano, 2019, 1308.

[60] Oltre a Trapella, La rivoluzione digitale alla prova della riforma, cit., 11-12; mostrano analoghe perplessità anche Lonati-Melzi D’eril, Svolta on-line. Atti del processo da conservare come documento informatico, in I focus del Sole 24-Ore, 12.10.2022, n. 25, 14.

[61] Il provvedimento menzionato può essere consultato sul Portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia all’indirizzo https://pst.giustizia.it/PST/it.

[62] Sul quale, sia consentito ancora rinviare all’analisi già proposta in Tavassi, Formalismi giurisprudenziali e forme tecnologiche nel giusto processo digitale, cit., 18 ss.

[63] Così in Il prezzo giusto del giusto processo, su camerepenali.it, 24 ottobre 2024.

[64] Supra nota 7.

[65] Ci si riferisce, in particolare, al provvedimento del DGSIA del 24 febbraio 2021, a seguito del quale, in un comunicato dell’Osservatorio informatizzazione processo penale del UCPI del 1 marzo 2021, intitolato “Il portale dell’infermo”, in www.camerepenali.it, l’atto abilitante era stato etichettato come «un’anomalia processuale palesemente ed esclusivamente funzionale alla strutturazione del sistema, che di fatto impedisce il deposito e quindi anche il corretto ed immediato esercizio del diritto di difesa, della nomina, in tutti quei casi in cui l’indagato sia a conoscenza del pro-cedimento ma non anche del numero di iscrizione».

[66] Alcune osservazioni a riguardo sono state formulate da Galgani, Forme e garanzie nel prisma dell’innovazione tecnologica, cit., 178; Giordano, La giurisprudenza e la digital trasformation del processo penale, cit., 6; Tondi, Le disposizioni del d.l. 1° aprile 2021, n. 44 in materia di procedimento penale nell’emergenza COVID-19: osservazioni a prima lettura, in www.sistemapenale.it; Trapella, La rivoluzione digitale alla prova della riforma, cit., 14.

[67] Come espresso nel commento dell’UCPI del Provvedimento DGSIA del 7 agosto 2024, intitolato “Brevi considerazioni sulle specifiche tecniche per i depositi degli atti”, consultabile sul sito: www.camerepenali.it.