Enter your keyword

IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO DEL FAVOREGGIAMENTO DELLA PROSTITUZIONE ALTRUI: TRA PROPORZIONALITÀ DELLA PENA E INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA – DI MARGHERITA PIZZOFERRATO

IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO DEL FAVOREGGIAMENTO DELLA PROSTITUZIONE ALTRUI: TRA PROPORZIONALITÀ DELLA PENA E INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA – DI MARGHERITA PIZZOFERRATO

PIZZOFERRATO – IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO DEL FAVOREGGIAMENTO DELLA PROSTITUZIONE ALTRUI.PDF

IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO DEL FAVOREGGIAMENTO DELLA PROSTITUZIONE ALTRUI: TRA PROPORZIONALITÀ DELLA PENA E INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA.

THE PENAL TREATMENT OF AIDING AND ABETTING PROSTITUTION: BETWEEN PROPORTIONALITY OF SENTENCING AND CONSTITUTIONALLY ORIENTED INTERPRETATION.

di Margherita Pizzoferrato*

______________

Tribunale di Bologna, Dott. Massimiliano Cenni, Dott.ssa Claudia Gualtieri, Dott.ssa Ines Rigoli, Ordinanza del 17 dicembre 2024, pubblicata nella GU n. 5 del 29 gennaio 2025

Reati e pene – Favoreggiamento della prostituzione – Trattamento sanzionatorio – Previsione della reclusione da due a sei anni anziché fino a sei anni – In subordine: mancata previsione della possibilità di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di lieve entità.

(Art. 3, comma 1, n. 8), l. n. 75/1958)

Visto l’art. 23 della legge n. 53 del 1987, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio1958, n. 75, relativamente alla condotta di favoreggiamento della prostituzione, nella parte in cui commina la pena della reclusione «da due a sei anni» anziché «fino a sei anni» o, in subordine, nella parte in cui non prevede la possibilità di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di lieve entità, per contrasto con principi di uguaglianza-ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di proporzionalità della sanzione penale (articoli 3, 27, comma 3della Costituzione).

______________

Con l’ordinanza del 17 dicembre 2024, il Tribunale di Bologna solleva questione di legittimità costituzionale in relazione al trattamento sanzionatorio previsto per il delitto di favoreggiamento della prostituzione altrui. Il giudice a quo, infatti, dubita della proporzionalità della pena della reclusione “da due a sei anni” e chiede che la Corte costituzionale corregga la sproporzione o elidendo il minimo edittale o introducendo un’attenuante per i casi di lieve entità. La riflessione dei giudici rimettenti è convincente, per quanto rimanga auspicabile una interpretazione della fattispecie più aderente al principio di offensività.

With the ordinance of December 17th, 2024, the Court of Bologna raised a constitutional legitimacy question regarding the punishment provided for the offense of aiding and abetting prostitution. Specifically, the referring judge expressed doubt concerning the proportionality of the penalty (imprisonment “from two to six years”), requesting that the Constitutional Court rectify this disproportionality by eliminating the statutory minimum sentence or by introducing a mitigating circumstance for cases of minor gravity. The considerations presented by the referring judges are persuasive, although an interpretation of the offence more consistent with the principle of harm remains desirable.

Sommario: 1. La questione. – 2. Fatto e rilevanza. – 3. Il difetto di proporzionalità e le soluzioni prospettate. – 4. Alcune riflessioni sulle proposte del Tribunale di Bologna.

1. La questione – Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Bologna solleva questione di legittimità costituzionale in riferimento al reato di favoreggiamento della prostituzione, previsto all’art. 3, comma 1, n. 8), l. n. 75 del 1958. In particolare, il giudice a quo dubita della legittimità del trattamento sanzionatorio previsto per tale fattispecie (da 2 a 6 anni di reclusione, oltre alla multa[1]) che risulterebbe sproporzionata e dunque incapace di garantire i principi di personalità della responsabilità penale, perché la pena non potrebbe essere commisurata alla colpevolezza del reo, e della finalità rieducativa della pena, previsti dall’art. 27, commi 1 e 3, Cost.

Per rimediare al rilevato vulnus di costituzionalità, i giudici rimettenti chiedono di dichiarare l’illegittimità della fattispecie nella parte in cui prevede la sanzione della reclusione “da due a sei anni” anziché “fino a sei anni”, oppure, in subordine, nella parte in cui non contempla una attenuante che consenta la mitigazione della pena per i casi di lieve entità.

2. Fatto e rilevanza – Il fatto da cui trae origine l’ordinanza in esame riguarda le condotte di tre imputati a cui è contestato il reato di favoreggiamento per avere, tra l’altro[2], accompagnato più volte le prostitute sui luoghi di meretricio e averle poi riportate presso la loro abitazione.

In relazione a tutti e tre gli imputati è provato che gli accompagnamenti avvenissero senza ricezione di un compenso, su richiesta esplicita delle meretrici (per evitare di prendere i mezzi pubblici a tarda notte) e che fossero motivati da «intento solidaristico»[3], volto anche a tutelare la loro sicurezza personale. Per questo motivo, come si vedrà meglio in seguito, i giudici ritengono che i fatti possano essere considerati di minore gravità[4].

Inoltre, dal momento che le condotte riportate erano rivolte, per due imputati, nei confronti di più ragazze, viene loro contestata anche l’aggravante prevista all’art. 4, comma 1, n. 7), l. n. 75/1958, in base alla quale la pena deve essere raddoppiata quando i fatti previsti all’art. 3 della medesima legge siano commessi ai danni di più persone.

Per quel che riguarda la rilevanza della questione sollevata rispetto al caso concreto, i giudici compiono un dettagliato lavoro di ricostruzione del quadro normativo in materia nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità.

In particolare, il Tribunale ritiene che la questione sia rilevante perché, nonostante le condotte siano caratterizzate da “minore gravità”, nondimeno rientrano nella tipicità del delitto di favoreggiamento. Infatti, per giurisprudenza consolidata, il reato si perfeziona «con ogni forma di interposizione agevolativa e con qualunque attività che sia idonea a procurare più facili condizioni per l’esercizio del meretricio e venga posta in essere dall’agente con la consapevolezza di facilitare l’altrui attività di prostituzione, senza che abbia rilevanza il movente od il fine di tale condotta»[5].

Inoltre, lo specifico atto di accompagnare la prostituta sul luogo di meretricio, o recuperarla per riportala a casa, è stato costantemente[6] riconosciuto come integrante il delitto in esame[7].

Per questi motivi, i giudici sostengono che «[l]’ampiezza della littera legis e la stabilità del diritto vivente non consent[a]no, dunque, di operare una diversa interpretazione, anche in ragione dei principi ermeneutici sviluppati dalle sentenze n. 141 e 278 del 2019 della Corte costituzionale».

Il Tribunale rileva, tuttavia, che il trattamento sanzionatorio previsto per casi come quello in esame appare sproporzionato e irragionevole, sia perché equiparato sul piano della pena al ben più grave delitto di sfruttamento della prostituzione, sia perché non consente di modulare la risposta punitiva rispetto a condotte aventi finalità altruistiche, poste in essere a vantaggio di soggetti che esercitano la prostituzione in modo libero e volontario.

Questa irragionevolezza della pena non è, sottolinea il Tribunale, arginabile tramite il ricorso ad altri strumenti di diritto penale.

Al fine di attenuare la risposta sanzionatoria riportandola a proporzionalità, non sarebbe possibile, infatti, per i giudici di merito, avvalersi dell’attenuante del concorso doloso della persona offesa, in quanto l’individuazione del bene giuridico nella tutela della dignità personale[8] escluderebbe la rilevanza della volontà della prostituta[9]; né possono soccorrere in questo caso le attenuanti generiche dal momento che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, queste non hanno la funzione di sanare un difetto di proporzionalità[10]; allo stesso modo non può essere impiegata la non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., sia perché anch’essa non ha la funzione di riequilibrare una pena sproporzionata, sia perché il favoreggiamento è riconosciuto dalla giurisprudenza come eventualmente abituale e pertanto il suo utilizzo è fortemente limitato e impossibile nel giudizio pendente davanti al Tribunale di Bologna[11]; infine, non si potrebbe neppure ricorrere alla sospensione del procedimento con messa alla prova poiché la cornice edittale prevista travalica i limiti sanciti dall’art. 168-bis c.p.[12].

In aggiunta, come sopra accennato, ad alcuni degli imputati viene contestata anche l’aggravante di aver agito ai “danni” di più persone, ex art. 4, co. 1, n. 7), l. n. 75/1958, che prevede il raddoppio secco di pena, indipendentemente dal numero di “vittime”, tale da determinare una “nuova” cornice edittale che va dai 4 ai 12 anni di reclusione[13].

La severità del trattamento sanzionatorio – definito dai giudici rimettenti «incompatibile con i principi costituzionali che informano l’illecito penale»[14] –, risulterebbe, tra l’altro, accentuato dall’interpretazione fornita dai giudici di legittimità[15] secondo cui l’aggravante costituirebbe un’eccezione ai meccanismi previsti dall’art. 81 c.p. in tema di continuazione e concorso formale di reati, impedendo così al giudice di graduare l’aumento di pena (“sino al triplo”) anziché vedersi costretto a raddoppiarla[16], così producendo un effetto «inesorabilmente e ingiustificatamente severo nel caso in cui la condotta commessa “ai danni di più persone” ne coinvolga solo due»[17].

3. Il difetto di proporzionalità e le soluzioni prospettate – In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale richiama prima le sentenze della Corte costituzionale, numeri 141 e 278 del 2019[18], intervenute sul reato di favoreggiamento[19], ed evidenzia come, a seguito della dichiarazione di legittimità della norma sul piano dell’offensività in astratto[20], la scelta che rimane in capo al giudice di merito tra offensività ed inoffensività della condotta non sia in realtà sufficiente ad assicurare una risposta sanzionatoria adeguata.

Questo è dovuto al fatto che la disposizione è molto ampia, comprendendo in sé fenomeni dal disvalore differente. A fronte di questa latitudine di significato, tuttavia, non corrispondono degli strumenti capaci di consentire un reale adeguamento della pena al caso concreto, con violazione degli articoli 3, 13, 27 Cost. sotto il profilo della proporzionalità del trattamento sanzionatorio.

Inoltre, risulterebbe irragionevole la parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, di tali condotte a quelle di sfruttamento[21], disciplinate dallo stesso art. 3, co. 1, n. 8), e consistenti nella «consapevole partecipazione, anche occasionale, ai proventi dell’attività di prostituzione ovvero nel trarre una qualche utilità, anche di natura non economica, dall’attività sessuale della prostituta»[22].

Sul punto, i giudici a quo sottolineano come nel caso di sfruttamento si verifichi un «duplice mercimonio del corpo» (prima nei confronti del cliente, poi nei confronti di chi percepisca il denaro o altra utilità) in grado di determinare un danno molto maggiore alla dignità di chi si prostituisce, così violando il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., con conseguente detrimento anche della funzione rieducativa della pena[23].

A sostegno dell’incostituzionalità, vengono poi richiamate, pur senza giungere all’individuazione di un vero e proprio tertium[24], diverse fattispecie che evidenziano una sproporzione non solo interna, ma anche esterna[25].

«Per tuti questi motivi», conclude il Tribunale, «si ritiene che la disposizione in esame violi i principi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della pena, sanciti rispettivamente dai commi primo e terzo dell’art. 27 della Costituzione: la sproporzione derivante dalla costruzione di siffatta cornice edittale pregiudica la possibilità di operare una concreta e individualizzata modulazione della pena e, perciò, squalifica la funzione rieducativa, posto che una pena sproporzionata verrebbe percepita dal condannato come ingiusta»[26].

Al fine di porre rimedio al segnalato vulnus, viene richiesta alternativamente l’elisione del minimo edittale, configurandosi così una pena “fino a sei anni” (come è stato fatto, per esempio, nella sentenza Corte costituzionale, n. 46 del 22 marzo 2024 in relazione al reato di appropriazione indebita[27]), oppure il riconoscimento di una attenuante per i casi di lievi entità (inserendosi così in quel “filone” di decisioni della Corte costituzionale, inaugurato con la celebre sentenza n. 68 del 19 marzo 2012 sul delitto di sequestro di persona[28] e di recente sviluppatosi con le sentenze n. 120 del 24 marzo 2023[29], n. 86 del 16 aprile 2024[30] e n. 91 del 16 aprile 2024[31]).

In questo modo, anche le censure in merito all’aggravante secca del raddoppio andrebbero assorbite, in un caso perché il raddoppio ne risulterebbe «proporzionalmente mitigato», e nell’altro perché sarebbe possibile al giudice bilanciare tale aggravante con l’attenuante della lieve entità.

4. Alcune riflessioni sulle proposte del Tribunale di Bologna – L’ordinanza in commento è sicuramente condivisibile e il ragionamento dei giudici rimettenti convincente. Il Tribunale di Bologna, infatti, ha ben evidenziato la sproporzione della pena prevista per il delitto di favoreggiamento in ragione della latitudine applicativa della disposizione, tale da rendere impossibile la comminazione di una pena proporzionata quando le condotte, come nei casi in esame, siano non solo bagatellari, ma anche sostenute da un «intento solidaristico»[32].

In effetti, negli anni il delitto di favoreggiamento è stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza, anche di legittimità, in maniera piuttosto ampia[33], includendo finanche condotte come l’accompagnamento sui luoghi di meretricio, così determinando i giudici a quo a ritenere di non poter fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma.

Tuttavia, viene da chiedersi se non sia effettivamente possibile un’interpretazione più restrittiva, (possibilmente ad opera della Corte di cassazione). Se le norme che incriminano le “condotte parallele” alla prostituzione, infatti, come affermato dalla sentenza n. 141/2019 della Corte costituzionale, mirano a tutelare la dignità di chi si prostituisce[34] – intesa come dignità in ambito lavorativo e non come autodeterminazione sessuale[35] – appare davvero complesso giustificare l’incriminazione di condotte volte a tutelare in primis le prostitute, con un effetto solo secondario sulla loro attività “professionale”[36]. Nei casi di specie, infatti, risulta evidente come spesso i comportamenti ritenuti capaci di “favorire” l’attività prostitutiva, non siano altro che l’espressione di gesti altruistici nei confronti delle persone che si prostituiscono con un incremento della tutela della dignità personale, anziché un suo svilimento, come è stato sostenuto in passato[37]. Se dunque si vuole considerare costituzionalmente legittima la scelta incriminatrice, sembra necessario rimodulare l’interpretazione della fattispecie in senso limitativo, in modo che siano ricomprese solo condotte effettivamente di sostegno alla prostituzione, come potrebbero essere per esempio attività di segreteria (e.g. organizzazione dell’agenda della prostituta o rispondere al telefono per lei) o di gestione monetaria (come aiutare a mantenere dei registri di entrate/uscite), o comunque condotte in qualche modo attinenti ad una realtà “lavorativa” e non inerenti ai rapporti interpersonali con chi si prostituisce.

È lecito chiedersi, dunque, se non ci si trovi, a monte, davanti ad un problema di tipicità prima ancora che di proporzionalità della pena e appare auspicabile che, indipendentemente da quello che sarà l’esito del giudizio davanti alla Corte costituzionale, si possa arrivare ad una interpretazione della fattispecie che sia più restrittiva ed attinente alla ratio dell’incriminazione[38].

Intanto, i giudici di merito sollevano la questione per riuscire a graduare la risposta sanzionatoria. A tal fine, propongono di elidere il minimo edittale previsto, oppure alternativamente di introdurre un’attenuante per i casi meno gravi. Per nessuna delle due ipotesi individuano un tertium specifico, tuttavia evidenziano l’incongruenza della sanzione in relazione a diverse altre fattispecie dell’ordinamento[39].

La proposta di modifica della pena edittale nella reclusione “fino a sei anni”, con conseguente applicazione del limite minimo previsto dall’art. 23 c.p., appare essere la più convincente. Innanzitutto perché si tratta di una delle soluzioni più “tradizionali” di correzione della sproporzione sanzionatoria e che meno si espone alle critiche relative alla supposta lesione del principio di legalità a seguito di sentenza manipolativa della Corte[40].

In secondo luogo, perché, pur non essendo più necessario individuare un preciso tertium comparationis[41], appare nondimeno di più facile individuazione rispetto all’opzione di utilizzare una circostanza attenuante. Come indicato nell’ordinanza[42], infatti, il terzo elemento di comparazione potrebbe essere proprio la fattispecie “generale” di favoreggiamento, prevista dall’art. 378 c.p., che prevede la reclusione “fino a quattro anni”.

In effetti, utilizzando questa norma per la comparazione, appare piuttosto evidente la sproporzione: trattasi infatti di una fattispecie che punisce la condotta di chi agevola un comportamento considerato penalmente illecito dal legislatore, a differenza del favoreggiamento della prostituzione altrui, e che prevede anche un massimo edittale inferiore rispetto a quello della norma de quo (quattro anni invece che sei). Infine, alla luce dei recenti sviluppi sia nazionali[43] sia in ambito europeo[44], può ormai dirsi pacifico l’intervento, anche penetrante, della Corte costituzionale sulla cornice edittale della pena e appare anzi consigliabile un intervento che consenta maggiore semplicità anche applicativa rispetto alla previsione di un’attenuante ad hoc.

Rispetto alla seconda ipotesi, subordinata alla precedente, di introdurre un’attenuante speciale, si deve innanzitutto rilevare una possibile imprecisione nell’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna. In alcuni passaggi, infatti, i giudici rimettenti individuano come strada possibile quella di applicare anche al favoreggiamento l’attenuante per i “casi di lieve entità”[45], come negli anni recenti ha più volte fatto la Corte costituzionale[46], in altri, invece, fanno riferimento all’attenuante della “minore gravità”[47]. Pur trattandosi di due circostanze che sembrano essere di fatto identiche nei loro requisiti di applicazione[48], hanno due effetti molto diversi: mentre l’attenuante della lieve entità[49] consente una riduzione “fino a un terzo”, quella della minore gravità[50] può determinare uno sconto “in misura non eccedenti i due terzi”. La differenza appare allora piuttosto rilevante, se si considera che con la prima opzione la “pena minima” per i casi bagatellari sarebbe un anno e quattro mesi di reclusione, mentre con la seconda soli otto mesi (nell’ipotesi in cui il giudice riconosca lo sconto massimo di pena possibile).

Nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione[51], il Tribunale chiede alla Corte costituzionale che venga introdotta anche per il caso in esame l’attenuante della lieve entità. Nonostante anche questa sia una strada percorribile, sarebbe forse stato meglio propendere per l’attenuante della minore gravità, sia per garantire una maggiore individualizzazione della pena da parte del giudice di merito, anche in questi casi “al limite della tipicità”, sia perché sarebbe stato probabilmente più coerente estendere tale attenuante al caso del favoreggiamento della prostituzione. Mentre la circostanza originariamente prevista dall’art. 311 c.p. è infatti stata estesa principalmente a reati a tutela del patrimonio[52], quella della minore gravità essendo prevista per reati di natura lato sensu sessuale, quali la violenza sessuale, gli atti sessuali con minorenni[53] e oggi la produzione di materiale pedopornografico[54], avrebbe forse potuto essere estesa al contesto prostitutivo con maggiore facilità, pur non potendosi comunque, in effetti, ravvisare in queste fattispecie un vero e proprio tertium[55].

Tra quelle richiamate, potrebbe risultare utile, in particolare, un confronto con la fattispecie di produzione di materiale pedopornografico[56]. Anche in questo caso, infatti, la condotta incriminata può accedere ad un comportamento sessuale lecito (si pensi all’atto sessuale tra due minorenni che abbiano compiuto l’età del consenso, o anche di un adulto con un minorenne fuori dai casi previsti ex art. 609-quater c.p.). Il fatto, poi, che quest’ultima norma sia volta a tutelare un bene forse ancora più sensibile della dignità in senso oggettivo, quale quello del sereno sviluppo del minore[57], potrebbe servire come ulteriore elemento a sostegno dell’irragionevolezza di prevedere tale attenuante per un comportamento potenzialmente molto più lesivo di quello del favoreggiamento della prostituzione altrui e non invece per questa fattispecie.

In ogni caso, al di là della difficile individuazione di un terzo elemento di comparazione[58], i giudici rimettenti mettono ben in evidenza l’irrazionalità complessiva del trattamento sanzionatorio in relazione al quadro ordinamentale vigente[59], sottolineando come il reato di favoreggiamento sia punito nel minimo tanto quanto una violenza sessuale lieve o come il favoreggiamento aggravato abbia lo stesso minimo edittale del delitto di tortura (quattro anni).

Indipendentemente dal tertium, poi, come evidenziato in alcuni passaggi dell’ordinanza[60], la punizione così aspra del favoreggiamento sembra difficilmente conciliarsi con l’obiettivo di tutela della dignità di chi si prostituisce, rendendo tale sanzione intrinsecamente irragionevole[61].

Per tutti questi motivi, si ritiene più appropriato risolvere l’evidenziato difetto di sproporzione intervenendo direttamente sul minimo edittale, anche al fine di evitare il rischio di dover sollevare una ulteriore questione di legittimità costituzionale in relazione al divieto di prevalenza della recidiva reiterata sulla attenuante eventualmente introdotta[62].

Infine, i giudici a quo ritornano sull’aggravante del fatto commesso a danno di più persone, affermando che, quale che sia la soluzione prescelta dalla Corte, questa risolverebbe anche i dubbi in relazione alla sproporzione di pena dovuta all’aumento secco della metà previsto dall’aggravante. In effetti, abbassare la pena base per l’applicazione dell’aggravante consente di giungere ad una pena più aderente al caso concreto, tuttavia, i giudici ponevano degli interessanti rilievi in relazione all’impossibilità di modulare l’aumento in base anche al numero di soggetti coinvolti, nonché sembravano riflettere sulla possibilità di imporre un numero minimo di soggetti passivi al di sopra del quale far scattare questa così gravosa circostanza, come avviene per altre fattispecie[63]. Forse, sarebbe allora valsa la pena provare a cogliere l’occasione per interrogare la Consulta sulla legittimità di tale aggravante che non consente una modulazione dell’aumento, magari chiedendo l’estensione anche alle aggravanti che determinano un aumento secco di pena le stesse considerazioni affrontate dalla Consulta in relazione alle pene fisse[64], in base alle quali queste sono sempre “indiziate” di incostituzionalità e possono essere considerate legittime solo laddove siano in grado di determinare una pena proporzionata per ogni caso sussumibile sotto la stessa[65]: il principio sembra poter avere una portata più ampia e non sarebbe forse inappropriato estenderlo anche alle aggravanti che determinino un aumento secco di pena.

A prescindere da queste considerazioni, l’ordinanza del Tribunale di Bologna appare pienamente condivisibile. Rimarrebbe preferibile, in via generale, una reinterpretazione della norma alla luce del principio di offensività; tuttavia, in mancanza di un simile intervento ermeneutico, risulta senz’altro opportuna una revisione del trattamento sanzionatorio – in particolare eliminando il minimo edittale – così da correggere l’evidente sproporzione della pena rilevata dal giudice rimettente. 

*Dottoranda di ricerca in diritto penale, presso l’Università di Torino

[1] Il delitto è punito con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da euro 258 a euro 10.329. Come verrà evidenziato in seguito, la pena prevista è la stessa per reati di disvalore molto diverso tra di loro: ben diciotto condotte, tutte disciplinate dall’art. 3, co. 1, nn. 1-8), l. n. 75/1958.

[2] In particolare, a uno degli imputati è contestata la stipula di un contratto di lavoro fittizio, finalizzato ad agevolare l’ottenimento o il rinnovo del permesso di soggiorno da parte di una prostituta; gli altri due sono accusati di aver contratto matrimonio con le stesse finalità, oltre ad aver sottoscritto contratti di locazione per cedere poi gli immobili alle donne affinché vi esercitassero l’attività di prostituzione.

[3] Trib. Bologna, ord. 17 dicembre 2024, in GU n. 5 del 29 gennaio 2025, par. 3. In particolare, uno degli imputati aveva una relazione sentimentale con la persona offesa e la accompagnava sul luogo del lavoro così come la accompagnava altrove, per ragioni legate al proprio rapporto interpersonale.

[4] «Una valutazione globale del caso concreto, che tenga conto delle modalità esecutive, dei mezzi utilizzati e dell’intensità della lesione del bene giuridico protetto, pur non consentendo di formulare un giudizio di atipicità della condotta in ragione dell’ampiezza del dato normativo e del diritto vivente che su di esso si è formato, rivela la possibilità di considerare tali fatti come di minore gravità», Trib. Bologna, ord. 17 dicembre 2024, cit., par. 3.

[5] Cass., Sez. III, 15 febbraio 2019, n. 15502, ma l’interpretazione è consolidata da diversi anni, vedasi per esempio anche Cass., Sez. III, 4 novembre 2005, n. 47226.

[6] Vedasi, ex multis, Cass., Sez. III, 15 febbraio 2019, n. 15502.; Cass., Sez. III, 14 dicembre 2017, n. 16689; Cass., Sez. III, 4 febbraio 2009, n. 11575; Cass., Sez. III, 29 settembre 1999, n. 12633. Parzialmente difforme, tuttavia, Cass., Sez. III, 16 luglio 2013, n. 37299, in base alla quale: «[l]’accompagnamento in auto della prostituta sul luogo del meretricio configura il reato di favoreggiamento della prostituzione quando risulti funzionale all’agevolazione della prostituzione, sulla base di elementi sintomatici, quali, ad esempio, la non occasionalità o l’espletamento di attività ulteriori rispetto al suo accompagnamento (sorveglianza, messa a disposizione del veicolo per l’incontro con i clienti, etc.)».

[7] L’unico caso in cui la rilevanza è esclusa, come richiamato anche dai giudici bolognesi, si ha quando a “dare il passaggio” è il cliente della prostituta perché difetterebbe la posizione di terzietà del cliente rispetto alla prostituzione altrui, vedi, tra le altre, Cass., Sez. III, 18 maggio 2011, n. 36392.

[8] Inizialmente, il bene tutelato dalla disciplina della prostituzione veniva individuato nella moralità pubblica e il buon costume. La tutela della donna, nell’impianto della legge Merlin, caratterizzato da un significativo paternalismo morale, è confinata alla sua “dignità” come vittima, non nel senso di «dignità soggettiva, personale, legata alla concezione che ogni donna poteva avere di sé stessa; ma di una dignità oggettiva, impersonale, legata a ciò che lo Stato o la morale corrente riteneva un comportamento giusto e appropriato per una ragazza», A. Cadoppi, L’incostituzionalità di alcune ipotesi della legge Merlin e i rimedi interpretativi ipotizzabili, nota a Corte App. Bari, Sez. III, ord. 6.2.2018, in Dir. pen. cont., 2018, 164 s., ma vedasi anche 183 s. Già a partire dagli anni Settanta inizia a cambiare, in dottrina, l’individuazione del bene giuridico, per spostarsi sulla libertà sessuale della prostituta, cfr., ad esempio, F. Palazzo, Considerazioni sul delitto di lenocinio a mezzo stampa, in Riv. it. dir. proc. pen., 699 ss.; mentre nella giurisprudenza si verificano maggiori oscillazioni tra concezioni ancora legate ai beni di moralità e buon costume, cfr. per esempio, Cass., Sez. III, 10 maggio 2002, n. 17717, ed altre che invece lo individuano nella «dignità e la libertà della persona umana con particolare riguardo al libero esercizio del meretricio», Cass., Sez. III, 2 settembre 2004, n. 35776. Ad oggi, secondo diversi autori, le norme in tema di prostituzione sarebbero volte a tutelare esclusivamente l’autodeterminazione sessuale, cfr., tra gli altri, P. Di Nicola-V. Bonfanti, I reati in materia di prostituzione. I nuovi scenari interpretativi. I reati connessi, le misure di prevenzione e di sicurezza, le forme di protezione, Giuffrè, 2015, 17, 18 ss. Tuttavia, a seguito delle sentenze Corte cost., n. 141 del 7 giugno 2019 e Corte cost., n. 278 del 20 dicembre 2019, la Consulta sembra individuarlo esclusivamente nella dignità oggettiva di chi si prostituisce. La Corte costituzionale, infatti, esclude che l’attività di prostituzione possa essere inquadrata all’interno della libertà sessuale e la ricollega esclusivamente alla libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., così giungendo ad affermare che «è incontestabile che, nella cornice della previsione dell’art. 41, secondo comma, Cost., il concetto di “dignità” vada inteso in senso oggettivo: non si tratta, di certo, della “dignità soggettiva”, quale la concepisce il singolo imprenditore o il singolo lavoratore. È, dunque, il legislatore che – facendosi interprete del comune sentimento sociale in un determinato momento storico – ravvisa nella prostituzione, anche volontaria, una attività che degrada e svilisce l’individuo, in quanto riduce la sfera più intima della corporeità a livello di merce a disposizione del cliente».

[9] C. Cost., 6 marzo 2019, n. 141. Per un commento, S. Berardi, Sulla legittimità costituzionale dei delitti di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione: irrilevante il fatto che la scelta di meretricio sia il frutto di una libera scelta?, in Consulta Online, 2019; C.P. Guarini, La prostituzione «volontaria e consapevole»: né libertà sessuale né attività economica privata “protetta” dall’art. 41 Cost. A prima lettura di Corte costituzionale n. 141/2019, in Oss. Cost., 2019, 4, 175 ss.. Per una panoramica sulla rilevanza che la volontarietà della prostituzione può avere – o non avere – nel quadro normativo, S. E. Thompson, Prostitution, A choice ignored, in Women’s Rights Law Reporter, 2000, 21, 217-248.

[10] Il riferimento è alle sentenze Corte cost., n. 63 del 10 marzo 2022, soprattutto, par. 4.6.; Corte cost., n. 197 del 30 novembre 2023, vedi in particolare par. 5.3.2.; Corte cost. n. 46 del 22 marzo 2024, specialmente par. 3.4.

[11] Tra le altre, Cass., Sez. III, 19 settembre 2019, n. 43255: «[i]n tema di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, il termine di prescrizione decorre dal compimento dell’ultimo atto antigiuridico, in quanto, attesa la natura eventualmente abituale dei reati, solo in questo momento cessa il pericolo di lesione dei beni tutelati dalla norma incriminatrice».

[12] La regola generale, infatti, è che non si possa accedere alla messa alla prova nei casi di procedimenti per reati puniti con la pena della reclusione nel massimo superiore a quattro anni.

[13] In questo modo, specifica il Tribunale, si esclude anche la possibilità di ricorso all’art. 131-bis c.p. anche in assenza di abitualità della condotta.

[14] Par. 4 ordinanza in commento.

[15] Cass., Sez. III, 13 febbraio 2020, n. 20847.

[16] E causando, inoltre, uno slittamento in avanti del termine di prescrizione, dal momento che il termine a quo deve così essere considerato l’ultima condotta di favoreggiamento.

[17] Par. 4 ordinanza in commento.

[18] Con la sentenza Corte cost., n. 141 del 7 giugno 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate dalla Corte d’appello di Bari in relazione al delitto di favoreggiamento. La Corte, infatti, ha inizialmente affermato che i casi di prostituzione “volontaria” sarebbero ancora pochi e che spesso la scelta prostitutiva sia determinata comunque da “situazioni di disagio” non solo economiche. Procede, poi, escludendo che l’attività di meretricio possa afferire al diritto all’autodeterminazione sessuale, dovendo piuttosto inquadrarsi esclusivamente nella libertà di esercizio di attività economica (art. 41 Cost.), che tuttavia può venire limitata per tutelare, tra le altre, la “dignità” del lavoratore. Su questa base, la Consulta afferma che la dignità in questo contesto non possa essere intesa in senso soggettivo (come invece afferma nella di poco successiva sentenza Corte cost., n. 242 del 22 novembre 2019 in tema di aiuto al suicidio), bensì oggettivo e che pertanto non appare manifestamente irragionevole limitare l’esercizio della prostituzione per proteggere diritti fondamentali di “soggetti deboli”. Nella sentenza Corte cost., n. 278 del 20 dicembre 2019, invece, la consulta interviene nuovamente sul reato di favoreggiamento, riprendendo quanto affermato nella sentenza precedente, rimarcando, tra l’altro, la difficoltà di accertare quando la scelta sarebbe effettivamente libera (per una critica, T. Padovani, Il pettine sdentato. Il favoreggiamento della prostituzione all’esame di costituzionalità, in GenIUS, 2019, 2, 146-154).

[19] Nella sentenza Corte cost., n. 278 del 20 dicembre 2019, la corte si pronuncia anche sul reato di tolleranza abituale della prostituzione ex art. 3, co. 1, n. 3), l. n. 75/1958, affermando che si tratta di una figura criminosa posta «a presidio del divieto di esercizio delle case di prostituzione» e che quindi rientra nello scopo di tutela della legge Merlin, già considerato conforme al principio di offensività dalla sentenza Corte cost. n. 141/2019. Parimenti, è considerata non fondata la questione relativa al vulnus di tassatività della fattispecie, in quanto il legislatore sarebbe autorizzato ad utilizzare «espressioni sommarie, clausole generali o concetti “elastici”» (par. 3.3.).

[20] La sentenza afferma, infatti, che il reato di favoreggiamento è conciliabile con l’offensività “in astratto”, «ove riguardat[o] nell’ottica della protezione dei diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili e delle stesse persone che esercitano la prostituzione per scelta». Infatti, nonostante la criminalizzazione delle “condotte parallele” alla prostituzione non sia una scelta obbligata per il legislatore, appare comunque coerente, secondo la Consulta, con i principi costituzionali. Affermano poi i giudici che «resta d’altra parte ferma, in ogni caso, l’operatività del principio di offensività nella sua proiezione concreta e, dunque, il potere-dovere del giudice comune di escludere la configurabilità del reato in presenza di condotte che, in rapporto alle specifiche circostanze, si rivelino concretamente prive di ogni potenzialità lesiva». Ci si domanda, tuttavia, quale sia il margine di operatività del principio di offensività in concreto, dal momento che la prostituzione è stata inquadrata in questa pronuncia come un’attività che lede la dignità in senso oggettivo e dunque apparentemente insuscettibile di ammettere eccezioni. Sconfinata la letteratura sul principio di offensività, qui si rinvia solo, tra i molti, a V. Manes, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Giappichelli, 2005; I.d., I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di offensività e ragionevolezza, in Dir. pen. cont., 2012, 1, 99-110; M. Donini, Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in Riv. trim. Dir. pen. cont., 2013, 4, 4 ss.; M. Romano, La legittimazione delle norme penali: ancora su limiti e validità della teoria del bene giuridico, in Criminalia, 2011, 33 ss.; A. Valenti, Principi di materialità e offensività, in G. Insolera-N. Mazzacuva-M. Pavarini-M. Zanotti (a cura di), Introduzione al sistema penale, Utet, 2012, vol. 14, 359 ss.

Interessante appare, inoltre, la riflessione sulla possibilità di applicare il test di proporzionalità dell’incriminazione alla fattispecie di favoreggiamento. Sul punto vedasi N. Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Giappichelli, 2020, 150-155 e 291-297.

[21] Tra l’altro, specifica l’ordinanza al paragrafo 5, il nostro ordinamento conosce la differenza tra favoreggiamento e sfruttamento. Ve ne è un esempio nell’ambito dei reati di immigrazione clandestina, in cui il delitto di favoreggiamento è aggravato nel caso in cui sia sostenuto dal dolo specifico di trarne un profitto (art. 12, TU immigrazione, commi 1 e 3 per ingresso illegale e comma 5 per la permanenza illegale sul territorio).

[22] Cass., Sez. III, 24 ottobre2018, n. 741.

[23] Se, infatti, la pena risulta sproporzionata non potrà essere accolta dal condannato come giusta, rendendo così impossibile il processo di rieducazione. Questo ragionamento viene fatto per la prima volta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 313 del 2 luglio 1990. Specifica su questa pronuncia F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Giappichelli, 63: «[u]n tale collegamento permette alla Corte di svincolare gradatamente il sindacato sulla (s)proporzionalità della pena dalla necessità di identificare un preciso tertium comparationis; e consente così di censurare direttamente l’eccessività del trattamento sanzionatorio previsto per una determinata figura di reato, considerato in sé […] come incompatibile con la funzione rieducativa della pena».

[24] Il quale, peraltro, non pare più essere necessario per giungere ad una declaratoria di illegittimità costituzionale, almeno a partire dalla Corte cost., n. 236 del 10 novembre 2016, che ha posto le basi per un cambio di rotta in tema di proporzionalità della pena. Sul punto, E. Dolcini, Pene edittali, principio di proporzione, funzione rieducativa della pena: la Corte costituzionale ridetermina la pena per l’alterazione di Stato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1956 ss; V. Manes, Proporzione senza geometrie, in Giur. cost., 2016, 2105 ss.; D. Pulitanò, la misura delle pene. Fra discrezionalità politica e vincoli costituzionali, in dir pen cont, 2017, 2, 48 ss. Per una ricostruzione delle recenti pronunce sul tema, anche F. Valente Bagattini, Proporzionalità della pena: la Corte torna a valorizzare il tertium comparationis, in Dir. pen. proc., 2023, 3, 420-431.

[25] Tra le altre fattispecie, i giudici fanno particolare riferimento al reato di cui all’art. 378 c.p., favoreggiamento personale, punito con la reclusione “fino a quattro anni”, alla violenza sessuale di lieve entità, punita anch’essa con la pena minima di due anni nonostante comporti un’invasione nella sfera sessuale della persona molto più significativa, e finanche al reato di tortura che è punito nel minimo edittale con quattro anni di reclusione, come il favoreggiamento aggravato ex art. 4, comma 1, n. 7), l. n. 75/1958.

[26] Par. 5 ordinanza in commento.

[27] Per un commento a tale sentenza, e a quella in tema di rapina, G. Ponteprino, La “storia infinita” del sindacato sulla proporzionalità della pena. I recenti tracciati della giurisprudenza della Consulta nelle pronunce sull’appropriazione indebita e sulla rapina di lieve entità, in Dir. pen. cont., 2024, 2, 142 ss. In dottrina, prima dell’intervento della sentenza della Corte costituzionale, S. Seminara, Indebita percezione di erogazioni, appropriazione indebita e corruzione privata, in Dir. pen. proc., 2019, 593 ss.

[28] Tra gli altri in particolare, V. Manes, Viola i principi di ragionevolezza e proporzione la mancata attenuante analoga al reato gemello, in Guida al diritto, n. 20, 2012, 67 ss.; S. Seminara, Il sequestro di persona a scopo di estorsione tra paradigma normativo, cornice di pena e lieve entità del fatto, in Cass. pen. 2012, 2393 ss.; C. Sotis, Estesa al sequestro di persona a scopo di estorsione una diminuzione di pena per i fatti di lieve entità. Il diritto vivente “preso — troppo? — sul serio?”, in Giurispr. costituzionale 2012, 906 ss.

[29] Nota di A. Peccioli, La proporzionalità del minimo edittale dell’estorsione: una trasfigurazione del tertium comparationis, in Dir. pen. proc., 2023, 10, 1323-1329.

[30] Vedasi, G. Ruggiero, La “valvola di sicurezza”. Il minimo ombra nel compasso edittale del delitto di rapina, in Dir. pen. proc., 2025, 1, 39 ss.

[31] Tra gli altri, A. Peccioli, La circostanza della minor gravità nel delitto di pedopornografia, in Dir. pen. proc., 2024, 10, 1297 ss.

[32] Par. 3 ordinanza in commento.

[33] Cfr. note 5 e 6.

[34] Afferma, infatti, la Corte cost., n. 141 del 2019, «[…] è incontestabile che, nella cornice della previsione dell’art. 41, secondo comma, Cost., il concetto di “dignità” vada inteso in senso oggettivo: non si tratta, di certo, della “dignità soggettiva”, quale la concepisce il singolo imprenditore o il singolo lavoratore. È, dunque, il legislatore che – facendosi interprete del comune sentimento sociale in un determinato momento storico – ravvisa nella prostituzione, anche volontaria, una attività che degrada e svilisce l’individuo, in quanto riduce la sfera più intima della corporeità a livello di merce a disposizione del cliente».

[35] Cfr. note 8, 18, 19. In dottrina sul punto, A. Cadoppi, Dignità, prostituzione e diritto penale. Per una riaffermazione del bene giuridico della libertà di autodeterminazione sessuale nei reati della legge Merlin, in Arch. Pen., 2019, 1, 1-43.

[36] Tradizionalmente, la prostituzione non viene riconosciuta come un lavoro dall’ordinamento italiano. In particolare, il “patto di meretricio” viene solitamente considerato un contratto nullo per contrarietà al buon costume (art. 1343 c.c.) e che pertanto dà diritto solo alla soluti retentio (art. 2035 c.c.), non anche la possibilità di agire in via giudiziaria. Si segnalano, tuttavia, alcune sentenze di segno opposto a partire dalla decisione del 20 novembre 2001, C-268/99 della Corte di giustizia dell’Unione europea, in cui la prostituzione libera e volontaria viene inquadrata come “attività economica svolta in qualità di lavoratore autonomo”. In ambito nazionale vedasi, Trib. Roma, 24 luglio 2013, in Redazione Giuffrè, 2024 e Trib. Roma, 7 maggio 2014, in DeJure. In dottrina, tra gli altri, G. Terlizzi, La nozione del buon costume e le sfide del pluralismo sociale, in Riv. crit. del dir. priv., 2009, 1, 653.

[37] In effetti, una parte della giurisprudenza ha emesso in evidenza questa distinzione. Per esempio, Cass., Sez. III, 24 giugno 2015, n. 39181; Cass., Sez. III, 9 aprile 2013 n. 39083; Cass., Sez. II, 13 aprile 2000, n. 8345, in base alle quali se l’aiuto è prestato alla sola prostituta “in quanto persona” non può ravvisarsi favoreggiamento. Nonostante questo, l’accompagnamento è stato considerato come a favore dell’attività prostitutiva e pertanto mantenuto a livello interpretativo, come penalmente rilevante. È proprio per la difficoltà di individuare con chiarezza quali comportamenti possano afferire all’aiuto della persona e quali ad aiuto della attività che molti autori propendono per l’abolizione tout court del delitto in esame o quantomeno per un suo ripensamento in relazione al bene tutelato: non la dignità in senso oggettivo come sostenuto dalla Corte costituzionale, bensì autodeterminazione sessuale di chi si prostituisce. Vedasi sul punto, A. Cadoppi, Dignità, prostituzione e diritto penale, cit., 13 ss.; F. Giunta, Le prostituzioni: tra fatto e diritto, in La Giustizia Penale, 2013, 7, 473-480.

[38] Diffusamente sul punto, V. Manes, Dalla “fattispecie” al “precedente”: appunti di “deontologia ermeneutica”, in Dir. pen. cont., 17 gennaio 2018, in particolare sulla proporzione, 18 ss.

[39] Cfr. par. 3.

[40] Si tratta, infatti, di una delle prime modalità di intervento sulle cornici edittali compiute dalla Corte costituzionale, come nella storica sentenza Corte cost., n. 341 del 25 luglio 1994, sul reato di oltraggio a pubblico ufficiale (cfr. per un commento S. Corbetta, La cornice edittale della pena e il sindacato di legittimità costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 134 ss.) e più volte riutilizzata dalla Corte, da ultimo nella già richiamata sentenza Corte cost., n. 46 del 22 marzo 2024. Questa tipologia di provvedimento è stata criticata in misura minore rispetto alle più recenti pronunce in cui la Consulta sostituisce un trattamento sanzionatorio con un altro rintracciabile nell’ordinamento. Cfr. per tutti sull’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in Italia, F. Viganò, La proporzionalità della pena, cit., 280-293. Per le critiche, soprattutto, A. Morrone, Suprematismo giudiziario. Su sconfinamenti e legittimazione politica della Corte costituzionale, in Quad. cost., 2019, 2, 251 ss., ma anche, tra gli altri, P. Insolera, L’evoluzione del controllo di proporzionalità delle sanzioni penali nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in questa rivista, 2020, 1, 320 ss.

[41] È ormai piuttosto ampia la produzione della Corte costituzionale sul punto, vedasi per esempio, Corte cost. n. 236 del 10 novembre 2016; Corte cost., n. 222 del 5 dicembre del 2018; Corte cost., n. 40 dell’8 marzo 2019; Corte cost., n. 28 dell’1 febbraio 2022; Corte cost., n. 46 del 22 marzo 2024.

[42] Par. 5 dell’ordinanza in commento.

[43] È ormai pacifico, almeno in giurisprudenza, che la Corte costituzionale possa oggi intervenire con un elevato tasso di incisività sulle fattispecie penali. Si richiama qui la sentenza Corte cost., n. 46 del 22 marzo 2024, par. 3.1.: «[d]a sempre questa Corte ha riconosciuto l’ampia discrezionalità del legislatore nella definizione della propria politica criminale, e in particolare nella determinazione delle pene applicabili a chi abbia commesso reati, così come nella stessa selezione delle condotte costitutive di reato […]. Discrezionalità, tuttavia, non equivale ad arbitrio. […] Il controllo sul rispetto di tali limiti spetta a questa Corte, che è tenuta a esercitarlo con tanta maggiore attenzione, quanto più la legge incida sui diritti fondamentali della persona. Il che paradigmaticamente accade rispetto alle leggi penali, che sono sempre suscettibili di incidere, oltre che su vari altri diritti fondamentali, sulla libertà personale dei loro destinatari».

[44] Il riferimento è alla sentenza C. giust. UE, Grande Sezione, sent. 8 marzo 2022, C-205/20, NE, che consente ai giudici di disapplicare la pena considerata sproporzionata sulla base dell’effetto diretto che avrebbe l’art. 49 par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Per profili critici, M. Pelissero, Il principio di proporzionalità (non sproporzionalità) delle pene: recenti sviluppi e impatto anomalo delle fonti eurounitarie sul principio di legalità delle pene, in Dir. pen. proc., 2023, 10, 1359 ss. Per un primo commento alla pronuncia F. Viganò, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell’Unione europea: sull’effetto diretto dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta alla luce di una recentissima sentenza della Corte di giustizia, in Sist. pen., 26 aprile 2022.

[45] Par. 5 e dispositivo dell’ordinanza in esame.

[46] L’estensione dell’attenuante di lieve entità ad opera della Corte costituzionale al fine di conformare la sanzione penale al principio di proporzionalità della pena si ha per la prima volta con la sentenza Corte cost., n. 68 del 23 marzo 2012 che ritiene applicabile anche al sequestro a scopo d’estorsione la circostanza prevista dall’art. 311 c.p. per il sequestro a scopo terroristico o eversivo (cfr. in dottrina, V. Manes, Viola i principi di ragionevolezza e proporzione la mancata attenuante analoga al reato gemello, in Guida al diritto, n. 20, 2012, 67 ss.; S. Seminara, Il sequestro di persona a scopo di estorsione tra paradigma normativo, cornice di pena e lieve entità del fatto, in Cass. pen. 2012, 2393 ss.; C. Sotis, Estesa al sequestro di persona a scopo di estorsione una diminuzione di pena per i fatti di lieve entità. Il diritto vivente “preso — troppo? — sul serio?”, in Giur. Cost. 2012, 906 ss.). La Corte prosegue poi ritenendo possibile l’introduzione di tale attenuante anche per i delitti di sabotaggio di opere militari, C. cost., 2 dicembre 2022, n. 244 (anche se qui il riferimento è esclusivamente al danno di lieve entità ed il parametro di riferimento sono gli artt. 102, 168, 169 cod. pen. mil. pace); all’estorsione, C. Cost., 15 giugno 2023, n. 120, e alla rapina, C. Cost., 13 maggio 2024, n. 86.

[47] Par. 5 ordinanza in commento. Il riferimento giurisprudenziale è qui alla sentenza Corte cost., n. 91 del 20 maggio 2024.

[48] Sia la “lieve entità” dei fatti che la “minore gravità” dei casi, infatti, andrebbero, secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti, commisurate guardando al fatto in modo complessivo e nella sua interezza, sulla base del solo comma 1 dell’art. 133 c.p. Si discute, peraltro, sulla possibilità di tenere in considerazione anche il n. 3) del comma 1, ossia intensità del dolo e grado della colpa. Cfr. in dottrina, B. Alberti, sub art. 311, circostanza diminuente: lieve entità del fatto, in A. Cadoppi-S. Canestrari-M. Papa-A. Manna, Trattato di diritto penale. Parte generale, I, Utet, 2014, 1708 s.; D. Emilio-G.L. Gatta, Codice penale commentato, II, Ipsoa, 2021, 404-407; A. Cadoppi, Sub Art. 609-bis c.p. (Violenza sessuale), in A. Cadoppi (a cura di), Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, Cedam, 2006, 339 ss.; B. Romano, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Giuffrè, 2022, 121-124. Sostiene invece che si tratti di attenuanti basate su presupposti diversi, G. Fiandaca, voce Violenza sessuale, in Enc. dir., aggiorn., IV, Giuffrè, 2000, p. 1153 ss.

[49] Presente, tra gli altri, agli artt. 311, 323-bis, 346-bis, 639-ter, 648 c.p. Peculiare l’art. 583-bis che punisce le pratiche di mutilazione di organi genitali femminili, poiché prevede l’attenuante della lieve entità, ma in questo caso (sembrerebbe essere l’unico, almeno all’interno del codice penale) la diminuzione consentita è “fino a due terzi”.

[50] Questa attenuante appare, per come qui descritta, solo nei delitti di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni ed ora, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, anche produzione di materiale pedopornografico.

[51] «Visto l’art. 23 della legge n. 53 del 1987, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, n. 8) della legge 20 febbraio1958, n. 75, relativamente alla condotta di favoreggiamento della prostituzione, nella parte in cui commina la pena della reclusione “da due a sei anni” anziché “fino a sei anni” o, in subordine, nella parte in cui non prevede la possibilità di attenuare il trattamento sanzionatorio per i casi di lieve entità, per contrasto con i principi di uguaglianza-ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di proporzionalità della sanzione penale (articoli 3, 27, comma 3della Costituzione)».

[52] Per quanto tutti i delitti in oggetto abbiano natura plurioffensiva, in quanto incidono anche sulla dimensione della libertà personale: sequestro a scopo di estorsione, estorsione e rapina coinvolgono anche la sfera personale della vittima.

[53] Sull’attenuante di minore gravità ex art. 609-quater c.p., vedasi, tra gli altri, S. De Bonis, Atti sessuali con minorenne, in A. Cadoppi-S. Canestrari-A. Manna-M. Papa (diretto da), Diritto penale, III, Utet, 2022, 6311-6329; C.F. Grosso-T. Padovani-A. Pagliaro, Trattato di diritto penale. Reati contro la persona, III, Giuffrè, 2016, 86 ss.

[54] Cfr. M. Bianchi, Pornografia minorile. Fra pedo-pornografia “abusiva”, “domestica” e ipotesi di minore gravità, in Giur. it., 2024, 10, 2186 ss.; A. Peccioli, La circostanza della minor gravità nel delitto di pedopornografia, in Dir. pen. proc., 2024, 10, 1297 ss.

[55] Par. 5 ordinanza in commento.

[56] Sui delitti di pedopornografia tra gli altri, M. Bianchi, I confini della repressione penale della pornografia minorile. La tutela dell’immagine sessuale del minore fra esigenze di protezione e istanze di autonomia, Giappichelli, 2019; M. Bianchi-S. Delsignore (a cura di), I delitti di pedo-pornografia fra tutela della moralità pubblica e dello sviluppo psico-fisico dei minori, Cedam, 2008; A. Cadoppi (a cura di), Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, Cedam, 2006; S. Delsignore, I reati di pornografia minorile quale banco di prova per la laicità e il necessario orientamento ai valori del diritto penale, in G. Balbi-A. Esposito (a cura di), Laicità, valori e diritto penale, Giappichelli, 2011, 29-75.

[57] Sull’individuazione del bene giuridico dei delitti in materia di pedopornografia, tra tanti, S. Delsignore, Mercificazione della persona e delitti di pornografia minorile: una tutela per la dimensione interiore ed esteriore della personalità in divenire del minore, in M. Bianchi-S. Delsignore (a cura di), I delitti di pedo-pornografia, cit., 25-84 ed ivi in particolare 34 ss.

[58] Che, come già sottolineato, non è peraltro più necessario, essendo sufficiente individuare una soluzione “adeguata” proposta dall’ordinamento e non necessariamente una fattispecie che presenti identica struttura e finalità.

[59] Il riferimento al quadro generale più ampiamento inteso non è irrilevante, vedasi per esempio la sentenza Corte cost., n. 95 del 14 aprile 2022 in cui la Corte argomenta a favore della declaratoria di illegittimità del trattamento sanzionatorio dell’illecito amministrativo ex art. 726 c.p. anche tramite la comparazione con illeciti amministrativi a tutela di beni giuridici completamente differenti, quali gli illeciti amministrativi stradali (parr. 4.3. ss.).

[60] Parr. 3 e 5 ordinanza in commento.

[61] Viene, infatti, più volte sottolineato in dottrina come le incriminazioni in oggetto finiscano per fare “terra bruciata” intorno alla prostituta, esponendola a maggiori rischi per la sua incolumità, ex multis, F. Giunta, Le prostituzioni: tra fatto e diritto, cit., 476.

[62] Vedasi, per esempio, Trib Sassari, ord. 23 ottobre 2024, sul divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità del delitto di rapina sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata ex art. 69, quarto comma, c.p. In dottrina, tra gli altri, I. Merenda, Recidiva reiterata e giudizio di bilanciamento nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale. Verso un definitivo superamento del meccanismo della blindatura previsto dall’art. 69, comma 4, c.p.?, in Dir. pen. proc., 2023, 1486; B. Fragasso, Il sindacato di costituzionalità sulle circostanze aggravanti privilegiate, tra proporzionalità e individualizzazione della pena, in Dir. pen. proc., 2024, 5, 663-674.

[63] L’ordinanza al par. 5 richiama l’aggravante prevista ex art. 12, comma terzo, t.u. immigrazione, in base alla quale è necessario che la condotta agevolatrice sia riferita a cinque soggetti diversi, elemento che mette ulteriormente in luce «l’anomalia nella regolazione del trattamento sanzionatorio» del delitto di favoreggiamento della prostituzione.

[64] Il riferimento è principalmente alla sentenza Corte cost., n. 222 del 5 dicembre 2018. In dottrina, R. Bartoli, Dalle “rime obbligate” alla discrezionalità: consacrata la svolta, in Giur. comm., 2018, 2566 ss.; P. Pisa, Pene accessorie di durata fissa e ruolo “riformatore” della Corte Costituzionale, in Dir. pen. proc., 2019, 216 ss.; A. Galluccio, Pene fisse, pene rigide e Costituzione: le sanzioni accessorie interdittive dei delitti di bancarotta fraudolenta ancora al cospetto del Giuduce delle leggi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 2, 876 ss. Vedasi anche, tra le altre, Cass., Sez. Un., 3 luglio 2019, n. 28910, nota di S. Larizza, Durata delle pene accessorie: le Sezioni unite “rivedono” l’interpretazione dell’art. 37 c.p., in Giur. It., 2019, 2739 ss.; e Corte cost., n. 88 del 17 aprile 2019, con nota di C. Piergallini, L’omicidio stradale al primo vaglio della Consulta: tra ragionevoli self restraint e imbarazzati silenzi, in Giur. cost., 1199 ss.

[65] «Come è stato osservato a commento della sentenza n. 50 del 1980: se la  “regola” è rappresentata dalla “discrezionalità”, ogni fattispecie sanzionata con pena fissa (qualunque ne sia la specie) è per ciò solo “indiziata” di illegittimità; e tale indizio potrà essere smentito soltanto in seguito a un controllo strutturale della fattispecie di reato che viene in considerazione, attraverso la puntuale dimostrazione che la peculiare struttura della fattispecie la renda “proporzionata” all’intera gamma dei comportamenti tipizzati», Corte cost., n. 222 del 5 dicembre 2018, par. 7.1.