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L’ACCERTAMENTO DELL’ATTUALITÀ DELLA PERICOLOSITÀ QUALE CHIAVE DI VOLTA DELLA TENUTA COSTITUZIONALE DELLE MISURE DI PREVENZIONE – DI FRANCESCO MAZZACUVA

L’ACCERTAMENTO DELL’ATTUALITÀ DELLA PERICOLOSITÀ QUALE CHIAVE DI VOLTA DELLA TENUTA COSTITUZIONALE DELLE MISURE DI PREVENZIONE – DI FRANCESCO MAZZACUVA

MAZZACUVA – L’ACCERTAMENTO DELL’ATTUALITÀ DELLA PERICOLOSITÀ QUALE CHIAVE DI VOLTA DELLA TENUTA COSTITUZIONALE DELLE MISURE DI PREVENZIONE.PDF

L’ACCERTAMENTO DELL’ATTUALITÀ DELLA PERICOLOSITÀ QUALE CHIAVE DI VOLTA DELLA TENUTA COSTITUZIONALE DELLE MISURE DI PREVENZIONE

THE ASSESSMENT OF CURRENT DANGEROUSNESS AS KEYSTONE OF THE CONSTITUTIONAL VALIDITY OF PREVENTIVE MEASURES

di Francesco Mazzacuva*

Tribunale di Oristano, Giudice Dott.ssa Cristiana Argiolas, Ordinanza del 14 dicembre 2022 pubblicata nella GU n. 10 del 6 marzo 2024

Sorveglianza speciale – Assenza di rivalutazione della pericolosità sociale dopo un periodo di detenzione inferiore a due anni – Questione di legittimità costituzionale

(Art. 14, comma 2-ter, d.lgs. n. 159/2011 – Artt. 3, 13 e 27 Cost.)

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-ter, del d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale che sia stata sospesa in ragione dell’esecuzione di una pena detentiva, la persistenza della pericolosità sociale sia verificata soltanto laddove la detenzione si sia protratta per almeno due anni e non anche laddove abbia avuto una durata più breve. La mancata previsione di tale verifica in caso di detenzione protrattasi per meno di due anni, infatti, si pone in contrasto con gli artt. 3, 13 e 27 Cost., dal momento che determina una divergenza irragionevole rispetto alla disciplina delle misure di sicurezza, implica una limitazione della libertà personale illegittima e presuppone l’assenza di qualsiasi funzione rieducativa della pena detentiva breve.

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La questione di legittimità costituzionale valorizza il ruolo della pericolosità sociale quale fondamentale presupposto delle misure di prevenzione personali, censurando la disposizione che non richiede una verifica della persistenza di tale condizione laddove la sorveglianza speciale sia rimasta sospesa per via dello stato detentivo del destinatario per un periodo inferiore a due anni.

The question of constitutionality highlights the role of the actuality of social dangerousness as a fundamental prerequisite of personal preventive measures, censuring the provision that does not require verification of the persistence of this condition where the special surveillance has been suspended due to the recipient’s detention status for a period of less than two years.

Sommario: 1. Rilievi introduttivi. – 2. La rilevanza della questione nel procedimento penale relativo alle violazioni degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale. – 3. La collocazione della disposizione impugnata nel contesto di progressiva valorizzazione del giudizio di attualità della pericolosità sociale. – 4. I profili di illegittimità costituzionale della disposizione. – 5. Conclusioni.

1. Rilievi introduttivi. – Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Oristano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-ter, del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. codice antimafia), nella parte in cui prevede che, laddove la misura della sorveglianza speciale sia stata sospesa poiché il destinatario sta scontando una pena detentiva, una volta cessato tale stato la persistenza della pericolosità sociale sia verificata soltanto nei casi in cui la detenzione si sia protratta per almeno due anni e non anche laddove essa abbia avuto una durata inferiore. Come si osserverà, il provvedimento si iscrive in un più ampio processo di valorizzazione dell’attualità della pericolosità sociale quale fondamentale presupposto delle misure di prevenzione personali, mirando all’eliminazione di un inaccettabile automatismo fondato su logiche presuntive.

2. La rilevanza della questione nel procedimento penale relativo alle violazioni degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale. – Il Tribunale di Oristano ha sollevato la questione nell’ambito di un procedimento penale relativo a plurimi fatti integranti la contravvenzione di cui all’art. 75, comma 1, del codice antimafia, che punisce la violazione degli obblighi della sorveglianza speciale “semplice” (ossia non accompagnata dall’obbligo o dal divieto di soggiorno, ipotesi in cui la violazione degli obblighi è punita a titolo di delitto dal successivo comma 2). In particolare, nei confronti dell’imputato la misura era stata disposta per la durata di un anno ed immediatamente sospesa poiché, al momento della notifica, egli era ristretto per espiare alcune pene irrogate con precedenti sentenze di condanna. Una volta scarcerato, l’imputato era stato convocato presso la Questura per sottoscrivere il verbale di sottoposizione alla sorveglianza speciale – che, pertanto, diveniva efficace – ed a tale circostanza seguivano plurime violazioni del divieto di allontanarsi dall’abitazione dalle ore 20.00 alle ore 6.00.

Nel procedimento penale relativo a queste violazioni, osserva il giudice a quo, la questione sarebbe rilevante poiché, se fosse accolta, troverebbe applicazione retroattiva la disciplina risultante che imporrebbe la rivalutazione della pericolosità sociale del preposto anche laddove il periodo di carcerazione sia inferiore a due anni. Si osserva, ancora, che la mancanza della verifica della persistenza della pericolosità sociale prevista per le ipotesi di detenzione protrattasi per un periodo di almeno due anni fa venir meno la sussistenza del presupposto fondamentale della fattispecie incriminatrice contestata nel procedimento. In altri termini, l’applicazione “formale” della sorveglianza speciale non sarebbe di per sé idonea a giustificare la repressione degli obblighi inerenti la misura se non fondata su di un giudizio di persistenza della pericolosità sociale, la cui omissione non consentirebbe di ritenere cessata la sospensione dell’esecuzione della misura, circostanza che non potrebbe infatti costituire automatica conseguenza della fine dell’esecuzione della pena.

È soprattutto questa seconda parte della motivazione, più che il riferimento all’efficacia necessariamente retroattiva della disciplina che risulterebbe dall’intervento della Corte costituzionale, a cogliere nel segno. A questo proposito, infatti, l’ordinanza in commento richiama puntualmente quanto affermato nella recente sentenza delle Sezioni Unite n. 51407 del 13 novembre 2018 in cui, risolvendo un precedente contrasto giurisprudenziale emerso in relazione alle ipotesi in cui la rivalutazione della pericolosità sociale è invece imposta dalla durata prolungata dello stato di detenzione, è stato affermato che non può essere in nessun caso integrato uno dei reati previsti dall’art. 75 del codice antimafia prima che sia verificata la persistenza della pericolosità per la sicurezza pubblica del destinatario. A commento della pronuncia, in effetti, si era già avuto modo di osservare che tale conclusione doveva ritenersi del tutto condivisibile in quanto volta a valorizzare – ancor prima ed indipendentemente dall’argomento letterale – l’attualità della pericolosità sociale quale presupposto fondamentale della disciplina delle misure di prevenzione. In una prospettiva ermeneutica costituzionalmente e convenzionalmente orientata, infatti, si deve escludere qualsiasi rilevanza penale delle violazioni delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale prima che, nei confronti di soggetto sottoposto a detenzione prolungata, tale condizione sia stata rivalutata, dato che la soluzione contraria finirebbe per attribuire rilievo a tali inosservanze per ragioni essenzialmente formali, configurando le fattispecie previste dall’art. 75 del codice antimafia quali reati di “mera disobbedienza”, categoria notoriamente avversata dalla dottrina per l’evidente tensione con i principi di offensività ed extrema ratio[1].

3. La collocazione della disposizione impugnata nel contesto di progressiva valorizzazione del giudizio di attualità della pericolosità sociale. – Proprio alla luce della progressiva valorizzazione del concreto accertamento della pericolosità sociale, in effetti, è possibile inquadrare la portata ed i limiti della disposizione impugnata.

A questo proposito, lo stesso giudice a quo ricorda che essa è stata introdotta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013, con la quale era stato dichiarato illegittimo l’art. 12, comma 1, della legge n. 1423/1956 (e, quindi, l’omologo art. 15 del d.lgs. n. 159/2011, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) nella parte in cui non prevedeva che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura. La Consulta aveva evidenziato, in particolare, che la “doppia valutazione” della pericolosità sociale, laddove vi sia una divaricazione tra il momento genetico e quello esecutivo, debba avere luogo analogamente a quanto avviene nella disciplina delle misure di sicurezza, vista l’identità di ratio degli istituti – addirittura ricondotti a species di un medesimo genus – così da rendere irragionevole ogni disparità di trattamento fra i destinatari delle due tipologie di misure.

La stessa ordinanza in commento, poi, evidenzia puntualmente come tale presa di posizione abbia favorito il superamento di alcune forme di pericolosità presunta che si erano manifestate nella giurisprudenza persino nella fase genetica della misura di prevenzione. Si fa rifermento, in particolare, alla sentenza delle Sezioni Unite n. 111 del 2017, in cui è stato affermato che anche nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali agli indiziati di appartenere ad una associazione di tipo mafioso è necessario un puntuale accertamento del requisito della attualità della pericolosità del proposto.

Come si è visto, poi, proprio in questo percorso, ma con riguardo al tema della rivalutazione della pericolosità della misura dopo un prolungato periodo di detenzione, si è collocata la decisione delle Sezioni Unite n. 51407 del 13 novembre 2018. A quest’ultimo riguardo, peraltro, non sono mancate prese di posizione giurisprudenziali ancor più “avanzate”, secondo cui in presenza di uno stato di detenzione prolungato sarebbe addirittura inapplicabile la misura della sorveglianza speciale, in quanto di fatto inutiliter data proprio perché necessitante di un’ulteriore valutazione di pericolosità dopo la scarcerazione[2].

4. I profili di illegittimità costituzionale della disposizione. – All’esito di questo percorso ricostruttivo, condividendo la prospettazione difensiva, il giudice a quo ritiene che la disposizione si ponga in contrasto con l’art. 3, comma 1, con l’art. 13, comma 1, e con l’art. 27, comma 3, della Costituzione.

Anzitutto, infatti, emergerebbe una violazione del principio di uguaglianza, dal momento che la disciplina della sorveglianza speciale evidenzia una differenza ingiustificata rispetto a quella stabilita dall’art. 679 c.p.p. il quale, in relazione alle misure di sicurezza, impone sempre una rivalutazione della pericolosità sociale al momento dell’esecuzione della misura se differito rispetto a quello della deliberazione. In altri termini, in relazione alle ipotesi di detenzione di breve durata, permarrebbe quell’irragionevole differenza di regolamentazione evidenziata dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 291 del 2013, la quale effettivamente aveva chiarito la necessità di una parificazione piena fra le due discipline, prevedendo che fosse rimesso «all’applicazione giudiziale l’individuazione delle ipotesi nelle quali la reiterazione della verifica della pericolosità sociale potrà essere ragionevolmente omessa, a fronte della brevità del periodo di differimento dell’esecuzione della misura di prevenzione (si pensi al caso limite in cui la persona alla quale la misura è stata applicata si trovi a dover scontare solo pochi giorni di pena detentiva)». Emergerebbe, peraltro, una irragionevolezza “interna” alla stessa norma, apparendo arbitraria la soglia di due anni oltre la quale la rivalutazione diviene obbligatoria.

In secondo luogo, l’ordinanza in commento evidenzia come la sottoposizione a sorveglianza speciale in assenza di rivalutazione della pericolosità sociale implichi una violazione della libertà personale. Si osserva, in particolare, che l‘introduzione di una presunzione di permanenza della pericolosità sociale, nonché di perdurante e presunta sussistenza del presupposto legittimante l‘applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza – in assenza di una sua concreta ed attuale valutazione – si pone in contrasto con la citata previsione costituzionale laddove sancisce l’inviolabilità della libertà personale (l’incidenza della misura su questo diritto costituzionale, in effetti, è stata più volte affermata dalla Corte costituzionale: da ultimo, v. sent. n. 24 del 2019).

Infine, il giudice a quo condivide il rilievo difensivo secondo cui l‘introduzione di una soglia temporale rigida – coincidente con una detenzione protrattasi per un periodo di almeno due anni – al di sotto della quale non è mai necessario procedere alla rivalutazione della pericolosità sociale per applicare la misura di prevenzione personale equivale necessariamente a sostenere che in tale arco temporale l’espiazione della pena non possa aver sortito alcun effetto in termini di risocializzazione del condannato. Anche questo rilievo appare del tutto condivisibile, dal momento che non si può ritenere costituzionalmente legittima una previsione che presupponga l’assoluta ininfluenza di un periodo di detenzione, seppur relativamente breve, sulla probabilità di recidiva del condannato.

5. Conclusioni. L’ordinanza in commento, come si è visto, espone in maniera molto lineare e convincente i profili di illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2-ter, del d.lgs. n. 159/2011. L’argomentazione, in effetti, può giovarsi di quanto già affermato dalla Corte costituzionale nella più volte citata sentenza n. 291 del 2013, il cui dictum è stato recepito in maniera evidentemente insoddisfacente da parte del legislatore. L’accoglimento della questione di legittimità, allora, dovrebbe rappresentare una nuova tappa nel percorso di valorizzazione del giudizio di attualità della pericolosità sociale, il quale costituisce la chiave di volta della tenuta costituzionale delle misure di prevenzione, almeno quelle cui si pretende di attribuire una finalità effettivamente “preventiva”[3]. Quanto osservato, d’altra parte, non può che confermare le forti perplessità circa la qualificazione preventiva delle misure di prevenzione patrimoniali/ablative che tuttora viene riconosciuta in numerose pronunce giurisprudenziali, malgrado ormai da più di quindici anni l’attualità della pericolosità sociale del destinatario non figuri tra i presupposti delle medesime.

* Professore associato di diritto penale nell’Università di Parma

[1] Cfr. F. Mazzacuva, Sorveglianza speciale e detenzione di lunga durata: le sezioni unite escludono la rilevanza penale delle violazioni commesse prima dell’accertamento della persistenza della pericolosità, in Dir. pen. cont., 10 gennaio 2019.

[2] Trib. Napoli, Sez. misure di prevenzione, ord. 17 aprile 2018, in Dir. pen. cont., 26 settembre 2018, con nota di F. Mazzacuva, Sorveglianza speciale nei confronti di soggetto detenuto: nuove indicazioni dalla giurisprudenza in punto di attualità della pericolosità, in cui si conclude che, infatti, in caso di pena detentiva da scontare superiore a due anni, la valutazione di pericolosità sociale risulterebbe inutilmente data (“tamquam non esset”) dovendo essere di fatto ripetuta successivamente alla scarcerazione, il che risulterebbe contraddittorio con l’esigenza di accertare l’attualità della pericolosità del prevenuto. Ancora, si sottolinea come in tale ipotesi oggi si verificherebbe comunque quella soluzione di continuità che le Sezioni Unite avevano indicato come eventualità da scongiurare, venendosi infatti in ogni caso a creare un intervallo temporale in cui la misura rimane sospesa in attesa della rivalutazione della pericolosità.

[3] Condivide tale giudizio anche E. Zuffada, Sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e stato di detenzione: verso il definitivo superamento della presunzione di persistente pericolosità per chi ha espiato una pena detentiva inferiore ai due anni?, in Sist. pen., 3 maggio 2024, osservando come il legislatore abbia disatteso le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, ricorrendo ad una presunzione relativa di pericolosità «disarmonica rispetto all’evoluzione normativa e giurisprudenziale che si è registrata in tema di misure di sicurezza e, più di recente, di misure di prevenzione, evoluzione che ha registrato un progressivo affrancamento da ormai superati meccanismi presuntivi e automatismi applicativi e una decisa virata verso modelli di accertamento in concreto della pericolosità sociale».