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L’ACCESSO ALL’AFFIDAMENTO IN PROVA AI SERVIZI SOCIALI NELL’UNIONE EUROPEA ALLA LUCE DELLE RECENTI DIRETTIVE DEL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI VENEZIA – DI GIANMARCO BONDI

L’ACCESSO ALL’AFFIDAMENTO IN PROVA AI SERVIZI SOCIALI NELL’UNIONE EUROPEA ALLA LUCE DELLE RECENTI DIRETTIVE DEL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI VENEZIA – DI GIANMARCO BONDI

BONDI – L’ACCESSO ALL’AFFIDAMENTO IN PROVA AI SERVIZI SOCIALI NELL’UNIONE EUROPEA.PDF

L’ACCESSO ALL’AFFIDAMENTO IN PROVA AI SERVIZI SOCIALI NELL’UNIONE EUROPEA ALLA LUCE DELLE RECENTI DIRETTIVE DEL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI VENEZIA

ACCESS TO OFFENDER’S ASSIGNMENT TO THE PROBATION SERVICE IN THE EUROPEAN UNION IN THE LIGHT OF THE RECENT GUIDELINES OF THE PRESIDENT OF THE SUPERVISORY COURT OF VENICE

di Gianmarco Bondi*

1. Premesse. 2. La giurisprudenza della Corte di cassazione sull’affidamento in prova nell’UE. 3. Le Direttive del Presidente del Tribunale di sorveglianza: un passo avanti (pur con qualche riserva) nell’accesso all’esecuzione all’estero delle misure alternative. 4. Conclusioni.

Brevi note alle Direttive per l’istruttoria dei procedimenti collegiali relativi alle richieste di affidamento in prova da eseguirsi in Paesi UE ai sensi del D.Lvo n. 38/16 (che recepisce la Decisione Quadro 2008/947/GAI del Consiglio dell’Unione Europea) del Presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia, 15 novembre 2022, n. 1183 del 2022.

Short Commentary to the Guidelines for Investigations in Collegial Proceedings Concerning Requests for Offender’s assignment to the Probation Service to be Executed in EU Countries Pursuant to Legislative Decree No. 38/16 (transposing Framework Decision 2008/947/JHA of the Council of the European Union) of the President of the Supervisory Court of Venice, November 15, 2022, No. 1183.

  1. Premesse.

A distanza di 11 anni dalla scadenza dal termine per l’attuazione della d.q. 947 del 2008[1] e di 6 anni dalla entrata in vigore del d.lgs. 38 del 2016[2], a ciò precipuamente finalizzato, inizia a prendersi coscienza della possibilità di eseguire misure alternative alla detenzione in un Paese Membro dell’Unione europea diverso da quello di condanna. Indice di questa nuova tendenza è sicuramente il progressivo aumento delle pronunce della Corte di cassazione in proposito, che riflette, evidentemente, sia un maggior numero di richieste di applicazione di tale strumento normativo sia una complessità interpretativa dello stesso. In questo filone si inseriscono certamente le direttive di cui alla nota 1183 del 2022 del Presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia, che rappresentano un suggestivo segnale di vitalità dell’istituto della esecuzione nell’Unione europea quantomeno dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 ord. pen.[3] e costituiscono una circolare funzionale nel perimetrare i criteri guida del relativo iter procedimentale, invero piuttosto complicato.

  1. La giurisprudenza della Corte di cassazione sull’affidamento in prova nell’UE.

Prima di affrontare il contenuto del provvedimento presidenziale qui commentato (cui sono allegati la nota della Direzione Generale per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova del 15 aprile 2021 e un estratto del link della Biblioteca giuridica della Rete giudiziaria europea con l’elenco degli Stati aderenti alla data del 19 agosto 2021), pare utile svolgere alcune rapide considerazioni in ordine alla giurisprudenza della Suprema Corte sull’affidamento in prova in relazione al d.lgs. 38 del 2016.

A ben vedere, difetta nell’articolato tanto della d.q. 947 del 2008 quanto del d.lgs. 38 del 2016 qualsiasi menzione dell’affidamento in prova, nemmeno mediante riferimento a equivalenti di altre tradizioni giuridiche o in via indiretta o di rinvio. Sicché, non deve sorprendere un’iniziale ritrosia a far rientrare la disciplina dell’art. 47 ord. pen. nel novero degli istituti applicabili alla novella legislativa. Provvidenzialmente, però, la Corte di cassazione, attraverso una lettura estensiva della nozione di “sanzione sostitutiva”, inclusa nella lista delle previsioni suscettibili di esecuzione nei Paesi Membri dell’Unione europea nella normativa sia eurounitaria sia nazionale, ha ritenuto di sussumervi anche l’affidamento in prova, a partire dalla sentenza Leonardi[4]. In questa pronuncia, infatti, la Suprema Corte ha chiarito che occorre verificare l’avvenuto recepimento della d.q. 947 del 2008 nello Stato Membro dell’UE di destinazione e che chi propone istanza non è tenuto a formulare la richiesta prima della emissione della condanna. Le decisioni successive hanno meglio delineato i contorni della relativa procedura, con esiti più o meno apprezzabili. Infatti, da un lato, si è allargato l’ambito di utilizzabilità dell’istituto, ma, dall’altro, si sono aggiunti requisiti non nominati nei provvedimenti legislativi. Rispetto al primo rilievo, può menzionarsi la sentenza Mancinelli[5], nella quale la Corte di cassazione ha affermato l’inedito principio secondo il quale l’UEPE è tenuto, se necessario, a svolgere la propria inchiesta anche al di fuori dei confini nazionali. Quanto al secondo, può farsi riferimento alla sentenza Arrighi[6], nella quale la Suprema Corte ha preteso un indefinito dovere di collaborazione da parte dell’interessato in favore degli operatori del servizio sociale. Successivamente, la Corte di cassazione ha esplicitato e sviluppato il concetto di «onere informativo caratterizzato da particolare diligenza», escludendo che esso implichi l’obbligo per il richiedente di verificare l’esistenza di intese e protocolli con lo Stato estero, in quanto trattasi di controllo da esperire d’ufficio[7]. Parallelamente, ha ritenuto che tale impegno da parte dell’interessato possa ricomprendere il rendersi reperibile all’UEPE[8], il presentarsi presso tale ufficio a seguito di espressa convocazione[9], l’essere presente all’udienza innanzi al Tribunale di sorveglianza e la formulazione della corrispondente richiesta con congruo anticipato rispetto a tale data[10] e il fornire prova della propria residenza nel Paese Membro dell’Unione europea di esecuzione[11].

  1. Le Direttive del Presidente del Tribunale di sorveglianza: un passo avanti (pur con qualche riserva) nell’accesso all’esecuzione all’estero delle misure alternative.

Venendo al testo delle Direttive, le stesse sono strutturate in tre diversi gruppi di indicazioni attinenti expressis verbis ai soggetti che, a titolo e con responsabilità diversi, rivestono un ruolo nell’attività istruttoria relativa al procedimento di cui al d.lgs. 38 del 2016. Il primo si riferisce ai magistrati relatori, il secondo ai difensori, il terzo alla cancelleria e il quarto ai comandi provinciali dell’Arma dei Carabinieri.

Riguardo al primo, innanzitutto i giudici sono tenuti a verificare l’attuazione nel Paese di destinazione della d.q. 947 del 2008. In questo senso, evidente appare la ripresa delle statuizioni racchiuse nella giurisprudenza della Suprema Corte sopracitata. Inoltre, in ossequio alla normativa eurounitaria e nazionale, occorre che gli stessi si accertino della sussistenza della doppia incriminazione e della durata superiore ai sei mesi della pena da eseguire. Sotto tale profilo, risalta la “facoltizzazione” di entrambi i requisiti, come del resto sancito nei motivi di rifiuto del riconoscimento di cui al d.lgs. 38 del 2016. Deroga, questa, che è di certo condivisibile quanto alla presenza del limite temporale minimo poiché esso è di tutta evidenza riferito più a esigenze di efficienza burocratica che di tutela dei diritti. Ulteriormente, si richiede che l’udienza venga fissata secondo l’art. 678 co. 1 c.p.p., escludendo l’applicazione del relativo comma 1 ter c.p.p. Siffatto accorgimento pare ragionevole, attese le oggettive difficoltà che deriverebbero altrimenti, specie a fronte della instabilità della decisione provvisoria presa dal Magistrato di sorveglianza ivi trattata. Ancora, si esige di «verificare la prospettazione di una residenza legale e abituale o di un domicilio in un Paese UE». Su questa affermazione, in effetti piuttosto laconica, non ci si può esimere dall’esprimere delle riserve. Infatti, occorre che il collegio adito, nell’esaminare la richiesta di affidamento in prova, tenga conto di come il d.lgs. 38 del 2016 ammette esplicitamente l’opzione tra l’esecuzione presso un Paese Membro dell’Unione europea ove il richiedente abbia la residenza o la dimora abituale oppure, diversamente, presso uno ove egli abbia anche solo l’intenzione di trasferirvele. In quest’ultimo caso, poi, è imposto il consenso della Autorità preposta di detto Stato. Dunque, sarebbe auspicabile una prescrizione per quanto possibile più precisa dei presupposti di tale prova e, altresì, una valutazione ad hoc per l’eventualità della segnalazione di un Paese Membro dell’Unione europea ove ci si voglia insediare a questo scopo pro futuro. Da ultimo, è necessario avanzare una richiesta dettagliata di informazioni, concernenti anche persone e ditte all’estero. Tale sforzo di ricerca appare di sicuro valido e apprezzabile in quanto contribuisce all’ottenimento di una visione più globale della situazione individuale e sociale del condannato.

Rispetto al secondo, gli avvocati sono tenuti ad allegare determinati documenti e circostanze. Segnatamente, trattasi di quelli attinenti alla residenza, al titolo di soggiorno e al lavoro, unitamente a una traduzione asseverata. Laddove si sia in presenza di un cittadino italiano residente all’estero si richiede la sua iscrizione all’AIRE. Inoltre, occorre fornire contatti telefonici e indirizzo e-mail del condannato al fine di permettere l’istruttoria da remoto da parte gli operatori del servizio sociale, oltre a quelli di sue «persone di riferimento». Questa enumerazione di elementi presenta luci e ombre. Indubbiamente, si lascia apprezzare per l’affermazione della possibilità che l’UEPE possa condurre la propria attività anche da remoto ed extra-Italia, da un lato, giovandosi della implementazione degli applicativi digitali e, dall’altro, incontrando le nuove esigenze presenti nella società. Occorre rilevare, però, che sarebbe desiderabile una più minuziosa definizione della evenienza nella quale l’interessato abbia solo intenzione di risiedere o dimorare abitualmente in un altro Stato Membro dell’UE, come riportato poc’anzi. In questo senso, infatti, sarebbe utile offrire qualche ulteriore avvertenza, con riguardo ai difensori, relativamente alle loro attribuzioni in termini di istruttoria sulla fondatezza di siffatta domanda.

Quanto al terzo, i cancellieri sono tenuti, in aggiunta ai compiti già assegnati loro in via ordinaria, a inoltrate agli uffici competenti la richiesta di inchiesta sociale (con aggiunti i documenti e le circostanze allegati dagli avvocati), ad acquisire il certificato penale europeo del condannato e a trasmettere l’istanza ai comandi provinciali dei Carabinieri.

In relazione al quarto, le articolazioni territoriali dell’Arma dovranno, quindi, trasferire quanto ricevuto dalla cancelleria allo SCIP (Servizio per la cooperazione internazionale di polizia della Direzione centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza) per il successivo invio agli Esperti di Sicurezza dislocati presso le Ambasciate Italiane all’Estero, che a propria volta individueranno le polizie giudiziarie investite del compito di fornire informazioni nei rispettivi Paesi Membri dell’Unione europea. All’esito, dovranno comunicare ai cancellieri ciò che hanno ricevuto.

  1. Conclusioni.

In conclusione, le direttive di cui alla nota 1183 del 2022 si presentano come attentamente ricognitive di alcuni dei pronunciamenti di legittimità di cui sopra. In special modo, con esse si procedimentalizza la verifica in ordine tanto alla normativa di attuazione quanto alle strutture organizzative dello Stato Membro dell’UE di destinazione, condivisibilmente attribuendole per competenza all’ufficio e non reclamandole dal richiedente o dal suo difensore. Inoltre, si caratterizzano sia per alcune criticità sia per talune proposte interessanti, anche in prospettiva de jure condendo. Riguardo alle prime, non si esplicita in maniera chiara ed esaustiva l’iter per l’esecuzione della misura alternativa in un Paese Membro dell’Unione europea di elezione. Piuttosto, si può ipotizzare di inserire una duplice disposizione, l’una rivolta ai giudici, atta ad analizzare gli elementi a suffragio di detta iniziativa, e l’altra concernente i difensori, al fine di predisporre documentazione a sostegno. Rispetto alle seconde, assume notevole importanza l’ammissione e la disciplina dell’istruttoria da remoto da parte degli operatori del servizio sociale oltre che il coinvolgimento degli Esperti di Sicurezza incardinati presso le Ambasciate. Infatti, tale rilevante innovazione sarà foriera di ovvie ricadute positive in termini di rapidità e facilità dell’indagine e, quindi, di maggiore e migliore accesso all’affidamento in prova nell’Unione europea. Insomma, è cruciale evitare che l’«onere informativo caratterizzato da particolare diligenza» preteso nella giurisprudenza della Corte di cassazione si traduca nella prassi in un fardello eccessivamente gravoso per il condannato, con la conseguenza di privarlo di una pena pienamente ed effettivamente aderente al principio di tendenza rieducativa secondo l’art. 27 Cost. Le presenti Direttive paiono attenuare questo rischio, realizzando un bilanciamento tra esigenze di gestione delle pratiche e di protezione delle garanzie. In definitiva, non resta che auspicare l’emanazione di ulteriori circolari volte a regolamentare le altre misure alternative applicabili rientranti nella d.q. 947 del 2008 e nel d.lgs. 38 del 2016.

*Avvocato del Foro di Venezia. Dottorando di ricerca in Diritto dell’Unione europea e ordinamenti nazionali-curriculum di Diritto penale presso l’Università degli Studi di Ferrara.

[1] Cfr. G. McNally – I. Burke, Implementation of the Framework Decision on the Transfer of Probation Measures between States in the European Union, in EuroVista, 2, 2012, pp. 70-77 e D. O’Donovan, Transfer of Probation Supervision between Member States: An EU Initiative, in Irish Probation Journal, 1, 2009, pp. 77-90.

[2] Cfr. F.P.C. Iovino, Gli effetti del reciproco riconoscimento per l’esecuzione delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive, in Dir. pen. proc., 9, 2016, p. 1148 ss. e A. Maffeo, Recepita la decisione quadro 2008/947/GAI: il principio del reciproco riconoscimento esteso alle decisioni che impongono sanzioni sostitutive alla detenzione o la liberazione condizionale, in Eurojus.it, 3 aprile 2016, p. 1.

[3] Cfr. C. Palumbo, Esecuzione delle misure alternative alla detenzione nei Paesi dell’Unione europea: ora, forse, è possibile, in questa rivista, 4 gennaio 2023, pp. 1-16 e F. Fiorentin, L’esecuzione dell’affidamento in prova al servizio sociale nello spazio giuridico europeo, in ilpenalista.it, 26 gennaio 2022, p. 1.

[4] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 16 maggio 2018, n. 15091, in C.E.D. Cass. n. 275807.

[5] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 25 maggio 2020, n. 16942, in C.E.D. Cass. n. 279144.

[6] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 15 giugno 2020, n. 20977, in C.E.D. Cass. n. 279338.

[7] Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 2022, n. 14799, par. 2, n.m.

[8] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 1° aprile 2022, n. 18904, n.m.

[9] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 11 maggio 2022, n. 32935, n.m.

[10] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 30 giugno 2022, n. 48570, n.m.

[11] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 3 novembre 2022, n. 49292, n.m.