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LEGGENDO “ISPEZIONI DELLA TERRIBILITÀ. LEONARDO SCIASCIA E LA GIUSTIZIA” A CURA DI LORENZO ZILLETTI E SALVATORE SCUTO – DI GAETANO PECORELLA

LEGGENDO “ISPEZIONI DELLA TERRIBILITÀ. LEONARDO SCIASCIA E LA GIUSTIZIA” A CURA DI LORENZO ZILLETTI E SALVATORE SCUTO – DI GAETANO PECORELLA

PECORELLA – LEGGENDO “ISPEZIONI DELLA TERRIBILITÀ. LEONARDO SCIASCIA E LA GIUSTIZIA” A CURA DI LORENZO ZILLETTI E SALVATORE SCUTO.pdf

LEGGENDO “ISPEZIONI DELLA TERRIBILITÀ. LEONARDO SCIASCIA E LA GIUSTIZIA” A CURA DI LORENZO ZILLETTI E SALVATORE SCUTO

di Gaetano Pecorella 

Una breve ma passionata recensione del libro “Ispezioni della terribilità. Leonardo Sciascia e la Giustizia”, a cura di Lorenzo Zilletti e Salvatore Scuto.

Questo straordinario libro è sul pensiero di Leonardo Sciascia, ma va al di là di Leonardo Sciascia: è un libro sul dolore umano che sempre si collega all’amministrazione della giustizia, e, più in generale, all’esercizio del potere. È un libro su coloro che debbono giudicare, e anche sulla terribile responsabilità di decidere sulla sorte di un uomo; è un libro sui collaboratori che sono andati sostituendo le prove, sempre creduti, perché «il far nome di sodali, di complici è sempre stato dai giudici inteso come un passar dalla loro parte»; è un libro sulla pena di morte e su un “piccolo” giudice che ebbe la forza di opporsi, in epoca fascista, alla sua applicazione, nonostante la gravità dei reati; è un libro – come scrive Insolera – sul rapporto tra Verità e Potere, sul potere giudiziario privo di responsabilità; è un libro sulle miserie del sistema giudiziario, e sul “terribile” e pur “necessario” mestiere del giudicare; è, infine, un libro sull’errore giudiziario che si riassume nelle parole di Sciascia: «Per come va l’ingranaggio, potrebbero essere tutti innocenti».

A ben vedere tutto ciò non ha in sé nulla di nuovo, per lo meno a partire da Voltaire e dall’illuminismo, da Beccaria e dai fratelli Verri. Allora qual è, qual è stata, la grandezza di Sciascia che emerge dalle pagine delle “Ispezioni della terribilità”? La risposta che mi sento di dare è che Sciascia ha trasformato le parole dei giuristi, e i loro principi, in carne e sangue di coloro che hanno sofferto per la giustizia, per far prevalere la giustizia sulla prevaricazione e la violenza, e di coloro che sono stati vittime della ferocia dei giudici.

Il volume nasce dal felice incontro tra l’Associazione amici di Leonardo Sciascia e l’Unione delle Camere Penali, impegnate tra il settembre del 2020 e il giugno 2021 in una serie di feconde letture ‘sciasciane’, intitolate ala memoria del giornalista Massimo Bordin. Si parte dall’assunto che il volto feroce della giustizia non appartiene ad epoche remote, ma è realtà presente. Ogni capitolo si compone intorno a una frase lapidaria che spinge il lettore a riflettere e al contempo funge da traccia per i contributi contenuti nel volume.

«Terrificante è sempre stata l’amministrazione della giustizia, e dovunque. Specialmente quando fedi, credenze, superstizioni, ragion di Stato o ragion di fazione la dominano o vi si insinuano»: il passaggio che lascia ben poche speranze (incipit del VI Capitolo) è tratto da «La strega e il capitano», il libro del 1986, in cui Sciascia ricostruisce scrupolosamente la condanna al rogo di Caterina Medici (nel 1617 a Milano) fantesca nella casa del senatore e consultore della Santa Inquisizione Luigi Melzi, considerata responsabile dei suoi strani dolori di stomaco e per questo bruciata. La rievoca Salvatore Scuto ponendo la eterna questione del «rapporto tra il senso assoluto della giustizia e la realizzazione che di essa fanno le leggi». Il Senato e la Curia, afferma, non cercavano la verità ma piuttosto un mostro che si attagliasse alla figura dell’indemoniato e fungesse da monito per la popolazione.

L’idea base delle letture Bordin e del volume è questa: Sciascia è insieme “testo” e “pretesto”. Testo perché si commentano frasi sulla giustizia penale tolte dai suoi lavori di narrativa, frasi di efficacia straordinaria per la loro forza comunicativa. Pretesto, perché parlare di Sciascia è parlare di giustizia, quella intesa come potere, come macchina violenta che chiunque può stritolare nei suoi ingranaggi, con gli interventi di penalisti di pregio come Vincenzo Maiello, Paolo Ferrua, Emanuele Fragasso, Fausto Giunta, Carlo Guarneri, Daniele Negri, Giorgio Spangher, di costituzionalisti come Nicolò Zanon e Andrea Pugiotto; di magistrati come Antonio Bevere e Paolo Borgna; o di intellettuali d’altra cultura come Pietro Costa, Gianfranco Dioguardi, Marco Nicola Meletti, Salvatore Silvano Nigro, Ricciarda Ricorda, e infine degli avvocati Simona Viola e Roberto Fabio Tricoli.

Paolo Borgna ragiona su una frase de il “Contesto”, romanzo sull’errore del giudicare, in cui un personaggio dice: “Sì, ero innocente. Ma che vuol dire essere innocente, quando si cade nell’ingranaggio? Niente vuol dire, glielo assicuro”.

Sciascia, per Vincenzo Maiello, ha il merito di introdurre nel lessico civile vocaboli e concetti che identificano un paradigma di giustizia penale conforme allo Stato di diritto, costruito sulla inviolabilità dei diritti umani.

Paolo Ferrua muove dall’affermazione di Sciascia: «Il potere di giudicare i propri simili non può e non deve essere vissuto come potere», per poi ricostruire la lenta, ma costante distruzione del processo accusatorio da parte dei giudici per riacquisire tutto quel potere che era stato sostituito dalla logica della ragione e dalla dialettica.

Emanuele Fragasso ricorda, a conclusione del suo intervento, le parole con cui si chiude “Porte aperte”: «sono parole di incoraggiamento verso l’uomo, a condizione che questi sia risoluto a combattere per la sua libertà e per l’umanità che è presente in ogni uomo».

Sempre traendo spunto da “Porte aperte” Daniele Negri trae da Sciascia questa conclusione: «chi uccide, non importa se applicando la legge, è ‘morto’ moralmente perché ha perduto la dignità di uomo».

Ogni intervento meriterebbe di essere ricordato ben più ampiamente di quanto si è fatto sin ora: tuttavia, ognuno di essi è talmente ricco di riflessioni, di citazioni di Sciascia, di osservazioni giuridiche e non giuridiche, che appare un’opera impossibile.

In chiusura vorrei toccare un aspetto di Sciascia che mi ha particolarmente colpito. Gli scritti contenuti in questo libro danno anche un quadro delle contraddizioni, forse irrisolvibili, che animano il mondo della giustizia. Sciascia ha con sapienza, e partecipazione, investigato: ma la realtà è talmente complessa che alcune domande sono rimaste senza risposta, perché nel difendere un principio si finisce per oscurarne, o sottovalutarne un altro. Anche in questo sta la grandezza di Sciascia: non ci ha presentato una soluzione di tutti i problemi, un mondo della giustizia perfetto, nel quale si trova sempre una risposta giusta. Sciascia ha lasciato, a chi lo avrebbe letto, una eredità di grandi dubbi, di nodi inestricabili: ne cito alcuni.

Il rapporto tra la giustizia e il popolo. Talora Sciascia ha scritto, e gli autori lo hanno ripreso, che il popolo deve vigilare su come i giudici amministrano il loro potere; talaltra, ha individuato nella ricerca del consenso popolare gli eccessi di non pochi magistrati. Ciò è accaduto in passato, e accade oggi: le esecuzioni pubbliche appagavano il “bisogno” di giustizia del popolo e, nello stesso tempo rafforzavano il potere dei governanti e dei giudici; “mani pulite” ha reso le Procure dei soggetti politici, ha creato un consenso popolare dando ai magistrati un ruolo di “difensori dell’onestà”, a prescindere dalla colpevolezza degli imputati.

Il rapporto tra la democrazia e i giudici. La democrazia riconduce il potere al popolo, ma il magistrato deve essere indipendente. Da cosa trae allora la legittimazione a decidere della libertà, e della vita dei cittadini?

Il rapporto tra giustizia e legge scritta. Sciascia censura quei giudici che si fanno essi stessi creatori del diritto piegando le norme ai propri fini. Nello stesso tempo, però, descrive il giudice di Porte Aperte come un uomo che ha forzato la legge per non applicarla, visto che in quel caso prevedeva la pena di morte. In quali casi il giudice può piegare la legge alla sua coscienza?

Infine, un’ultima domanda: c’è un mezzo per avere una giustizia meno crudele, o la giustizia per governare non può essere diversa da ciò che è? Sciascia non lo dice, ma con la sua lotta per il diritto ha testimoniato che conta soltanto continuare a credere che sia possibile.