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IL DIES A QUO DEL TERMINE DI IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA PENALE – DI DOMENICO VOLPI

IL DIES A QUO DEL TERMINE DI IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA PENALE – DI DOMENICO VOLPI

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IL DIES A QUO DEL TERMINE DI IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA PENALE

THE DAY OF COMMENCEMENT OF THE TERM OF APPEAL OF THE CRIMINAL SENTENCE

di Domenico Volpi*

Cass. Pen., Sez. V, 17 settembre 2021 (dep. 3 novembre 2021), n. 39518, Pres. Pezzullo, Rel. Belmonte, Faglioni.

Diritto processuale penale – Impugnazione – termine – dies a quo – decorrenza – giorno successivo alla data del deposito.

(artt. 172, co. 4, 544, 585 c.p.p.)

Il termine per il deposito dell’impugnazione inizia a decorrere dal giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza, o comunque, dalla legge, in virtù del principio generale ex art. 172, co. 4, c.p.p.”[1]

“Implicazioni pratiche e teoriche sull’individuazione del dies a quo del termine di impugnazione della sentenza penale, causate dalla presenza, in giurisprudenza, di due orientamenti contrastanti: un orientamento maggioritario, che sostiene che il termine per la presentazione del ricorso decorre dal giorno successivo alla scadenza del termine stabilito per il deposito della sentenza, o comunque dalla legge; un orientamento assolutamente minoritario il quale sostiene che nel termine per impugnare debba essere compreso anche il giorno in cui è stata depositata la sentenza”

Practical and theoretical implications regarding the identification of the day of commencement of the term to appeal the provision issued by the criminal judge, caused by the presence, in jurisprudence, of two conflicting orientations: on one side, the majority orientation which claims that the term to present the appeal begins to run from the day after the expiry of the term established for the sentence’s deposit, or in any case, by law; on the other side, an absolutely minority orientation maintains that, in the term to appeal, the day on which the sentence was deposited must also be included”

Sommario: 1. L’individuazione del dies a quo del termine di impugnazione della sentenza. – 2. Il richiamo all’orientamento delle Sezioni Unite n. 155 del 2011; – 3. Rilievi critici.

1. L’individuazione del dies a quo del termine di impugnazione della sentenza – In materia di impugnazione, la questione relativa all’individuazione del termine per poter ricorrere avverso le decisioni emesse dall’autorità giudiziaria penale è di fondamentale importanza, in ragione dei risvolti pratici che la stessa riveste, primo fra tutti la declaratoria di inammissibilità nell’eventualità in cui l’impugnazione venga presentata oltre il termine “perentorio” per la proposizione della stessa, con conseguente passaggio in giudicato del provvedimento.

La disciplina di riferimento viene dettata dall’art. 585 c.p.p. Senza voler entrare nel dettaglio delle numerose ipotesi ivi descritte, la stessa – stante la sua complessità, ma soprattutto la sua genericità nell’esplicazione di taluni aspetti fondamentali relativi ai termini di impugnazione – ha generato una vera e propria  “vertigine aritmetca” [2] in cui l’operatore del diritto, e in particolar modo l’avvocato, deve districarsi onde evitare di incorrere nella decadenza prevista al comma 5 del suddetto articolo.

Tale situazione ha generato non pochi problemi interpretativi soprattutto nell’ambito della individuazione, per talune ipotesi, del dies a quo del termine di impugnazione. L’art. 585, co. 2, c.p.p. si limita, infatti, ad individuare il momento e/o l’attività dalla quale cominciano a decorrere i termini di impugnazione, senza operare, però, un diretto rinvio all’art. 172, co. 4, c.p.p.; norma che, come è noto, prevede: “salvo che la legge disponga altrimenti, nel termine non si computa l’ora o il giorno in cui ne è iniziata la decorrenza”. Tuttavia, anche in assenza di un esplicito rinvio, avendo l’art. 172 c.p.p. carattere generale, lo stesso dovrebbe trovare applicazione anche nell’ambito dei termini di impugnazione.

La mancanza di un dato normativo espresso, tuttavia, sembra aver propiziato, in seno alla giurisprudenza di merito, un orientamento assolutamente minoritario, secondo cui sarebbe tardiva l’impugnazione presentata senza computare il giorno in cui è iniziata la decorrenza.

Cavalcando il “dubbio” interpretativo, alcuni giudici e corti di merito, richiamando l’orientamento minoritario, hanno dichiarato l’inammissibilità delle impugnazioni per tardività nella proposizione del gravame, in palese violazione degli artt. 172, co. 4, e 585, co. 1 e 2, c.p.p.

Il “sospetto” è che tale indirizzo, conducente alla inammissibilità dell’impugnazione, tragga sollecitazione dalla esigenza di deflazionare il carico pendente sugli ormai oberati ruoli[3]; ma forse, si può ipotizzare, un po’ provocatoriamente, anche un’ottica punitiva nei confronti di quelle parti che tendono ad impugnare i provvedimenti proprio l’ultimo giorno utile per la proposizione del gravame, talvolta a scopo dilatorio.

Nel caso di cui si occupa la sentenza in commento, la Corte di cassazione viene chiamata a decidere sulla legittimità della sentenza emessa dal Tribunale di Modena in funzione di giudice di appello. In particolare, il Tribunale aveva dichiarato inammissibile, per tardività, l’appello proposto avverso la sentenza del Giudice di Pace di Modena, pronunziata il 12 giugno 2018, con motivazione depositata il 30 ottobre 2018, oltre il termine di 15 giorni di cui all’art. 544 co. 2 c.p.p., e con notifica della comunicazione di avvenuto deposito effettuata al difensore a mezzo PEC in data 31 ottobre 2018. Ai sensi dell’art. 585, co. 1, lett. b) c.p.p., il termine per l’impugnazione della sentenza del giudice di pace (30 giorni) sarebbe dovuto spirare in data 30 novembre 2018 e l’appello veniva depositato proprio in pari data. Tuttavia, il Tribunale di Modena pronunziava declaratoria di inammissibilità, decretando la tardività dell’appello, in quanto – secondo l’esegesi adottata – nel computo del termine di impugnazione, il dies a quo sarebbe iniziato a decorrere dal giorno della notifica dell’avvenuto deposito della sentenza del Giudice di pace e non da quello successivo, così disapplicando la regola generale compendiata dal noto brocardo dies a quo non computatur in termine. Dunque, per il Tribunale il termine di impugnazione sarebbe spirato in data 29 novembre 2018.

I giudici di legittimità, invece, rilevando la palese violazione degli artt. 172, co. 4, e 585, co. 2, c.p.p. hanno annullato la sentenza e rinviato gli atti al giudice di merito, affermando altresì il principio secondo cui il termine per il deposito dell’impugnazione inizia a decorrere dal giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza, o comunque, dalla legge, in virtù del principio generale sancito dall’art. 172, co. 4, c.p.p.

2. Il richiamo all’orientamento delle Sezioni Unite n. 155 del 2011 – Più nello specifico, il Tribunale di Modena, a sostegno della propria decisione, aveva richiamato due decisioni emesse dalla stessa Corte di cassazione, con le quali i giudici di legittimità sostengono un orientamento diametralmente opposto rispetto a quello richiamato nella sentenza che si annota.

La prima sentenza che viene richiamata dal Giudice di merito è la sentenza n. 17416 del 2016, Di Eugenio[4]. Anche in tale occasione, il Supremo Consesso era stato chiamato a decidere sulla legittimità di una sentenza emessa dalla Corte di appello de L’Aquila che dichiarava inammissibile l’appello in quanto presentato successivamente allo spirare dei termini di impugnazione. Secondo il ricorrente, la Corte di appello, dichiarando l’inammissibilità per tardività della proposizione del gravame, avrebbe violato gli artt. 172, co. 4, e 585, co. 2, c.p.p. La Corte di cassazione, tuttavia, rigettava il ricorso, sostenendo che il Giudice di seconde cure aveva correttamente calcolato il termine per la presentazione dell’appello. In particolare, avendo il Tribunale fissato il termine per il deposito della sentenza in un giorno festivo, ai sensi dell’art. 172, co. 3, c.p.p., la sua proroga al giorno successivo non festivo coinvolge anche la decorrenza del termine iniziale per l’impugnazione[5].

A sostegno della propria decisione, la Corte richiamava il principio stabilito dalle Sezioni Unite Rossi e altri, secondo cui: “Nelle ipotesi in cui è previsto, come nell’art. 585, comma secondo, lett. c), c.p.p., che il termine assegnato per il compimento di un’attività processuale decorra dalla scadenza del termine assegnato per altra attività processuale, la proroga di diritto del giorno festivo – in cui il precedente termine venga a cadere – al primo giorno successivo non festivo, determina altresì lo spostamento della decorrenza del termine successivo con esso coincidente[6]. Ragion per cui, nel caso che si sottoponeva alla sua attenzione, anche il termine di impugnazione sarebbe cominciato a decorrere dal primo giorno successivo al primo termine cadente in giorno festivo (ex art. 172, co. 3, c.p.p.), e non già, invece, al giorno successivo a quest’ultimo.

La Corte, però, non si limita a richiamare l’autorevole precedente delle Sezioni Unite, ma sostiene che l’art. 585, co. 2, lett. c), c.p.p. rappresenterebbe una deroga all’art. 172, co. 4, c.p.p. Secondo i giudici di legittimità, l’art. 172, co. 4, c.p.p. prevede testualmente che «salvo che la legge disponga altrimenti, nel termine non si computa l’ora o il giorno in cui ne è iniziata la decorrenza…», andando a fissare, in tal modo, una regola generale suscettibile tuttavia di essere derogata laddove il legislatore preveda diversamente. Nel momento in cui l’art. 585, comma 2, lett. c), c.p.p. individua, testualmente, la decorrenza «dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza», il legislatore avrebbe specificamente individuato il momento esatto da cui comincia a decorrere il termine dell’impugnazione, in deroga alla regola generale di cui all’art. 172 c.p.p.[7].

La seconda pronuncia di legittimità richiamata dal Tribunale di Modena è rappresentata dalla più recente sentenza Evangelisti[8]. Con tale pronuncia, i giudici di legittimità rigettavano il ricorso presentato dal Procuratore Generale, avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, con la quale veniva dichiarato inammissibile l’appello del Pubblico Ministero in quanto tardivo. In particolare, il Supremo Consesso, facendo propri i principi appena descritti e richiamando il suo precedente del 2016, sostiene che l’art. 585, co. 2, lett. c), c.p.p. rientri nella clausola di esclusione all’art. 172, co. 4, c.p.p., primo periodo, dovendo prendersi in considerazione, dunque, come dies a quo, il giorno del deposito o della notifica dell’avvenuto deposito della sentenza.

Inoltre, sempre richiamando le Sezioni Unite Rossi del 2011, sostiene che il dies a quo del termine per impugnare decorrerebbe, ex art. 585, comma 2, lett. c), c.p.p., dal dies ad quem per il deposito della motivazione della sentenza, con il logico corollario che, ove questo venga a cadere in un giorno festivo, deve essere di diritto prorogato, laddove, non ricorrendo ipotesi di sospensione diversamente operanti per i due termini, la decorrenza dell’inizio dell’uno dalla fine dell’altro equivale, secondo il calendario comune, alla coincidenza del giorno d’inizio con il giorno di fine.

Per conseguenza, come precisato anche nella richiamata pronunzia delle Sezioni Unite, «se il giorno finale del primo termine è festivo, esso è prorogato al primo giorno immediatamente successivo non festivo e da tale giorno non festivo decorre il secondo termine: non perché il giorno festivo non sarebbe calcolabile quale giorno iniziale di decorrenza, ma semplicemente perché il giorno iniziale di decorrenza del secondo termine coincide con quello in cui cade il primo termine, sicché la proroga di diritto del primo comporta lo spostamento dell’inizio della decorrenza del secondo».

3. Rilievi critici – Il richiamo al precedente giurisprudenziale da parte del Tribunale di Modena appare errato sotto più e diversi profili. Prescindendo dalla circostanza che l’applicazione, da parte del giudice di merito, del principio elaborato dalla Sezioni Unite Rossi del 2011, appare del tutto inconferente, atteso che tale pronuncia concerneva il diverso caso dei c.d. “termini a catena”. Le Sezioni Unite si limitano a rispondere al quesito relativo all’individuazione del dies a quo del termine per impugnare, allorché lo stesso coincida con il dies ad quem del termine stabilito, dalla legge o dal giudice, per il deposito della sentenza, ma non hanno mai stabilito che l’art. 585, co. 2, lett. c) c.p.p. rappresenta una deroga all’art. 172, co. 4, c.p.p., anzi, quest’ultimo comma, non viene mai richiamato nel testo della sentenza[9].

Dunque, si rende necessario, da un lato, sottolineare le ragioni per le quali è sbagliato ritenere che l’art. 585, co. 2, lett. c), c.p.p. rientri nella clausola di esclusione (“salvo che la legge disponga altrimenti”) di cui all’art. 172, co. 4, c.p.p.; dall’altro, bisogna mettere in evidenza che la suddetta interpretazione della norma porterebbe a delle conseguenze aberranti sotto il profilo pratico, relativo non solo ad una illegittima compressione del diritto di difesa, ma anche ad una palese violazione del principio del favor impugnationis.

Da un punto di vista strettamente pratico, l’affermazione di una tale regola comporterebbe una sostanziale riduzione del tempo a disposizione delle parti per poter elaborare l’atto con cui impugnare il provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria. Con la pronuncia in commento, la Cassazione, infatti, dichiara che il dies a quo del termine per impugnare la sentenza comincia a decorrere dal giorno successivo al termine stabilito per il deposito della sentenza o dalla notifica dell’avviso di deposito (anziché dal giorno stesso). La diversa soluzione, richiamata dal Tribunale di Modena, farebbe, dunque, perdere un giorno alle parti per poter presentare l’impugnazione, con buona pace del diritto di difesa.

Più nello specifico, guardando alle prassi dei vari uffici giudiziari, l’applicazione di una tale tesi comporterebbe una illecita compressione del diritto di difesa. Si pensi al caso in cui il giudice depositi il provvedimento il pomeriggio dell’ultimo giorno utile rispetto al termine di legge o da lui fissato[10], quando gli uffici sono chiusi al pubblico. In tal caso, le parti riusciranno ad avere cognizione del contenuto dell’atto solo il giorno successivo, quando il termine per impugnare è già cominciato a decorrere da un giorno. Il rischio è che dunque il termine di impugnazione cominci a decorrere quando le parti si trovino nella oggettiva impossibilità di prendere contezza dell’atto per il quale la legge riconosce loro il diritto di impugnazione[11].

Il secondo profilo di censura riguarda l’interpretazione dell’art. 172, co. 4, c.p.p. e della clausola di esclusione ivi contenuta. Sostenendo la tesi secondo cui il termine di impugnazione debba cominciare a decorrere dal giorno della scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito, o dal giorno della notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito, si appalesa una chiara violazione di uno dei principi fondanti del nostro sistema processuale, ovvero il principio del favor impugnationis, da intendersi come «ineludibile canone interpretativo delle norme che sacrificano l’interesse pubblico (non solo del singolo, ma prima di tutto) alla giustizia sostanziale della decisione penale a favore dell’esigenza di certezza del diritto, ossia di relativa economicità e tempestività dell’intervento giurisdizionale»[12].

Una corretta applicazione del principio del favor impugnationis impone al giudice di interpretare le norme in materia di impugnazione in senso estensivo, in modo tale da assicurare sempre, nell’assenza di un dettato normativo esplicito, l’ammissibilità del mezzo di gravame, garantendo, dunque, la possibilità per le parti di far valere le proprie ragioni dinanzi ad un giudice superiore. Il Tribunale di Modena, in ossequio a tale principio, avrebbe dovuto preferire l’interpretazione della norma che garantisce un maggiore spazio al diritto all’impugnazione, e applicare l’orientamento, ampliamente maggioritario, secondo cui il termine per il deposito dell’impugnazione inizia a decorrere dal giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza ex art. 172, co. 4 c.p.p., e non quell’orientamento secondo cui nel termine di impugnazione dovrebbe essere computato anche il dies a quo iniziale.

La sentenza del Tribunale di Modena, invece, pare proprio inserirsi in quel che è divenuto un costante flusso di norme e di interpretazioni giurisprudenziali che hanno avviato una sempre più incisiva azione di offuscamento del suddetto principio, onde favorire l’efficientismo giudiziario[13]. Logica conseguenza di tale impostazione è la compromissione del diritto dell’interessato alla correzione di eventuali errori giudiziari. Inoltre, al tempo stesso, appalesa l’ombra della violazione del principio di uguaglianza sancita dall’art. 3 della Costituzione. L’interpretazione delle norme in esame, dalla quale deriva la declaratoria che preclude l’accesso ai successivi gradi di giudizio, viene rimessa alla sensibilità del singolo giudice, il che potrebbe portare a decidere in modo diverso casi analoghi, generando una situazione di incertezza, ma soprattutto di diseguaglianza. Tale situazione è da considerarsi come conseguenza della presenza dei due orientamenti esaminati: sebbene quello “restrittivo” sia assolutamente minoritario, sta di fatto che, in qualche caso giudiziario, è stato seguito dal giudice di merito e poi avallato da quello di legittimità, causando disparità e rischiando di favorire una certa confusione interpretativa.

Tra l’altro, recentemente, il Supremo Consesso è stato nuovamente chiamato ad esprimersi in ordine all’individuazione del dies a quo da cui decorre il termine per impugnare la sentenza, qualora la motivazione non sia contestuale alla pronuncia del dispositivo. I giudici di legittimità hanno così ribadito l’orientamento maggioritario, in base al quale, ai fini della tempestività della proposizione dell’impugnazione nel caso di imputato presente al dibattimento e di sentenza con riserva di deposito della motivazione, il termine per il deposito del gravame inizia a decorrere dal primo giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza, in virtù del principio generale di cui all’art. 172, co. 4, c.p.p.

La Corte, dando atto della presenza dell’orientamento minoritario, ne evidenzia l’errata impostazione, nata da una erronea lettura dell’art. 585, co. 2, lett. c) c.p.p. Si osserva che la disciplina contenuta all’art. 585 c.p.p. è volta a consentire alle parti di conoscere preventivamente il dies a quo di decorrenza del termine per l’impugnazione, che è predeterminato per legge. Può, pertanto, ritenersi che il significato del sintagma contenuto alla lettera c) del secondo comma, sia correlato esclusivamente a tale scopo e non alla individuazione di una regola di computo del termine per l’impugnazione che comprenda anche il giorno inziale. In assenza di una espressa deroga alla regola di computo del termine indicata all’art. 172, co. 4, c.p.p., deve, dunque, affermarsi che il dies a quo del termine per l’impugnazione va individuato nel giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza, così come, in virtù del medesimo principio, il termine per il deposito della motivazione della sentenza inizia a decorrere dal giorno successivo a quello della lettura del dispositivo[14].

Bisogna augurarsi, dunque, che l’orientamento minoritario abbia già esaurito la sua vitalità, specie a seguito di un intervento così perentorio come quello che si annota. Se così non fosse, qualora dovessero registrarsi ulteriori pronunce inserite nel solco dell’orientamento minoritario, sarebbe auspicabile un intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione volto a sciogliere qualsiasi dubbio interpretativo, onde uniformare l’applicazione e l’interpretazione della normativa in materia di termini di impugnazione.

In ogni caso, quand’anche l’orientamento minoritario dovesse rimanere confinato ai soli due precedenti giudiziari richiamati dal Tribunale di Modena, ci si dovrebbe rammaricare comunque di come lo stesso abbia generato un grave pregiudizio a due cittadini, ai quali è stato precluso l’accesso al grado di giudizio successivo e gli è stata negata la possibilità di vedere la res iudicanda esaminata nuovamente nel merito.

*Avvocato del Foro di Napoli

[1] Massima a cura dell’Autore.

[2] F. Cordero, Procedura penale, Giuffré, 2012, pag. 1112.

[3] Lo scopo di limitare l’accesso alla fase delle impugnazioni viene perseguito con la piena consapevolezza, da parte dei giudici, della inefficienza della giustizia penale. Inefficienza che viene agevolata proprio dalla proposizione di impugnazioni dilatorie e pretestuose, da stroncare sul nascere avvalendosi di “un’arma fin troppo affilata”, ovvero l’inammissibilità. Così, O. Mazza, La nuova cultura dell’inammissibilità fra paradossi e finzioni legislative, in Cass. Pen., 2017, p. 3473. Il fenomeno della dilatazione dei limiti di accesso al giudice dell’impugnazione, con lo scopo di bloccare l’assedio delle Corti (auto)considerate vittime di un costante ed abusivo uso improprio delle domande di controllo, è stato sempre di matrice consuetudinaria. Si può ricordare, come esempio, l’introduzione dello specifico procedimento finalizzato a dichiarare l’inammissibilità del ricorso per Cassazione e la creazione della Sezione apposita per selezionare – e cestinare – i ricorsi, generato dalla Corte tramite iniziali interventi e documenti interni. Così, N. La Rocca, Inammissibilità cedevole e favor impugnationis offuscato, in Arch. Pen., n. 3, pag. 3.

[4] Cass., Sez. III, 23 febbraio 2016, n. 17416, Di Eugenio, in C.E.D. Cass. n. 266982.

[5] In data 4 ottobre 2011 il Tribunale di Teramo pronunciava sentenza di condanna della ricorrente, fissando il termine di giorni settantacinque per il deposito della motivazione, ai sensi dell’art. 544, co. 3, c.p.p. (18 dicembre 2011, domenica, prorogato ex art. 172, co. 3, c.p.p., al 19 dicembre 2011, primo giorno non festivo). Nel caso di specie, ritiene il Collegio che il termine di impugnazione abbia preso a decorrere dal 19 dicembre 2011, perché lo spostamento della scadenza del termine finale per il deposito della sentenza al primo giorno immediatamente non festivo coinvolge anche la decorrenza del termine iniziale per l’impugnazione, non trovando applicazione la regola in base alla quale il dies a quo non va computato nel calcolo. Secondo la Corte, dunque, il termine per l’impugnazione, di giorni quarantacinque, cadeva in data 1° febbraio 2012 e non già il 2 febbraio 2012 come, invece, sostenuto dalla ricorrente.

[6] Cass., SS.UU., 29 settembre 2011, dep. 10 gennaio 2012, n. 155, Rossi e altri, in C.E.D. Cass. n. 251497.

[7] In particolare, la Corte di cassazione veniva chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato avverso la sentenza di inammissibilità dell’appello emessa dalla Corte di appello de L’Aquila. I giudici di legittimità, dichiarando l’infondatezza del ricorso, dapprima premettono che, in ragione della circostanza che il termine per il deposito della sentenza emessa dal Tribunale, fissato dal Giudice in giorni quarantacinque, decadeva in un giorno festivo, lo stesso deve essere prorogato al primo giorno utile non festivo. Dopodiché, nell’individuare il dies a quo di decorrenza del termine di quarantacinque giorni per l’impugnazione della sentenza, la Corte ritiene che tale giorno debba essere individuato nel medesimo in cui scadeva il termine per il deposito della sentenza, in primo luogo perché lo spostamento della scadenza del termine finale per il deposito della sentenza al primo giorno immediatamente non festivo coinvolge anche la decorrenza del termine iniziale per l’impugnazione ed in secondo luogo perché, nella specie, non trova alcuna applicazione la regola in base alla quale il dies a quo non va computato nel calcolo. Ma vi è di più, la Corte di Cassazione richiama anche due precedenti contrari, in cui i giudici di legittimità si sono determinati nel senso di ritenere che il termine per il deposito del gravame inizi a decorrere dal giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza (Sez. III, 8 novembre 2007, dep. 2008, n. 1191, Di Camillo ed altri, in C.E.D. Cass. n. 239272; Cass., Sez. III, 13 febbraio 2003, n. 11499, Di Paola, in C.E.D. Cass. n. 223927), ritenendo però che, da un lato, entrambe le pronunce, oltre ad essere antecedenti all’arresto delle Sezioni unite Rossi e altri del 2011; dall’altro, appaiono giustificare detta conclusione non ritenendo di individuare alcuna disciplina derogatoria alla previsione generale dell’art. 172 c.p.p. nella previsione dell’art. 544, co. 2 e 3, c.p.p. senza tuttavia considerare che la disciplina di riferimento avrebbe dovuto essere non già l’art. 544 c.p.p. dedicato al termine per il deposito della sentenza (e per il quale, come detto sopra, trova piena applicazione in effetti la regola generale dell’art. 172, comma 4, c.p.p.), ma, appunto, l’art. 585 c.p.p., dedicato al termine per l’impugnazione.

[8] Cass., Sez. VI, 18 luglio 2019, n. 51126, Evangelisti, in C.E.D. Cass. n. 278192.

[9] «A tal punto appare necessario esaminare direttamente la pronuncia delle Sezioni Unite (Cass.,  SS.UU., 29 settembre 2011, n. 155, cit.). Orbene dalla lettura della motivazione si coglie che l’intervento delle stesse è stato invocato per dirimere la questione se la regola, a mente della quale il termine che scade in un giorno festivo è prorogato al successivo non festivo, operi anche rispetto ad un termine iniziale, quale quello per impugnare la sentenza, sebbene ciò non sia previsto dall’art. 172 codice di rito. Quanto sopra consente di cogliere il vero focus dell’intervento delle Sezioni Unite e, per quel che qui rileva, la reale portata della loro affermazione citata nella recente sentenza, secondo cui il giorno iniziale del secondo termine (id est quello per impugnare) coincide con quello in cui cade il primo termine (ovvero quello del deposito). In altri termini il combinato disposto degli articoli 172, 544 e 585 c.p.p. fa sì che anche il termine inziale che cada in un giorno festivo debba intendersi prorogato». Così, D. Livreri, Decorrenza del dies a quo per proporre gravame. Incertezze giurisprudenziali, in Il penalista, 7 ottobre 2019.

[10] Ma le medesime considerazioni possono essere fatte anche nel caso di deposito fuori termine, in cui la cancelleria provvede alla notifica dell’avviso di deposito del provvedimento, negli orari in cui la stessa non è aperta al pubblico. Circostanza assolutamente plausibile, atteso che la legge distingue espressamente l’apertura al pubblico dal funzionamento interno dell’ufficio, A. Giarda, Termine (dir. proc. pen.), EdD, XLIV, Milano, 1992, pag. 252. Le cancellerie possono infatti svolgere tali attività anche al di fuori degli orari in cui le parti vi possono accedere. Così come anche i giudici possono depositare i loro provvedimenti al di fuori degli orari di apertura al pubblico. Tale regola appare diretta ad affrancare il giudice da incombenze ed oneri di mero rilievo organizzativo, V. Grevi, Scadenza del termine per la decisione da parte del tribunale del riesame e orario di chiusura negli uffici giudiziari, in Cass. Pen., 1995, pag. 2612; «Difatti, quando il dies a quo viene individuato nella notifica dell’avviso di deposito della sentenza, l’imputato, in quel momento, non prende cognizione del contenuto della pronuncia, ma deve attivarsi personalmente per conoscere le ragioni sui cui fonda la decisione, chiedendo una copia della sentenza presso la cancelleria del giudice che ha deciso. Sicché, il termine per proporre gravame potrebbe, in concreto, divenire più breve rispetto a quello previsto dall’art. 585 c.p.p., dipendendo dal giorno in cui l’imputato è entrato in possesso del documento cartaceo». Così, B. Nacar, I termini e la ragionevole durata del processo penale, Giappichelli, 2012, pag. 303.

[11] « Ed allora, in conclusione, se il diritto di impugnazione rappresenta una forma di estrinsecazione del diritto di difesa, non sembra compatibile con la Carta costituzionale (art. 24 Cost.), far dipendere il suo concreto esercizio, da situazioni così incerte che, in alcuni casi, non garantiscono la reale conoscenza del deposito del provvedimento da impugnare, in altre, non pongono immediatamente l’interessato in condizione di apprendere i motivi su cui fonda la decisione». B. Nacar, I termini e la ragionevole durata del processo penale, cit., pag. 305.

[12] «L’idea che sembra dominare la logica dell’irrigidimento dei requisiti formali dell’atto è che valga in materia una presunzione di strumentalità dell’iniziativa impugnatoria della parte, ri­spetto alla quale il favor impugnationis non è altro che un segno della decadenza dei “costumi” processuali, un sintomo dell’atteggiamento colpevolmente lassista del giudice che ammette controlli non dovuti, ritardando l’esecuzione della sentenza. Un’idea tanto discutibile sul versante esegetico, quanto pericolosa nella prospettiva de iure condendo. [..] La necessità di trovare tra le due istanze un ragionevole punto di equilibrio, se per un verso giustifica le regole restrittive (dal numero limitato dei controlli al contingentamento dei tempi per attivarli, dalla disponibilità dei mezzi per i soli interessati, alla devoluzione oggettiva con le sue eccezioni, dalla imposizione di requisiti oggettivi, soggettivi, modali alla previsione, appunto, di caratteristiche formali), allo stesso tempo esige che quel bilanciamento sia da un lato, riservato alla sola previsione di legge, in nessun caso espansibile in via interpretativa e, dall’altro, appunto, ragionevole ». Così, M. Ceresa Gastaldo, La riforma dell’appello, tra malinteso garantismo e spinte deflattive, in Dir. pen. cont., 2017, n. 3.

[13] Ormai da qualche tempo si assiste alla considerevole dilatazione dei casi di inammissibilità delle impugnazioni, dovuta a certe estensive interpretazioni giurisprudenziali, poi prontamente recepite – sia pure non sempre con le modalità che la definizione di disposti normativi imporrebbe – da un legislatore che persegue l’efficienza ad ogni costo e che si rivela spesso inadeguato nelle sue operazioni riformiste, con le quali pare perseguire un «pragmatismo di basso profilo, nell’ottica di un’adeguata gestione normativa dell’esistente». Così, L. Marafioti, Riforme-zibaldone, legislazione “giurisprudenziale” e gestione della prassi processuale, in Proc. Pen. Giust., 2017, n. 4, pag. 554.

[14] Cass., Sez. VI, 27 aprile 2022, n. 23608, Pres. Costanzo A., Rel., Tripiccione D., in C.E.D. Cass. n. 283273.