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“L’IMPUTATO” – DI CONCETTO DANIELE GALATI

“L’IMPUTATO” – DI CONCETTO DANIELE GALATI

GALATI – “L’IMPUTATO”.PDF

“L’IMPUTATO”

di Concetto Daniele Galati* 

Una approfondita recensione de “L’imputato”, di Gaia Caneschi, che esamina la figura dell’imputato, soggetto protagonista della materia processuale penale.

Al centro della scena vi è l’imputato, protagonista suo malgrado del rito penale.

Un soggetto che, se non inteso nell’unica accezione possibile[1] (presunto innocente a cui la pubblica accusa attribuisce un ipotetico reato), rischia di divenire un semplice nome su un registro, l’indicazione burocratica di un numero su un fascicolo, un attore senza volto, il personaggio centrale di un’opera dall’esito scontato, l’involontario interprete di dinamiche rituali solo formali.

L’imputato è l’individuo al cospetto dell’Autorità, il centro nevralgico del processo penale, una persona i cui diritti e le cui garanzie sono il «perno dell’intera materia processuale», poiché «ogni istituto, ogni meccanismo, ogni segmento del paradigma processuale, da qualsiasi prospettiva analizzato, non può comunque prescindere dal coinvolgere l’imputato»[2].

Da tale consapevolezza muove l’analisi di Gaia Caneschi che, in un approfondito studio monografico, ricostruisce nel dettaglio i diritti fondamentali dell’imputato nel sistema delle fonti nazionali e sovranazionali, la complessa disciplina del codice di rito, ivi comprese le criticità relative agli accertamenti sull’identità personale e sulla capacità processuale, le peculiarità inerenti alla qualifica di imputato per l’ente sottoposto a procedimento a norma del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

Nell’incipit dell’opera viene messo in luce lo stretto legame fra trattamento riservato all’imputato e assetto del sistema processuale penale, evidenziando come il modello accusatorio – a cui si ispira, anche se in via tendenziale, il vigente codice di procedura penale – sia maggiormente in linea con i principi costituzionali.

Approfondita è la disamina della tutela multilivello riservata ai diritti fondamentali dell’imputato, a partire dalle prerogative costituzionali, fra cui indubbia centralità rivestono la presunzione di innocenza e il diritto di difesa nonché le libertà fondamentali, quali quella personale, domiciliare, delle comunicazioni. Garanzie – fra loro interconnesse ed in rapporto di reciproca utilità – che devono confrontarsi con istanze apparentemente antagoniste, come quella della durata “ragionevole” del procedimento penale. L’A. evidenzia come proprio sul piano costituzionale si giochi la difficile ricerca di un equilibrio fra efficienza processuale e garanzie individuali, senza possibilità – in ossequio all’ordito dei principi definiti dalla Carta fondamentale – che la prima si traduca in una compressione delle seconde: non vi può infatti essere efficienza senza garanzie, non sacrificabili sull’altare della rapida repressione dei reati, avvertita dalla collettività come primaria. Dell’importanza irrinunciabile dei principi posti dalla Costituzione a tutela dell’individuo appare però spesso immemore il legislatore ordinario, aduso a una legislazione “emergenziale” che «sembra ormai fuoriuscita dall’archetipo dell’eccezione, per diventare prassi e quindi giustificare quell’affievolimento dei paradigmi che la Costituzione considera inviolabili e fondamentali, derubricati ad inutili “orpelli”, vieppiù sgraditi all’opinione pubblica»[3].

Accurata è poi la disamina dei diritti fondamentali riconosciuti in ambito sovranazionale, sia nella prospettiva dell’adeguamento ad essi dell’ordinamento interno sia degli ulteriori strumenti di tutela giurisdizionale a disposizione dell’imputato. L’analisi si snoda quindi attraverso la compiuta trattazione dei profili attinenti alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (C.e.d.u.), ai rapporti fra diritto convenzionale e nazionale, all’adempimento degli obblighi derivanti dalle sentenze della Corte di Strasburgo, sottolineando l’irrinunciabile necessità di un’interpretazione convenzionalmente orientata delle prerogative soggettive, nell’ottica di un rafforzamento della protezione delle garanzie individuali.

Una diffusa analisi è dedicata alle direttive europee, nell’ambito della quale si pone in luce come l’Unione abbia per lungo tempo trascurato le esigenze dell’imputato e le sue prerogative, guardando in via previlegiata alla tutela della persona offesa e non prevedendo strumenti per l’interlocuzione dei privati con gli Organi deputati al contrasto degli illeciti internazionali (Eurojust ed Europol). Gradualmente, osserva l’A., è tuttavia maturata la consapevolezza circa la necessità di un livello minimo di garanzie condivise e principi comuni, con un significativo passo avanti con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e il riconoscimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea il rango di diritto primario. Particolarmente significativa, in quest’ottica, è l’approvazione della Tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati nei procedimenti penali, integrata nel Programma di Stoccolma. Il livello eurounitario di tutela dei diritti dell’imputato fornisce, secondo l’A., l’impressione «di un incedere faticoso, segnato da un approccio minimalista del legislatore europeo», con un prodotto normativo caratterizzato da non poche criticità, fra cui la scelta di riprodurre nelle direttive le soluzioni individuate dalla Corte europea in materia di diritti fondamentali, l’utilizzo di una tecnica normativa caratterizzata dall’impiego di formule aperte, la scelta di procedere per tappe in luogo di adottare un unico corpus normativo sulle garanzie processuali degli imputati. Un approccio “timido”, quindi, che sembra non destinato a mutare a breve[4].

L’opera affronta poi nel dettaglio le singole norme costituzionali che contribuiscono a definire lo status di imputato, muovendo dalla presunzione di innocenza, principio tanto rilevante quanto accompagnato da «un mancato accoglimento culturale generalizzato»[5], connotato dalla duplice dimensione funzionale di regola di trattamento (l’imputato non deve essere assimilato al colpevole in itinere iudicii) e di regola di giudizio (come concretizzazione della formula secondo cui, nel dubbio, bisogna giudicare in favore dell’imputato). Per quanto concerne il primo profilo, l’art. 27, co. 2, Cost. rappresenta la sintesi di tutte le principali prerogative dell’imputato contenute nelle altre norme costituzionali dedicate a diritti e garanzie processuali. A questo proposito l’A. sottolinea, con un’analisi puntuale di molte problematiche che connotano la prassi, lo stretto legame fra la suddetta norma costituzionale e gli artt. 3 (la parità di trattamento è una garanzia da riconoscersi a tutti gli imputati), 21 (il diritto all’informazione non può legittimare la stigmatizzazione sociale del reo, essendo necessaria una metodologia di diffusione di notizie e di contenuti informativi inerenti ai procedimenti penali che rispetti la presunzione di innocenza), 13 (le misure cautelari non possono avere alcuna funzione afflittiva in funzione di anticipazione di pena), 24 Cost. (il diritto di difesa dell’imputato, presunto non colpevole sino alla decisione definitiva, permea tutto l’arco processuale).

Come regola di giudizio, invece, la presunzione costituzionale di non colpevolezza fornisce al giudice un’indicazione basilare su come debba essere dimostrata la responsabilità dell’imputato e risolta un’eventuale situazione di dubbio sul fatto, assegna al pubblico ministero l’onere della prova, richiede che il soggetto sottoposto a processo abbia il diritto alla prova contraria.

Nonostante la sua centralità, il principio di cui si discute rischia però, ad avviso dell’A., di vedere compromessa la propria portata a fronte delle attuali tendenze della giustizia penale, fra cui si segnalano: la diffusione dell’idea che l’efficienza processuale si debba sostanziare esclusivamente in una maggiore speditezza dei tempi dell’accertamento, anche a scapito della presunzione di innocenza; la tendenza «acognitiva» a valorizzare sempre più forme di accertamento semplificato votate alla massima deflazione processuale; il dilagante ricorso alle misure di prevenzione in chiave punitiva; l’uso improprio dei mezzi di informazione di massa, cui si correla una diffusione spesso distorta delle informazioni inerenti ai procedimenti penali, con conseguente misconoscimento del principio di che trattasi.

Il principio in parola viene inoltre analizzato nella prospettiva eurounitaria, con l’esame della dir. 9 marzo 2016 n. 2016/343/UE, sul rafforzamento della presunzione di innocenza e del diritto dell’imputato di partecipare al giudizio, «due diritti fondamentali per l’attuazione del giusto processo di matrice europea»[6], di cui vengono sottoposte ad attenta valutazione le principali problematicità.

Un ulteriore profilo di indagine attiene al diritto di difesa di cui all’art. 24, co. 2, Cost., fattispecie «aperta» in grado di adattarsi agli orientamenti del modello processuale di riferimento. Un concetto, quello di difesa, che per l’A. trova la sua massima estrinsecazione nel contraddittorio, nella funzione difensiva intesa come attribuzione di facoltà e poteri in contrapposizione con l’accusa, in tutti quei diritti che agiscono a livello costituzionale, attraverso le previsioni di cui all’art. 111 comma 3 Cost., e codicistico, ogniqualvolta il codice di rito attribuisce all’imputato diritti in relazione a determinati istituti processuali. Proprio la natura di clausola generale dell’art. 24 comma 2 Cost. rende la norma «matrice di ogni possibile diritto eventualmente non esplicitato dalle disposizioni costituzionali di seconda generazione (art. 111 comma 3 Cost.), nonché di ogni ulteriore declinazione della difesa che possa emergere sulla base dell’evoluzione culturale, sociale, politica e tecnologica»[7]. Vengono quindi approfonditi i diritti e le facoltà che l’imputato può far valere personalmente (difesa personale, materiale e autodifesa) nonché il riconoscimento a livello eurounitario di un nucleo minimo di garanzie (diritto all’assistenza tecnica, informazione sulle condizioni per l’accesso al gratuito patrocinio, diritto ad essere informato dell’accusa, diritto all’assistenza linguistica per l’alloglotto, diritto al silenzio), con un esame nel dettaglio del diritto di presenziare al processo nonché del diritto all’interpretazione e alla traduzione. Parimenti accurato è l’esame del complesso di attività processuali svolte dal difensore per garantire un’efficace tutela dei diritti dell’imputato (difesa tecnica), in cui si sottolinea l’importanza della disciplina del patrocinio a spese dello Stato, dell’avvocatura di ufficio, delle norme processuali volte a tutelare il libero esercizio – come garanzia di riservatezza dei rapporti tra imputato e difensore – dell’attività del difensore. L’A. investiga inoltre la disciplina, e la relativa attuazione nell’ordinamento nazionale, contenuta nella dir. 22 ottobre 2013 n. 48/2013/UE (relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e autorità consolari) e nella dir. 26 ottobre 2016 n. 2016/2019 (sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per indagati e imputati nell’ambito di procedimenti penali, nonché per le persone ricercate nell’ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto europeo).

In relazione alla libertà personale l’A. sottolinea l’importanza dell’art. 13 comma 1 Cost. nella tutela dei diritti fondamentali, «indefettibile nucleo essenziale dell’individuo, non diverso dal contiguo e strettamente connesso diritto alla vita ed all’integrità fisica»[8].

Dopo aver affrontato i principi di riserva di legge e giurisdizione, tratteggiandone le linee essenziali, l’A. verifica l’attuazione dei principi costituzionali in relazione alle misure precautelari e cautelari, trattando altresì delle garanzie procedurali riconosciute dall’art. 5 comma 2 Conv. eur. dir. Uomo al soggetto privato della libertà personale. Nell’analizzare lo spazio odierno di tutela del diritto alla libertà personale l’A. evidenzia, in chiave critica, come lo stesso sia «troppo spesso soggetto a limitazioni a vantaggio dell’esigenza collettiva di favorire la repressione dei reati e la sicurezza pubblica»[9], vagliando i profili problematici dell’abuso della custodia cautelare in carcere, della disciplina dei termini di durata, del mandato di arresto europeo, della legislazione volta a regolamentare i flussi dei migranti “irregolari”.

Il primo capitolo si chiude con un paragrafo dedicato all’imputato come oggetto di prova e, segnatamente, alle situazioni in cui è necessario svolgere su di lui accertamenti che non ne richiedono la collaborazione attiva, fra cui le forme di ispezione e perquisizione personali e il prelievo coattivo di materiale biologico.

La monografia in commento dedica poi ampio spazio, in un capitolo dedicato, alla disciplina che il codice di procedura penale riserva all’indagato/imputato.

A una introduzione storica caratterizzata dalla ricostruzione delle scelte operate dal legislatore con il codice del 1988, segue la disamina degli atti tipici di esercizio dell’azione penale con formulazione dell’imputazione. L’A. si interroga in merito alla compatibilità del principio di obbligatorietà dell’azione penale con i criteri di priorità di trattazione adottati dagli uffici della procura della repubblica, dubitandone. Si afferma, a questo proposito, che «anziché ragionare su criteri di priorità atti ad eliminare la (fisiologica) discrezionalità valutativa del pubblico ministero nello svolgimento delle indagini e nella verifica dei presupposti dell’azione, occorrerebbe potenziare gli strumenti di deflazione, intesi come depenalizzazione e deprocessualizzazione, lasciando intatto il dovere (rectius, l’obbligo) del pubblico ministero di esercitare l’azione penale attenendosi esclusivamente alla regola dell’alternativa con l’archiviazione, quando ne ricorrano i presupposti, senza aprire il varco a pericolose selezioni discrezionali»[10]. Vengono inoltre affrontati i temi dell’irretrattabilità dell’azione penale, dell’imputazione e delle sue caratteristiche, delle peculiarità che caratterizzano i riti speciali.

Oggetto di studio sono poi le forme atipiche di esercizio dell’azione penale. L’A sottolinea a questo proposito come l’elenco degli atti attributivi della qualifica di imputato, contenuto nell’art. 60 comma 1 c.p.p., non possa essere ritenuto esaustivo. In quest’ottica vengono indagate la cosiddetta “imputazione coatta”, le ipotesi di contestazione in sede di udienza preliminare, ai sensi dell’art. 423 c.p.p., o dibattimentale, ex artt. 517 e 518 c.p.p., del reato connesso o del fatto nuovo, la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini.

In seguito alla trattazione delle tematiche inerenti alla conservazione, all’estinzione e alla riassunzione della qualità di imputato, alla disciplina del procedimento dinanzi al giudice di pace, è oggetto di vaglio la qualifica di persona sottoposta alle indagini, ivi comprese le vicende costitutive ed estintive di tale status. Osserva l’A., trattando della previsione contemplata dall’art. 61 comma 1 c.p.p., che l’estensione all’indagato delle garanzie previste per l’imputato non può dirsi completa sul piano dell’effettività dei diritti difensivi alla luce delle peculiarità che connotano la fase delle indagini preliminari, fra cui la possibilità che tutta l’attività investigativa rimanga riservata, l’inadeguatezza dell’informazione di garanzia rispetto alla funzione di tempestivo mezzo di conoscenza dell’esistenza di un’indagine a carico, le criticità informative degli esiti della richiesta ex art. 335 c.p.p., la mancanza di uno strumento effettivo e unitario in grado di dare attuazione al diritto di conoscenza dell’accusa in linea con gli standard richiesti dalla normativa europea e dall’art. 111 comma 3 Cost. Vengono inoltre analizzate le problematiche legate alla figura, non codificata, del pre-indagato, figlia dell’assenza di una regolamentazione precisa della tempistica e delle modalità di iscrizione della notitia criminis e della possibilità, riconosciuta dalla legge ma priva di una precisa disciplina, che il pubblico ministero svolga attività anteriore all’iscrizione e, di fatto, ricerchi la notizia di reato. Un sovvertimento dei termini tradizionali del potere investigativo gravido di effetti collaterali, come quelli attinenti all’utilizzabilità degli atti compiuti nella pre-indagine, a prassi distorte che si sostanziano nell’elusione dei termini di durata delle indagini, alla non operatività in tale ambito della garanzia di cui all’art. 24 comma 2 Cost. Una analisi di dettaglio è dedicata all’eccessivo margine di discrezionalità del pubblico ministero sui tempi dell’iscrizione delle notizie di reato e alla conseguente diffusione di prassi elusive dei termini di durata massima delle indagini, con effetti negativi sui diritti dell’imputato e, segnatamente, sulla conoscibilità dell’accusa e sulla ragionevole durata del processo.

Un paragrafo è dedicato alle misure cautelari custodiali, in relazione alle quali l’A. osserva che le  «pressanti esigenze di funzionalità processuale, spesso accompagnate da istanze di difesa sociale e dalla convinzione tanto diffusa quanto fuorviante che la detenzione preventiva costituisca un rimedio efficace all’ineffettività della pena, continuano ad alimentare la concezione “carcero-centrica” delle misure cautelari e portano a tollerare coercizioni la cui durata di fatto coincide con quella del processo»[11]. Peraltro, annota l’A., per effetto dell’autonomia fra procedimento cautelare e procedimento di merito, il pubblico ministero non subisce alcun condizionamento dall’aver ottenuto l’applicazione della cautela, potendo comunque sfruttare integralmente i termini di indagine e procrastinare lo stato detentivo dell’indagato, mentre la consistenza che deve connotare la base probatoria posta a fondamento della misura imporrebbe l’esercizio dell’azione penale. «La tutela dei diritti difensivi» suggerirebbe invece «di strutturare un modello processuale che, senza elidere fasi processuali allo scopo di imprimere celerità al giudizio, riesca comunque a ridurre i tempi ordinari e disincentivi il ricorso al potere coercitivo ogniqualvolta esso non risulti assolutamente necessario»[12]. L’A. propone quindi una possibile soluzione per porre, nei procedimenti con applicazione di misure cautelari, un argine alla discrezionalità del pubblico ministero: una volta ottenuta l’applicazione della cautela, il rappresentante della pubblica accusa dovrebbe chiudere le indagini entro un termine contenuto, notificando l’avviso ex art. 415 bis c.p.p. e formulando l’imputazione da sottoporre al vaglio di sostenibilità del giudice in udienza preliminare.

Il terzo capitolo della monografia è dedicato agli accertamenti sull’identità personale dell’imputato e la sua esistenza in vita.

L’A. affronta, in particolare, la disciplina relativa all’identificazione dell’imputato, chiarendo la differenza fra identificazione anagrafica e individuazione fisica e occupandosi, anche alla luce dell’evoluzione tecnologica, dei metodi e delle tecniche dirette a tali incombenti nonché delle problematiche correlate al “fermo per identificazione” e all’identificazione mediante accompagnamento coattivo.

La monografia si occupa poi delle norme sul prelievo di materiale biologico, con un esame delle lacune normative in materia, delle carenze in tema di garanzie difensive essenziali, del rischio di un utilizzo eterodosso dell’istituto.

Oggetto di esame è anche l’art. 66 bis c.p.p., concernente le comunicazioni all’autorità giudiziaria di “segnalazioni” circa la commissione di reati antecedenti o successivi a quello per cui si procede. Uno strumento rileva l’A., figlio di una tecnica legislativa imprecisa e foriera di significative difficoltà ermeneutiche, che «mira all’efficienza investigativa anche a scapito delle garanzie soggettive, prima tra tutte la presunzione di innocenza, messa in discussione da una norma che propizia la circolazione di informazioni inerenti non alle sentenze irrevocabili pronunciate nei confronti del soggetto, ma alla mera pendenza di procedimenti penali»[13].

Vengono inoltre approfondite le conseguenze dell’errore sull’identificazione e sull’individuazione dell’indagato/imputato, le norme inerenti all’accertamento sull’età, i diritti e le garanzie dell’imputato minorenne.

Il terzo capitolo dell’opera in esame si conclude con l’esame della disciplina in tema di morte dell’imputato.

Il capitolo successivo affronta il tema degli accertamenti sulla capacità dell’imputato.

L’A. ripercorre i profili generali della disciplina prevista dal codice di procedura penale, evidenziando come il tema della partecipazione cosciente dell’imputato al processo sia centrale in un rito ispirato al modello accusatorio. In questa prospettiva, il riferimento operato dall’art. 70 comma 1 c.p.p. alla «partecipazione cosciente» dell’imputato «come a quell’idoneità che consente di compiere personalmente gli atti processuali» corrisponde, sul piano delle garanzie costituzionali, «alla valorizzazione di quell’insostituibile segmento della difesa, che è l’autodifesa»[14]. Tutte le decisioni legate all’autodifesa sono infatti inevitabilmente rimesse all’imputato e, riguardando l’intero arco processuale, rendono evidente come la capacità processuale dell’imputato non sia un dato formale del processo, ma acquisisca «la valenza di una condizione sostanziale per il suo corretto svolgimento»[15]. L’A. pone poi in luce come il concetto di capacità processuale implichi necessariamente la piena maturità e sanità mentale, richiedendo una valutazione, diversa da quella concernente l’imputabilità, circa l’autodeterminazione libera nelle scelte comportamentali, sulla quale possono incidere patologie psichiche che abbiano un’incidenza funzionale sull’idoneità dell’imputato ad essere parte attiva del processo. Una valutazione, quella in parola, ancorata a parametri concreti, «quali la possibilità di comprendere l’oggetto dell’imputazione, di interloquire con il proprio difensore e con le altre parti processuali, l’attitudine a supportare efficacemente la propria strategia difensiva, sia con condotte di tipo negativo, sia con condotte di tipo positivo, nonché la possibilità di rendersi pienamente conto del contenuto della decisione pronunciata nei propri confronti»[16].

Ampia è poi l’analisi dei profili tecnico-giuridici che connotano l’accertamento, dell’evoluzione giurisprudenziale in materia, delle principali problematiche interpretative e dei riflessi processuali degli accertamenti ex art. 70, della sospensione del procedimento per incapacità a norma dell’art. 71 nonché dei poteri del giudice ai sensi dell’art. 73 c.p.p. in materia di trattamenti terapeutici e provvedimenti cautelari. Un paragrafo è dedicato alle possibili interazioni fra neuroscienze e giustizia penale.

Viene affrontato anche il problema degli «eterni giudicabili», analizzando le pronunce della Consulta in materia nonché i meriti e problematicità del rimedio elaborato dal legislatore con l’introduzione, ad opera della l. 23 giugno 2017 n. 103, dell’art. 72 bis c.p.p.

Il capitolo conclusivo dell’opera è dedicato agli enti e, in particolare, al ruolo degli stessi nell’ambito dei procedimenti aventi a oggetto la responsabilità ex D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

Dopo un breve excursus sulle origini della normativa e sulla querelle in merito alla natura della responsabilità, l’A. riflette sulle conseguenze dell’estensione all’ente, esplicitamente prevista dagli artt. 35 e 61 del D.lgs. n. 231 del 2001, delle disposizioni processuali relative all’imputato e all’indagato, secondo una condizione generale di compatibilità. Vengono trattati i profili della disciplina inerenti alla rappresentanza dell’ente nel processo, all’onere di costituzione, alla nomina del difensore di fiducia, alla conoscenza dell’accusa e del procedimento, alle notificazioni.

Nell’ambito del paragrafo dedicato all’ente come fonte di prova particolare attenzione è posta sui profili di incompatibilità con l’ufficio di testimone della persona imputata del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, del legale rappresentante in carica, del rappresentante ad processum.

La monografia si conclude con un’indagine sulle garanzie, ritenute “fragili”, riconosciute all’ente nella fase investigativa, sulle peculiarità che connotano nella materia de qua la contestazione dell’illecito e sulle vicende modificative che incidono sulla fisionomia del soggetto collettivo.

In estrema sintesi, l’opera in commento ha l’indubitabile merito di ricostruire con accuratezza, in una visuale a campo lungo, il complesso di norme – costituzionali, sovranazionali, codicistiche, speciali – dedicate all’indagato/imputato, fornendo un quadro unitario di una disciplina complessa, spesso recessiva rispetto ad esigenze contrapposte a quelle dell’individuo sottoposto a procedimento penale.

L’A. si muove quindi in un quadro assiologico perimetrato dai fondamentali principi costituzionali e sovranazionali, nel contempo chiave di lettura e stella polare di ogni approfondimento. L’indagine, condotta con sensibilità e precisione, è dunque permeata da una peculiare attenzione alle garanzie e ai diritti individuali che consente di cogliere la delicatezza, le implicazioni, i riflessi, le opacità della materia. L’imputato non è, nell’ottica dell’A., solo l’oggetto dell’indagine ma è il criterio diagnostico, l’angolo prospettico da cui origina ogni vaglio critico.

L’A. promuove pertanto, con una monografia di ampio respiro, una visione antropocentrica del procedimento penale, sollecitando l’attenzione del lettore sulla centralità dell’imputato negli articolati ingranaggi processuali e fornendo in tal modo un importante contributo, tecnico e culturale, allo studio della materia.

*Avvocato del Foro di Busto Arsizio, componente del Comitato di redazione di questa rivista

[1]  Sul punto, fra i maestri del passato, v. G. D. Romagnosi, Opere edite ed inedite, Milano, 1841-1842, p. 443, il quale osservava: «se in natura si fosse certi che un accusato fosse reo, sarebbero inutili e irragionevoli tante indagini per non compromettere l’innocenza e per non far tremare ogni uomo onesto». Nello stesso senso F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, del giudizio criminale, Bologna, 2005, p. 64, il quale sottolineava come gli strumenti processuali debbano muovere proprio dal presupposto che gli stessi incombano su un possibile innocente.

[2] G. Caneschi, L’imputato, Milano, 2021, p. 1.

[3] G. Caneschi, op.cit., p. 14.

[4] Ivi, pp. 36-39.

[5] Ivi, p. 39.

[6] G. Caneschi, op.cit., p. 83 ss.

[7] G. Caneschi, op.cit., pp. 96-97.

[8] Ivi, p. 162.

[9] Ivi, p. 174.

[10] G. Caneschi, op.cit., p. 213.

[11] G. Caneschi, op.cit., p. 349.

[12] Ivi, p. 349.

[13] G. Caneschi, op.cit., p. 385.

[14] Ivi, p. 428.

[15] Ivi, p. 429.

[16] Ivi, p. 438.