L’INARRESTABILE DECLINO DEL PRINCIPIO DI SOGGEZIONE DEL GIUDICE ALLA LEGGE – DI PAOLO GIUSTOZZI E LORENA PUCCETTI
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L’INARRESTABILE DECLINO DEL PRINCIPIO DI SOGGEZIONE DEL GIUDICE ALLA LEGGE
di Paolo Giustozzi e Lorena Puccetti *
Riflessioni a margine di una recente pronuncia la quale, sul presupposto che l’art. 618, co. 1-bis, c.p.p. ha attribuito alle pronunce a Sezioni Unite una valenza di precedente vincolante funzionale a garantire la prevedibilità della decisione giudiziaria, ha affermato che il mutamento giurisprudenziale sfavorevole non può essere applicato retroattivamente.
Reflections on the sidelines of a recent ruling which, on the assumption that art. 618, co. 1-bis, c.p.p. attributed to the United Sections rulings the value of a binding precedent functional to guaranteeing the predictability of the judicial decision, and stated that the unfavorable jurisprudential change cannot be applied retroactively.
Sommario: 1. La pronuncia in commento 2. La valenza vincolante delle pronunce a Sezioni unite 3. La prevedibilità della decisione giudiziale e del mutamento giurisprudenziale 4. Osservazioni conclusive.
- La pronuncia in commento.
Con la sentenza, n. 28594 del 26 marzo 2024, Sez. VI, (depositata il 16 luglio 2024), Pres. Giordano – Est. e Rel. Silvestri –P.G. Piccirillo (diff.), la Corte di cassazione ha affermato che il principio di diritto stabilito da una pronuncia delle Sezioni unite, che comporti un mutamento giurisprudenziale imprevedibile ed in malam partem, non può incidere sfavorevolmente nei confronti dell’imputato la cui condotta si sia collocata nel periodo antecedente rispetto al formarsi del nuovo orientamento. La sentenza, che appare di estremo interesse, offre l’occasione di riflettere non tanto sulla scelta interpretativa adottata in relazione alla fattispecie dell’accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico, ma piuttosto sulle considerazioni spese nella motivazione in ordine al principio dell’affidamento e della prevedibilità della decisione giudiziale.
Ai fini di una migliore comprensione, appare opportuno ripercorrere i termini essenziali della vicenda. La decisione postulava la soluzione della questione relativa all’ambito applicativo del delitto di cui all’art. 615-ter c.p. L’ampiezza della fattispecie è stata a lungo controversa sotto un duplice profilo. In primo luogo, sul piano della condotta materiale, si è dibattuto se il delitto sia integrato soltanto nell’ipotesi in cui il soggetto si sia inserito nel sistema informatico o telematico senza essere munito delle apposite credenziali o anche quando l’accesso, pur autorizzato, sia stato effettuato in violazione delle prescrizioni impartire dal titolare del sistema.
Inoltre, si è posto il dubbio se, in assenza di violazioni relative alle condizioni che regolano l’accesso, possa avere rilevanza il fatto che il soggetto si sia introdotto nel sistema per finalità estranee a quelle per le quali è prevista la facoltà di accedere.
Secondo l’orientamento cristallizzato dalla pronuncia a Sezioni unite “Casani”, la fattispecie criminosa è integrata anche dalla condotta di accesso o mantenimento nel sistema attuata da soggetto che, pur essendo abilitato, abbia violato le indicazioni e i limiti posti dal titolare per delimitarne oggettivamente l’accesso[1].
Per converso, secondo tale pronuncia, non hanno alcuna rilevanza gli scopi e le finalità che hanno motivato l’ingresso nel sistema.
Successivamente a tale arresto, con riguardo al profilo oggettivo della condotta, l’impostazione seguita dalla pronuncia “Casani” non è stata sostanzialmente rimessa in discussione. Dunque, si è definitivamente dato per assodato che integra il reato anche la mera violazione delle condizioni di accesso o di permanenza nel sistema informatico o telematico da parte della persona munita delle credenziali per accedere.
Invece, con riferimento alla finalità perseguita dall’agente, si è profilato un contrasto interpretativo. Infatti, con la pronuncia Cass. pen., 24.4.2013 n. 22024, “Carnevale”, la Quinta sezione aveva incrinato il principio stabilito dalle Sezioni unite “Casani”, ritenendo applicabile la fattispecie anche nell’ipotesi in cui l’accesso al sistema, pur avvenuto nel rispetto delle prescrizioni oggettive, sia stato effettuato per scopi difformi da quelli consentiti[2].
Una successiva pronuncia sempre della Quinta sezione, Cass. pen., 20.6.2014 n. 44390, “Mecca”, si era invece posta in continuità con la pronuncia “Casani”, riconoscendo che la locuzione “accesso abusivo” non ricomprende l’ingresso avvenuto per finalità operative difformi da quelle in funzione delle quali è prevista l’autorizzazione ma senza violare i limiti oggettivi di ingresso[3].
Tale divergenza, ha indotto la Corte di cassazione ad intervenire nuovamente a Sezioni unite nel 2017 con la pronuncia “Savarese” la quale, superando il principio di diritto affermato dalla sentenza “Casani Cass. Pen. Sez. Un. 27 ottobre 2011 (dep. 7 febbraio 2012) n. 4694, in Riv. pen. 2012, 4, 381.”, ha sancito l’interpretazione estensiva fatta propria dalla pronuncia “Carnevale”[4].
Ciò premesso, la vicenda che ha dato origine alla pronuncia in commento riguardava un ufficiale di Polizia Giudiziaria il quale, pur essendo autorizzato ad introdursi nella banca dati del sistema di indagini, aveva operato per finalità non d’ufficio bensì private e dunque difformi rispetto a quelle che lo legittimavano ad inserirsi nel sistema stesso. Peraltro, i fatti si erano collocati nel 2016 e dunque in un contesto temporale in cui, in base alla sentenza “Casani”, l’accesso avvenuto secondo modalità autorizzate, ancorché per finalità non consentite, non integrava la fattispecie criminosa di cui all’art. 615-ter c.p. Come si è già ricordato, il medesimo fatto ha successivamente assunto rilievo penale in base al diverso principio di diritto affermato nel 2017 dalla pronuncia “Savarese”.
In base a tali premesse, la motivazione ha svolto le seguenti argomentazioni. Posto che, al momento in cui era stato commesso, il fatto non costituiva reato in forza della pronuncia “Casani”, quando il soggetto ha agito poteva fare affidamento sulla regola stabilizzata dalle Sezioni unite.
La portata vincolante del precedente deve essere riconosciuta a fronte dell’inserimento del co. 1-bis nell’art. 618 c.p.p., in base al quale la Sezione semplice della Corte di cassazione, qualora ritenga di non condividere il principio di diritto formulato in una sentenza delle Sezioni unite deve rimettere a queste ultime la decisione del ricorso.
Secondo la pronuncia in esame, «è stato dunque introdotto, con riguardo alle sole sentenze delle Sezioni Unite, il vincolo del precedente. Un vincolo relativo, in quanto limitato all’interno della sola Corte di cassazione e non operante nei confronti dei giudici di merito». Poiché il precedente delle Sezioni unite costituisce una regola stabilizzata, qualora attraverso una nuova pronuncia a Sezioni unite sopravvenga un mutamento giurisprudenziale peggiorativo, è necessario tutelare l’affidamento che il consociato ha riposto nell’assetto normativo che era stato fissato dalle Sezioni unite prima dell’overruling.
Secondo la pronuncia, un mutamento giurisprudenziale imprevedibile si riflette sul giudizio di rimproverabilità soggettiva secondo i parametri stabiliti dalla nota pronuncia della Corte costituzionale n. 364 del 1998 in materia di ignoranza della legge penale di cui all’art. 5 c.p.
In conclusione, tenuto conto che all’epoca dei fatti l’imputato aveva agito confidando nella regola di diritto stabilizzata dalla pronuncia “Casani”, e che il successivo arresto delle Sezioni unite “Savarese”, secondo le parole testuali della motivazione «non era nell’aria», deve ritenersi che il fatto contestato non costituisca reato.
- La valenza vincolante delle pronunce a Sezioni unite.
La pronuncia appare meritevole di nota per il percorso argomentativo che la Corte di cassazione ha sviluppato in ordine al controverso rapporto tra la legge scritta e l’interpretazione giurisprudenziale nel processo di individuazione della regola di diritto, tema da tempo oggetto di riflessioni che hanno portato ad opinioni divergenti.
Da un lato, preso atto che la fonte legislativa è ormai inidonea ad indicare regole chiare, determinate e precise, parte della dottrina vede con favore il ruolo della giurisprudenza nel garantire la certezza del diritto[5].
Di gran lunga prevalenti, tuttavia, sono le voci autorevoli che hanno espresso preoccupazione per il sempre maggiore «protagonismo della dimensione giudiziale del diritto»[6].
Dal canto suo, l’orientamento giurisprudenziale è sempre più proteso a valorizzare il formante giurisprudenziale facendo riferimento, nell’applicazione pratica, non tanto alla legge astratta come definita dalla fonte legislativa ma al “diritto vivente” plasmato dall’attività interpretativa del giudice[7] .
Nel corso degli ultimi anni la tendenza dei giudici penali ad attribuire all’interpretazione giudiziale valore preponderante, ha trovato un aggancio normativo nell’inserimento dell’art. 618, co. 1-bis c.p.p. La norma, introdotta come strumento per limitare i contrasti giurisprudenziali all’interno della Cassazione è divenuta, nell’interpretazione che emerge dalle recenti pronunce di legittimità, il fondamento normativo del c.d. “sistema del precedente vincolante”.
Tale orientamento è stato di recente suggellato da una pronuncia a Sezioni unite pronunciatasi in ordine alla efficacia intertemporale del divieto probatorio introdotto dall’art. 31, della legge 17 ottobre 2017 n. 171, che impedisce al destinatario di una confisca allargata di provare la legittima provenienza dei beni facendo riferimento ai proventi derivanti dall’evasione fiscale[8].
Si è altresì precisato che l’art. 618, co. 1-bis c.p.p. trova applicazione anche con riferimento alle decisioni intervenute precedentemente all’entrata in vigore della nuova disposizione[9].
Tenuto conto che la sentenza in esame ha ribadito esplicitamente questa impostazione, appare necessario porsi l’interrogativo se davvero, mediante l’art. 618, co. 1-bis c.p.p., sia stato introdotto nel nostro ordinamento un sistema fondato sulla vincolatività delle pronunce delle Sezioni unite.
Al riguardo, il primo dato che contrasta con tale tesi è il fatto che i giudici di merito possono discostarsi, purché motivatamente, dall’orientamento espresso dalle Sezioni unite. In tal senso, si è giustamente sottolineato che la norma non disciplina l’ipotesi della mancata osservanza da parte del giudice di merito del principio di diritto[10].
Inoltre, è stato evidenziato che, pur essendo stato previsto l’obbligo delle Sezioni semplici di rimettere il ricorso qualora dissentano rispetto all’interpretazione contenuta in una decisione delle Sezioni unite, tale obbligo non è assistito da alcuna sanzione in caso di inosservanza[11].
Ma a prescindere dall’analisi della disciplina inserita dall’art. 618, co. 1-bis c.p.p., appare decisiva una considerazione che attiene ai principi di rango costituzionale: attribuire alle pronunce delle Sezioni unite valore di precedente vincolante crea una gerarchia che limita la libertà del singolo giudice in contrasto con l’art. 101, comma 2, Cost. in base al quale il giudice è soggetto soltanto alla legge[12].
Proprio per evitare che la nuova disciplina dell’art. 618, co. 1-bis, c.p.p. si ponga in contrasto con tale principio, si è pertanto sottolineato che il vincolo del precedente non può essere inteso in senso assoluto[13].
In definitiva, la disciplina introdotta con la novella dell’art. 618, co. 1-bis, c.p.p. ha delineato un sistema basato su un modello a “vincolatività relativa” che da un lato non opera nei confronti dei giudici di merito e al contempo obbliga le Sezioni semplici a rimettere il ricorso qualora non condividano un principio di diritto già espresso, ma non ad uniformarsi ad esso[14].
Tale nuova disciplina, ispirata dall’intento di favorire l’omogeneità dell’interpretazione giurisprudenziale e di evitare contrasti giurisprudenziali che influiscano negativamente sulla certezza del diritto, ha certamente attribuito alle pronunce delle Sezioni unite una maggiore stabilità[15].
Tuttavia, l’espressione di “precedente vincolante”, all’interno del nostro ordinamento ha un significato profondamente diverso rispetto alla regola dello stare decisis. Infatti, gli ordinamenti giudiziari di common law, a differenza di quelli di civil law, sono caratterizzati proprio dalla presenza di un obbligo giuridico di non discostarsi da un determinato precedente[16].
Svolte tali considerazioni, ci si riserva di verificare a breve se l’indirizzo che si sta radicando nella giurisprudenza di legittimità, con riguardo alla vincolatività delle pronunce delle Sezioni unite, appaia rispettosa dei principi costituzionali posti a fondamento del nostro ordinamento.
- La prevedibilità della decisione giudiziale e del mutamento giurisprudenziale.
Il punto centrale del percorso argomentativo seguito dalla sentenza in commento risiede nell’affermazione secondo la quale il vincolo del precedente introdotto dall’art. 618, co. 1-bis c.p.p. ha un «obiettivo rilievo in relazione alla prevedibilità delle decisioni future e all’affidamento dei consociati». Dunque, la regola di diritto stabilizzata dalle Sezioni Unite sarebbe funzionale a garantire il requisito garantistico della prevedibilità.
Come è noto, questo canone di matrice convenzionale ha da tempo fatto ingresso nel nostro ordinamento a seguito della pronuncia della Corte E.D.U. nella vicenda Contrada. Il ricorrente, all’esito della condanna inflittagli per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, aveva espresso le proprie doglianze in ordine al fatto che la condanna era il risultato di un’evoluzione estensiva della giurisprudenza, risultante dal combinato disposto dell’art. 110 c.p. e dell’art. 416-bis c.p., successiva all’epoca in cui si erano collocate le condotte oggetto dell’imputazione[17].
Il ricorso, dunque, verteva essenzialmente sul fatto che la condanna era la conseguenza di un’evoluzione estensiva della giurisprudenza, successiva all’epoca in cui si erano collocate le condotte oggetto dell’imputazione.
Accogliendo il ricorso, la Corte di Strasburgo ha sottolineato che, nell’infliggere la condanna, la Corte di cassazione era incorsa in violazione del principio di legalità sancito dall’art. 7 C.E.D.U., il cui corollario è la prevedibilità della legge penale in virtù della quale è necessario che l’individuo possa ragionevolmente prevedere, nel momento della commissione del fatto, gli esatti contorni della norma incriminatrice e le conseguenze sanzionatorie delle proprie azioni.
Si osserva che nella ratio dell’art. 7 C.E.D.U., che si rivolge anche a Paesi della Convenzione che ammettono reati di creazione giurisprudenziale, non è rilevante il fatto che la fonte della norma incriminatrice sia una legge formale o una decisione giudiziale, ma è invece determinante che, quando agisce, il soggetto possa conoscere il precetto e la pena prevista per la sua violazione.
In questa prospettiva sostanzialistica, ciò che conta non è tanto che l’interpretazione della giurisprudenza sia compatibile con il testo letterale della norma incriminatrice ma piuttosto il fatto che l’individuo possa ragionevolmente prevedere l’indicazione fornita dalla giurisprudenza[18].
A seguito della pronuncia Contrada, il requisito garantistico della prevedibilità, che riguarda non solo la disposizione legislativa scritta ma anche l’interpretazione giurisprudenziale, si è saldato con il principio interno di legalità in materia penale, fermo restando che si tratta di canoni non sovrapponibili, come meglio si specificherà nella parte conclusiva dell’odierno commento.
Sempre al fine di una migliore comprensione della prospettiva seguita dalla pronuncia de quo, va altresì ricordato che nel periodo successivo alla sentenza Contrada, la Corte di cassazione era stata investita da numerosi ricorsi di soggetti condannati per concorso esterno in associazione mafiosa i quali, pur lamentando di essere stati anch’essi sanzionati in base ad una giurisprudenza postuma rispetto ai fatti loro ascritti, non si erano rivolti alla Corte E.D.U.
La Corte suprema, con la pronuncia relativa ai c.d. “fratelli minori di Contrada”, ha respinto le istanze di revisione delle condanne definitive. A prescindere dalle argomentazioni svolte in tale pronuncia, fondamentalmente incentrate sul fatto che la pronuncia Contrada non costituiva una sentenza pilota, ciò che in questa sede interessa sottolineare è che la Corte, esprimendosi sulla applicabilità del principio convenzionale della prevedibilità nell’ambito del nostro ordinamento, ha precisato che tale principio non è estraneo al nostro ordinamento ma va ricondotto alla nozione di errore incolpevole già elaborata dalla Corte costituzionale[19].
Il riferimento è alla nota pronuncia n. 364 del 1988 attraverso la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.
Non potendo approfondire i contenuti di tale storica sentenza, per quanto rilevante in questo contesto ci si limita a ricordare che l’articolata motivazione si era soffermata sul fatto che l’effettiva possibilità di conoscere la legge penale è un requisito minimo, che si ricava dall’intero sistema costituzionale, per postulare la rimproverabilità e quindi la colpevolezza del soggetto. In estrema sintesi, la Corte aveva precisato che l’inevitabilità dell’errore deve essere valutata in primo luogo secondo criteri oggettivi che renderebbero impossibile a qualunque consociato la conoscenza della legge penale, come nell’ipotesi di un testo legislativo assolutamente oscuro o di un atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari “gravemente caotico”.
Tuttavia, secondo la Corte, la spersonalizzazione del giudizio formulato in base a tali criteri, andrebbe compensato dall’esame di particolari conoscenze e abilità possedute dall’agente che rendano soggettivamente non scusabile l’ignoranza della legge penale.
Infine, la sentenza aveva operato una distinzione tra l’ipotesi in cui il soggetto ignori del tutto l’antigiuridicità del fatto, possibilità concepibile soltanto in relazione a reati che non presentino un generico disvalore sociale, e quella invece in cui l’agente si rappresenti la possibilità di tale antigiuridicità. In questo secondo caso, non può ravvisarsi l’ignoranza invitabile della legge penale posto che il soggetto è tenuto a «risolvere l’eventuale dubbio attraverso l’esatta o completa conoscenza della legge penale o, nel caso di soggettiva invincibilità del dubbio, ad astenersi dall’azione».
Considerato che il mero dubbio sull’antigiuridicità del proprio agire è sufficiente a rendere l’errore non scusabile, va da sé che la causa di esclusione della colpevolezza disegnata dalla Corte non ha trovato nella pratica concreta applicazione.
Come è stato sottolineato, tale sentenza, acclamata come storica dalla dottrina penalistica quale portatrice di uno statuto costituzionale del principio di colpevolezza, è stata sostanzialmente ignorata dalla giurisprudenza[20].
Tornando alla pronuncia dei “fratelli minori di Contrada”, si osserva in primo luogo che essa ha spostato il fulcro della prevedibilità da un piano oggettivo attinente ai necessari requisiti di chiarezza, e tassatività della “base legale” a quello soggettivo della colpevolezza. Va inoltre rilevato che, aver ricondotto il principio di prevedibilità nell’alveo dell’ignoranza inevitabile della legge penale da valutarsi secondo i restrittivi parametri indicati dalla Corte Costituzionale, ha di fatto portato ad un’applicazione molto scarsa di tale principio.
A riprova della parsimonia con la quale questo requisito garantistico ha trovato concreto riconoscimento, si è sistematicamente affermato che l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale non elide l’accessibilità della disposizione normativa e la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie e, quindi, non rende scusabile l’errore sul precetto. Tale orientamento, che evidentemente trae fondamento dalle precisazioni contenute nella predetta sentenza n. 364, muove dall’assunto che allorché il soggetto, a fronte dell’esistenza di un contrasto, sia in grado di rappresentarsi un dubbio circa la natura lecita o illecita della propria condotta, egli dovrebbe astenersi dall’agire[21].
Al riguardo, è stato lucidamente osservato che questa impostazione si pone agli antipodi rispetto all’esigenza illuministica e liberale di garantire al cittadino che tutto ciò che non gli sia stato espressamente e chiaramente vietato non possa costituire il presupposto per l’applicazione di una pena e più in generale per l’esercizio della potestà coercitivo-punitiva statale[22].
Sempre in base al consolidato orientamento, in ossequio al principio di prevedibilità di cui all’art. 7 C.E.D.U., il mutamento giurisprudenziale non è suscettibile di interpretazione retroattiva in malam partem qualora l’opzione ermeneutica non sia ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto. Tuttavia, secondo direttrici esegetiche rigorose, quando vi sia un contrasto giurisprudenziale poi risolto da una decisione delle Sezioni unite, non può dirsi imprevedibile l’interpretazione che si fondi su uno degli orientamenti analizzati dalla predetta decisione[23].
Di conseguenza, poiché la soluzione delle Sezioni unite normalmente sceglie quale avallare fra gli orientamenti in contrasto, l’eventuale mutamento giurisprudenziale contenuto nel principio di diritto non può quasi mai considerarsi imprevedibile.
Come meglio si preciserà, la decisione in commento ha stabilito l’irretroattività del mutamento giurisprudenziale sfavorevole muovendo da un diverso approccio, sostanzialmente focalizzato sul valore vincolante delle pronunce della Corte di cassazione a Sezioni unite.
- Osservazioni conclusive.
La pronuncia in esame appare sicuramente pregevole per l’ispirazione garantista che ha indotto la Corte di cassazione a limitare l’applicazione retroattiva del mutamento giurisprudenziale sfavorevole, valorizzando il principio di prevedibilità.
Infatti, nella decisione del ricorso, si è tenuto in debito conto la circostanza che, nel momento in cui aveva posto in essere la condotta, il soggetto poteva confidare sul più restrittivo principio di diritto affermato dalla Sezioni unite “Casani”. Come testualmente precisato, «l’imputato poteva ragionevolmente confidare di porre in essere un fatto lecito in ragione di una norma vivente che operava in concreto e che impedisce di formulare un giudizio di colpevolezza-rimproverabilità soggettiva».
Il richiamo al giudizio di rimproverabilità mette in evidenza che la pronuncia si è inserita nel solco del già ricordato orientamento secondo il quale la prevedibilità va valutata sul piano della colpevolezza, declinata attraverso i parametri interpretativi indicati dalla Corte costituzionale in relazione all’art. 5 c.p. con riferimento all’ignoranza inevitabile del precetto penale.
È invece in relazione alla prevedibilità del mutamento giurisprudenziale sfavorevole che la pronuncia presenta profili innovativi rispetto al consolidato indirizzo interpretativo[24].
Infatti, come ricordato nella sentenza stessa, dopo l’arresto dovuto alla pronuncia “Casani”, si era profilato un contrasto interpretativo in ordine alla questione se l’accesso al sistema effettuato nel rispetto delle prescrizioni formali ma per finalità estranee, integri o meno il delitto di cui all’art. 615- ter c.p.[25]
Si può quindi affermare che al tempo in cui era stato commesso il fatto oggetto del procedimento, il principio di diritto enucleato dalla sentenza “Casani” era entrato in discussione, talché la Corte di cassazione aveva ritenuto di dover nuovamente intervenire a Sezioni unite.
Ed è pacifico che la sentenza “Savarese”, nel dare luogo ad un mutamento interpretativo rispetto alla precedente pronuncia a Sezioni unite “Casani”, ha accolto uno dei due orientamenti interpretativi che si erano contrapposti.
Pertanto, in base ai tradizionali principi elaborati in materia di prevedibilità del mutamento giurisprudenziale, il principio di diritto affermato dalla pronuncia “Savarese”, non costituendo un novum, avrebbe potuto essere applicato retroattivamente[26].
Tuttavia, la pronuncia ha stabilito l’irretroattività dell’overruling in considerazione del fatto che il mutamento giurisprudenziale “non era nell’aria”, anche se le ragioni dell’imprevedibilità della svolta interpretativa non sono state chiarite in modo specifico.
Peraltro, con riguardo all’aspetto della prevedibilità del mutamento giurisprudenziale, nella motivazione è stata esplicitamente richiamata una pronuncia che, nell’applicare il principio di diritto espresso dalla Sezioni unite “Savarese” ad una condotta del tutto analoga a quella de quo, posta in essere nel periodo antecedente alla pronuncia “Casani”, aveva escluso la violazione dell’art. 7 C.E.D.U., invocata dal ricorrente, proprio sottolineando la continuità esegetica tra le due pronunce[27].
La differenza tra le due vicende, come puntualmente precisato, risiede nel fatto che nel caso oggetto della odierna pronuncia la condotta posta in essere era successiva, e non precedente, alla pronuncia “Casani”.
Da tale distinguo temporale emerge con chiarezza che, nell’ottica della pronuncia in esame, l’agente non avrebbe potuto rappresentarsi il mutamento giurisprudenziale per il solo fatto che nel momento in cui aveva agito erano già intervenute le Sezioni unite. E soltanto successivamente, non ritenendo più condivisibile la precedente interpretazione, la Corte di cassazione aveva aderito ad una diversa interpretazione mediante la sentenza “Savarese”.
In buona sostanza, ai fini della valutazione dell’affidamento del soggetto, l’unico punto di riferimento è costituito dal principio di diritto espresso dalle Sezioni unite attraverso il quale è stata determinata in concreto la portata applicativa della fattispecie, sino ad un ulteriore intervento, sempre a Sezioni unite, della Corte di cassazione[28].
Pur ammettendo che sotto il profilo della tutela delle garanzie individuali questa pronuncia segna un passo in avanti sull’impervio terreno della prevedibilità del mutamento giurisprudenziale, non si può non rilevare che questa prospettiva si presta a due fondamentali obiezioni.
In primo luogo, l’impianto argomentativo poggia sulla considerazione che la necessità di attribuire “maggiore rilievo al tema del mutamento giurisprudenziale” è diretta conseguenza dell’introduzione dell’art. 618, co. 1-bis c.p.p. E ciò perché detta disposizione normativa, avendo conferito alle pronunce a sezioni unite un effetto di stabilizzazione, impone di tutelare l’affidamento del consociato sull’assetto normativo scolpito da tale tipologia di pronunce.
Con riferimento a tale profilo, per quanto già osservato in precedenza, si ribadisce che non appare condivisibile l’affermazione che l’art. 618, co. 1-bis c.p.p., costituisca il fondamento normativo del preteso “sistema del precedente vincolante”.
In secondo luogo, è evidente che l’impostazione seguita dalla pronuncia autorizza ad attribuire all’interpretazione giurisprudenziale una vera e propria funzione normativa, come emerge chiaramente da alcuni passaggi della motivazione.
Significativa, in tal senso, è la precisazione che «il mutamento giurisprudenziale finisce per avvicinarsi ad una modifica legislativa». Parimenti, emblematico di questo ordine di pensiero è il chiarimento sulla differenza tra mutamento giurisprudenziale “evolutivo” o “innovativo”.
Il primo «estende la portata applicativa della fattispecie incriminatrice attraverso un’interpretazione che arricchisce, specifica, integra ovvero adegua il significato precedentemente attribuito all’enunciato legislativo» mentre l’interpretazione innovativa, «si realizza quando vi è secondo la stessa giurisprudenza la necessità di porre rimedio nell’immutato contesto di riferimento a quello che viene di fatto ritenuto dall’interprete come un vuoto di tutela».
Svolta tale distinzione, la motivazione ha affermato che il mutamento giurisprudenziale introdotto dalla sentenza “Savarese” è «sostanzialmente innovativo» senza precisare in alcun modo se tale interpretazione estensiva si raccordi con il testo normativo e con la ratio legis dell’art. 615- ter c.p.
Sia ben chiaro, non si intende entrare nel merito se sia preferibile l’interpretazione restrittiva seguita dalla pronuncia “Casani” oppure quella innovativa inaugurata dalla pronuncia Savarese, riconoscendo che entrambi gli indirizzi giurisprudenziali corrispondono ad un’interpretazione sostenibile dell’art. 615-ter c.p.[29]
Ciò che preme mettere in evidenza è il fatto che il ragionamento seguito dalla pronuncia, attribuisce alle decisioni a Sezioni unite un ruolo di fonte formale del diritto in contrasto con il principio di legalità sancito dall’art. 25, 2 co. Cost.[30]
La motivazione si è premurata di spiegare che il sistema del precedente vincolante è funzionale ad assicurare la prevedibilità delle decisioni giudiziarie e quindi ad offrire al cittadino la possibilità di fare affidamento su un assetto normativo stabile. Al riguardo, ci si permette di dubitare che il problema della conoscibilità del precetto penale si possa risolvere assegnando alle pronunce a Sezioni unite un ruolo centrale nel delucidare l’effettiva portata del precetto penale.
Infatti, non sempre la quaestio iuris, la ratio decidendi e lo stesso principio di diritto sul quale si basa la decisione sono definiti in modo puntuale e trasparente. Così come non è agevole distinguere, nell’ambito della motivazione, le riflessioni strettamente connesse alla formulazione del principio di diritto, dalle considerazioni meramente argomentative e incidentali e dagli obiter dicta[31].
Pertanto, non è affatto detto che l’elaborazione interpretativa sia idonea a definire la regola iuris con maggiore chiarezza rispetto al testo legislativo.
In ogni caso, a prescindere da tali considerazioni, si osserva che l’esigenza sottesa al canone della prevedibilità di cui all’art. 7 C.E.D.U. è quella che l’individuo possa ragionevolmente prevedere, nel momento della commissione del fatto, gli esatti contorni della fattispecie incriminatrice.
Tuttavia negli ordinamenti continentali fondati sulla legge scritta, l’interpretazione giudiziale oltre che accessibile e prevedibile, deve essere prima di tutto rispettosa del testo legislativo di riferimento.
In altri termini, il principio di prevedibilità di matrice convenzionale non può sostituirsi al principio interno di legalità in materia penale[32].
In definitiva, è innegabile che la pronuncia in commento, in nome del requisito della prevedibilità, ha salvaguardato le garanzie individuali escludendo l’applicazione retroattiva del mutamento giurisprudenziale in malam partem[33].
Tuttavia, tale risultato è stato ottenuto attribuendo alle pronunce a Sezioni unite un valore vincolante che, oltre ad essere estraneo al nostro ordinamento, legittima la supremazia dell’elaborazione giurisprudenziale, anche qualora essa non si mantenga nella cornice dei significati compatibili con il tenore del testo normativo.
Si tratta di un’impostazione che, spianando la strada alla “giurisprudenza creativa”, non può che portare al definitivo dissolvimento del principio di legalità.
È essenziale, dunque, avvedersi che la tutela dell’affidamento, non può distogliere l’attenzione dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale della riserva di legge in materia penale, in base al quale la funzione legislativa è affidata esclusivamente al Parlamento che è l’unico organo legittimato a rappresentare la volontà popolare.
Come da tempo si è ammonito, l’eccessiva libertà ermeneutica mette profondamente in crisi la concezione della legalità quale parametro di giudizio preesistente all’interpretazione e indisponibile da parte del giudice che deve rimanere soggetto alla legge come statuito dall’art. 101, comma 2 Cost.[34]
In conclusione, la pronuncia in esame, pur lodevole sotto il profilo della tutela dell’affidamento, poggia su una lettura dell’art. 618, co. 1-bis c.p.p. che appare inconciliabile con il principio della riserva di legge il quale è inderogabilmente preordinato ad assicurare la separazione dei poteri.
* Avvocati del Foro di Macerata e del Foro di Vicenza
[1] Cass. Pen. Sez. Un. 27 ottobre 2011 (dep. 7 febbraio 2012) n. 4694, in Riv. pen. 2012, 4, 381.
[2] Cass. Pen., Sez. V, 24 aprile 2013 (dep. 22 maggio 2013) n. 22024, in Cass. pen. 2014, 7-8, 2535.
[3] Cass. Pen., Sez. V, 20 giugno 2014, (dep. 24 ottobre 2014) n. 44390, in Guida Dir. 2014, 47, 25.
[4] Cass. Pen. Sez. Un., 18 maggio 2017, (dep. 8 settembre 2017), n. 41210, in Riv. it. dir. proc. pen. 2018, 4, 2256.
[5] In tale prospettiva P. Grossi, Prima lezione di diritto, Bari-Roma, 2006, 68, 94.
[6] L’espressione è di V. Manes, Dalla fattispecie al precedente: appunti di deontologia ermeneutica, in Dir. pen. cont., 17 gennaio 2018 e Sui vincoli costituzionali dell’interpretazione in materia penale (a margine della recente giurisprudenza della Consulta), in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, 1233. Sull’argomento si veda altresì A. Cadoppi, Il valore del precedente nel diritto penale. Uno studio sulla dimensione in action della legalità, Torino, 2014, fra i primi a mettere in luce la marcata creatività giurisprudenziale nel nostro sistema, evidenziando tratti di sostanziale analogia con esperienze tratte dal mondo di common law. Fra le voci che esprimono preoccupazione si vedano, fra gli altri, G. Insolera, Dall’imprevedibilità del diritto all’imprevedibilità del giudizio, in Riv. it. dir. pen. proc., 2016, 2001 ss.; A. Lanzi, La tutela dei diritti del cittadino fra giustizialismo e garantismo; legalità e giustizia, in Ind. pen., 2017, 988 ss.; D. Negri, splendori e miserie della legalità processuale. Genealogie culturali, éthos delle fonti, dialettica tra le Corti, in Arch. pen., 2017, 421 ss.; G. Amarelli, Dalla legolatria alla post-legalità: eclissi o rinnovamento di un principio?, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, 1406 ss.; G. Civello, La legalità come inconveniente: la “dimenticanza della legge” e le sue conseguenze nella teoria del reato, in Arch. pen., 2, 2017, 407 ss.; F. Caprioli, Il giudice e la legge processuale: il paradigma rovesciato, in Ind. pen., 2017, 967 ss.
[7] A fronte della eccessiva libertà ermeneutica, si è osservato che occorre evitare una «deriva che porti a dissolvere la legalità penale in una legalità totalmente giurisprudenziale dove risulta possibile qualsiasi esito ermeneutico adottato dal giudice anche quando disattende o addirittura contraddice le indicazioni provenienti dalla legge». In tal senso, N. Mazzacuva: Tra analogia e interpretazione estensiva. A proposito di alcuni casi problematici tratti dalla recente giurisprudenza, in Criminalia, 2010, 367 ss.
[8] Cfr. Cass. Pen., Sez. Un. 23 febbraio 2024 (dep. 23 febbraio 2024) n. 8052 in Dir. & Giust. 2014, 26 febbraio 2024. Per un’analisi dei principi affermati nella richiamata pronuncia ci si permette di rinviare a P. Giustozzi – L. Puccetti, Le Sezioni Unite sull’efficacia intertemporale del divieto probatorio introdotto dall’art. 31. L n. 161/2017, in Dir. pen. proc., 2024, n. 11, 1457ss.
[9] Cfr. Cass. Pen. Sez. Un., 19 aprile 2018 n. 36072 in CED rv 273549-01 la quale ha precisato che l’art. 618, co. 1-bis trova applicazione anche con riferimento alle decisioni intervenute precedentemente all’entrata in vigore della nuova disposizione, poiché «il valore del precedente tale da imporre obbligatoriamente alla sezione semplice la rimessione del ricorso è identificabile con la sola peculiare fonte di provenienza della decisone, indipendentemente dalla collocazione temporale di quest’ultima, se cioè ante o post riforma».
[10] In tal senso, E. Reccia, Il valore del precedente e il carattere vincolante delle pronunce delle Sezioni Unite, Torino, 2020, 112. Si è peraltro osservato che la sentenza del “piccolo giudice” che si discosti dal diritto vivente è destinata ad essere riformata nel giudizio di impugnazione: in tal senso G. Insolera, Nomofilachia delle Sezioni Unite, non obbligatoria, ma dialogica: il fascino discreto delle parole e quello indiscreto del potere, in Arch. pen., Supplem. al n. 1 del 2018, La giustizia penale riformata, 742.
[11] Così E. Reccia, op. cit., 110 e G. Fidelbo, Il diritto penale giurisprudenziale, la sua formazione, le sue caratteristiche, in Sist. pen., 12, 2022, 38.
[12] In tal senso, R. Aprati, Le sezioni unite fra l’esatta applicazione della legge e l’uniforme interpretazione della legge (commi 66-69 l. n. 103/2017) in A. Marandola – T. Bene (a cura di), La riforma della giustizia penale, Milano, 2017, 278, ha sottolineato che a seguito dell’aggiunta all’art. 618 c.p.p. del comma 1-bis il sistema si è irrigidito. Anche C. Iasevoli, Le nuove prospettive della Cassazione penale: verso l’autonomia dalla Costituzione?, in Giur. it., 2017, 2301 ss., si esprime in senso critico verso la novella dell’art. 618 c.p.p. osservando che l’introduzione del vincolo del precedente consentirà alle Sezioni Unite di erigersi a «fonti di diritto penale e di diritto processuale penale, ponendosi in contrasto con le più elementari esigenze di uno stato di diritto».
[13] In questi termini G. Fidelbo, op. cit., 39 ha precisato che le Sezioni semplici «non sono obbligate ad allinearsi alle decisioni assunte dalle sezioni unite, perché l’obbligo riguarda solo la necessità di rimettere il ricorso in caso di dissenting opinion» e che, l’art. 618, co. 1-bis, c.p.p., ha stabilito una procedura con la quale le Sezioni semplici, attraverso le ordinanze di rimessione, possono esprimere il loro dissenso collaborando al superamento di un precedente non condiviso. In buona sostanza, il nuovo sistema riconosce all’intera Corte di cassazione, e non solo alle Sezioni Unite, una funzione nomofilattica.
[14] Così, G. Fidelbo, Verso il sistema del precedente? Sezioni Unite e principio di diritto, in Dir. pen. cont., 20 gennaio 2018, 17, il quale ha affermato che «la novella dell’art. 618 c.p.p. delinea un sistema basato su un modello soft di precedente a vincolatività relativa».
[15] Nella medesima prospettiva, auspica un «tendenziale vincolo del giudice al rispetto dei precedenti», nell’ottica di favorire l’uniformità dell’applicazione del diritto, F. Viganò, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte Costituzionale, in Sist. pen., 19 gennaio 2021. Del resto, da ben prima della modifica dell’art. 618 c.p.p., esistono nel nostro ordinamento norme volte a favorire l’omogeneità degli orientamenti della giurisprudenza. Al riguardo, si ricorda in primo luogo che l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario attribuisce alla Corte di cassazione la funzione di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. Inoltre, in base all’art. 47-quater, sempre dell’ordinamento giudiziario, i Presidenti di sezione devono curare lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all’interno delle sezioni, anche organizzando riunioni finalizzate a superare eventuali contrasti interpretativi.
[16] Sul punto, si veda F.M. Damosso, Il vincolo al precedente tra sentenza di legittimità e massimazione, Torino, 2022, 4, in Collana diretta da M. Bargis – G. Giostra – G. Illuminati – R.E. Kostoris – R. Orlandi.
[17] Cfr. Corte EDU, Sez. IV, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, ric. 66655/13, in Redazione giurisprudenza penale, 2015.
[18] Sul punto, si veda F. Viganò, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in Dir. pen. cont., 19 dicembre 2016. Sull’argomento della prevedibilità, senza alcuna pretesa di esaustività si rinvia a F. Consulich, Così è (se vi pare) Alla ricerca del volto dell’illecito penale, tra legge indeterminata e giurisprudenza imprevedibile; in Sist. pen., 9 aprile 2020; R. Bartoli, Nuovi scenari della legalità penale, in Sist. pen., 30 aprile 2022; F. Palazzo, Considerazioni minime sulla prevedibilità della decisione giudiziale (tra miti, illusioni, pragmatismi), in Cass. pen., 2022, 3, 941 ss.; R. Rampioni, Dalla ultronea ma chiara prevedibilità eurounitaria-convenzionale alla rilevante quanto dissimulata prevedibilità “nostrana”, in questa Rivista, 9 marzo 2023.
[19] Cfr. Cass. Pen. Sez. Un., 24 ottobre 2019, n. 8544, in Cass. pen., 2020, 6, la quale ha precisato che «la Corte Europea ha ricondotto al principio di legalità convenzionale quella nozione di prevedibilità che la giurisprudenza costituzionale italiana aveva già riconosciuto, pur se correlata al principio di colpevolezza, in termini altrettanto funzionali per la garanzia del cittadino». Sul punto si veda G. Amarelli, Le Sezioni Unite negano efficacia “erga alios” alla Contrada: i fratelli minori vanno a Strasburgo, in Giur. it., 2020, 898 ss.; R. Bartoli, Chiusa la saga Contrada: in caso di contrasto giurisprudenziale opera la colpevolezza, in questa Rivista, 6, 2020, 775 ss.; S. Bernardi, Le Sezioni unite chiudono la saga dei “fratelli minori” di Bruno Contrada: la sentenza Contrada c. Italia non può produrre effetti erga omnes, in Sist. pen., 11 marzo 2020.
[20] In questi termini, F. Viganò, op. ult. cit., 8.
[21] In tal senso, si veda da ultimo Cass. Pen. Sez. Un. 18 gennaio 2024 n. 16153, in Cass. Pen. 2024, 10, 2997, la quale con riferimento alla sentenza n. 364 del 1988 ha ribadito che secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, «l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva dell’ignoranza inevitabile della legge penale. Al contrario, il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento che giunga all’astensione dall’azione».
[22] In questi termini, F. Viganò, op. ult. cit., 9.
[23] Ex multis, si vedano Cass. Pen. Sez. Un., 24 ottobre.2019, n. 8544 cit.; Cass. Pen. Sez. V, 17 maggio 2018 n. 41846 in Cass pen. 2019, 10, 3683; Cass. pen., Sez. V, 24 aprile 2018 n. 37857. Con riguardo alla retroattività del mutamento giurisprudenziale in materia processuale si veda Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2020 n. 1731, in Sist. Pen., 17 marzo 2021, con nota di B. Fragasso, in Sist. Pen., 17 marzo 2021, Sulla retroattività dell’overruling in materia processuale, tra soggezione del giudice alla legge e giusto processo. Tale pronuncia ha precisato che l’overruling imprevedibile è ravvisabile «nei soli casi di radicale innovazione della soluzione giurisprudenziale, inconciliabile nelle precedenti decisioni».
[24] Per un’analisi degli aspetti innovativi della pronuncia si veda J. Della Valentina, Quando il custode custodisce se stesso: note a margine della censura di un mutamento giurisprudenziale sfavorevole, in Dir. pen. proc. 2024, 11, 1487.
[25] Con riguardo al contrasto giurisprudenziale, nel paragrafo 6 della motivazione della sentenza, si è posta la distinzione tra contrasto giurisprudenziale “sincronico” che sussiste quando nel medesimo intervallo temporale coesistano due o più interpretazioni difformi e contrasto giurisprudenziale “diacronico” il quale presuppone l’esistenza di una linea interpretativa che ad un certo punto viene smentita in senso sfavorevole per l’imputato. La pronuncia afferma che nel momento in cui erano stati posti in essere i fatti oggetto del processo, non vi era un contrasto né sincronico né diacronico. In realtà, come si è ricordato, le Sezioni unite sono nuovamente intervenute nel 2017 proprio a fronte di una divergenza interpretativa formatasi in relazione all’estensione della fattispecie di cui all’art. 615-ter c.p.
[26] Sul tema relativo al mutamento giurisprudenziale sfavorevole si veda G. Caruso, Appunti sul mutamento giurisprudenziale sfavorevole tra esigenze di garanzia, prevedibilità e certezza nel diritto penale, in Sist. Pen., 20 aprile 2021.
[27] Cfr. Cass. Pen., Sez. V, 9 luglio 2020, n. 25944, cit., la quale ha precisato che a dispetto del particolare rilievo che pare attribuirvi il ricorrente, la «successiva sentenza delle sezioni Unite (imputato Savarese) non ha fatto altro che precisare rispetto ad alcune incertezze interpretative (in effetti legate ad un contrasto tra due sole pronunzie di questa Sezione) la direzione esegetica di Sezioni unite Casani».
[28] Sul punto si veda G. Canzio, Legalità penale, processi decisionali e nomofilachia, in Sist. pen., 12, 2022, 12.
[29] Come si è osservato, nel caso in cui a porre in essere la condotta sia il pubblico ufficiale, il problema interpretativo nemmeno si pone posto che il fatto diviene sussumibile all’interno del 2 comma dell’art. 615 ter c.p. che espressamente fa riferimento all’accesso abusivo posto in essere con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio. In tal senso, R. Bartoli, L’accesso abusivo a un sistema informatico (art. 615 ter c.p.) a un bivio ermeneutico teleologicamente orientato, in Dir. pen. contemp. 123.
[30] Sul punto, si veda O. Mazza, Conciliare l’inconciliabile: il vincolo del precedente nel sistema di stretta legalità (civil law), in Arch. pen., Suppl. al n. 1 del 2018, La giustizia penale riformata, 723 ss. il quale esprime considerazioni critiche su una lettura del vincolo del precedente che porti a ritenere vincolanti le scelte interpretative del Supremo Collegio al punto da considerarle “fonti formali del diritto”. È stata espressa preoccupazione per il fatto che l’introduzione di una “rigida regola nomofilattica” riduce la soggezione del giudice alla legge e finisce per “riconoscere alle decisioni delle Sezioni Unite il valore di fonte del diritto” anche da A. De Caro, Riflessioni sparse sul nuovo assetto nomofilattico. Le decisioni vincolanti delle Sezioni unite al cospetto del principio del giudice soggetto solo alla legge: un confine violato o una frontiera conquistata?, in Arch. pen., Suppl. al n. 1 del 2018, La giustizia penale riformata, 760.
[31] Su tale aspetto si veda Canzio, op. cit. 12.
[32] Al riguardo, si è precisato che non vanno confusi il principio di legalità della tradizione europea continentale con il principio di prevedibilità ed accessibilità di cui all’art. 7 C.E.D.U., fermo restando che quest’ultimo integra il principio di legalità. In tal senso, G. Cocco, Introduzione ai rapporti tra legislazione e giurisdizione in materia penale nello stato di diritto. Contributo a un riordino dei princìpi, in Resp. civ. prev., 1 maggio 2023, 5, 1404. Per una approfondita analisi sul pericolo che la prevedibilità possa “spodestare” il principio di legalità si veda G. Caruso, op. cit.
[33] Sotto questo profilo si è parlato di una sentenza storica da F. Palazzo-R. Bartoli, Mutamenti giurisprudenziali sfavorevoli, colpevolezza ed irretroattività, in Sist. Pen, 17 settembre 2024.
[34] In tal senso si veda la F. Giunta, Nota introduttiva a Verso un equivalente funzionale della riserva di legge?, in Discrimen, gennaio 2019. Sul tema relativo alla crisi del principio di legalità, già da tempo presente, si rinvia altresì a O. Mazza, il principio di legalità nel nuovo sistema penale liquido, in Giur cost., fasc. 5, 2012, 3464 ss e T. Padovani, Il crepuscolo della legalità nel processo penale, in Ind. pen., 1999, 527 ss.