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PAROLE CHE PESANO: “SPERIMENTALE” E “SENZA TOGA” – DI GIORGIO SPANGHER

PAROLE CHE PESANO: “SPERIMENTALE” E “SENZA TOGA” – DI GIORGIO SPANGHER

di Giorgio Spangher

Alcune brevi riflessioni sul processo da remoto:

1. La magistratura. 2. Le contrapposizioni. 3. Il problema dei limiti.

1.     La magistratura.  

Nel dibattito sulla giustizia capita di imbattersi fra le altre in due categorie di magistrati. La prima è quella ossessionata dalla criminalità, dal suo diffondersi, e quindi dalla necessità di combatterla. La seconda è angosciata dai numeri dei processi, dal carico di lavoro, e dalla conseguente inefficienza del sistema. Entrambi pensano che spetti a loro risolvere i problemi della giustizia ed in effetti se ne fanno carico, seppur in modo diversificato. Entrambi tuttavia sono portati ad incidere sulle norme processuali. Con i primi il dialogo è impossibile, inutile: hanno a tal punto introitato il problema criminalità, che l’hanno quasi somatizzato. Con i secondi il dialogo è difficile, perché, soverchiati dai problemi di efficienza del sistema, sono portati ad alterare i dati della legge con letture a ribasso delle loro effettiva portata. Riconoscono l’esistenza dei valori fondamentali: diritto di difesa, contraddittorio, oralità, sanzioni processuali, diritto alla prova, ma la lettura che ne viene fornita è sempre controbilanciata da una visione sostanzialistica e finalistica, governata dai numeri. Il tutto si traduce in una elaborazione giurisprudenziale, regressiva e spesso creatrice, che trova sponde nella classe politica che, incapace di riformare il sistema rendendolo efficiente, trova agevole percorrere la strada degli aggiustamenti asistematici dei compromessi e degli annunci. Senza tener conto, come nel recente passato, dell’accentuazione di pulsioni fortemente inquisitorie che fanno da sponda a quella altra parte della magistratura alla quale si è accennato in esordio.

    2.     Le contrapposizioni.  

Le contrapposizioni si ripropongono in ogni occasione. Oggi il tema, dove queste posizioni si ripropongono, riguarda il processo da remoto e più in generale la legislazione dell’emergenza (l’ennesima, non si è più in grado di contarle). Alla fine dell’epidemia, ci sarà l’emergenza del carico processuale differito da smaltire. Già oggi ci sono coloro che chiedono che la legislazione d’urgenza sia conservata per la fase ordinaria. Non c’è mai in questo Paese nulla che sia più definitivo del provvisorio. Il processo a distanza nato come eccezionale e transitorio si è radicalizzato e strutturato nelle disposizioni di cui agli artt. 45 bis, 134 bis e 146 bis disp. att. c.p.p. come modificati dalla l. n. 103 del 2017 (legge Orlando), anche in questo caso con la tecnica normativa soft del differimento temporaneo. Non ci si deve illudere. Come nella nostra vita di relazione dovremmo condividere con il virus i nostri comportamenti relazionali lo stesso accadrà per la giustizia. Sicuramente, una parte della disciplina, legata all’informatizzazione della procedura subirà una accelerazione. Sicuramente, le tecniche delle attività da remoto subiranno dei miglioramenti tecnici, come si può riscontrare nelle attività a distanza che i network evidenziano e noi stessi sperimentiamo nelle nostre interlocuzioni. Come evidenziato dall’ordine del giorno approvato alla Camera, quella in atto è una “sperimentazione” cioè una attività destinata a lasciare tracce non cancellabili. Il problema è quello di capire in quale misura e per quali attività processuali.

          3.     Il problema dei limiti.  

Bisogna porsi il problema dei limiti da subito, perché l’idea di recuperare molto dall’emergenza sarà forte. Darei per certa l’idea dei procedimenti camerali in Cassazione con rito cartolare coatto, cioè, con l’udienza partecipata a richiesta. Oltre alla parola “sperimentazione” che svela gli scenari futuri, mi fa fortemente riflettere quel “passaggio” del comunicato della Presidente della Corte costituzionale che sottolinea come l’udienza sarà celebrata dai giudici “senza toga”. Sono molte le riflessioni che il processo da remoto ci costringe a fare soprattutto nel più ampio contesto di una sempre più accentuata burocratizzazione e amministrativizzazione del processo, ma quest’ultima espressione “senza toga” – rispetto al senso profondo di un rito, definito sacrale da Cordero – mi pare debba penetrare i limiti delle riforme che si volessero introdurre o conservare.