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SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI – DI ERIBERTO ROSSO

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI – DI ERIBERTO ROSSO

ROSSO – SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI.PDF

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI[1].

di Eriberto Rosso*

La trascrizione, rivista e ampliata dall’autore, dell’intervento alla tavola rotonda del 27 luglio 2020 “SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI: La prima riforma dell’ordinamento giudiziario è in parlamento”, organizzata dall’Unione Camere Penali Italiane.

La discussione nella solennità dell’Aula di Montecitorio del disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare per la separazione delle carriere dei magistrati ha mostrato come la idea di rendere distinte, nelle modalità di accesso e nella organizzazione degli Uffici, le attività dei due Ordini sia condivisa da tanta parte delle forze parlamentari. Solo alcuni hanno fatto sapere della loro pregiudiziale contrarietà, ma non hanno ritenuto di andare oltre la comunicazione di agenzia, scegliendo poi nell’Aula il silenzio. Esponenti dei diversi gruppi hanno avanzato dubbi e necessità di eventuali correttivi su questo o quell’aspetto della proposta di legge prospettando, ad esempio, diversi approcci al tema del temperamento del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Proprio la articolazione della discussione ha reso opportuna la decisione del ritorno in Commissione, dalla quale dovrebbe derivare una nuova sintesi, comunque idonea a salvaguardare il principio: il Giudice autonomo, terzo e indipendente è soggetto diverso, per struttura della sua organizzazione di giurisdizione, per regole di accesso e titolarità del potere disciplinare, dal legittimato a comporre l’Ufficio del Pubblico Ministero. Pure costruita sul Giudice, per preservarne l’autonomia e renderne effettiva la terzietà, la legge costituzionale che noi vorremmo salvaguarda l’indipendenza del Pubblico Ministero nella sua attività di direzione delle investigazioni e nelle determinazioni afferenti l’esercizio dell’azione penale. Due distinti concorsi e due Consigli Superiori della Magistratura sono le modalità tecniche per realizzare tale separazione.

Non sappiamo se il diretto impegno dei settantaquattromila cittadini che hanno sottoscritto la proposta di legge dell’Unione delle Camere Penali Italiane riuscirà a trovare in questa Legislatura una adeguata risposta sul piano delle modifiche ordinamentali, ma è certo che anche nel tempo nel quale i populisti mantengono rilevante rappresentanza politica  – con il loro ossessivo messaggio che riduce la giustizia a vendetta sociale ed il carcere ad unica pena – è definitivamente consolidata la necessità di separare le carriere dei magistrati.

Ci saremmo aspettati che anche la Magistratura avrebbe espresso una nuova consapevolezza e disponibilità ad una cultura delle garanzie. Per tanti anni i gruppi dirigenti della Magistratura associata hanno dipinto la separazione delle carriere come un mostro a tre teste tra le quali scegliere, a seconda dell’occasione, la più pericolosa. A volte si trattava della volontà di sottomettere il Pubblico Ministero al potere esecutivo, altre dell’altrettanto insensata idea per la quale gli Uffici di Procura si sarebbero popolati di superpoliziotti indisponibili al risultato investigativo favorevole alla difesa ed infine della perdita di una cultura comune ai soggetti di giurisdizione, del novero dei quali – beninteso – non fanno parte gli avvocati difensori, essendo tale cultura da condividersi solo tra chi accusa e chi giudica. Qualcuno, con un po’ di pudore, sosteneva semplicemente che i tempi non erano maturi. Per verità, l’idea che la riforma abbia natura regressiva e che le sue motivazioni siano insensate è ancora sostenuta da qualche opinionista, divenuto tale a conclusione della propria carriera magistratuale e a cui è data tribuna nelle gazzette per lo più filogovernative. È un peccato che una parte della stampa nazionale non reputi opportuno offrire un adeguato spazio alle ragioni del sì.

A trent’anni dal Codice accusatorio la riforma ordinamentale ha ormai il sapore dell’Incompiuta e nessuno francamente può pensare di rinviarne la realizzazione a tempi migliori. La “comune cultura della giurisdizione” è la prova provata non dell’esigenza di preservare il Pubblico Ministero dai nefasti schemi di polizia giudiziaria ma della contaminazione che punta ad attrarre modalità di acquisizione della prova e regola di giudizio del Giudice in quelle della parte requirente. Il meccanismo di commistione è semplice quanto infernale: il P.M. ha a cuore le strategie investigative, la necessità di preservare il risultato della fonte di prova, la ricostruzione di una ipotesi processuale; tutti dati che dovrebbero essere estranei al Giudice, la cui logica è quella della verifica probatoria per il tramite delle regole del contraddittorio, che lo vogliono equidistante dalle parti, necessaria a decisioni di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio. Le intercettazioni del Dottor Palamara – al netto dei temi procedimentali di utilizzabilità e dei contesti e dei ruoli dei singoli magistrati coinvolti nella corsa a questa o a quella funzione o favore – hanno mostrato come il vero potere condizionante sia quello del Pubblico Ministero e della sua organizzazione. Da anni le Camere penali hanno evidenziato come le nomine dei capi degli Uffici giudiziari si fondassero nell’azione correntizia e nel rapporto con la politica. Questo non ha significato che agli incarichi apicali siano andati i peggiori, ma semplicemente che la modalità di selezione delle classi dirigenti, quantomeno per funzione, è appartenuta a logiche e schemi praeter legem.

Eppure ANM continua ad essere contraria alla separazione delle carriere. Intravede fantasmi di un passato che invece andrebbe riletto con disponibilità critica anche verso gli errori e le superfetazioni di ruoli. Noi non vogliamo togliere nulla alla rappresentanza, ma dobbiamo prendere atto che spesso tanti magistrati non condividono le posizioni del loro sindacato; esistono all’interno della Magistratura punti di riferimento culturali che esprimono nuove elaborazioni identitarie, utili per la definizione del ruolo del magistrato e della sua funzione. Le rappresentazioni del fenomeno sono, ad esempio, da un lato, la posizione di ANM che qualche mese fa per l’appello proponeva il superamento del principio del divieto di reformatio in peius, dall’altro le Sezioni Unite che hanno costruito un nuovo percorso di inammissibilità nel giudizio di merito e dall’altro ancora, alla nostra inaugurazione dell’anno giudiziario a Brescia, magistrati di grande esperienza, adusi al contributo scientifico e con funzioni di organizzazione di grandi Corti di Appello che hanno rivendicato la centralità del secondo grado di merito come giudizio ineliminabile, l’organizzazione del quale non può prescindere dal sostanziale diritto per il condannato ad una seconda verifica di merito.

È questa la Magistratura, che plaude alle iniziative nostre e dell’Accademia per la salvaguardia della prescrizione come irrinunciabile istituto di civiltà giuridica, che si approccia in modo critico alle proposte di modifica dell’ordinamento giudiziario, che come noi chiede maggiore incisività dei controlli di garanzia sull’attività del Pubblico Ministero, che vuole il rafforzamento dei riti alternativi, che intende preservare una qualche purezza ai meccanismi del contraddittorio. Soprattutto con essa vogliamo discutere ed interloquire per costruire un nuovo spirito di riforma ed una cultura democratica del diritto penale liberale e delle garanzie che esso porta con sé.

*Segretario dell’Unione Camere Penali Italiane

[1] Trascrizione, rivista dall’autore, dell’intervento alla tavola rotonda del 27 luglio 2020SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI: La prima riforma dell’ordinamento giudiziario è in parlamento”. Per la videoregistrazione integrale qui.