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SEQUESTRO PREVENTIVO E FUMUS COMMISSI DELICTI,  FRA MINIMUM STANDARD E BEST PRACTICE – DI ALESSIO CUGINI BORGESE

SEQUESTRO PREVENTIVO E FUMUS COMMISSI DELICTI, FRA MINIMUM STANDARD E BEST PRACTICE – DI ALESSIO CUGINI BORGESE

CUGINI BORGESE – SEQUESTRO PREVENTIVO E FUMUS COMMISSI DELICTI FRA MINIMUM STANDARD E BEST PRACTICE.pdf

SEQUESTRO PREVENTIVO E FUMUS COMMISSI DELICTI, FRA MINIMUM STANDARD E BEST PRACTICE

PREVENTIVE SEIZURE AND FUMUS COMMISSI DELICTI, BETWEEN MINIMUM STANDARD AND BEST PRACTICE

di Alessio Cugini Borgese*

Corte di Cassazione, sezione V penale, 31 maggio 2021, n. 31693, Pres. Sabeone – Est. e Rel. De Marzo – P.M. Lori (inamm.)

Sequestro preventivo – fumus commissi delicti – riesame – ricorso del Pubblico Ministero – inammissibilità.

(Artt. 273, 309, 321, 324 c.p.p.)

In tema di sequestro preventivo il requisito del fumus commissi delicti si allontana, nella sua dimensione ricostruttiva, dal rigore dell’art. 273 c.p.p., ma si àncora saldamente ad un rigoroso accertamento fattuale e pervasivo di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta oggetto di accertamento.

(massima a cura dell’Autore)

Con la sentenza annotata la Corte Suprema, nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva annullato il decreto con il quale il G.I.P. aveva disposto il sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321, co. 1 c.p.p., conferma che il fumus commissi delicti per l’adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p. necessita comunque dell’esistenza di concreti elementi di fatto, quantomeno indiziari, che riconducano l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato.

With the sentence noted by the Supreme Court, in declaring inadmissible the appeal lodged by the Public Prosecutor against the order of the Review Court which had annulled the decree by which the G.I.P. had ordered the preventive seizure, pursuant to art. 321, co. 1 c.p.p., confirms that the fumus commissi delicti for the adoption of a preventive seizure, although it does not have to integrate the serious indications of guilt referred to in art. 273 c.p.p. however, it requires the existence of concrete factual elements, at least circumstantial, which link the event punished by the criminal law to the conduct of the suspect.

Sommario: 1) La vicenda esaminata dalla Suprema Corte. 2) le diverse tipologie di sequestro. 3) Le esigenze di tutela connesse al sequestro preventivo. 4) La valutazione del fumus commissi delicti. 5) Il sequestro preventivo sotto la lente del diritto sovranazionale. 6) Conclusioni.

1. La vicenda esaminata dalla Suprema Corte

Il Tribunale di Bari, Sezione per il Riesame, accoglieva l’istanza rivolta contro il sequestro disposto dal GIP presso il medesimo Tribunale con cui era stato imposto il vincolo cautelare del sequestro preventivo di alcuni parchi fotovoltaici, oltre al sequestro finalizzato alla confisca di ingenti somme da intendersi quali profitto del reato di cui all’art. 640-bis c.p.

Si trattava, nello specifico, di dieci impianti fotovoltaici che, secondo la prospettazione dell’Ufficio di Procura, dovevano ritenersi un unico conglomerato ascrivibile a due centri di interesse giuridico ed economico, simulando quindi l’autonomia al fine di ottenere l’erogazione di pubblici finanziamenti e la conseguente integrazione delle ipotesi di reato di cui all’art. 479 c.p. in relazione all’art. 476, co. 2 e 61, n. 2 c.p.

Il Tribunale del Riesame verificava che l’ipotizzata falsità non attenesse agli elementi di fatto dirimenti nella fattispecie concreta, rilevando, piuttosto, sotto il profilo valutativo, e per l’effetto annullava il vincolo cautelare reale imposto.

Avverso la decisione del Tribunale proponeva ricorso per cassazione l’Ufficio di Procura, invocando inosservanza o erronea applicazione degli artt. 476 e 479 c.p., da un lato, e dell’art. 640-bis c.p. dall’altro.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso spiegato, richiama l’orientamento di legittimità[1] per cui il fumus commissi delicti per l’adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p. necessita comunque dell’esistenza di concreti elementi di fatto, quantomeno indiziari, che riconducano l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato.

Rileva peraltro la Corte di Cassazione come il ricorso avverso ordinanze del Tribunale del Riesame è ammesso solo per errores in iudicando o in procedendo o per totale assenza di motivazione, intesa anche come riscontro di vizi tanto radicali da rendere l’argomentazione del tutto assente o mancante dei requisiti di coerenza, completezza, ragionevolezza[2].

Facendo applicazione dei detti principi di diritto la Suprema Corte rileva come, a monte, l’ordinanza avverso la quale il ricorso è stato proposto sia a dirsi in linea con i precedenti di legittimità sopra richiamati, e che, a valle, si sarebbe innanzi a motivi di ricorso meramente speculativi e aspecifici.

Da qui, dunque, la declaratoria di inammissibilità del gravame spiegato dall’Ufficio di Procura ricorrente, in linea con le conclusioni rassegnate dalle Procura Generale.

2. Le diverse tipologie di sequestro

Prima di entrare nello specifico merito della vicenda, e di giungere alla puntuale analisi della figura del sequestro preventivo, per come vagliata anche nella pronuncia in commento, si impone di brevemente ricostruire le diverse tipologie di sequestro.

È vero, infatti, che nel nostro ordinamento processual-penalistico si differenziano due tipologie di misure cautelari reali, distinte in forza delle specifiche finalità che con il provvedimento si intendono perseguire.

Si tratta, nello specifico, del sequestro conservativo, che trova compiuta disciplina negli artt. 316 ss. c.p.p., specificatamente finalizzato ad apporre un vincolo sui beni dell’imputato o del responsabile civile per garantire il pagamento delle somme dovute per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’Erario dello Stato (comma 1), nonché a garanzia del pagamento delle obbligazioni civili nascenti da reato (comma 2), e, dall’altro lato, del sequestro preventivo, disciplinato dagli artt. 321 ss. c.p.p., disposto sulle cose pertinenti al reato ogni qualvolta vi sia pericolo che la loro libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, ovvero agevolare la commissione di altri reati.

Nel caso della prima tipologia, del sequestro conservativo, il vincolo reale imposto si traduce nell’impossibilità di disporre dei beni immobili o delle somme o cose dovute al soggetto che lo subisce, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento: in ogni caso la Procura può richiedere solamente il sequestro per le spese di giustizia o relative alle pene pecuniarie, non potendo agire per le somme dovute a titolo di risarcimento del danno.

In questo ultimo senso, infatti, qualora vi sia fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato, come disposto dall’art. 316 co. 2 c.p., sarà onere della parte civile chiedere il sequestro conservativo dei beni dell’imputato[3].

Il relativo provvedimento che dispone il sequestro conservativo è emesso dal giudice mediante ordinanza, ma se l’imputato o il responsabile civile offrono idonea cauzione a garanzia dei crediti, il giudice può disporre con decreto che non si faccia luogo al sequestro conservativo.

Già in questo ultimo senso deve rimarcarsi una differenza rispetto alla diversa figura del vincolo preventivo, che se ne differenzia, al di là della ratio sopra delineata, anche nell’ipotesi di situazioni di frontiera: è vero, ad esempio, che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca non è consentita la restituzione del bene previo rilascio di idonea cauzione, non trovando applicazione né la disposizione di cui all’art. 85 disp. att. c.p.p., prevista con esclusivo riferimento al sequestro probatorio, né quella contenuta all’art. 319 c.p.p. riguardante il sequestro conservativo[4].

Il che non esclude, in ogni caso, che le due tipologie di sequestro possano fra loro coesistere[5].

3. Le esigenze di tutela connesse al sequestro preventivo.

Come noto, chiaramente il sequestro preventivo è quella misura di carattere reale che mira ad imporre un vincolo sulla res tale da determinarne l’indisponibilità funzionale a interrompere il compimento del fatto di reato ovvero a prevenirne la consumazione di altri.

È vero, a tale riguardo, che l’art. 321 c.p.p. prevede tre diverse ipotesi di sequestro preventivo, da realizzarsi quando la libera disponibilità di una cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze di un reato già commesso, ovvero quando la medesima disponibilità può determinare la commissione di altre ipotesi di reato, e, infine, quando trattasi di cose pericolose di per sé, tali per cui, cioè, ne sia consentita o imposta la confisca.

Nelle prime due ipotesi appena indicate il sequestro è obbligatorio, mentre nella terza trattasi di istituto facoltativo.

Vi è, da ultimo, l’ipotesi prevista dall’art. 321, co. 2 bis c.p.p., ulteriore caso di sequestro di natura obbligatoria, diretta a normare la fattispecie di sequestro dei beni dei quali è consentita la confisca nel caso di reati consumati contro la Pubblica Amministrazione.

L’istituto in parola rappresenta un novum nell’ambito del – pur ormai datato – nuovo codice di procedura penale, tenendo conto che secondo il previgente codice procedurale era normata esclusivamente l’ipotesi di “sequestro penale”, ritenuto di natura ancipite, ovvero sia probatoria che cautelare in senso stretto. Nella scarna indicazione normativa si era per questo registrata l’opera suppletiva di dottrina e giurisprudenza, individuando così quali indici di àncoraggio della fattispecie, da un lato, il fumus dell’illecito penale, ritenuto sussistente anche nei casi in cui la semplice notizia di reato fosse giunta al soggetto titolare del potere di sequestro, e dall’altro lato il periculum in mora, ossia il pericolo di alterazione o dispersione delle cose assoggettate al vincolo di indisponibilità. Tale ultimo requisito emergeva, in particolare, dalle norme dedicate al sequestro operato dalla polizia giudiziaria, le quali prevedevano la disposizione del sequestro prima dell’intervento del magistrato proprio nei casi in cui il rischio di dispersione era particolarmente pregnante e insito nel requisito nell’urgenza.

Non mancava chi, in dottrina[6], evidenziava la funzione esclusivamente probatoria del sequestro, giungendosi a tale conclusione anche in ragione dell’oggetto della misura, che era soltanto il corpo del reato e le cose pertinenti ad esso, ossia beni che, in virtù del loro nesso con l’illecito, avevano un’attitudine dimostrativa della sua commissione, nonché per la collocazione sistematica nell’ambito dell’istruzione formale (art. 337 c.p.p.), di quella sommaria (tramite il rinvio operato dall’art. 391 c.p.p. all’art. 337 c.p.p.) e di quella preventiva (artt. 222, 224, 231 e 232 c.p.p.), tutte preordinate alla raccolta delle prove, rivelava la sua finalizzazione all’accertamento penale.

Naufragata la proposta di revisione iniziale del codice di procedura penale, il legislatore è alfine intervenuto con la legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, il cui art. 2, nella formulazione originaria, disciplinava unitamente le misure di coercizione personale e reale, venendo poi scomposto, a seguito degli emendamenti presentati nel corso del dibattito parlamentare, in due distinte direttive: la n. 59 illustrava in modo puntuale i criteri per l’introduzione da parte del legislatore delegato di misure coercitive personali, mentre la n. 65, molto più stringata, prevedeva misure interdittive e misure reali, tra le quali soltanto le prime erano funzionalizzate a specifiche esigenze cautelari, imponendosi per l’effetto al legislatore delegato la “previsione in relazione a specifiche esigenze cautelari di misure interdittive, con predeterminazione di termini di cessazione della loro efficacia, e di misure reali”.

Con l’istituto del sequestro preventivo chiaramente il legislatore è intervenuto nel senso di rispondere all’esigenza di tipizzare i provvedimenti, assicurare un adeguato sistema di controlli, ed al contempo assurgendo alla necessità di garantire un adeguato coordinamento con l’applicazione dell’istituto nell’ambito delle leggi speciali e della pratica giudiziaria[7].

Le conseguenze che il legislatore intende neutralizzare mediante la previsione dell’istituto del sequestro preventivo non sono identificabili con l’evento del reato in senso naturalistico e neppure con l’evento in senso giuridico, intendendosi piuttosto intervenire nel senso di incidere sulle conseguenze antigiuridiche, ulteriori rispetto alla consumazione del reato, con la conseguenza per cui il sequestro preventivo può essere legittimamente disposto non solo con riferimento a reati a efficacia prolungata (reato permanente, istantaneo a effetti permanenti, abituale, continuato, tentato), ma anche in relazione a figure criminose di carattere istantaneo.

Così avviene, per fare un esempio, in tema di reati edilizi e paesaggistici, nei quali la mancata rimozione, al termine del periodo consentito, di un’opera legittimamente realizzata in base ad un’autorizzazione per il soddisfacimento di esigenze stagionali, integra un illecito istantaneo con effetti permanenti che legittima in ogni caso l’imposizione del vincolo cautelare di cui si discute[8].

Con riferimento, invece, al requisito del pericolo di agevolazione della commissione di nuovi reati, è la dottrina[9] ad averne individuato i precisi confini operativi. Innanzitutto, si è precisato che – in assenza di una indicazione specifica, analoga a quella prevista per le misure cautelari personali dall’art. 274, co 1, lett. c), c.p.p., l’espressione “altri reati” di cui all’art. 321 c.p.p. non deve essere interpretata restrittivamente come riferita soltanto a reati della stessa specie di quello per cui si procede, evidenziandosi altresì la necessità per cui la valutazione del giudice in ordine alla sussistenza, o meno, del predetto pericolo non si esaurisca in una astratta prognosi di commissione di nuovi reati, ma si sostanzi nell’analisi della concreta potenzialità criminogena della disponibilità cosa, ancorando la nozione di pericolo alla specificità dei dati esistenti.

Rileva infatti la dottrina[10] come a diversamente ritenere si finirebbe per consentire una inammissibile applicazione dell’istituto in funzione di mera prevenzione dei reati, con conseguente snaturamento della sua finalità cautelare intrinseca.

In merito si registra anche un importante arresto a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, diretto a rilevare come nel caso di sequestro c.d. impeditivo presupposto della misura cautelare sia il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, sicché si tratta di uno strumento finalizzato ad interrompere quelle situazioni di pericolosità che possono crearsi con il possesso della cosa assicurandosi scopi di prevenzione speciale nei confronti della protrazione o della reiterazione della condotta illecita, ovvero della causazione di ulteriori pregiudizi[11].

Per tale via, ad esempio, è stato ritenuto congruo il sequestro preventivo operato in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, caso in cui la Corte ha ritenuto legittimo il vincolo imposto sui complessi aziendali della società fallita, ancora nella disponibilità di fatto degli imputati, motivato dalla necessità di impedire ulteriori condotte di disposizione o dispersione[12].

In punto, fra l’altro, di guarentigie di natura processuale si segnala un importante arresto della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’obbligo di dare avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, previsto dagli artt. 356 e 364 c.p.p. e 114 disp. att. c.p.p. per il sequestro probatorio non trova applicazione nella diversa ipotesi di sequestro preventivo, poiché mentre il primo è atto di indagine per il quale, al momento della sua esecuzione, è necessario l’eventuale presidio della garanzia difensiva, il secondo ha natura di misura cautelare finalizzata ad evitare che la libera disponibilità del bene possa protrarre o aggravare le conseguenze del reato o determinare la commissione di altri reati ed è atto disposto dal giudice quale soggetto processuale neutrale[13].

4. La valutazione del fumus commissi delicti

Come già chiarito, uno dei due pilastri fondativi per l’applicazione della misura cautelare reale del sequestro preventivo è costituito dall’accertamento del fumus commissi delicti.

In ciò si registra, in linea con quanto rilevato dalla sentenza qui oggetto di commento, una divaricazione di accertamento rispetto alla diversa ipotesi di misure cautelari personali, dal momento che si ritiene, anche in dottrina[14] che il requisito in parola sia da valutarsi nei termini di sussistenza di indizi di commissione del fatto di reato e non già di colpevolezza, ravvisandosi la ragione fondativa di tale differenza nel fatto che la misura di cui si discute incide su beni patrimoniali e non già su libertà personali.

Nondimeno sempre la dottrina rileva come l’impostazione appena esposta necessiti di taluni correttivi, specie in punto di accertamento della sussistenza dell’elemento psicologico del reato onde valutare l’effettiva sussistenza dello stesso [10], rilevandosi, per altri versi, come sia essenziale in ogni caso subordinare il sequestro preventivo all’esistenza di gravi indizi di colpevolezza[15].

Il principio di diritto che la sentenza qui in commento afferma è del resto esattamente in ciò sostanziato, ovvero nel fatto per cui il fumus commissi delicti per l’adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p., necessita comunque dell’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato.

La giurisprudenza ha fatto registrare, nel corso del tempo, una chiara oscillazione rispetto agli indici di valutazione del requisito di cui si discute, partendosi, in questo senso, da una lettura nei fatti minimale, secondo cui a giustificare il sequestro preventivo fosse sufficiente la considerazione della sussistenza degli estremi del reato ipotizzato, mentre la verifica dell’antigiuridicità penale del fatto andasse compiuta su un piano di astrattezza, nel senso che essa non potesse investire la sussistenza in concreto dell’ipotesi criminosa ma dovesse essere limitata alla configurabilità del fatto come reato, in ciò, peraltro, non bastando la enunciazione del semplice titolo del reato, essendo viceversa necessario che fosse indicato, sia pure, nei termini essenziali, un fatto inquadrabile nel reato in relazione al quale è stato disposto il sequestro[16].

Indice di questa peculiare lettura era del resto ricavato dal fatto che fosse ritenuta sufficiente la ipotizzabilità in astratto della commissione di reato, rilevabile attraverso la pendenza del processo penale e la sussistenza di una imputazione, senza alcuna possibilità di apprezzamento in ordine alla fondatezza dell’accusa e alla probabilità di una pronuncia sfavorevole per l’imputato[17].

Per tale via, e per esemplificare, la Suprema Corte si è pronunciata nel senso di annullare un provvedimento di revoca di sequestro, ritenendo che non solo fosse ipotizzabile a carico dell’imputato in base alle indagini svolte il reato di evasione dell’I.V.A. all’ importazione, di cui all’art. 70 D.P.R. 26.10.1972 n. 633, per il quale poteva essere disposta la confisca, ma anche che la legittimità del provvedimento potesse essere desunta dalla possibilità di essere il detto reato essere ancora contestato all’imputato sia mediante una nuova ed autonoma richiesta di rinvio a giudizio, sia mediante la modifica e l’integrazione dell’imputazione ai sensi dell’art. 423 c.p.p.[18], oppure ancora nel senso di ritenere integrato, in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, indizio evidente del reato la circostanza che i rifiuti dovessero essere raccolti in vasche di notevoli dimensioni, in quanto in tale caso veniva meno la connessione funzionale con la normale attività agricola e prevale l’aspetto produttivo dell’insediamento[19].

Spostandocisi in tempi maggiormente prossimi agli attuali non si può dire di assistere ad un brusco revirément giurisprudenziale, rilevandosi sempre che l’accertamento della sussistenza del fumus è limitato alla verifica della configurabilità, quale fattispecie astratta di reato, del fatto contestato, così come può essere desunto dalla imputazione, senza che sia possibile alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza dell’accusa ed alla probabilità di una pronunzia sfavorevole per l’indagato.

Così, ad esempio, in materia urbanistica, si è ritenuto che qualora venga realizzata un’opera sulla base di una concessione edilizia illegittima, l’esame del giudice penale abbia ad oggetto l’eventuale integrazione della fattispecie penale prevista dall’art. 20 legge 47/1985 ed in questa operazione il sindacato sull’atto illegittimo abbia carattere incidentale, trattandosi di un provvedimento che costituisce il presupposto dell’illecito penale, senza che si debba procedere alla disapplicazione dell’atto stesso, motivo per cui, anche in presenza di una concessione edilizia illegittima, può essere disposto il sequestro preventivo del manufatto e, in sede di impugnazione della misura cautelare reale[20].

Nel mezzo si pone si pone anche il vaglio della Consulta, cui la questione dell’interpretazione dell’art. 321 c.p.p. è stata rimessa al fine di valutare la possibile lesione del principio di buon andamento dell’Amministrazione giudiziaria, mentre la mancata delibazione degli indizi di colpevolezza e della loro gravità non consentirebbe una motivazione in concreto, con la necessaria esplicitazione delle ragioni per le quali si fa luogo o meno alla compressione di un diritto soggettivo, costituzionalmente tutelato, come quello di proprietà, con conseguente contrasto con l’art. 42, co. 2 Cost., per essere prevista una limitazione di questo diritto al di fuori degli scopi e della funzione di cui alla riserva di legge, enunciata dall’indicato parametro[21].

Il Giudice delle Leggi, tuttavia, si è espresso in senso negativo rispetto alla questione di legittimità costituzionale sollevata[22], rilevando come il disposto dell’art. 321 c.p.p. non contrasti anzitutto con l’art. 24 Cost., dal momento che il diritto di difesa ammette diversità di disciplina in rapporto alla varietà delle sedi e degli istituti processuali in cui lo stesso è esercitato, e i valori che l’ordinamento prende in considerazione sono graduabili fra loro: da un lato, l’inviolabilità della libertà personale, e, dall’altro, la libera disponibilità dei beni, che la legge ben può contemperare in funzione degli interessi collettivi che vengono ad essere coinvolti. Secondo questa impostazione il sequestro preventivo attiene, infatti, a “cose” che presentano un tasso di “pericolosità” tale da giustificare l’imposizione della cautela, e, pur raccordandosi ontologicamente ad un reato, può prescindere totalmente da qualsiasi profilo di “colpevolezza”, proprio perché la funzione preventiva non si proietta necessariamente sull’autore del fatto criminoso, ma su beni che, postulando un vincolo di pertinenzialità col reato, vengono riguardati dall’ordinamento quali strumenti la cui libera disponibilità può costituire situazione di pericolo, come dimostrano le ipotesi della confisca obbligatoria.

La medesima Consulta ha voluto, con la pronuncia menzionata, escludere alla radice ogni possibile dubbio di duplicazione di attività processuale che sposterebbe, allargandolo, il tema del decidere da quello della verifica del pericolo della libera disponibilità di taluni beni, all’oggetto del procedimento principale; potendo essere oggetto della misura “le cose pertinenti al reato” (locuzione volutamente ampia ed indistinta che assorbe quella, più circoscritta, di “corpo di reato” definito dall’art. 253 c.p.p.) è evidente che al giudice sia fatto carico di verificare che esista un reato, quanto meno nella sua astratta configurabilità, e che ricorra l’integralità dei presupposti legittimanti la misura, attraverso un controllo non burocratico, ma pienamente satisfattivo del corrispondente obbligo di motivazione prescritto per tutti i provvedimenti giurisdizionali.

La giurisprudenza di legittimità è poi tornata nuovamente a pronunciarsi su questioni di presunta legittimità costituzionale in tema, rinvenendo nei fatti una disciplina per così dire “debole” della fase cautelare, tale per cui i principi del giusto processo e della parità delle armi tra difesa ed accusa, sono da intendersi connessi alla sola fase del “processo” e non a quella delle indagini preliminari, motivo per cui non potrebbe invocarsi alcun difetto di tutela piena nell’accertamento operato nella fase applicativa del sequestro preventivo[23].

Il rigorismo giurisprudenziale, per il vero piuttosto consolidato, ha iniziato comunque in tempi più recenti a mostrare dei primi, iniziali, segni di sfaldamento.

Così si è giunti ad affermare che nella valutazione del fumus commissi delicti il Giudice debba comunque sempre verificare la sussistenza di un concreto quadro indiziario, non potendosi limitare alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall’accusa[24], ma, tenendo sempre a mente la dicotomia ontologica fra misure cautelari personali e reali, si pone sempre e comunque la necessità di procedere alla verifica dell’esistenza di un quadro di effettivi indizi, ancorché non in termini di capacità di questi di fondare un giudizio di elevata probabilità della responsabilità.

Sempre in quest’ottica, nel pur dovuto distinguo fra misure cautelari personali e reali, e, più in generale, nella già evidenziata differenziazione fra fase procedimentale e processuali, si è giunti ad affermare che la valutazione da parte del giudice del fumus commissi delicti sia da ritenersi contenutisticamente differenziata in ragione dei diversi stadi di accertamento dei fatti e del materiale probatorio prodotto, che va però comunque esaminato nella sua interezza: ne consegue però sempre che la base fattuale su cui la misura cautelare deve sostenersi ben può essere rappresentata dalla configurabilità di un reato di cui ancora possono risultare nebulose tutte le interferenze in ordine alle varie responsabilità soggettive, con la conseguenza di confermare la non riferibilità al tema delle cautele reali del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, che, invece, caratterizza le misure cautelari personali.

Si sottolinea in questo senso che nonostante le velate aperture residua di fondo una considerazione stabile, quella per cui la base probatoria su cui si sostanzia il provvedimento di sequestro è flessibile in ragione dei diversi stadi di accertamento dei fatti, e quindi potendosi assistere a scrutini contenutisticamente differenziati a seconda del materiale che l’Ufficio di Procura rimette al Giudice chiamato ad adottare la misura e, poi, a scrutinare la legittimità del provvedimento in sede di impugnazione[25], con la conseguenza ultima per cui, ove gli elementi raccolti nella – seppur parziale – fase istruttoria documentino la sussistenza del reato in termini congrui, potrà dirsi raggiunto il necessario e sufficiente fumus e, quindi, integrato il presupposto minimo per l’adozione della misura cautelare reale, cui è chiamato a fare però da contraltare il potere giudiziale di verifica, nel senso di non potersi sostenere che il Giudice subisca una sorta di degradazione del proprio potere di sindacato[26].

5. Il sequestro preventivo sotto la lente del diritto sovranazionale

La sentenza qui in commento, alla luce dell’excursus giurisprudenziale tracciato, pare sostanzialmente in linea con gli approdi già raggiunti e con le leggere, velatissime, aperture di credito verso una rivalutazione del momento valutativo del fumus commissi delicti.

Non v’è chi non veda, tuttavia, come le pagine di diritto nazionale debbano ormai essere lette con le lenti del diritto di matrice sovranazionale e, ovviamente, per prima in ottica CEDU.

È indubbio che in ottica sovranazionale la restrizione di un diritto fondamentale, quale quello al godimento della libera proprietà, imponga di valutare che ogni misura patrimoniale limitativa del right of property debba soddisfare un adeguato bilanciamento tra l’interesse generale della società e i diritti fondamentali del singolo, assicurandosi il principio di proporzione rispetto all’obiettivo da perseguire e che, in generale, sussista un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco[27].

In questa ottica, nella necessità, cioè, di assicurare l’adeguato bilanciamento degli interessi in gioco, si rappresenta che rilievo viene assegnato alla valutazione complessiva della condotta del soggetto interessato, esaminata nella sua logica ed inevitabile dimensione processuale, anche in punto di accertamento del grado di colpa o di responsabilità[28].

Il sistema di guarentigie convenzionali opera quindi sulla base della logica del minor sacrificio necessario, che, nel caso di sequestro, si è reputato soddisfatto al ricorrere di determinate garanzie anche procedurali (ad esempio per la possibilità di far riesaminare le decisioni assunte), e nella generale considerazione per cui il bilanciamento non potrà dirsi soddisfatto se la persona interessata abbia subito an individual and excessive burden, ovvero un sacrificio eccessivo nel suo diritto di proprietà[29].

Chiaramente a venire in rilievo è l’ipotesi di cui all’art. 6 CEDU, nelle sue specifiche declinazioni volte ad assicurare anche i diritti di difesa della persona coinvolta in un procedimento penale.

In questo ambito, e con particolare riguardo al profilo strettamente soggettivo, il soggetto accusato non è identificato esclusivamente con l’imputato ma anche con l’indagato, e più in generale con chi sopporti le conseguenze di fatto della commissione di un reato, compresa l’adozione di un sequestro preventivo, con connesso e conseguente riconoscimento dei richiamati diritti difensivi alla persona attinta dalla predetta cautela[30].

E che il profilo europeo sia oramai divenuto un chiaro terreno di confronto per le prospettive di applicazione della misura cautelare è testimoniato anche dal fatto che nel recente leading case in tema di sequestro preventivo e presupposti applicativi, oggetto di giudizio innanzi alla Corte EDU, è stato ammesso l’intervento anche dell’Unione delle Camere Penali Italiane volto a sostenere le ragioni di criticità della normativa interna alla luce di quella convenzionale[31].

Solo, del resto, grazie all’evoluzione giurisprudenziale sovranazionale si è giunti al disvelamento (per dirla con Heidegger) della reale natura penale di meccanismi sanzionatori interni al nostro ordinamento e da sempre esclusi, nell’elaborazione canonica, dalle guarentigie del meccanismo processuale penale.

Si è così inaugurato il ricco filone europeo di decisioni che hanno riconosciuto piena valenza penale a forme sanzionatorie ablative della proprietà privata, sia essa mobiliare o immobiliare[32], ma in ordine alle quali la legislazione in primis, ma anche la stessa giurisprudenza, avevano da sempre negato i crismi dell’afflittività tipica dell’ambito penale.

6. Conclusioni

Le considerazioni sin qui compiute rendono abbastanza palese come la materia necessiti di una lettura orientata al rispetto dei principi costituzionali, anche divenuti, nel tempo, tramite di applicazione delle garanzie sovranazionali.

Non può negarsi che sussista un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità con cui l’arresto in commento si pone in linea di sostanziale continuità.

È altrettanto innegabile, tuttavia, che nel corso del tempo il monolite giurisprudenziale sia venuto smussando i propri rigidi contorni, anche grazie all’impegno della dottrina in tal senso.

Indubbio che a venire in rilievo, rispetto alle misure cautelari di natura personale, siano beni giuridici totalmente diversi ontologicamente, non essendo equiparabili il bene della vita e della libertà individuale a quello della proprietà privata, ciò che, in astratto, giustificherebbe anche un diverso trattamento processuale; nondimeno si vive il serio e concreto rischio che la diversità ontologica diventi il vessillo per crociate volte ad elidere, senza neppure troppi complimenti, le garanzie ordinamentali poste a tutela del complesso di beni che fanno capo all’individuo. In ciò si pone chiaramente anche la lettura costituzionalmente orientata della vicenda, che impone di guardare non già al singolo bene giuridico, ma al complesso di situazioni giuridiche nelle quali si svolge, e si forma, la personalità stessa dell’individuo.

È quindi chiaro, in questo senso, che l’imposizione del vincolo cautelare reale si differenzia ma non si pone in linea di parallelismo rispetto al vincolo personale, potendosi piuttosto disquisire di una situazione di intersecazione limitata e tale da imporre, per l’effetto, precise tutele anche in tema di applicazione del vincolo reale.

Indubbiamente ha un peso ben determinato la dicotomia fra fase procedimentale e processuale, ma non può tacersi il fatto che la maggiore elasticità, o flessibilità, per mutuare un termine giurisprudenziale, come sopra visto, imposta alla prima fase non può tradursi nell’abbandono puro e semplice di ogni garanzia di intervento.

Né, ancora, la garanzia può essere ancorata solo ed esclusivamente ai rimedi processuali esperibili contro l’imposizione del vincolo cautelare, imponendosi piuttosto di prevenire l’applicazione di una misura i cui effetti rischiano, infatti, di essere deleteri già nella primissima fase.

Il principio di diritto enunciato dalla sentenza in commento, quindi, si pone nel solco di questo progressivo seppur graduale ripensamento, di questa maggiore attenzione alla fattispecie tale per cui, lungi dal pretendersi un’anticipazione di giudizio (che sarebbe del resto indebita), anche nel momento in cui il Giudice è chiamato a decidere della sussistenza del fumus commissi delicti non possa limitarsi ad un semplice passaggio formale né ad una sola enunciazione di diritto in ordine alla sussistenza del fatto di reato oggetto di contestazione, dovendosi comunque spingere il più possibile nell’ottica di una considerazione il più possibile completa degli indici oggettivi, ma anche soggettivi, di commissione del fatto tale da coinvolgere la proiezioni degli effetti della misura anche nei passaggi processuali immediatamente e mediatamente seguenti.

*Avvocato del Foro di Roma, Dottore di ricerca in diritto pubblico presso l’Università di Roma Tor Vergata, Cultore della materia di diritto penale presso l’Università di Enna Kore.

[1] Cass. pen., Sez. V, 11 dicembre 2019, n. 3722, in C.E.D. Cass., RV. n. 27815201.

[2] In questo senso si richiama Cass. pen., Sez. II, 14 marzo 2017, n. 18951, in C.E.D. Cass., RV. n. 26965601.

[3] In questo senso rileva la giurisprudenza di legittimità come sia legittimo il sequestro conservativo a richiesta della parte civile di beni di proprietà dell’imputato dopo la sentenza di condanna in primo grado al risarcimento del danno in forma generica ed al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, attesa la diversa natura e finalità del rimedio cautelare – non costituente titolo esecutivo in quanto posto a garanzia dei diritti derivanti dalle statuizioni civili della sentenza penale – e di quello esecutivo fondato sulla condanna provvisionale (così Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2021, n. 6978, in CED Cass., RV n. 280494 – 01).

[4] Così Cass. pen., Sez. VI, 1 luglio 2021, n. 25329, in CED Cass., RV. n. 281532 – 01.

[5] In questo senso la giurisprudenza di legittimità rileva che sia ammissibile la coesistenza del sequestro conservativo e di quello preventivo sugli stessi beni, attese le diverse finalità e modalità di esecuzione di tali misure (così Cass. pen., Sez. II, 31 dicembre 2020, n. 37983, in CED Cass., RV n. 280512 – 01).

[6] G. LEONE, Manuale di diritto processuale penale, vol. II, Jovene, Napoli, 1961, p. 71 ss.

[7] G. SPANGHER, Manuale di Procedura penale, Monduzzi, Bologna, 2006, p. 322.

[8] Così Cass. Pen., Sez. III, 8 febbraio 2021, n. 4771, in CED Cass., RV n. 280376. Nello stesso senso anche Cass. Pen., Sez. III, 15 giugno 2017, n. 30130, in CED Cass., RV n. 270254.

[9] P. TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffré, Milano, 2021, p. 226 ss.

[10] L. CAPRIELLO, Sequestri e confische, Maggioli, Bologna, 2020, p. 49 ss.

[11] Cass. pen., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, in Cass. Pen., 2004, p. 3087 ss.

[12] Cass. pen., Sez. V, 6 maggio 2021, n. 17586, in CED Cass., RV n. 281104.

[13] Cass. pen., Sez. I, 30 marzo 2021, n. 12025, in CED Cass., RV n. 280978.

[14] A. CAMON, Fondamenti di procedura penale, Cedam, Bologna, 2019, p. 137.

[15] P. TONINI, Manuale di procedura penale, op. cit., p. 228.

[16] P. BALDUCCI, Il sequestro preventivo nel processo penale, Giuffré, Milano, 1991, p. 143.

[17] Così Cass. pen., Sez. V, 23 magio 1992, n. 1064, in CED Cass., RV n. 190425.

[18] Cass. pen., Sez. V, 15 aprile 1992, n. 1101, in Cass. Pen., 1993, p. 192.

[19] Cass. pen., Sez. III, 1 agosto 1992, n. 1298, in CED Cass., RV n. 191819.

[20] Cass. pen., Sez. III, 6 dicembre 1994, n. 2556, in Foro It., 1996, p. 244.

[21] Cass. pen., Sez. VI, 27 maggio 2003, n. 23255, in CED Cass., RV n. 225674. Nello stesso senso Cass. pen., Sez. V, 23 maggio 1999, n. 736, in Riv. Giur. Edilizia, 2000, p. 975.

[22] La questione è stata rimessa alla Corte Costituzionale sulla scorta del consolidamento dell’indirizzo giurisprudenziale sopra indicato mediante la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione penale 23 aprile 1993, n. 4 (in Cass. Pen., 1993, p. 1969), e per contrasto specifico degli artt. 321 e 324 c.p.p. con gli artt. 24, 97, 111 e 42 Cost.

[23] Così Cass. pen., Sez. III, 5 dicembre 2002, n. 42508, in Archivio Nuova Proc. Pen., 2003, p. 475.

[24] Cass. pen., Sez. VI, 24 aprile 2018, n. 18183, in CED Cass., RV n. 272927.

[25] Cass. pen., Sez. III, 16 dicembre 2011, n. 4742, in CED Cass., RV n. 258142.

[26] Cass. pen., Sez. II, 8 marzo 2019, n. 10231, in CED Cass., RV n. 276283.

[27] Così Corte Edu, 13 ottobre 2015, Unsped Paket Servisi SaN.Ve TIC. A. S. c. Bulgaria, in www.processopenaleegiustizia.it.

[28] Corte Edu, 10 aprile 2013, Yildrim c. Italia, in www.hudoc.echr.coe.int.

[29] Corte Edu, 13 dicembre 2016, S.C. Fiercolect Impex S.R.L. c. Romania, in www.hudoc.echr.coe.int.

[30] In argomento A. GAITO, Regole europee e processo penale, Cedam, Bologna, 2018, p. 94.

[31] Si tratta del giudizio Agricola 92 S.r.l. c. Italia (n. 15587/10), nell’ambito del quale l’UCPI ha fatto pervenire alla Corte le proprie osservazioni di terzo autorizzato (la relativa fonte della questione è rinvenibile all’indirizzo www.camerepenali.it

[32] Capostipite in ciò è la sentenza Corte Edu, Sud Fondi srl ed altri c. Italia, del 20.01.2009 (in www.giustizia.it), seguita dalla sentenza Varvara c. Italia, del 29 ottobre 2013 (in www.dirittopenalecontemporaneo.it, con nota di F. Mazzacuva, La confisca disposta in assenza di condanna viola l’art. 7 CEDU) e da ultimo con la sentenza G.I.E.M. s.r.l. e altri c. Italia, del 28 giugno 2018 (in Archivio Pen., 2018).