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SISTEMA DI OPPOSIZIONE ALL’ARCHIVIAZIONE IN ITALIA CON RIFERIMENTO ALLA DIRETTIVA UE 2012/29 (E INTERPRETAZIONE PREGIUDIZIALE DELLE NORME COMUNITARIE) – DI ALFREDO GUARINO

SISTEMA DI OPPOSIZIONE ALL’ARCHIVIAZIONE IN ITALIA CON RIFERIMENTO ALLA DIRETTIVA UE 2012/29 (E INTERPRETAZIONE PREGIUDIZIALE DELLE NORME COMUNITARIE) – DI ALFREDO GUARINO

GUARINO – SISTEMA DI OPPOSIZIONE ALL’ARCHIVIAZIONE IN ITALIA CON RIFERIMENTO ALLA DIRETTIVA UE 2012 29.pdf

SISTEMA DI OPPOSIZIONE ALL’ARCHIVIAZIONE IN ITALIA CON RIFERIMENTO ALLA DIRETTIVA UE 2012/29 (E INTERPRETAZIONE PREGIUDIZIALE DELLE NORME COMUNITARIE)

SYSTEM OF OPPOSITION TO DECISION NOT TO PROSECUTE REFERRING TO DIRECTIVE 2012/29 EU (AND PREJUDITIAL INTERPRETATION OF THE EU RULES)

di Alfredo Guarino*

Sommario: 1. La normativa comunitaria. – 2. Il modello normativo italiano. – 3. Il modello tedesco. – 4. Il modello francese. – 5. Il modello croato. – 6. Analisi critica della giurisprudenza della Corte di Cassazione. – 7. La tematica dell’interpretazione pregiudiziale della normativa comunitaria nella prassi della Corte di Cassazione. – 8. Proposte di riforma normativa per adeguare l’ordinamento italiano alla Direttiva dell’Unione Europea.

Sintesi: L’autore, nell’approccio epistemologico all’art. 11 della Direttiva UE n. 29/2012, statuente l’obbligo, per gli Stati membri, del riesame delle decisioni di non proseguire l’azione penale, valuta l’adeguamento delle normative in Italia, Germania, Francia e Croazia. Per penetrare nel significato più logico della prescrizione, secondo l’epistemologia della scienza giuridica, l’articolo sottolinea le carenze delle sentenze della Corte di Cassazione e i rimedi in caso di mancata trasmissione alla Corte di Giustizia UE per l’interpretazione pregiudiziale. Si conclude con la proposta di una riforma.

Abstract:  The right of a victim to a review of a decision not to prosecute as set out in article 11 of Directive 2012/29/EU – regulatory compliance in Italy, Germany, France and Croatia – critical analysis of the jurisprudence of the italian Supreme Court – preliminary referral to the EU Court of Justice and Violation of the European Convention on Human Rights.

1. La normativa comunitaria. L’art. 11, co. I, della Direttiva 2012/29 dell’Unione Europea, che ha tracciato i principi del sistema comunitario di tutela delle vittime nell’Unione Europea, dispone «Gli stati membri garantiscono alla vittima, secondo il ruolo di quest’ultima nel pertinente sistema giudiziario penale, il diritto di chiedere il riesame di una “decisione di non esercitare l’azione penale”. Le norme procedurali per tale riesame sono determinate dal diritto nazionale».

2. Il modello normativo italiano. Il modello prescelto dall’ordinamento giuridico italiano consente, alla persona offesa dal reato, di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione e in tal caso, se non vi sono ragioni di inammissibilità, il GIP provvede con ordinanza motivata.

Avverso l’ordinanza di rigetto della opposizione, pronunciata a seguito di rito camerale, è consentito ricorrere con reclamo al Tribunale in composizione monocratica solo nei casi di nullità previsti dall’art. 127, co. V, del Codice di procedura penale, sostanzialmente quando vi è stata violazione del contraddittorio, cioè quando non sia stato dato avviso o comunicazione dell’udienza con preavviso di dieci giorni, quando non vi sia stato rinvio in caso di legittimo impedimento dell’indagato che abbia richiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in un luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice e quando i destinatari dell’avviso (cioè indagati e persone offese) nonché i loro difensori non siano stati sentiti se comparsi e ne abbiano fatto richiesta. Inoltre è impugnabile per nullità il decreto di archiviazione, pronunciato senza l’adozione del rito camerale o in mancanza dell’avviso della richiesta di archiviazione, quando dovuta, ovvero quando il decreto sia stato emesso prima del termine per poter proporre opposizione e senza che sia stato presentato un atto di opposizione ovvero quando, se presentata l’opposizione, il Giudice abbia omesso di pronunciarsi sulla sua ammissibilità o la abbia dichiarata inammissibile, salvi i casi di inosservanza dell’art. 410, co. I, che impone alla persona offesa che si opponga alla archiviazione di richiedere la prosecuzione delle indagini preliminari «indicando, a pena di inammissibilità, l’oggetto della investigazione suppletiva ed i relativi elementi di prova».

Agli studiosi ed agli operatori nel diritto processuale penale si pone il quesito concernente la compatibilità della formulazione, nella normativa italiana, dell’istituto della opposizione alla archiviazione con la Direttiva comunitaria n. 2012/29.

Prima di esaminare il tema in oggetto, è opportuno rivolgere lo sguardo a come sia disciplinato il diritto della vittima ad impugnare le statuizioni di non esercizio dell’azione penale in alcuni paesi dell’Unione Europea[1].

3. Il modello tedesco. In Germania il pubblico ministero procedente deve avvisare la persona offesa della decisione di non esercitare l’azione penale (par. 171 StPO) e deve avvertirlo della possibilità di proporre una opposizione entro due settimane al procuratore capo (par. 172 co. 1, StPO). Il procuratore capo può rimettere gli atti al procuratore perché prosegua nell’esercizio dell’azione penale oppure può ritenere infondata l’opposizione. In tale ultima ipotesi la persona offesa può, entro un mese dalla ricezione della decisione del procuratore capo, rivolgersi alla superiore corte regionale di giustizia (par. 172 co. 2, StPO), in tal caso dovendo chiaramente indicare i fatti che a suo avviso sostengono la necessità dell’esercizio della azione penale con le relative prove (par. 172 co. 2, StPO) e la corte superiore regionale di giustizia può accogliere l’impugnazione e ordinare l’esercizio dell’azione penale. Tuttavia, nel caso in cui sia poi esercitata l’azione penale, a seguito della iniziativa assunta dalla persona offesa, sulla stessa ricadono i costi processuali da anticipare, che saranno poi corrisposti dall’imputato in caso di condanna.

4. Il modello francese. In Francia l’art. 1, co. 2, del codice di procedura penale prescrive che i procedimenti penali possono essere anche promossi ad iniziativa delle persone che hanno subito danni causati dal reato, alle condizioni prescritte dalla legge. Di conseguenza la parte offesa può personalmente promuovere una procedura penale sorretta da una richiesta di danno e può inoltre fruire della procedura in cui il pubblico ministero procede penalmente e in tale sede richiedere il risarcimento del danno. Da tale premessa consegue che la parte offesa può procedere indipendentemente dalle decisioni del pubblico ministero. Quindi la persona offesa può sia agire autonomamente, con la citation directe, sia con una richiesta di risarcimento del danno a depositarsi presso il giudice cui sono affidate le indagini, cioè praticamente al giudice che più o meno può equipararsi al nostro precedente giudice istruttore, con la plainte avec constitution de partie civile. Peraltro il pubblico ministero deve esercitare l’azione penale soltanto se ritiene che vi sia un idoneo livello di fondamento dell’imputazione, in relazione alle direttive fornite dal Ministro della Giustizia. Quando il pubblico ministero decide di non esercitare l’azione penale, è obbligato a notificare la sua decisione al soggetto che ha redatto una denuncia penale, motivando i fondamenti di fatto e di diritto per la sua decisione ai sensi dell’art. 40, comma 2, del codice di procedura penale: in tal caso, la persona offesa dal reato dispone di due possibilità per richiedere il riesame della decisione. La prima possibilità è quella di esperire un appello al procuratore generale (recours aupres du procureur general). Mentre l’altra possibilità che possiede è quella di promuovere un procedimento penale autonomamente con una richiesta specifica di natura civile. Quando il procuratore generale riceve l’appello avverso la decisione di non procedere, emessa dal pubblico ministero, può accogliere l’appello e in tal caso indicare, in forma scritta, al pubblico ministero di promuovere l’azione penale, come può indicargli anche di svolgere alcune attività di investigazione che non sono state svolte; se non accoglie l’appello, ritenendolo infondato, deve notificare la decisione al soggetto che ha proposto l’appello e, nel caso in cui l’appellante non sia direttamente la persona offesa, non vi è alcuna altra possibilità di promozione dell’azione penale, che, come detto, appartiene in modo autonomo soltanto alle persone offese e quindi non ai danneggiati dal reato o a soggetti terzi. Tuttavia, nel caso in cui venga esercitata dalla persona offesa autonomamente l’azione penale, questa è obbligata al versamento di una cauzione, al fine di evitare procedimenti meramente dilatori o pretestuosi che costituiscono un abuso del diritto (art. 392-1, co.3 del codice di procedura penale). Inoltre la persona offesa può, quando ha presentato una denuncia e il pubblico ministero non ha esercitato l’azione penale entro tre mesi oppure ha deciso di non procedere, rivolgersi al giudice istruttore perché possa esercitarsi l’azione penale. In tal caso il giudice istruttore richiede al pubblico ministero di pronunciarsi e il pubblico ministero può indicare che non vi sono i requisiti legali per la prosecuzione dell’azione penale o che la condotta attribuita non costituisce reato e può anche chiedere al giudice di esaminare la persona offesa perché valuti se effettivamente occorre esercitare l’azione penale. Il giudice istruttore può rifiutare la richiesta della persona offesa o accettarla e iniziare l’indagine. In caso di rifiuto dell’accoglimento della richiesta della persona offesa, questa può rivolgersi a un organo giudiziario collegiale (chambre de l’instruction) che può riconsiderare la decisione assunta ma in tal caso la persona offesa è obbligata ad un pagamento perché sia assicurata la riscossione di un’ammenda processuale qualora la sua richiesta dovesse risultare all’esito delle indagini del tutto «maliziose» (art. 88 – 1 in riferimento all’art. 177 – 2 del codice di procedura penale). Dopo che la persona offesa in tal caso ha corrisposto la somma dovuta, il giudice istruttore ha l’obbligo di indagare ed accogliere le prove allo scopo di chiarire i fatti del caso idonei a pervenire a una decisione sulla imputazione o sulla archiviazione (ordonnance de non-lieu).

5. Il modello croato. In Croazia la persona offesa può assumere la veste di pubblico ministero sussidiario quando il pubblico ministero non desidera esercitare l’azione penale oppure nel corso del procedimento decide di non proseguire oltre. Tale istituto è stato introdotto in Croazia sin dal 1875 (zakon o kaznenom postupku). Sostanzialmente l’istituto del pubblico ministero sussidiario è stato introdotto per correggere proprio gli errori che possono essere compiuti dai pubblici ministeri nel non promuovere le azioni penali o nel non proseguire le azioni penali già promosse. Quando un pubblico ministero decide di non procedere penalmente deve notificare alla persona offesa la sua decisione entro otto giorni e deve informarla delle facoltà che legalmente può esercitare per far valere i suoi diritti. Nei successivi otto giorni la persona offesa deve decidere se eventualmente proseguire nell’esercizio dell’azione penale. La persona offesa può quindi formulare al giudice istruttore sia una memoria per indicare che intende svolgere ricerche oppure indagini (se autorizzate, il giudice nomina un investigatore per i necessari adempimenti) e, se è stata già formulata dal pubblico ministero una imputazione, può mostrare di aderire alla formulazione dell’imputazione. Se tuttavia non aderisce alla imputazione già formulata, può formulare una nuova imputazione ma in tal caso la scelta può essere oggetto di revisione. Bisogna considerare che, sostanzialmente, la persona offesa può assumere il ruolo di pubblico ministero sussidiario se venga autorizzata dal giudice istruttore e in ogni caso la decisione concernente l’autorizzazione può essere oggetto di una successiva revisione. Il controllo giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero sussidiario impedisce che siano poste in essere promozioni dell’azione penale maliziose allo scopo di consumare private vendette e previene, in linea di massima, il rischio che una persona innocente sia esposta a infondate o eccessive richieste delle persone offese che pretendano ad ogni costo la punizione di coloro che considerano responsabili. Vi è da considerare, poi, che in ogni momento il controllo giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero sussidiario consente anche che sia nuovamente fornita al pubblico ministero l’iniziativa dell’esercizio dell’azione penale e, comunque, il pubblico ministero sussidiario non ha la possibilità di mutare la descrizione dei fatti che sono stati oggetto della definizione del reato precedentemente compiuta dal pubblico ministero regolare. Vi è stata una riforma del codice di procedura penale nel 2008. Il diritto di assumere la veste di pubblico ministero sussidiario viene riconosciuto soltanto alle vittime che siano anche persone offese dal reato. Nel caso di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero sussidiario, qualora poi il procedimento penale si concluda con una archiviazione oppure il giudizio penale si concluda con un’assoluzione, i costi processuali sono posti a carico della persona offesa (art. 149, co. 3, del codice di procedura penale)[2].

6. Analisi critica della giurisprudenza della Corte di cassazione. In Italia già è stata sollevata, anche innanzi alla Suprema Corte, la compatibilità della normativa italiana con riferimento all’art. 11 della Direttiva 2012/29. Le decisioni sinora assunte dalla Suprema Corte sono orientate a rigettare tutte le questioni sollevate con riferimento al contrasto fra la normativa italiana e la direttiva comunitaria. La Corte Suprema, Sezione II, del 9.05.2017 con sentenza n. 25754 osservava «La questione è manifestamente infondata, questa Corte ha già affermato che il legislatore nel razionalizzare il ricorso ai mezzi di impugnazione a tutela dei diritti limitando in taluni casi il ricorso alle sole violazioni di legge, ha esercitato il proprio potere discrezionale e non è consentito operare una interpretazione estensiva, che ulteriormente dilati, disapplicando il principio di tassatività dei mezzi e dei casi di impugnazione, le possibilità di ricorrere contro un provvedimento, quale quello di archiviazione, che, essendo pronunziato allo stato degli atti, appare comunque passibile, quando ne ricorrano le condizioni, di essere revocato. (Sez. 5, n. 40484 del 18/10/2002, rv. 222982) e non può considerarsi violato il principio di uguaglianza, poiché il limite anzidetto opera per tutte le parti processuali (Sez. 5, n. 12522 dei 24/02/2015, Rv, 262954). Tale interpretazione non si pone nemmeno in contrasto con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 11 della direttiva comunitaria 2012/29, argomento che costituirebbe del avviso della difesa il quid novi meritevole di rinnovata attenzione da parte della Corte Costituzionale (ed anche della Corte di Giustizia dell’Unione Europea), poiché il citato principio della necessità del “riesame della decisione di non esercitare l’azione penale”, trova il suo corrispondente, nell’ordinamento italiano nella previsione del controllo giurisdizionale assicurato dall’intervento del Giudice per le indagini preliminari il quale nel caso di inerzie o lacune investigative, potrà ordinare le ulteriori indagini (art. 410 c.p.p., comma 4) o anche dissentire dalla richiesta dei P.m. disponendo che lo stesso entro dieci giorni formuli l’imputazione (art. 410 c.p.p., comma 5) anche la p.o. attraverso la garantita partecipazione all’udienza camerale, potrà chiedere la prosecuzione delle indagini indicando l’oggetto della investigazione suppletiva ed relativi elementi di prova (art. 410 c.p.p., comma 1), sicché nell’ordinamento è dato ravvisare un sistema equilibrato di controllo, in ordine alla decisione di non esercitare azione penale che si compendia nel provvedimento motivato del GIP.»[3].

Di nuovo la Corte Suprema, con sentenza della IV Sezione, n. 50067 del 10.10.2017 ha affermato «E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del DL 15.12.2015, n. 212 in relazione agli artt. 10,11 e 117 co. I della Costituzione, con riferimento all’art. 11 della Direttiva 2012/29/UE del 25.10.2012 nella parte in cui non ha modificato la disciplina della archiviazione, prevedendo il diritto della persona offesa, sancito nella direttiva citata, di ottenere il riesame della decisione sul non esercizio della azione penale, in quanto l’ordinamento interno prevede un equilibrato sistema di controllo in ordine alla decisione del Pubblico Ministero di non esercitare l’azione penale, che si compendia nel provvedimento motivato che un diverso organo emette a seguito di riesame»[4].

Inoltre la sentenza n. 178/17 del 14.03.2017 della IV Sezione penale della Corte Suprema, che pare essere il primo arresto concernente le sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 409 n. 6 c.p.p., nella parte in cui limita la possibilità di ricorrere per cassazione soltanto ai casi previsti dall’art. 127, co. V, c.p.p., con riferimento all’art. 117, co. I, Cost., in relazione all’art. 11 co. I, della Direttiva 2012/29/UE ed al principio di ragionevolezza dell’ordinamento giuridico dello Stato (ricorso proposto da T.C. e T.F. contro l’ordinanza del 27.07.2016 del GIP del Tribunale di Napoli), ha rigettato il ricorso. Nella detta sentenza si afferma che «In forza della delega contenuta nella legge 6.08.2013 n. 96 è stata data quindi attuazione a tale direttiva don il d.lgs. 15.12.2012 n. 212, che ha modificato il Titolo VI del Libro I del codice di rito, ampliando i diritti e le facoltà della persona offesa. Relativamente alla richiesta di archiviazione che interessa il caso di specie – era un caso di colpa medica – i diritti e le facoltà della persona offesa sono contemplati dagli artt. 408, 409 e 410 c.p.p., che prevedono, in sintesi, un diritto di informativa, di iniziativa probatoria, di sollecitazione agli organi deputati di ulteriori indagini preliminari e, infine, di ricorso al Giudice di legittimità. E’ manifestamente infondata dunque la questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 117 della Costituzione, poiché la legislazione italiana in materia, ancora prima di adeguarsi alla citata direttiva UE, tutela le posizioni delle persone offese dal reato e prevede le modalità della loro partecipazione al procedimento penale. Il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di archiviazione emesso all’esito di udienza camerale è infatti consentito – come ripetutamente affermato da questa corte di legittimità – nei soli casi di mancato rispetto delle regole poste a garanzia del contraddittorio formale e non possono essere oggetto di censura le valutazioni poste a fondamento dell’ordinanza di archiviazione, essendo al riguardo il giudice del tutto libero di motivare il proprio convincimento anche prescindendo dalle valutazioni espresse dalla parte offesa in sede di opposizione»[5].

Sia consentito osservare che l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla Suprema Corte solleva dubbi che appaiono ragionevoli, in ragione della necessità di concreta ed effettiva tutela delle persone offese nel processo penale con riferimento al preciso ed inequivoco disposto normativo dell’art. 11 della Direttiva 2012/29, nella parte in cui prevede espressamente che gli stati membri devono garantire alla vittimai il riesame di una decisione di non esercitare la azione penale.

Le ragioni della doglianza in merito alla effettività ed efficacia della tutela delle vittime nell’ordinamento processuale italiano sono le seguenti:

  1. la richiesta di opposizione all’archiviazione che la persona offesa del reato può formulare deve essere, a pena di inammissibilità, corredata «dalla richiesta di prosecuzione delle indagini preliminari indicando l’oggetto della investigazione suppletiva ed i relativi elementi di prova». Vi è da chiedersi se tale disposizione normativa, che preclude alla persona offesa del reato di richiedere un riesame della richiesta di archiviazione allo stato degli atti, senza dover necessariamente indicare investigazioni suppletive ed i relativi elementi di prova, a pena di inammissibilità, sia coerente con il disposto della direttiva comunitaria che pone obbligo agli stati contraenti di consentire alla vittima il riesame della decisione di non esercitare l’azione penale. Occorre chiedersi quale sia la giusta e corretta lettura ermeneutica della direttiva comunitaria, che ha inteso, a sommesso avviso, radicare il diritto delle vittime a richiedere la revisione di non esercitare la azione penale, senza porre particolari restrizioni soffocatrici di tale facoltà, in quanto una richiesta di opposizione alla archiviazione potrebbe essere del tutto giustificata e legittima anche soltanto in relazione alla inidonea valutazione del materiale probatorio già acquisito agli atti del fascicolo del PM. La formulazione introdotta nell’ordinamento processuale italiano è castrante delle facoltà che appare ragionevole riconoscere alle vittime del reato, falcidiando la possibilità di richiedere una diversa valutazione del materiale probatorio, senza necessariamente dover indicare nuove investigazioni e nuovi elementi di prova, come se il legislatore avesse supposto che alla vittima del reato non dovesse mai riconoscersi la possibilità di criticare la scelta del PM, facoltà negatale in assenza della prospettazione di una ulteriore attività investigativa che potrebbe indurre il PM ad una diversa valutazione. Il potere di considerare inidonea la valutazione del PM è certamente riconosciuto al GIP, iure proprio, ma non è data facoltà alla vittima del reato di indicare al GIP la incongruenza o la inadeguatezza della valutazione espressa dal PM allo stato degli atti; il GIP può criticare la scelta del PM, rigettando la richiesta di archiviazione, ma alla persona offesa non è data la parola per sollecitare tale scelta del GIP: si può affermare che tale costrutto normativo risponda effettivamente alla reale volontà espressa dalla norma della direttiva comunitaria? E’ ben vero che l’art. 11, co. II della Direttiva in oggetto, afferma che «Le norme procedurali per tale riesame sono determinate dal diritto nazionale» ma come deve intendersi siffatta prescrizione normativa? Non vale forse ad affermare che gli stati nazionali possono statuire se a decidere debba essere un Giudice monocratico o collegiale, che possono statuire entro quali termini può proporsi la richiesta di riesame, che possono statuire da chi debba essere redatta e come debba essere depositata la richiesta di riesame, che possono statuire quali debbano essere le forme di redazione della richiesta di riesame, ad esempio con motivazione, ma non possono intervenire sul contenuto oggetto della richiesta di riesame di non esercitare la azione penale? L’aver imposto alla persona offesa del reato l’obbligo di dover indicare a pena di inammissibilità ulteriori investigazioni con i relativi elementi di prova non è una di quelle regole procedurali, che certamente gli Stati possono definire in piena autonomia, ma è piuttosto una regola, afferente al contenuto della richiesta di riesame, che come tale, a sommesso avviso, contrasta decisamente con il contenuto della direttiva comunitaria. Sembrerebbe che, in relazione alla persona offesa del reato, si sia santificata la infallibilità della valutazione del PM allo stato degli atti, dal momento che in tal caso non è consentito opporsi alla richiesta di archiviazione.
  2. inoltre la direttiva comunitaria recita che vi è il diritto della persona offesa al riesame della decisione: nella vicenda processuale italiana la persona offesa può solo impugnare l’ordinanza del GIP che si pronuncia sulla richiesta di archiviazione per violazione delle regole che definiscono il diritto al contraddittorio, ma piuttosto la richiesta di archiviazione del PM. In sostanza la persona offesa non può impugnare la statuizione che definisce i procedimenti, accogliendo la richiesta del PM, ma può soltanto opporsi alla detta richiesta: la differenza non è di poco conto, in quanto la opposizione alla richiesta di archiviazione è atto intraprocedimentale ed intrafasico mentre un eventuale impugnazione della decisone, pur restando atto intraprocedimentale , atterrebbe sostanzialmente ad una fase del tutto nuova , scaturita dalla iniziativa della persona offesa e non dalla iniziativa del PM .
  3. vi è un ulteriore ragione di doglianza, nell’esame della normativa italiana, che concerne la singolare ristrettezza dei motivi di reclamo al Tribunale, rispetto a statuizioni di accoglimento alla richiesta di archiviazione da parte del GIP, limitata ai soli casi di violazione del contraddittorio, per cui, con palese violazione della direttiva comunitaria, tesa ad assicurare un valido, efficace ed effettivo controllo anche di merito, dalla impugnazione proponibile risultano totalmente esclusi casi gravissimi, fra i quali si annoverano la totale carenza di motivazione in ordine ad uno dei motivi di opposizione, la manifesta illogicità espressiva della motivazione, la evidente e palese violazione del diritto penale sostanziale, che ad esempio può ricorrere quando un PM ritenga che una condotta , che generalmente viene considerata costituente reato da parte della giurisprudenza di legittimità e di merito, sia considerata con abnorme erroneità non costituente reato oppure affermi la improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela quando il reato è procedibile d’ufficio.
  4. la normativa italiana, che la Suprema Corte ha ritenuto tutto rispettosa della direttiva comunitaria, affermava  un arresto che aveva anticipato la direttiva comunitaria, serra in una tenaglia costrittiva la persona offesa dal reato, angustiandone i diritti e le facoltà almeno per un duplice ordine di ragioni: da un lato impedendo alla persona offesa di opporsi all’archiviazione per ragioni di merito attinente alle indagini svolte ed alle deduzioni a compiersi in ordine alla individuazione dei reati e delle loro responsabilità, consentendo soltanto che la persona offesa possa opporsi per sollecitare nuove investigazioni e nuovi elementi di prova, e dall’altro impedisce di impugnare la decisione di accoglimento della richiesta di archiviazione  per ogni ragione che attenga alla palese violazione del diritto sostanziale, alla illogicità della motivazione e all’assenza della motivazione.

7. La tematica dell’interpretazione pregiudiziale della normativa comunitaria nella prassi della corte di cassazione. In uno dei ricorsi per Cassazione presentati in subiecta materia si era espressamente richiesto (Ricorso RG 41599/2016, sent. cit.) di devolvere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea l’interpretazione pregiudiziale in relazione al preciso contenuto dispositivo all’art.15 comma 1 della direttiva 2012/29 dell’UE in relazione a come deve interpretarsi l’obbligo degli Stati Membri di consentire «Il riesame della decisone di non esercitare dell’azione penale» e se non esercitare l’azione può intendersi la richiesta di archiviazione del PM.

In merito vi è da osservare che la relativa sentenza della Corte Suprema n. 178/17, non si è pronunciata in alcun modo sulla richiesta di sollecitare l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’UE. Il TFUE prevede l’obbligo del giudice di ultima istanza di trasmettere gli atti alla Corte di Giustizia Europea quando è investito di una richiesta di interpretazione pregiudiziale. Invero tale obbligo, secondo la giurisprudenza della Corte Europea, non è assoluto ed inderogabile ma può essere derogato soltanto in alcuni specifici casi, quando la questione sollevata non è affatto determinante, nel senso che la sua soluzione non possiede nessuna rilevanza sulla soluzione del caso giudiziario, quando è materialmente identica ad un’altra procedura che sia stata oggetto di una decisione o  titolo pregiudiziale, o quando già esista comunque una giurisprudenza stabilita dalla Corte di Giustizia che abbia risolto il punto oggetto della controversia o infine quando l’applicazione corretta del diritto comunitario si impone con un’ evidenza tale che non lascia alcuna possibilità di dubbio ragionevole sul modo di soluzione della questione sollevata. Francamente ad avviso dello scrivente non pare che potessero ricorrere le ipotesi che avrebbero consentito di escludere l’obbligo della trasmissione degli atti alla Corte per la richiesta di interpretazione pregiudiziale. In tale ambito appare utile segnalare che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto che possa esservi una violazione dell’art. 6 comma 1 della Convezione Europea dei diritti dell’Uomo quando uno Stato membro non abbia adempiuto all’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia previsto per gli organi giudiziari di ultima istanza, così come prescritto dall’art. 267 del Trattato della Corte Europea (ex art. 234) (cfr. sentenza CEDU Sezione II – 20.09.211 , ricorsi nn. 3989/07 – 38353/07, Uriens de Schooten e Rezabk contro Belgio che segue la sentenza Franchovck– C 6/90 e c- 9/90 che aveva affermato come lì’omessa osservanza dell’obbligo in via pregiudiziale configuri elementi di diritto che il giudice interno deve valutare per verificare se vi sia stata una violazione significativa del Diritto dell’Unione Europea in presenza della quale sorge una responsabilità patrimoniale dello Stato), come confermato dalle successive sentenze Kohler c- 234- 01 e Traghetti del Mediterraneo C- 175/03.[6]

Pertanto essendosi verificati numerosi casi in cui la Corte Suprema benché investita dell’interpretazione pregiudiziale di una norma comunitaria, non ha trasmesso gli atti alla Corte di Giustizia Europea senza che vi ricorressero ipotesi di esclusione di tale obbligo, è da segnalare che in casi analoghi i ricorrenti danneggiati da siffatti arresti potrebbero adire la Corte Europea dei diritti dell’uomo; qualora poi potessero raccogliersi le prove sulla proliferazione di analoghe vicende processuali in più casi, si potrebbe sollecitare la Commissione a promuovere un’azione di responsabilità nei confronti dello Stato italiano, azione che, soggiacendo anche a criteri politici, ben difficilmente potrebbe essere promossa per una sola vicenda giudiziaria.

8. Proposte di riforma normativa per adeguare l’ordinamento italiano alla direttiva dell’Unione Europea. Ben si comprende la esigenza di deflazionare il lavoro degli organi dedicati all’esame delle archiviazioni, ma tale esigenza non può essere assicurata a detrimento dei giusti diritti delle persone offese, specie quando le scelte compiute paiano in violazione della normativa comunitaria.

Occorre, pertanto, superando resistenze di ogni genere e soprattutto la soporosa tendenza ad arrestarsi sul regime normativo esistente, considerando ogni innovazione un pericolo di sconvolgimento delle proprie abitudini e costumanze, immaginare e proporre, con un attento lavoro di ricerca di soluzioni nuove che possano al contempo soddisfare le esigenze dell’economia processuale riducendo il lavoro dei magistrati, e la giusta effettiva ed efficace tutela processuale delle persone offese dal reato, un nuovo assetto normativo.

La proposta che ne consegue può incardinarsi sui seguenti punti:

  1. assegnare al PM, titolare dell’azione penale, il compito di emanare un decreto motivato di archiviazione, senza trasmettere gli atti al GIP perché provveda sull’archiviazione, in modo da ridurre il carico di lavoro del GIP in misura assai consistente e accelerare i tempi di definizione dei procedimenti penali, con avviso però alla persona offesa, che ne abbia fatto richiesta, del decreto di archiviazione;
  2. facoltà della persona offesa, che riceva l’avviso di cui sopra, di proporre opposizione al GIP senza le attuali restrizioni normative e cioè senza dover indicare necessariamente temi ulteriori di indagine, fornendo i relativi elementi di prova;
  3. facoltà per la persona offesa di impugnare l’ordinanza del GIP di mancato accoglimento della opposizione anche al di fuori delle ipotesi di violazione del contraddittorio, cioè anche per mancata o erronea applicazione della legge penale sostanziale e assenza o manifesta illogicità della motivazione.

L’aumento del carico di lavoro per l’ampliamento delle facoltà riconosciute alle persone offese, che intendano esercitare i loro diritti quando ne abbiano fatto richiesta nell’atto di querela o di denuncia o comunque nel primo atto in cui siano identificate come persone offese, sarebbe certamente e idoneamente bilanciato dalla possibilità di definire i procedimenti penali con decreto motivato del PM e al contempo si definirebbero i canoni di un procedimento penale equo e giusto, effettivamente idoneo a tutelare l’adeguamento dell’ordinamento italiano alla Direttiva 2012/29 dell’Unione Europea. Sia pertanto consentito alle parti private un effettivo contraddittorio.

*Avvocato del Foro di Napoli

[1] Si è scelto di indicare a titolo esemplificativo la normativa tedesca, francese e croata in quanto paiono le esperienze più significative in ambito comunitario, allo stato delle conoscenze, in materia di opposizione alla archiviazione.

[2] cfr. A. Novokmet,“The Right of a Victim to a Review of a Decision not to Prosecute as Set out in Article 11 of Directive 2012/29/EU and an Assessment of its Transposition in Germany, Italy, France and Croatia”, in Utrecht Law Review, Vol 12, 1/2016

[3] Cass. pen, Sez. II, 9 maggio 2017, (dep. 23 maggio 2017), n. 25574, Pres. Diotallevi, est. rel. Aielli

[4] Cass. pen., Sez. IV, 10 ottobre 2017, (dep. 31 ottobre 2017), n.50067, Pres. Blaiotta, est. rel. Serrao, P.G.Corasaniti, in Cass. pen. 2018, 3, 911

[5] Cass. pen., Sez. IV, 3 febbraio 2017, (dep. 14 marzo 2017), n. 178, Pres. Blaiotta, est. rel. Menichetti, P.G. Zacco, Trapanese + altri, n.m.

[6] cfr. A. Colella, “Il mancato adempimento da parte del giudice nazionale di ultima istanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia ex art. 267 TFUE può dar luogo a una violazione dell’art. 6 ⧠1 CEDU”, in Diritto Penale Contemporaneo, 10 ottobre 2011