SUICIDIO ASSISTITO E TRATTAMENTI DI SOSTEGNO VITALE. UN POSSIBILE NUOVO INTERVENTO DA PARTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE? – DI NANNEREL FIANO
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SUICIDIO ASSISTITO E TRATTAMENTI DI SOSTEGNO VITALE. UN POSSIBILE NUOVO INTERVENTO DA PARTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE?
di Nannerel Fiano *
G.I.P. del Tribunale di Firenze, ord. 17 gennaio 2024, Giudice dott.ssa Agnese di Girolamo.
Suicidio assistito – Trattamenti di sostegno vitale – Principio di ragionevolezza – Rapporto tra Corte costituzionale e legislatore.
(Art. 580 c.p., come modificato dalla sent. n. 242 del 2019 della Corte costituzionale; Art. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della CEDU).
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, in relazione agli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, quest’ultimo con riferimento agli articoli 8 e 14 della Cedu.
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Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’art. 580 c.p., come modificato dalla sent. n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della CEDU.
Non vi sono sarebbero contro-interessi costituzionalmente rilevanti posti a garanzia dell’impedimento dell’accesso al suicidio assistito per la persona che si trovi nelle condizioni di non dipendere da macchinari salvavita (cfr. sent. n. 242 del 2019).
The preliminary investigation judge of the Court of Florence raised a question of constitutional legitimacy on Article 580 of the Criminal Code, as amended by Constitutional Court Sentence No. 242 of 2019, insofar as it requires that the non-punishability of a person who facilitates another person’s suicide be conditional on the circumstance that the aid is provided to a person “kept alive by life-support treatment,” for conflict with Articles 2, 3, 13, 32 and 117 of the Constitution, the latter in reference to Articles 8 and 14 of the ECHR.
There would be no constitutionally relevant counter-interests placed in guaranteeing the prevention of access to assisted suicide for the person who is in the condition of not being dependent on life-sustaining machinery (see Judgment No. 242 of 2019).
Sommario: 1. Il caso da cui viene sollevata la questione di legittimità costituzionale. – 2. L’articolata motivazione in punto di rilevanza. – 3. La motivazione in punto di non manifesta infondatezza: il principio di ragionevolezza è posto al centro. – 4. Qualche valutazione processuale e di merito.
1. Il caso da cui viene sollevata la questione di legittimità costituzionale. — Con ordinanza di rimessione datata 17 gennaio 2024 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale (Serie speciale n.11 del 13-3-2024), il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’art. 580 c.p., come modificato dalla sent. n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della CEDU.
Indagati per il reato di cui all’art. 580 c.p., così come modificato dall’intervento della poc’anzi menzionata sent. n. 242 del 2019 (, sono Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese, i quali hanno, seppure secondo modalità diverse, agevolato l’esecuzione dell’aiuto al suicidio di Massimiliano, colpito, dal 2017 in modo irreversibile, da sclerosi multipla, presso la clinica “Dignitas” di Pfäffikon, in Svizzera.
Nel volere brevemente ricostruire i fatti che hanno dato luogo al procedimento penale a carico degli indagati, giova ricordare che Massimiliano, a seguito dell’organizzazione e dell’esecuzione del suo accompagnamento presso la clinica elvetica, si è tolto la vita.
La ragione di una simile scelta affonda le sue radici nella condizione in cui versava il paziente, il quale, colpito da sclerosi multipla, ha conosciuto, nel corso degli anni, un peggioramento della sua condizione di salute, fino a maturare, nel 2021, l’intenzione di porre fine alla propria vita alla luce della patologia che lo aveva colpito.
Dopo essersi messo in contatto con l’indagato Cappato, che, in veste di rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile, lo aveva indirizzato alla clinica “Dignitas”, Massimiliano è stato accompagnato in furgone da Chiara Lalli e Felicetta Maltese presso la stessa, ove, a seguito della procedura prevista, l’8 dicembre 2022 ha posto fine alla sua vita utilizzando il braccio che, nonostante la malattia, era ancora capace di utilizzare.
A seguito dell’evento appena descritto, gli indagati hanno presentato (auto) denuncia presso l’Ufficio di Procura.
2. L’articolata motivazione in punto di rilevanza. — Il giudice fiorentino, una volta descritti i fatti che hanno dato luogo al reato di cui all’art. 580 c.p., così come delineato in via pretoria dalla Corte costituzionale, motiva in modo molto attento e articolato in punto di rilevanza.
Il giudice a quo, nell’affermare l’impossibilità di procedere alla richiesta di archiviazione presentata dalla Procura, si sofferma ampiamente sulla condotta degli indagati, ritenendola di fatto inidonea a rientrare nel novero della causa di non punibilità di cui all’art. 580 c.p., così come delineato dalla sent. n. 242 del 2019.
Nel caso di specie, infatti, secondo il giudice fiorentino, non sarebbe stato soddisfatto il terzo criterio delineato dalla Corte ai fini dell’individuazione dell’area di non punibilità in caso di aiuto al suicidio, ovvero quello secondo cui la persona titolare del proposito suicidario sia “tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale”.
Di qui la necessaria applicazione, ai fini della definizione del procedimento penale che vede coinvolti gli indagati, della sanzione penale irrogabile ai sensi dell’art. 580 c.p., di cui, però, viene dubitata, nella sua attuale formulazione, la conformità a Costituzione e, nello specifico, come si anticipava in apertura, agli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della Convenzione EDU.
Nel tentativo di tracciare, come si anticipava, un’adeguata motivazione in punto di rilevanza, il giudice a quo sgombera sin da subito il campo da possibili ambiguità in merito alla determinazione o del rafforzamento, da parte degli indagati, del proposito suicidario del paziente, atteso che quest’ultimo aveva già compiutamente maturato la sua intentio prima dell’intervento, in funzione di intermediario, di Marco Cappato e, in seguito, di Chiara Lalli nonché di Felicetta Marchesi.
Nella configurazione e qualificazione della condotta degli indagati, però, il giudice fiorentino manifesta la sua contrarietà alle prospettazioni della Procura, secondo cui il grado di distanza cronologica della condotta dal suicidio e la fungibilità della condotta del terzo (2) avrebbero deposto a favore dell’impossibilità di sussumere la prima nell’ambito della fattispecie del mero aiuto al suicidio: la ragione di tale contrarietà, che, a ben vedere, si pone alla base della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, consiste nella piena coincidenza delle condotte con “antecedenti logico-causali necessari” la realizzazione del suicidio assistito.
Sempre con riferimento al profilo attinente alla rilevanza, il ragionamento del giudice a quo procede in due direzioni. Anzitutto, in quella della verifica della sussistenza delle condizioni sostanziali delineate dalla Corte costituzionale.
Nulla quaestio, anche alla luce delle risultanze probatorie della Procura, rispetto all’irreversibilità della malattia patita da Massimiliano, e ciò alla luce dell’attuale conoscenza medico-scientifica, così come rispetto al carattere intollerabile delle sofferenze, ovvero percezioni dolorose non corrispondenti alla sua volontà e alla sua dignità (3); allo stesso modo, nessun dubbio rispetto alla sua capacità di intendere e di volere, accertata sul piano medico e insuscettibile di essere stata limitata nel e dal decorso della malattia in ragione della specificità del quadro clinico. La ferma intenzione di Massimiliano di porre fine alla propria vita, dunque, viene ritenuta libera, autonoma e consapevole.
In secondo luogo, il giudice fiorentino verifica la sussistenza dei requisiti procedurali richiesti dalla Corte costituzionale nella sent. n. 242 del 2019, ovvero la verifica delle condizioni della persona titolare del proposito suicidario da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente, pronunciandosi, in via definitiva, in senso positivo alla luce del “carattere ‘medicalizzato’” (4) che ha contraddistinto la procedura che si è realizzata presso la clinica “Dignitas”, potendosi ritenere del tutto analoga a quella che ha avuto luogo, in più casi, sul territorio italiano.
Tanto chiarito, il giudice a quo esclude, come si accennava, che sia da ritenersi integrata la fattispecie della dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale.
Premessa la conoscenza dell’ampio dibattito svoltosi in ambito dottrinale e, naturalmente, dell’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi sul punto, il giudice rimettente, nel premettere la scarsa analiticità con cui la Corte, in occasione della sent. n. 242 del 2019, ha delineato tale requisito, ritiene di non potere accedere all’interpretazione estensiva che nel contesto del diritto vivente ne è stata data, ovvero la dipendenza da supporti meccanici o la sottoposizione a terapie farmacologiche salvavita o, ancora, la necessaria richiesta di manovre “di evacuazione o interventi assimilabili (5)”. Parimenti, il giudice a quo ritiene di dovere escludere possibili letture alternative del trattamento di sostegno vitale, come quella adombrata dalla Corte d’Assise di Massa nella pronuncia del 27.07.2020, secondo cui quest’ultimo sarebbe configurabile ove terzi soggetti aiutino il soggetto “nel mangiare e nel muoversi anche per andare in bagno” (6).
Stando all’interpretazione letterale e alla letteratura medica, il trattamento di sostegno vitale non potrebbe che sostanziarsi, ad avviso del giudice, in un trattamento che sia sostanzialmente sanitario, anche perché, a voler ragionare in senso contrario, ogni “aiuto a vivere”, quindi anche quello concretizzato da terzi, potrebbe sostanziarsi in un “aiuto a morire” (7) rientrante nell’area di non punibilità ai sensi dell’art. 580 c.p., in tal modo pregiudicando gli obblighi statali non solo di tutela dell’autodeterminazione, ma, soprattutto, della vita dei singoli (8).
Il giudice rimettente non ritiene di accedere nemmeno alla tesi propugnata dalla memoria della difesa e sostenuta, altresì, dalla Procura, secondo cui sarebbe possibile soddisfare il requisito dei trattamenti di sostegno vitale allorché, rimanendo invariata la sussistenza degli altri requisiti delineati dalla più volte menzionata sent. n. 242 del 2019, il paziente abbia rifiutato i trattamenti salvavita perché futili o perché rientranti, a pieno titolo, nel c.d. accanimento terapeutico (9). Secondo il giudice a quo, infatti, in primo luogo, il paziente non avrebbe mai rifiutato trattamenti di sostegno vitale; in secondo luogo, non sarebbe stata mai ipotizzato, dai medici curanti, l’accanimento terapeutico nei suoi confronti.
Peraltro, secondo un’interpretazione letterale della sent. n. 242 del 2019, il paziente, perché possa essere aiutato nell’esecuzione del suicidio assistito, deve essere tenuto in vita dai trattamenti sanitari (10); pertanto, secondo il giudice, si erge una barriera insuperabile a qualsivoglia tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 580 c.p., potendosi determinare “una totale abrogazione per via interpretativa del requisito indicato dalla Corte costituzionale” (11).
3. La motivazione in punto di non manifesta infondatezza: il principio di ragionevolezza è posto al centro. — Dopo avere delineato accuratamente la sussistenza del requisito della rilevanza, il giudice rimettente approda al requisito della non manifesta infondatezza, ponendo in dubbio la legittimità costituzionale del già indagato requisito del trattamento di sostegno vitale.
Il dubbio riguarda, in primo luogo, la conformità all’art. 3 Cost., poiché la disposizione parrebbe, ad avviso del giudice rimettente, porre in essere una irragionevole disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche (12).
Infatti, in ragione di circostanze del tutto accidentali, “legate alla multiforme variabilità dei casi concreti, in relazione alle condizioni cliniche generali della persona interessata […], al modo di manifestarsi della malattia da cui la persona è affetta […], alla natura delle terapie disponibili in un determinato luogo e in un determinato momento”, il paziente desideroso di porre fine alla propria vita, che non necessita di trattamenti di sostegno vitale intesi in senso stretto, non può beneficiare dell’aiuto di terzi nel proposito suicidario, in questo modo ravvisandosi, ad avviso del giudice, un’irragionevole disparità di trattamento, dovuta, appunto, a mere circostanze “fattuali” (13).
Di particolare interesse, ai fini della configurazione del requisito della non manifesta infondatezza dell’illegittimità costituzionale con riferimento all’art. 3 Cost., è la considerazione secondo cui la “sussistenza o meno di tale requisito è irrilevante per la tutela dei diritti e dei valori che la Corte costituzionale ritiene essenziali nel bilanciamento di interessi sotteso alla regolazione della materia dell’aiuto a morire” (14).
A fortiori, il necessario bilanciamento della tutela della libertà di autodeterminazione con la tutela delle persone più fragili e vulnerabili che emerge dall’ord. 207/2018, dalla sent. n. 242/2019 e dalla sent. n. 50/2022, la quale, come pone correttamente in evidenza il giudice fiorentino, ha inteso (nel dichiarare l’inammissibilità del quesito referendario abrogativo dell’art. 579 c.p. rubricato “Omicidio del consenziente”, tutelare non solo i più fragili, ma anche qualunque individuo da “condotte autodistruttive” (15), non sembrerebbe porsi in termini di coerenza con la preclusione, da parte di chi intende porre fine alla propria vita ma che non dipende da trattamenti di sostegno vitale salvavita, di accedere al suicidio assistito senza che i terzi che agevolino il suicidio possano accedere all’area della non punibilità.
A ben vedere, ad avviso del giudice a quo, la restrizione approntata dall’ordinamento alla vita della persona malata, piuttosto che al soggetto dipendente da trattamenti salvavita, nulla ha a che vedere con l’obiettivo di tutelare i più fragili o coloro che, per le più svariate ragioni, intendano congedarsi dalla vita avvalendosi dell’aiuto altrui.
In altri termini, non si sostanzia “alcun valore realmente protettivo” del bene vita nei confronti della persona che, accidentalmente e in ragione del proprio quadro clinico, si trovi a non dipendere da macchinari salvavita (16).
Non vi sono sarebbero, dunque, contro-interessi costituzionalmente rilevanti posti a garanzia dell’impedimento dell’accesso al suicidio assistito per la persona che si trovi nelle condizioni di Massimiliano.
Per tale ragione, secondo il giudice, il diritto all’autodeterminazione dovrebbe potere scaturire da due elementi costitutivi: la malattia e la sofferenza, non rilevando il trattamento adoperato nel caso specifico (17).
A conferma e a rafforzamento di quanto esposto, il giudice a quo asserisce l’irragionevolezza della disciplina cui all’art. 580 c.p. alla luce della possibilità per i singoli, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 219 del 2017, di scegliere non solo la modalità della cura, ma anche e soprattutto se accedere alla cura, potendosi quindi ben configurare, nell’ottica della piena libertà di autodeterminazione in campo medico, il rifiuto dei trattamenti sanitari (18).
Pertanto, l’attuale disciplina violerebbe una “consolidata tradizione interpretativa”, con ciò ledendo gli artt. 2, 13, 32, secondo comma, Cost (19). Non solo, evidenzia il giudice fiorentino come anche la dignità del soggetto che vorrebbe congedarsi dalla vita, ma che non lo può fare con l’aiuto di terzi in ragione della sua condizione clinica, viene irragionevolmente lesa dall’attuale configurazione della disciplina relativa all’aiuto al suicidio, posto che è proprio “chi non dipende da un trattamento di sostegno vitale, e, dunque non potrebbe morire semplicemente interrompendo tale trattamento, che necessita dell’aiuto esterno per congedarsi secondo la propria idea di dignità […]” (20).
Infine, il giudice asserisce la lesione dell’art. 117 Cost. in riferimento all’art. 8 CEDU poiché la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale quale requisito per accedere al suicidio assistito rappresenterebbe una forma di limitazione del diritto al rispetto della vita privata — in ragione della compressione della libertà di autodeterminazione — e familiare; allo stesso tempo, viene ritenuto violato l’art. 14 CEDU poiché il soggetto che non dipende da trattamenti di sostegno vitale viene discriminato rispetto all’accesso all’aiuto al suicidio in ragione di “condizioni personali”, come — appunto — la condizione, del tutto casuale, del proprio quadro clinico in seguito all’insorgenza della malattia (21).
Pertanto, il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale sull’art. 580 c.p., come modificato dalla sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui prevede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della Convenzione EDU.
4. Qualche valutazione processuale e di merito. — Quanto ai profili di merito, la questione di legittimità costituzionale poc’anzi descritta, se accolta dalla Corte costituzionale, potrebbe rimodulare, ancora una volta, la disciplina relativa al suicidio assistito di cui all’art. 580 c.p., come attualmente configurato dalla sent. n. 242 del 2019.
Al di là dei profili sostanziali, quello che rileva è che, per la terza volta di seguito, sarebbe il Giudice delle leggi ad intervenire sulla disciplina del suicidio assistito, non il titolare del potere legislativo, e ciò nonostante, il chiarissimo rinvio al legislatore — nello spirito della “leale collaborazione” (22) — operato dalla Corte in occasione dell’ord. n. 207 del 2018, cui ha risposto, con la sent. n. 242 del 2019, lo stesso Giudice delle leggi, così “dandosi” seguito e al tempo stesso smascherando, forse, la difficoltà insita nell’adeguamento, da parte del legislatore, alle “rime coartate” (23).
Sul piano, invece, sostanziale, un ulteriore intervento da parte della Corte costituzionale nel senso e nella direzione richiesti dal giudice a quo garantirebbe la “ri-espansione” della libertà di autodeterminazione nelle scelte di fine vita, ex art. 32 Cost., a ben vedere già tutelata, come opportunamente messo in evidenza dal giudice a quo, nella legge sul testamento biologico, ove l’art. 1, comma 5 (24), prevede la possibilità di rifiutare trattamenti sanitari, quand’anche qualificabili come “salvavita” (25).
Un ampliamento della libertà di autodeterminazione nei sensi appena esposti, tramite l’eliminazione del requisito sub c) non sembrerebbe, in effetti, porsi in contrasto con la protezione offerta dall’ordinamento al bene vita: infatti, come rilevato dal giudice rimettente, il paziente pienamente capace di intendere e di volere, afflitto da sofferenza intollerabile, che voglia soddisfare il proprio intento suicidario, non dovrebbe essere obbligato a vivere solo in ragione del tipo di trattamento sanitario somministrato alla luce del quadro clinico esistente, senza potersi avvalere dell’aiuto altrui a porre fine a quella che non reputa più vita, bensì una condizione di mera sopravvivenza.
In buona sostanza, l’ordinanza sembrerebbe muoversi, con riferimento a persone afflitte, con tragiche sofferenze, da una malattia inguaribile — come, ad esempio, i malati di tumore in stadio avanzato o coloro i quali soffrono di una malattia neurodegenerativa, pur non dipendenti da trattamenti sanitari attraverso i quali vengono mantenute in vita — nella direzione di una (maggiore) apertura alla libertà di scegliere se porre fine alla propria esistenza.
Sebbene le altre condizioni poste a tutela della vita dell’individuo sub a), b e d) individuate della sent. n. 242 del 2019 non vengano ritenute contrarie alla Costituzione dal giudice rimettente, a fronte di un eventuale intervento manipolativo (sulla disciplina previamente già manipolata) della Corte la ratio della (neo) regolamentazione del suicidio assistito potrebbe avvicinarsi a quella in tema di suicidio assistito così come modellata dal BVerfG nell’ordinamento tedesco.
A questo proposito, si consideri che il 26 febbraio 2020, il BVerfG ha adottato una pronuncia con cui è stato dichiarato nullo il divieto di agevolazione commerciale del suicidio, previsto all’art. 217 del codice penale tedesco (StGB), rubricato “Divieto di servizi di suicidio assistito – promozione commerciale del suicidio”, in quanto lesivo dell’articolo 2, comma 1 (“Ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità, in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l’ordinamento costituzionale o la legge morale”), in combinato disposto con l’articolo 1, comma 1 (“La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”) del Grundgesetz, e ciò a prescindere dalla sussistenza o meno di una malattia incurabile.
La depenalizzazione dell’aiuto o assistenza al suicidio per ragioni di natura commerciale sembra basarsi, secondo il BVerfG, sulla piena valorizzazione della dignità dei singoli, poiché l’autonomo e libero sviluppo dell’identità personale conosce un’ampia forma di realizzazione nella scelta del momento finale della propria vita, ben potendosi esprimere la dignità umana (soggettiva) anche nella scelta di porre fine alla vita stessa, anche quando tale scelta ponga fine alla “premessa della propria autodeterminazione”, in tal modo “eliminando la soggettività” individuale (Rn. 211).
Inoltre, secondo il BVerfG, il principio di libertà, ove necessario, include anche la libertà di cercare aiuto presso terzi nella realizzazione del — “personalissimo” e intimo — proposito suicidario (Rn. 331).
La criminalizzazione di tale aiuto (nella sua forma “commerciale”) implica, dunque, la compressione di diritti costituzionalmente garantiti in capo a chi voglia porre fine alla propria esistenza (26).
In conclusione, qualora il Giudice delle leggi ritenga di accogliere la prospettazione del giudice a quo, come chi scrive auspica, emergerebbe una palese sconfitta del Parlamento, stante la sua perdurante inerzia nella declinazione — entro i confini, ampi, del suo spazio discrezionale — della disciplina individuata, in via pretoria e provvisoria, dalla Corte costituzionale.
Al tempo stesso si paleserebbe un’apertura, sempre in via pretoria e certamente non vincolata al generico diritto alla libertà, come nel caso tedesco, bensì alla più specifica libertà di autodeterminazione in ambito medico-sanitario, a nuovi requisiti, certamente meno rigidi rispetto a quelli definiti con la sent. n. 242 del 2019, da soddisfare nel caso in cui un paziente intenda porre fine alla propria vita tramite l’aiuto di terzi.
(*) Ricercatrice di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano.
(1) Si ricorda che, con la sent. n. 242 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) — ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione —, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
(2) Cfr. ordinanza di rimessione, nella versione pubblicata in Gazzetta Ufficiale (Serie speciale n. 11 del 13-3-2024), p. 109.
(3) Cfr. ordinanza di rimessione p. 110.
(4) Cfr. ordinanza di rimessione p. 112.
(5) Cfr. ordinanza di rimessione p. 113.
(6) Cfr. ordinanza di rimessione p. 114.
(7) Cfr. ordinanza di rimessione p. 115.
(8) Cfr. ordinanza di rimessione p. 115.
(9) Cfr. ordinanza di rimessione p. 115.
(10) Cfr. ordinanza di rimessione p. 116.
(11) Cfr. ordinanza di rimessione p. 116.
(12) Cfr. ordinanza di rimessione p. 116.
(13) Cfr. ordinanza di rimessione p. 117.
(14) Cfr. ordinanza di rimessione p. 117.
(15) Cfr. ordinanza di rimessione p. 117.
(16) Cfr. ordinanza di rimessione p. 117.
(17) Cfr. ordinanza di rimessione p.118.
(18) Cfr. ordinanza di rimessione p. 118.
(19) Cfr. ordinanza di rimessione p. 118.
(20) Cfr. ordinanza di rimessione p. 119.
(21) Cfr. ordinanza di rimessione p. 120.
(22) Cfr. ord. 207 del 2018, pt.o 11, ove si fa riferimento allo spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale nel consentire, al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa in tema di suicidio assistito.
(23) Si richiama, nella presente sede, quanto osservato da Zanon sul rapporto tra Corte costituzionale e legislatore in caso di adozione dello schema della c.d. doppia pronuncia, ove il secondo, a fronte della richiesta di intervento nell’esercizio di una leale e dialettica collaborazione da parte della prima, potrebbe apparire destinatario di un’inammissibile legislazione “coartata”. Cfr. N. Zanon, Il rapporto tra la Corte costituzionale e il legislatore alla luce di alcune recenti tendenze giurisprudenziali, in Federalismi, 3/2021, 92.
(24) Secondo cui “Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.
Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica”.
(25) Sull’autodeterminazione del malato alla luce del quadro di diritto positivo, cfr. M. D’Amico, Il “fine vita” davanti alla Corte costituzionale fra profili processuali, principi penali e dilemmi etici (Considerazioni a margine della sent. n. 242 del 2019), in Osservatorio AIC, 1/2020, 297-301.
(26) Secondo il BVerfG, il principio del libero sviluppo della personalità di colui il quale desidera morire non è disponibile a meno che, eccezionalmente, risulti necessario un intervento statale limitativo della libertà di autodeterminazione al fine di tutelare i singoli (Rn. 210 e ss.).