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XX CONGRESSO ORDINARIO DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE. LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE – DI FRANCESCO PETRELLI

XX CONGRESSO ORDINARIO DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE. LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE – DI FRANCESCO PETRELLI

PETRELLI – RELAZIONE CONGRESSO UCPI 2025.PDF

XX CONGRESSO ORDINARIO DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE. LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE

di Francesco Petrelli

La relazione tenuta dall’Avv. Francesco Petrelli, Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, nel corso del XX Congresso ordinario UCPI, svoltosi a Catania dal 26 al 28 settembre 2025.

1. Nulla intorno a noi ci parla più dei diritti con la forza e la pienezza che un tempo sembrava evocarli. Tutto ciò che accade ora nel mondo sembra volerne negare la necessità. Sebbene i diritti fondamentali e inviolabili della persona siano affermati ed invocati nelle carte e tutelati dalle Corti sovranazionali, quegli stessi diritti intangibili e inalienabili sembrano arretrare e cadere ovunque, sempre più spesso inascoltati. Il più sacro diritto alla vita delle persone e dei popoli viene negato nei conflitti. Vediamo Stati in guerra contro singoli cittadini e vediamo Stati in guerra con popoli interi compiere crimini che macchiano la storia dell’umanità investendo le nostre coscienze di donne e di uomini e di difensori del diritto e impedendoci di rimanere indifferenti di fronte alla violazione dei fondamentali principi del diritto penale internazionale, che l’Unione condanna fermamente assieme all’uso di ogni forma di terrorismo e di violenza politica.

Assieme alle parole di guerra, altre espressioni di odio dilagano purtroppo non solo fra i popoli ma anche dentro i popoli stessi. E mentre l’idea della forza come unica soluzione possibile incombe sempre più vicina, le conquiste di pace, di tolleranza e di civiltà che sembravano acquisite per sempre, vengono messe ogni giorno in discussione, così che tutto sembra volerci ricordare drammaticamente come nessuna pace, nessun riconoscimento della dignità altrui e nessun diritto sono mai conquiste definitive e sembra anche voler dire che i diritti della persona, la libertà, la pace e la vita stanno e cadono tutti assieme. Sta a noi saperli difendere in ogni modo, ovunque siamo ed in qualunque modo noi possiamo.

Questo contesto che segna purtroppo la scena mondiale si riflette negativamente anche nei confini del nostro paese innescando ulteriori tensioni all’interno di una scena già caratterizzata da una notevole conflittualità, che non rende certamente più agevole l’impegno di chi ha a cuore l’affermazione trasversale dei valori e dei principi, nella solitudine della propria indipendenza, al di fuori delle alleanze politiche che dominano la scena.

Sta a noi in questo contesto polarizzato saper distinguere le leggi utili alla salvaguardia dei diritti fondamentali della persona e gli ordinamenti capaci di tutelare l’esercizio corretto ed equilibrato della giurisdizione e dare il nostro contributo tecnico nella discussione politica, spesso incapace di cogliere l’universalità del criterio valoriale che sta alla base di una riforma, dalla contingenza propria dell’appartenenza all’uno o all’altro schieramento.

Noi non ci siamo mai avvicinati o allontanati dalle maggioranze, dai Governi e dalle minoranze per collateralismo o per opportunismo, ma siamo sempre rimasti saldi e fermi in difesa dei nostri principi e accanto ai nostri valori; sono piuttosto le maggioranze, i Governi e le opposizioni che si sono incongruamente e pericolosamente allontanati da quei valori e da quei principi che noi difendiamo con convinzione.

2. In un suo famoso discorso Piero Calamandrei disse che la Costituzione non è altro che un “pezzo di carta” che non ha vita propria e lasciato cadere “non si muove”. Le costituzioni rigide che non si limitano a dettare le regole della amministrazione, ma sono intrise di valori, come la nostra, tendono a conservarsi ma per conservare integro il proprio patrimonio di valori, devono muoversi[1]. E muoversi significa anche essere disposte a cambiare[2]. Ma ci si dimentica che la nostra Costituzione sulla giustizia è già cambiata. Non solo nell’abito mentale della magistratura ma anche nel discorso pubblico sulla riforma della giustizia è mancata spesso la consapevolezza della forza rivoluzionaria, del cambio di paradigma, operato dalla riforma costituzionale del 1999 con l’introduzione del nuovo art. 111 Cost. Una riforma costituzionale che altro non è che il compimento, sotto il profilo costituzionale, della grande riforma del 1988. Con quella riforma, infatti, si è “messo in sicurezza” il modello accusatorio, voltando pagina in maniera definitiva sui canoni del processo inquisitorio. È stato fondamentale il nostro contributo al varo del primo codice repubblicano e a quella riforma costituzionale del processo, che di questa riforma ordinamentale costituiscono il preambolo razionale. È per questo motivo che non possiamo consentire e non consentiremo che ci vengano attribuiti o tolti da altri attestati di democraticità, che si pensi di etichettare maldestramente chi ha avuto un ruolo fondamentale in questo grande percorso di crescita della nostra giustizia liberale, democratica e repubblicana di questo Paese.

Non solo sfugge la rilevanza della svolta compiuta nel 1988, ma sfugge infatti anche il dato relativo al nesso profondo che lega il superato modello inquisitorio con l’ordinamento giudiziario unitario della magistratura, con quella “unità spirituale” della magistratura evocata da Dino Grandi nel 1941. Ci si ostina a non voler vedere come un ordinamento e un codice stanno o cadono insieme. E come dunque sia intollerabile, irrazionale e ottuso far sopravvivere una organizzazione della magistratura impostata su di un simile modello antiquato, autoritario e paternalistico che contraddice in maniera sfacciata la matrice e la logica stessa del modello accusatorio. Non possiamo tollerare che contravvenendo ad una regola propria di ogni moderno sistema democratico il controllore e il controllato, il giudice e l’accusatore convivano all’interno di una medesima comune organizzazione.

3. Non scendo nel merito della polemica sui tempi e sui modi con i quali si è inteso accelerare il cammino della riforma nel suo duplice passaggio, non ancora compiuta da Camera e Senato, perché anche noi abbiamo ritenuto inopportuna quella impostazione, avendo anche UCPI provveduto al deposito di diversi emendamenti migliorativi al disegno, che sono stati come altri ignorati, ma non sarebbe neppure corretto non ricordare come le audizioni davanti alle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali di Camera e Senato, alle quali abbiamo partecipato anche noi, sono durate complessivamente oltre un anno, sono stati sentiti magistrati in pensione, presidenti della Corte di Cassazione, rappresentanti della ANM, accademici ed esperti, si è dato fondo a tutte le argomentazioni psicologiche, sociologiche, politiche, tecnico-giuridiche, processuali e costituzionali. Nulla è stato tralasciato.

E neppure si può trascurare un dato relativo al fatto che dal Congresso di ANM era uscita una voce inequivoca circa il rifiuto di qualsivoglia ipotesi di separazione delle carriere e della assenza di qualsivoglia disponibilità di dialogo sul merito di tale riforma, considerata un attentato alla Costituzione.

Ma poi, al di là di questo, vi è un dato oggettivo, di ovvio rilievo politico, che deve essere sottolineato.  Quando l’iter parlamentare sarà completato con il suo quarto passaggio davanti al Senato, la riforma non finirà in un oscuro ed opaco percorso sotterraneo, non sarà consegnata ad un pericoloso leviatano ma, come previsto dall’art. 138 Cost., lascerà entrare in scena il soggetto più rappresentativo che il nostro ordinamento repubblicano conosca, il Popolo italiano. E ciò avverrà attraverso la consegna dello strumento più ampio e più significativo di quella sua rappresentanza, il più diretto e il più democratico che l’elettorato conosca, si aprirà la pagina al referendum popolare confermativo, che è – come tutti sappiamo – un referendum senza quorum nel quale non si potrà andare al mare, come è successo in occasione di altri referendum, ma ci si dovrà impegnare tutti, favorevoli e contrari, affinché si partecipi a quel voto fondamentale.

4. Sul merito della riforma non dirò nulla perché il dibattito interno, le tavole rotonde hanno già detto e diranno, e credo che il dibattito debba essere lasciato a chi autorevolmente vi ha preso e vi prenderà parte, fra i rappresentanti della politica, del giornalismo, dell’accademia e della magistratura che ci hanno onorato e di onoreranno della loro presenza.

Concludo solo ricordando che mentre secondo il nostro Statuto è compito dell’Unione “promuovere politiche” volte a “garantire l’indipendenza e l’autonomia della giurisdizione” (Art. 2 lett. d) Scopi), lo Statuto della ANM si limita a propugnare una “organizzazione autonoma della magistratura” (Art. 1 comma 2 Scopi).

A noi interessa che l’ordinamento giudiziario promuova una “giurisdizione autonoma e indipendente” nell’interesse di tutti i cittadini, una giurisdizione che dunque veda tutelata anche l’indipendenza interna della magistratura.

Ma mentre noi guardiamo ad un esercizio libero, trasparente e democratico della giurisdizione, la ANM guarda esclusivamente alla tutela della sua “organizzazione”: alla conservazione di una organizzazione chiusa e autocratica, in relazione alla quale l’unitarietà delle carriere è considerata un “dogma”, indifferente a come quella collettività viva e interpreti quel dogma all’interno della giurisdizione.

5. Voglio, infine, anche rispondere in qualche modo a coloro che invitano a “contestualizzare” questo passaggio riformatore, spostando l’attenzione dal merito tecnico al contesto politico, dal disegno al colore di chi lo sostiene. Ma se “contestualizzare” significa allargare lo sguardo sulle dinamiche storiche e sullo stato delle cose, allora non ci può sfuggire l’insostenibilità della condizione attuale, sia sul piano ordinamentale che di quello processuale, e non ci si può sottrarre dal constatare che se il percorso di questa riforma non dovesse giungere al suo esito auspicato, con tutte le prospettive di modernizzazione dell’ordinamento giudiziario, quello che ci attende è uno scenario davvero oscuro ed asfittico, impermeabile ad ogni possibile cambiamento.

Il correntismo si radicherebbe definitivamente, e il suo “sistema” di controllo interno sulla magistratura verrebbe santificato e promosso a “buon governo”, a forma ottimale imperitura di gestione dei poteri del CSM[3].  Si affermerebbe definitivamente e assiomaticamente quell’idea deforme – in verità promossa, non solo dalla magistratura, ma favorita dagli anni ’70 in poi anche da una politica miope[4] – della natura “rappresentativa” del CSM e, dunque, della funzione indispensabile delle correnti, facendo tramontare del tutto l’idea costituzionale – fondamentale ai fini della conservazione dell’equilibrio fra poteri – del CSM come puro e semplice “organo di garanzia”.  Si sancirebbe l’idea dei “poteri impliciti” del CSM, della moltiplicazione dei pareri non richiesti e dell’ingerenza del giudiziario sulle scelte del legislativo e sullo stesso indirizzo politico della giustizia, si affermerebbe dunque in maniera definitiva l’idea del CSM come organo, non di “governo autonomo”, ma di vero e proprio “autogoverno”, autocratico e debordante, antagonista e politicamente attivo.

E, ancora, sul piano processuale e ordinamentale si riaffermerebbe in maniera inappellabile l’idea grandiana[5] dell’“unità spirituale” della magistratura. Una idea evidentemente intramontabile nello spirito della nostra magistratura associata, colorita dall’affermazione che si tratti non solo di un dogma ma anche – come si è potuto ascoltare in un recente spot della ANM – di un’idea “geniale”: quella di un sistema processuale nel quale, il controllore e il controllato, chi giudica e chi accusa l’imputato, collaborano assieme e che sia il pubblico ministero il vero “garante” dei diritti dell’imputato, mentre al difensore spetta il non ben chiaro ruolo di “protettore” dell’accusato. D’altronde c’è da chiedersi a cosa serva mai un difensore, in un sistema così genialmente congegnato, e da cosa mai dovrebbe “proteggere” il suo assistito, visto che a farne valere le garanzie e a tutelarne le libertà e ci sono già un giudice e un pubblico ministero garante. D’altronde, come si chiarisce nello spot della ANM, sono il giudice e il PM le figure “fondamentali”. Del difensore, facciamone pure a meno. Ecco, quello che ci attende se la riforma non andrà a buon fine. Sarà questa idea di processo, di giudice e di pubblico ministero, a segnare definitivamente il processo del futuro e questo il destino definitivo della funzione difensiva.

Sarà questo modello di giudizio penale dell’avvenire: un modello che si imporrà all’immaginario collettivo quale intramontabile valore ideologico e politico. Perché nessuno potrà più mettere in discussione questo dogma teologico della unitarietà e questa idea inquisitoria, autoritaria, paternalistica e antidemocratica del processo penale. Le ingiuste detenzioni, alla luce di questa impostazione ideologica che valorizza quell’idea geniale del giudice/pubblico ministro e del pubblico ministero/ giudice garanti della libertà e dei diritti del cittadino, diverranno le storie di “colpevoli che l’hanno fatta franca”, e non certo la più palese dimostrazione del malinteso vincolo che corre fra giudice per le indagini preliminari e pubblico ministero. Se questa riforma fallisse, questo sarà il destino della giustizia del Paese. Così credo di poter contestualizzare la nostra campagna per il SÌ.

Una riforma o è buona o è cattiva e vale la pena di valutarla per quello che è e che vale per il bene del Paese e della Giustizia, anche quando non condividiamo le idee di chi la propone o di chi la vota. Le leggi vivono di una vita autonoma e questa legge ha una storia nobile ed antica che ci appartiene fino in fondo.

6. Sarà una campagna durissima ma anche una ulteriore opportunità di crescita per l’Unione. Sarà una campagna difficile perché il rischio di rimanere schiacciati fra due blocchi contrapposti è evidente. La polarizzazione, figlia della radicalizzazione del discorso politico, rischia di trasformare il voto referendario sul tema della riforma della giustizia in un referendum pro o contro il Governo o, ancor peggio, in uno scontro aperto fra politica e magistratura. All’interno di un simile scenario, i temi tecnici rischiano di essere del tutto eclissati ed il nostro ruolo di interlocutori terzi dell’opinione pubblica e dell’elettorato di essere respinto ai margini del dibattito. Rischiamo di vedere la nostra voce sovrastata da quella di maggioranza e opposizione, di politica e magistratura, entrambi veicoli di informazioni deformate dalla faziosità del contesto politico, dalla comunicazione dei social e da volontarie falsificazioni dei contenuti della riforma da parte di chi la contrasta (si pensi solo alla attribuzione a Gelli del disegno della separazione delle carriere o alla ostinata negazione, contro ogni evidenza, che Falcone fosse un sostenitore di tale riforma). Non sarà facile mantenere la nostra immagine di indipendenza e conquistare uno spazio sufficientemente ampio e autonomo con il quale poter interloquire con l’elettorato, sfuggendo a quella contrapposizione e affrontando la scelta referendaria sui temi tecnici. Questo significa infatti comunicare i temi della riforma operando una semplificazione che sfugga alla banalizzazione, adottando un linguaggio diverso da quello che siamo soliti usare e ascoltare nei convegni, ma al tempo stesso efficace, solo così potremo entrare in contatto diretto con la società civile con i modi e gli strumenti che abbiamo indicato nel nostro programma.

Abbiamo visto come già i partiti schierati contro la riforma siano scesi in campo e che già da tempo testate giornalistiche e televisioni hanno apertamente manifestato la loro posizione. Non ci è sfuggita l’assunzione di un ruolo manifestamente politico, quale è quello del condizionamento del voto dei cittadini, da parte di ANM, con la costituzione, anche da parte sua, di un Comitato per il NO e l’avvio di una costosa campagna di comunicazione. In considerazione di questo prevedibile e previsto scenario non abbiamo mai immaginato che fosse ovviamente possibile affrontare questo impegno con le nostre sole forze e senza dotarci di strumenti e di alleanze. Già a luglio abbiamo costituito un Comitato per il SÌ con l’intento di farne il soggetto aggregatore di tutte le associazioni forensi, le formazioni, le aggregazioni e i corpi intermedi che intendano sostenere la nostra campagna, ottenendo già le prime importanti adesioni. Ma questo certo non è da solo sufficiente perché affrontare una campagna referendaria significa fare comunicazione in senso tecnico, inserirsi all’interno del linguaggio dei media ed elaborare un linguaggio adeguato ad una simile comunicazione. È per questo che già da mesi abbiamo attivato la ricerca di professionisti, consapevoli della natura di questo nuovo impegno, nella ricerca di chi potesse sostenerci non solo nel comunicare un tema così complesso, quale quello della riforma della giustizia (indicandoci slogan e temi e termini adeguati), ma anche nello smentire le falsità dei messaggi e delle parole d’ordine somministrate dalla politica e dalla magistratura associata. E ancora individuando strategie utili al fine di mobilitare al voto tanto la quota degli astensionisti quanto quella dei favorevoli alla riforma ma non sufficientemente motivati, e ancora nel difficile compito di convincere gli indecisi. Si tratta di un lavoro specialistico complesso e impegnativo da svolgere su tutti i canali dei media, vecchi e nuovi, dalla stampa alla televisione, dai social alle affissioni, dalla ricerca di testimonial e di finanziatori. Una Campagna referendaria di così vasta portata implica inevitabilmente l’utilizzo di risorse economiche importanti di cui l’Unione dispone e che la Giunta intende impegnare in considerazione dell’obbiettivo politicamente strategico per la giustizia di questo Paese e per la nostra stessa storia.

Ma ciò che ha impressionato i nostri interlocutori nell’ambito di questa ricerca è la forza e la diffusa presenza delle Camere Penali nell’intero territorio del Paese. Questo ci consentirà di mobilitare in questa campagna migliaia di militanti organizzati in sotto-comitati a livello distrettuale che si interfacceranno con i delegati di Giunta, referenti delle singole aree territoriali, per organizzare insieme tutte le attività necessarie allo svolgimento della campagna. La società di comunicazione prescelta ci fornirà tutti i mezzi per affrontarla, ma voi dovrete portarla con successo sui vostri territori. Una verità che abbiamo sperimentato nel 2017 nella raccolta delle 72.000 firme per la proposta di iniziativa popolare della riforma. Sarete voi la forza decisiva di questa campagna.

7. Abbiamo attraversato assieme due anni difficili nei quali abbiamo dovuto contrastare politiche, ideologie e iniziative governative contrarie ai nostri valori fondanti e ai nostri principi. Per contrastare le politiche sul carcere e i silenzi sui suicidi e per protestare contro la legislazione securitaria, abbiamo speso tutti assieme passione, idee, iniziative abbiamo detto e fatto, abbiamo portato il nostro contributo nelle audizioni e ci siamo astenuti. Voi tutti avete lasciato il vostro sudore nelle piazze assolate, nei piazzali dei CPR e nei corridoi delle carceri in agosto e ciascuno di voi ha dato il suo contributo nelle assemblee, nelle marce, nelle manifestazioni, nei digiuni. E il vostro impegno non è passato inosservato perché abbiamo aperto un varco nel silenzio dei media su questi temi, tutti hanno dato atto della incidenza delle nostre iniziative e hanno riconosciuto all’Unione di essere stata interprete in prima linea della protesta.

Abbiamo interloquito con la politica e con il Governo spingendo sulla strada delle riforme, rispondendo anche alle sfide che la rivoluzione tecnologica ci consegna. Si pensi ai tavoli sul processo telematico la cui irruzione nel processo penale mette a rischio la tenuta dello stesso modello accusatorio e all’uso investigativo dell’intelligenza artificiale (si pensi al sequestro dei server dei cripto-telefonini) sul cui controllo e sulla cui limitazione siamo sempre stati in prima linea.  Sul fronte tecnologico del digitale si sono aperti spazi importanti con riferimento al sequestro dei dispositivi informatici. Sul piano della tutela del diritto di riservatezza e di difesa abbiamo ottenuto l’ampliamento degli spazi di garanzia e di tutela delle comunicazioni del difensore con il proprio assistito (frutto di una nostra antica rivendicazione) e si sono aperti ulteriori spazi nella già iniziata riforma della custodia cautelare. Abbiamo insistito sull’espansione progressiva delle garanzie nell’ambito del processo di prevenzione. Sul campo della ancora insufficiente tutela della presunzione di innocenza, si è fatto un primo passo sul divieto di pubblicazione delle ordinanze. Il parziale successo raggiunto con la abrogazione e modifica dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p.[6] deve essere al più presto portato a termine in maniera completa con l’ulteriore e definitiva riduzione di tutti gli ostacoli posti alle impugnazioni, compreso il comma 1-bis c.p.p.

Abbiamo lavorato e continueremo a farlo nella Commissione Mura e in ogni altra occasione, confrontandoci con il Governo su ogni tema, seguendo l’impegno dell’essere sempre pragmatici nelle scelte ed inflessibili nella difesa dei nostri valori, adottando come unico criterio quello della nostra indipendenza. Così intendiamo proseguire, nel nostro ulteriore, gravosissimo ma straordinario, impegno futuro con il vostro indispensabile sostegno.

8. Credo di aver rispettato l’impegno preso con tutti voi a Firenze quando ho detto di voler essere un Presidente unitario e di aver dato voce a tutti coloro che in quel mio stesso impegno si riconoscevano e si sono riconosciuti.

Ed è con questo stesso spirito che continueremo a contrastare con determinazione le inutili e devastanti legislazioni securitarie nelle aule, nelle piazze e davanti alle Corti.

Continueremo a batterci affinché il carcere non sia più quel vergognoso strumento di oppressione, di alienazione e di morte che oggi è indegnamente divenuto per volontà di molti e per ignavia di tutti.

Non consentiremo che i CPR e gli altri luoghi di privazione della libertà incostituzionali continuino a costituire indegna testimonianza di come il nostro Paese considera i diritti di libertà e di dignità della persona.

Ci batteremo per evitare che il processo telematico tradisca i valori fondanti del processo e della nostra professione.

Non consentiremo che l’intelligenza artificiale divenga strumento del giudice ed ancor meno mezzo pericoloso, pervasivo ed asimmetrico delle indagini.

Continueremo a coltivare il nostro originale modello accusatorio consapevoli che si tratta di una idea di processo che la magistratura ha sempre contrastato

Continueremo soprattutto a batterci per la pienezza del diritto di difesa e la intangibilità della funzione difensiva come garanzia di ogni altro diritto.

Se voi ci darete la forza e ci trasmetterete la vostra stessa inestinguibile passione.

Lunga vita alle Camere Penali, lunga vita all’Unione delle Camere Penali Italiane.

[1] P. Calamandrei, Discorso sulla Costituzione, 26 gennaio 1955.

[2] “… la tensione ad aeternitatem delle costituzioni implica l’accettazione della prospettiva dinamica, nel senso che esse debbono raccogliere la sfida della storia e del cambiamento, accettando di essere in parte plasmate da quella stessa realtà sociale che hanno inteso plasmare … le costituzioni, sebbene manifestino una naturale inerzia, sono comunque destinate al moto”, M. Luciani, Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, AIC 2013.

[3] “Si consideri che dal 1958 ad oggi il modo di eleggere i magistrati è cambiato otto volte, a seconda degli equilibri che si formavano all’interno o all’esterno della magistratura”, F. Biondi, Il Consiglio Superiore della Magistratura, Bologna 2023.

[4] si veda per tutti, l’intervento del Presidente S. Pertini: il Consiglio, “anche in ragione della diversa provenienza dei suoi membri, portatori di un democratico pluralismo di idee e orientamenti si pone come la naturale sede nella quale può essere delineata e chiarita una visione equilibrata e organica dell’amministrazione della giustizia” (Plenum CSM del 13.7.1978).

[5] Così Dino Grandi, Guardasigilli di Mussolini, a proposito del suo nuovo Ordinamento giudiziario del 1941.

[6]  Legge 114 del 4 agosto 2024.