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DIRITTO DI DIFESA E PERMESSI PREMIO: LA “CASSETTA DEGLI ATTREZZI” DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 253 DEL 2019 – DI ALESSANDRO RICCI

DIRITTO DI DIFESA E PERMESSI PREMIO: LA “CASSETTA DEGLI ATTREZZI” DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 253 DEL 2019 – DI ALESSANDRO RICCI

RICCI – PERMESSI PREMIO LA “CASSETTA DEGLI ATTREZZI” DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 253 DEL 2019.PDF 

di Alessandro Ricci*

Una breve ricognizione sullo stato dell’arte difensiva dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 in tema di permessi premio per il “condannato ostativo silente”. La possibilità, oggi, di fare una scelta prima non esistente impone al difensore, più che in passato, riflessioni tecniche ma anche di opportuna strategia che tengano conto della peculiarità della posizione esecutiva dell’interessato, dell’intricato quadro ordinamentale complessivo di riferimento, nonché, adesso più che mai, delle certe prospettive di riforma future: o quelle annunciate dalla giurisprudenza costituzionale, o quelle normative che, su invito del giudice delle leggi, dovrebbero precedere le prime (vedi Corte costituzionale, comunicato stampa del 15 aprile 2021).

Sommario: 0. Prima di tutto… – 1. Il punto di partenza. – 2. Le alternative post sentenza costituzionale n. 253 del 2019. – 3. Una puntualizzazione: giudizio sul primo permesso premio e verifiche per quelli successivi. – 4. La scelta difensiva e gli oneri di allegazione conseguenziali. – 4.1. La verifica inevitabile: l’esclusione di collegamenti (passati) con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. – 4.2. Le verifiche evitabili (in alternativa): la dimostrazione della impossibilità-inesigibilità di utile collaborazione… 4.3. (segue)… oppure l’insussistenza del pericolo di ripristino pro futuro di collegamenti criminosi. – 5. Electa una via...? – 6. Difesa in progress e “contro-allegazioni”.  – 7. Per un diritto di difesa consapevole: accesso ai fascicoli e conoscenza degli atti. – 8. Le conclusioni e i (non facili) consigli difensivi.

  0.Prima di tutto…

Il presente lavoro era già avviato a conclusione nelle more del giudizio costituzionale in tema di ergastolo ostativo e liberazione condizionale. La speranza di implementarne in corso d’opera i contenuti per armonizzarli con le auspicate novità in tema di liberazione condizionale, e forse, perché no, anche di altre misure alternative, è rimasta tale e occorrerà ancora aspettare. Per almeno per un anno – tale è il tempo d’attesa, salvo il sollecitato intervento normativo, indicato dal comunicato stampa della Corte costituzionale del 15 aprile 2021 – nella ideale “cassetta degli attrezzi” del difensore del “condannato ostativo silente” rimane quello che c’era il giorno prima del comunicato.

Vale quindi la pena utilizzare questo tempo nell’affinare – e perché no, impratichirsi con – le prerogative oggi disponibili in vista di una più ampia efficacia in futuro, perché in fondo i “fondamentali” sempre quelli saranno.

Del resto – ma la constatazione ha il retrogusto dell’amarezza – al di là dell’importanza della inequivoca affermazione di incostituzionalità dell’ergastolo ostativo annunciata con il citato comunicato, ad oggi a quell’ultimo gradino della progressività rappresentato dalla liberazione condizionale avrebbero potuto probabilmente ambire solo gli ergastolani ostativi che hanno già beneficiato di permessi premio ai sensi della sentenza costituzionale n. 253 del 2019; si vocifera che siano solo in 5 e non è un bel segnale. Da ciò, quindi, l’impegno nel cercare soluzioni per ampliare il più possibile la platea di coloro che, oggi detenuti, domani in permesso premio e poi chissà, potranno, magari tra un anno o anche qualcosa di più, meglio aspirare alla liberazione condizionale.

Ma il primo gradino, quello del permesso premio, sarà sempre inevitabile e da questo bisogna prendere le mosse.

  1. Il punto di partenza.

La sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4-bis, comma 1, o.p. «nella parte in cui non prevede che, ai detenuti [in espiazione pena per tutti i delitti ivi elencati] possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti».

Con ciò è venuta meno la preclusione di principio che determinava, in difetto di utile collaborazione ove possibile, l’inammissibilità dell’istanza di permesso premio ex art. 30-ter o.p. per il condannato per delitto ostativo prevista dal combinato disposto degli art. 4-bis, comma 1, e 58-ter o.p.

È stata quindi eliminata in radice l’equazione sulla quale si fondava la presunzione assoluta di pericolosità e che preliminarmente impediva il giudizio di merito sulla richiesta di permesso premio, equazione secondo cui “non collaborazione (nei casi in cui sarebbe possibile) = mantenimento di collegamenti con la criminalità organizzata” e quindi permanenza di pericolosità.

La presunzione assoluta di pericolosità è stata quindi tramutata in presunzione relativa legittimando il condannato alla dimostrazione del superamento dell’ipotizzata pericolosità su di lui gravante con strumenti diversi dalla collaborazione.

La sentenza non ha sancito tout court l’illegittimità della previsione dell’obbligo di collaborazione da sempre previsto dal comma 1 dell’art. 4-bis o.p.  e formalmente non ha neanche estromesso dal sistema normativo il meccanismo di equipollenza di tale obbligo tipizzato nelle fattispecie della collaborazione impossibile-inesigibile dal comma 1-bis della medesima disposizione, per nulla intaccato dalla declaratoria di incostituzionalità.

La disposizione in tema di collaborazione impossibile o inesigibile, comma 1-bis dell’art. 4-bis o.p. appunto, non solo resta vigente ma continua ad avere una portata precettiva concreta, sia in ragione della diversità parziale, rispetto al nuovo modello di accertamento introdotto dalla decisione costituzionale, delle regole dimostrative della assenza di pericolosità, sia in ragione di una percepibile differenza ontologica posto che l’accertamento in positivo della impossibilità o inesigibilità della collaborazione consente di qualificare in termini univoci e non connotati da alcun minimo disvalore la scelta del detenuto di non fornire informazioni alla autorità giudiziaria.

In particolare, rispetto a quest’ultimo punto, la giurisprudenza di legittimità, dopo alcuni iniziali tentennamenti, sembra ormai definitivamente assestarsi nel senso di ritenere che il novum introdotto dalla decisione costituzionale sia quello di aver introdotto una opzione decisoria aggiuntiva rispetto a quella già esistente – cioè quella prevista dal comma 1-bis dell’art. 4-bis o.p. – e che il condannato può chiedere di attivare.

  1. Le alternative post sentenza costituzionale n. 253 del 2019.

Proprio perché introduttiva di un’opzione decisoria aggiuntiva rispetto all’unica strada in precedenza percorribile tipizzata dal comma 1-bis dell’art. 4-bis o.p. – che in quanto unica non implicava alcun problema di scelta – il condannato non collaborante in espiazione di pena inflitta per un delitto previsto dal comma 1 della medesima disposizione che ambisca alla concessione di un primo permesso premio ex art. 30-ter o.p., allo stato attuale può decidere di:

  1. a) avvalersi del comma 1 dell’art. 4-bis p. secondo l’innovativa interpretazione della disposizione e quindi formulare istanza di permesso premio al magistrato di sorveglianza sostenendo: i) la insussistenza sia della «attualità di collegamenti con la criminalità organizzata [sia del] pericolo di ripristino di tali collegamenti»; ii) la sussistenza delle ulteriori condizioni di meritevolezza del beneficio richiesto; il giudizio si svilupperà dinanzi all’organo monocratico con le note modalità procedimentali decisorie non partecipate; quanto agli adempimenti istruttori si dirà in seguito; l’eventuale decisione negativa potrà essere reclamata ai sensi dell’art. 30-bis o.p. dinanzi al tribunale nel termine di 15 giorni (quella positiva, ovviamente, dal p.m.);
  2. b) oppure, avvalersi del tradizionale comma 1-bis dell’art. 4-bisp. e quindi formulare al magistrato di sorveglianza istanza di permesso premio unitamente ad istanza incidentale di accertamento di impossibilità o inesigibilità-irrilevanza di utile collaborazione con la giustizia, sostenendo: i) che «la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia»; ii) la insussistenza della «attualità di collegamenti con la criminalità organizzata», ma, si badi, non quella del «pericolo di ripristino di tali collegamenti» poiché questa condizione introdotta dalla decisione costituzionale riguarda solo il modello procedimentale-decisorio sopra indicato; iii) la sussistenza delle ulteriori condizioni di meritevolezza del beneficio richiesto; il giudizio di accertamento sulla fattispecie di impossibilità o inesigibilità evocata si svilupperà dinanzi al tribunale di sorveglianza, al quale il magistrato di sorveglianza dovrà trasmettere gli atti; in caso di esito negativo, l’ordinanza del tribunale sarà ricorribile in cassazione ex art. 606 e 666 c.p.p. (in caso di esito positivo dal p.g.); in caso di esito positivo, dopo la restituzione al magistrato di sorveglianza degli atti, questo procederà nella valutazione delle ulteriori condizioni di concedibilità del beneficio, e dunque anche della insussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata nelle note modalità istruttorie e decisorie (non partecipate); l’eventuale decisione negativa potrà essere reclamata ai sensi dell’art. 30-bis o.p. dinanzi al tribunale nel termine di 15 giorni (quella positiva dal p.m.).

Così sintetizzate le ricadute nel sistema ordinamentale penitenziario di una riforma che ben può dirsi epocale, non ci si può conseguentemente esimere anche dall’analisi dei riflessi in tema di diritto di difesa, specie per verificare se al mutato quadro operativo di riferimento corrispondano nuove prerogative difensive e modalità di esplicazione delle stesse che consentano la fruibilità al meglio delle nuove opportunità così da consentire, o meglio, imporre al buon difensore l’esercizio del proprio mandato.

In questo nuovo scenario dalle plurime sfaccettature – per la verità non del tutto inedite rispetto al recente passato, ma che richiedono una complessiva riconsiderazione – si impone infatti la necessità di individuare i rinnovati spazi e modalità degli interventi difensivi tecnici in favore del condannato, finalizzati non solo, come si vedrà, a meglio consigliare il diretto interessato circa la scelta iniziale da assumere e quindi nella articolazione iniziale delle allegazioni a supporto delle domande introduttive, ma anche di quelle integrative che si rendessero poi necessarie in rapporto agli sviluppi e la direzione assunta dai contenuti dell’istruttoria.

  1. Una puntualizzazione: giudizio sul primo permesso premio e verifiche per quelli successivi.

Un chiarimento, per quanto ovvio, salvo quanto si dirà poi in conclusione.

Il maggiore lavorìo difensivo si concentra a monte e in corso di istruttoria e valutazione della richiesta del primo permesso premio dal momento che, una volta cristallizzata favorevolmente per la prima volta la sussistenza dei presupposti concessivi, ben può dirsi che si determini una presunzione di persistenza delle condizioni di ammissione al beneficio; quasi una sorta di giudicato allo stato degli atti rimovibile solo con elementi nuovi di valenza opposta.

Per la precisione, in caso di attivazione del modello sub b) indicato in precedenza, sarà destinato ad assumere una stabilità il giudicato sulla sussistenza dei presupposti integrativi della fattispecie di impossibilità-inesigibilità di utile collaborazione con la giustizia essenzialmente basato su constatazioni di natura oggettiva immutabili nel futuro; diversamente, qualunque sia il modello di verifica attivato, minore stabilità potrebbe invece assumere il giudizio sulla insussistenza di collegamenti passati e pericolo di quelli futuri con la criminalità organizzata essendo ogni valutazione in proposito potenzialmente mutevole in rapporto a numerose variabili, prima tra tutte – come a volte l’esperienza difensiva, purtroppo, insegna – gli stessi comportamenti esterni del condannato che sia ammesso a fruire del beneficio (non a caso, alcuni uffici di sorveglianza reiterano la richiesta di informative anche per i permessi successivi al primo).

Va da sé che un impegno difensivo del tutto autonomo ed ulteriore s’impone nel caso di rigetto o inammissibilità dell’istanza di concessione del primo permesso, ma questo è un altro tema.

  1. La scelta difensiva e gli oneri di allegazione conseguenziali.

Il punto di partenza è, come detto, la scelta sulla direzione da intraprendere: o il modello introdotto dalla sentenza costituzionale n. 253 del 2019 che per comodità chiameremo “modello 253”, oppure quello tutt’ora delineato dall’art. 4-bis, comma 1-bis, o.p., etichettabile come “modello collaborazione impossibile”.

Per la verità vi sono situazioni in cui non c’è scelta difensiva perché la strada è ab origine obbligata: si pensi, infatti, a quei detenuti per delitti ostativi non collaboranti che in passato hanno già affrontato un giudizio di impossibilità o inesigibilità di utile collaborazione con la giustizia conclusosi con una decisione negativa ormai definitiva; questi non hanno altra strada da seguire se non quella del “modello 253” che di fatto offre loro, primi tra tutti, una “via di fuga” obbligata dalla situazione di stallo venutasi a creare per effetto dell’insuccesso del pregresso accertamento.

La scelta si pone dunque solo per coloro che muovono da una posizione neutra, non avendo in precedenza mai introdotto nulla a riguardo e non essendo quindi gravati da un pregresso rigetto di una domanda ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p.

E quindi, cosa consigliare a questa tipologia di condannati ostativi che chiedano al difensore quale percorso intraprendere? Vi è un percorso più facile, o per meglio dire, meno difficile dell’altro ? Come impostare l’istanza introduttiva? I risultati che possono positivamente raggiungersi sono tra loro effettivamente omologabili anche pro futuro in vista di più ampie misure? Ma soprattutto, dilemma di ogni difensore, qual è il tasso di prevedibilità del risultato di un percorso o dell’altro?

4.1.      La verifica inevitabile: l’esclusione di collegamenti (passati) con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

In disparte l’ordine degli addendi e le differenze procedimentali quanto alla individuazione degli organi competenti per l’accertamento delle varie condizioni già sopra delineate, i due distinti modelli di verifica della pericolosità hanno certamente un elemento in comune: che si tratti del giudizio ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. o del nuovo modello post sentenza n. 253 del 2019, in entrambi i casi è sempre fattore imprescindibile per la decisione finale favorevole al condannato l’acquisizione di elementi «tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva», elementi che consentano quindi un giudizio di constatata recisione dei collegamenti criminosi passati che il condannato ha o si presume abbia avuto.

Come dire: qualunque sia la strada che si intende intraprendere, la difesa, rapportandosi ai criteri di valutazione giurisprudenziali ormai noti, dovrà pertanto sempre fornire idonee e pertinenti allegazioni di contenuto favorevolmente apprezzabile (ad esempio: la tipologia di delitto ascritto, posto che una cosa e valutare se siano recisi i collegamenti criminosi di un soggetto che sia stato partecipe di un sodalizio per molti anni, mentre altra e cosa diversa è la posizione di chi sia stato condannato per delitto aggravato sì da mafiosità ma solo per metodo/atteggiamento e non per finalità, magari non essendo mai stato neanche indagato per delitto associativo; il venir meno dell’organizzazione di cui l’interessato faceva parte; il tempo trascorso dalle condotte e la durata della detenzione; le relazioni con la famiglia, la collocazione lavorativa ed eventuali pregiudizi dei suoi componenti; e poi i risultati dell’osservazione penitenziaria, per verificare se il comportamento del detenuto, come ricostruito dalle relazioni comportamentali in atti, sia stato corretto e denotante una adesione ai principi fondanti dell’ordinamento, oltre che se vi siano state concrete manifestazioni di dissociazione criminosa e riparative.

Sul tema, quindi, la difesa del condannato “ostativo” dovrà già in sede di allegazioni introduttive attrezzarsi da subito con i migliori argomenti e documenti ed essere poi pronta anche in seguito (v. par. 6) a contrastare i contenuti dei non sempre – o meglio, mai – favorevoli contenuti delle varie informative che verranno acquisite (solitamente quella della D.D.A., Procura ordinaria, G.d.F., C.P.O.S., Questura, Carabinieri; ad esempio evidenziando il fatto che detti organi non abbiano tutto sommato fornito concrete indicazioni negative).

4.2.      Le verifiche evitabili (in alternativa): la dimostrazione della impossibilità-inesigibilità di utile collaborazione…

Posta, quindi, l’inevitabilità dell’accertamento sul tema anzidetto, occorre concentrarsi su quale modello di giudizio attivare tra quelli in precedenza delineati, decidendo così quale ulteriore tema affrontare e quale evitare.

Come visto, l’alternativa è tra l’accertamento ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. di impossibilità-inesigibilità di utile collaborazione con la giustizia, oppure la dimostrazione di insussistenza di un pericolo di ripristino pro futuro di collegamenti criminosi.

Ebbene, data per metabolizzata la portata della sentenza costituzionale n. 253 del 2019 cosa consigliare oggi al condannato? È possibile dire che un tipo di verifica sia meno difficile dell’altra? Oppure che produca, se positiva, effetti meglio apprezzati dagli organi di sorveglianza? O magari, comunque più utili in futuro?

Quanto al primo quesito non può certamente negarsi che i criteri interpretativi di legittimità che regolano il giudizio sulla integrazione della fattispecie di inesigibilità o impossibilità di utile collaborazione con la giustizia, così come quelli ritraibili dall’analisi dei precedenti di merito ormai facilmente reperibili, possono dirsi oggi sufficientemente precisati non foss’altro perché materia presente nel sistema dal 1994.

Il che, però, non significa rendere ragionevolmente prevedibile il possibile epilogo di questo tipo di giudizio; forse può meglio dirsi che in particolari fattispecie l’esperienza difensiva porta con maggiore facilità a prevedere ragionevolmente il rigetto (esempio: omicidio certamente commesso da più soggetti dei quali siano stati giudizialmente individuati solo alcuni; il risultano negativo è scontato), motivo per cui in questi casi occorre saggiamente sconsigliare il condannato ad intraprendere questo percorso.

Quanto alle allegazioni difensive sul tema,  spetta alla difesa del condannato l’iniziale prospettazione della specifica situazione che ritenga sussistente (impossibilità di collaborazione o inesigibilità-irrilevanza) precisandosi, però, che non vi è  un vero e proprio onere di prova ma più semplicemente di allegazione di fatti e circostanze quantomeno sintomatiche ed indicative della sussistenza della impossibilità di collaborazione o di una sua inesigibilità, circostanze sulle quali spetterà, poi, all’organo di sorveglianza procedere ai dovuti accertamenti sull’effettività di quanto dedotto; detto onere non può tradursi in espressioni stereotipe o in un semplice richiamo alle formule normative, dovendo sostanziarsi in proposizioni assertive almeno indicative di circostanze di fatto di natura oggettiva e soggettiva ritraibili dalla motivazione della decisione passata in giudicato che sarà poi oggetto di analisi e che è dovere difensivo analizzare ed interesse produrre.

Ciò risponde pragmaticamente ad un interesse difensivo quanto alla completezza dei contenuti introduttivi della domanda: non può negarsi, infatti, che l’istanza a volte può determinare una laboriosità espositiva, trattandosi pur sempre di prospettare una lettura orientata di una o più sentenze di condanna volta a fornire chiarimenti sulla storicità dei fatti, le responsabilità individuali dei soggetti coinvolti e quant’altro; e tale operazione, peraltro, a volte necessita di essere corroborata con elementi rivenienti e ritraibili da altre decisioni definitive emesse in processi e per fatti diversi, che magari non hanno visto direttamente interessato il detenuto ma che è interesse di questi acquisire e riversare in giudizio, così compensando, o addirittura prevenendo, eventuali lacune incolpevoli nell’istruttoria del tribunale di  sorveglianza che nulla può sapere di tali processi (il riferimento è a quelle situazioni procedimentali parcellizzate dove, ad esempio, in un primo processo si accertano movente, dinamica del fatto ma soltanto parte dei responsabili – mandanti, esecutori – poi completamente individuati, magari a distanza di anni, soltanto successivamente in processi e sedi giudiziarie diverse; molto spesso, in questi casi, il diretto interessato può essere la fonte privilegiata della conoscenza di questi ulteriori sviluppi processuali consentendo, così, le necessarie verifiche – anche tramite il proprio difensore – della rilevanza dei risultati di questi ulteriori procedimenti).

4.3. (segue)… oppure, l’insussistenza del pericolo di ripristino pro futuro di collegamenti criminosi.

Dall’altro lato, quello della “insussistenza del pericolo di ripristino di collegamenti” è un tema che non ha neanche 2 anni di vita e i criteri di apprezzamento di siffatto pericolo non possono pertanto dirsi, ad oggi, neanche minimamente delineati in maniera tale da costituire un oggettivo punto di riferimento interpretativo; basti dire che c’è chi ha acutamente osservato che per la valutazione di tale pericolo occorrerebbero financo capacità predittive di tipo sciamanico.

Tutto sommato, però, chi scelga l’opzione “modello 253” affronta nella duplice declinazione “passato e futuro” un tema che ben può dirsi unitario – quello dei collegamenti criminosi, appunto – il che potrebbe far sì che chi ha buoni elementi ed argomenti per poter dimostrare al momento del giudizio di non avere più collegamenti con la criminalità organizzata (esempio: fatto molto datato nel tempo commesso con metodo mafioso da parte di un soggetto neanche indagato per delitto associativo, libero per molti anni prima dell’inizio dell’esecuzione, con ormai una stabile collocazione familiare e lavorativa lontano dai luoghi delittuosi), molto probabilmente, con gli stessi elementi ed argomenti, riuscirà a dimostrare con facilità anche di non versare in pericolo di ripristino di collegamenti.

Il che, con ovvie ricadute anche in tema in tema di allegazioni difensive tutto sommato comuni per un aspetto e per l’altro (par. 4.).

In questi casi, pur magari a fronte di un fatto delittuoso completamente accertato senza alcun dubbio che renda ragionevolmente prevedibile un esito positivo di un accertamento di impossibilità-inesigibilità di utile collaborazione, verrebbe meglio da consigliare il “modello 253” magari anche per ragioni di maggiore celerità del procedimento.

  1. Electa una via…?

È possibile “non scegliere” quale modello di accertamento di (non più sussistente) pericolosità attivare e chiedere la concessione del primo permesso premio intraprendendo entrambe le strade oggi possibili? Come dire: a prescindere da un’eventuale contestualità temporale delle richieste, la facoltà di presentare una tipologia di domanda, consuma la possibilità di presentare l’altra?

Verrebbe da dire che in linea di principio, in assenza di norma positiva che regoli il tema, nulla osterebbe all’attivazione contestuale di entrambi i modelli di verifica.

Il problema, però, potrebbe essere diversamente impostato da parte dell’ufficio di sorveglianza che riceva entrambe le istanze: che si tratti, infatti, del “modello 253” (tutto da istruire e decidere dinanzi al giudice monocratico) o del “modello collaborazione impossibile” (in parte da istruire e decidere dinanzi al tribunale di sorveglianza ed in parte dinanzi al giudice monocratico al quale però va ab origine veicolata l’istanza principale), le verifiche in tema di pericolosità di innestano entrambe su una richiesta principale che è quella di concessione di un permesso  premio – tradizionalmente, proprio quella di inesigibilità-impossibilità è giustamente definita “incidentale” – e proprio la pendenza di una prima istanza, qualunque essa sia, avente quell’oggetto specifico potrebbe essere motivo di inammissibilità della seconda.

  1. Difesa in progress e “contro-allegazioni”.

Le allegazioni e produzioni iniziali non esauriscono lo sforzo difensivo.

All’input rappresentato dalla presentazione della domanda introduttiva si lega necessariamente quello successivo di natura integrativa che potrà rendersi necessario in rapporto agli sviluppi e ai contenuti degli atti istruttori, spesso non favorevoli; il riferimento è, in particolare, ai contenuti delle note informative D.D.A., G.d.F., C.P.O.S., Questura, Carabinieri, sovente articolate su formule di stile ed asserzioni inclini alla attualizzazione di dati rivenienti dalla biografia giudiziaria del condannato molto spesso assai risalente nel tempo.

Uno specifico dovere di intervento in tal senso è financo evocato dalla sentenza costituzionale n. 253 del 2019 laddove allude espressamente (ultimo cpv, par. 9) ad un onere di confutazione del condannato nei confronti di particolari contenuti delle informative già acquisite, in chiave di potenziale critica di tali atti e quindi di contributo difensivo alla decisione che dovrà essere assunta.

 

  1. Per un diritto di difesa consapevole: accesso ai fascicoli e conoscenza degli atti.

Inscindibilmente connesso al tema precedente è quello della conoscenza degli atti acquisiti in corso di istruttoria, poiché gli interventi difensivi successivi all’introduzione della domanda (par. 4.1. e 4.2.) presuppongono la visione degli stessi in vista delle possibili, a volte doverose, difese integrative.

Per il “modello 253” tutto si risolve nell’accesso ad un unico fascicolo, quello formatosi dinanzi all’ufficio di sorveglianza a seguito della presentazione della domanda e che rimarrà unico fino alla decisione finale.

Per il “modello collaborazione impossibile” vi è un duplice onere: a seguito della domanda introduttiva e la formazione del fascicolo dinanzi all’ufficio di sorveglianza vi è infatti una scissione dello stesso con parte degli atti che vengono veicolati al tribunale di sorveglianza per l’accertamento ex art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. e l’accesso al fascicolo del tribunale, che giudica in forma camerale partecipata, è quello ordinario previso dall’art. 666 c.p.p. (solitamente vengono acquisiti, oltre ovviamente alle sentenze di condanna, salvo che siano state doverosamente prodotte dalla difesa, solo i pareri D.D.A. e/o Procura ordinaria e comunque quel poco altro che sia utile alla verifica del completo accertamento dei fatti e delle responsabilità); ipotizzando l’epilogo positivo del giudizio, gli atti vengono poi restituiti ed uniti all’originario fascicolo dell’ufficio di sorveglianza per la prosecuzione dell’istruttoria con riferimento alla dimostrazione della recisione dei collegamenti con la criminalità organizzata.

  1. Le conclusioni e i (non facili) consigli difensivi.

Avvocato, quindi cos’è meglio? Che tipo di istanza mi consiglia per il mio primo permesso premio?”.

Sono queste le domande che ogni difensore si vedrà porre dal detenuto e salve le ipotesi in cui un’alternativa certamente non c’è (v. par. 4), occorrerà quindi rispondere indicando quale strada percorrere.

Le variabili da considerare sono tante, pari forse alle peculiarità che ogni fattispecie esecutiva presenta ed alle quali qui si accenna solo per sommi capi.

Si pensi, anzitutto, che la qualifica di “condannato ostativo” ai sensi del comma 1 dell’art. 4-bis o.p. spetta tanto al pluriergastolano per delitti di sangue commessi con finalità mafiosa magari pure recidivo, quanto all’incensurato condannato per concorso in un’estorsione con metodo mafioso commesso in luoghi dove non vi è radicamento della mafie tradizionali; così come al condannato per corruzione o peculato od anche violenza sessuale di gruppo, tanto è variegato l’elenco dei delitti del citato comma 1.

E’ financo intuitivo, ad esempio, che già le tipologie degli ultimi tre delitti appena citati  possano meglio orientare la scelta verso il “modello 253”, tutto incentrato sulla prova della recisione di collegamenti con la criminalità organizzata ed insussistenza di pericolo di ripristino degli stessi, perché è evidente che si tratterà di un tema per il quale molto probabilmente non ci sarà neanche materia del contendere (dimostrare che il condannato per peculato o violenza sessuale di gruppo non ha mai avuto e mai avrà collegamenti con la criminalità organizzata è financo gioco facile, salvo improbabili eccezioni).

Per le condanne relative a delitti inquadrati in contesti di criminalità organizzata è, invece, in linea di massima prevedibile che quella di adire il “modello 253” potrebbe non essere una scelta elettiva, come nei casi precedenti, ma al contrario un’opzione residuale e cioè la conseguenza della valutazione di non facile praticabilità del “modello collaborazione impossibile”, a fronte della preliminare constatazione difensiva che nelle motivazioni delle sentenze di condanna si rinvengono fatti e responsabilità soggettive non accertati che potrebbero determinare un epilogo di giudizio negativo; ed allora tanto vale neanche provarci ed instradarsi direttamente sulla “via di fuga” delineata dalla sentenza costituzionale n. 253 del 2019.

Laddove, invece, sempre per reati inquadrati in contesti di criminalità organizzata, la scelta del giudizio di accertamento di impossibilità di collaborazione appaia ragionevolmente praticabile, è forse meglio consigliare questa strada; e ciò non tanto perché l’esito positivo eviterebbe poi la verifica dell’insussistenza del pericolo di ripristino di collegamenti (che nella pratica potrebbe forse essere di più facile dimostrazione), ma soprattutto perché il giudizio positivo potrebbe restituire alla valutazione del magistrato un risultato di significativa apprezzabilità anche proprio per la valutazione sulla recisione dei collegamenti criminosi passati e, perché no, anche per quelle sul merito del beneficio richiesto.

Queste ultime considerazioni rispondono ad uno dei quesiti già segnalati e cioè, in particolare, se un accertamento positivo di collaborazione impossibile-inesigibile – che, si ribadisce, era ineludibile in passato ma che oggi potrebbe anche essere evitato – offra comunque alla valutazione del magistrato di sorveglianza un risultato di maggiore pregnanza di favorevole considerazione.

Come noto, infatti, agli organi della magistratura di sorveglianza ed a tutti gli operatori intramurari non sono precluse, anzi si impongono, valutazioni sull’atteggiamento tenuto dal condannato nel corso della detenzione in rapporto ai contenuti delle proprie responsabilità definitivamente accertate – ad esempio, ai fini della valutazione della revisione critica e del ravvedimento – e tale verifica, come noto, s’inserisce tradizionalmente nel quadro della sperimentazione dei progressivi risultati dell’osservazione e del trattamento penitenziario e concerne propriamente, in uno con la valutazione di altri elementi, la verifica delle specifiche condizioni di meritevolezza del beneficio penitenziario o misura alternativa richiesta.

Dimostrare, quindi, in via preventiva alla valutazione sulla meritevolezza del beneficio richiesto ed a quello sulla recisione dei collegamenti criminosi passati che il silenzio serbato sui fatti delittuosi sia ascrivibile a semplice impossibilità o inesigibilità di utile collaborazione, potrebbe, appunto, diversamente e meglio orientare le valutazioni dell’organo di sorveglianza sull’atteggiamento complessivo del condannato rispetto al suo passato deviante ed ai fatti a lui specificamente ascritti, a dimostrazione, in particolare, che il silenzio non è appunto omertosamente finalizzato a coprire qualcuno e quindi a mantenere i collegamenti criminali, ma riconducibile alla regola fondamentale del diritto comune secondo cui ad impossibilia nemo tenetur.

Insomma, una cosa è la posizione di chi “oggettivamente può, ma soggettivamente non vuole”, altra cosa è quella di chi “soggettivamente vuole, ma oggettivamente non può”.

Se infatti, come affermato in giurisprudenza, il silenzio del condannato e la conseguente mancata collaborazione rischia di essere considerata il riflesso, o meglio, l’espressione sintomatica della volontà di mantenimento dei collegamenti con la criminalità organizzata riconducendo al silenzio la connotazione di una vera e propria forma di “favoreggiamento”, nondimeno il condannato che sia in grado di poter oggettivamente giustificare le ragioni del proprio atteggiamento silente adducendo a riguardo comprovate ragioni di impossibilità-inesigibilità, può farlo – ed in tal senso va difensivamente consigliato – con lo strumento offerto dal comma 1-bis dell’art. 4-bis, o.p.

Ed ancora, per concludere: chi opta per il “modello collaborazione impossibile” affronta due temi così oggettivamente diversi e scissi tra loro e dotati di una propria autonomia quanto ad oggetto, tanto da non influenzarsi l’uno con l’altro; ben potrebbero, infatti, esserci i presupposti oggettivi per un giudizio di impossibilità o inesigibilità di utile collaborazione (esempio: la vicenda, per quanto grave, è oggettivamente semplice e tutto potrebbe essere in effetti già stato accertato), ma al tempo stesso più complicato potrebbe essere il giudizio sulla recisione dei collegamenti criminosi passati, senza che, appunto, l’esito positivo del primo giudizio possa influenzare il secondo.

Al tempo stesso però, in linea con quanto già consigliato, non dovrebbe del tutto essere esclusa la prima opzione perché poi, magari, un accertamento positivo di impossibilità o inesigibilità di utile collaborazione sarà utilizzabile per l’accesso, o meglio, ammissibilità alle successive misure alternative (come dire: se è ragionevolmente prevedibile un successo di tale accertamento, tanto vale affrontarlo subito in sede di richiesta di permesso premio così da sfruttarlo anche per il futuro).

Del resto, chiudendo il cerchio ricollegandosi a quanto segnalato con rammarico in apertura, ad oggi la portata innovativa della sentenza costituzionale n. 253 del 2019 si limita ai permessi premio ed in attesa – almeno di un anno da oggi – di ulteriori e auspicabili sviluppi innovativi, per l’ergastolano ostativo che ambisca all’accesso alla semilibertà o liberazione condizionale nulla è cambiato.

Senza dimenticare – sia consentita una battuta finale – l’ultima ma non meno importante variabile: una sempre favorevole “congiunzione astrale”.

*Avvocato del Foro di Perugia