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LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI ALLA LUCE DEL DIRITTO EUROPEO I PROFILI DI NATURA PROCESSUALE:  IL DIRITTO AL C.D. EQUO PROCESSO EX ART.6 PARAGRAFI 2 E 3 C.E.D.U. E LE SUE DECLINAZIONI – LE GARANZIE DIFENSIVE – DI FEDERICO FEBBO

LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI ALLA LUCE DEL DIRITTO EUROPEO I PROFILI DI NATURA PROCESSUALE: IL DIRITTO AL C.D. EQUO PROCESSO EX ART.6 PARAGRAFI 2 E 3 C.E.D.U. E LE SUE DECLINAZIONI – LE GARANZIE DIFENSIVE – DI FEDERICO FEBBO

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LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI ALLA LUCE DEL DIRITTO EUROPEO I PROFILI DI NATURA PROCESSUALE: IL DIRITTO AL C.D. EQUO PROCESSO EX ART.6 PARAGRAFI 2 E 3 C.E.D.U. E LE SUE DECLINAZIONI – LE GARANZIE DIFENSIVE

di Federico Febbo*

 (Il presente contributo è tratto dalla lezione svolta in modalità webinar, in data 13 marzo 2021, nell’ambito del Progetto Corso Europa, organizzato dalla Camera Penale di Palermo in sinergia con U.C.P.I.).

 

Il diritto penale sostanziale e processuale, descritto efficacemente dall’illustre maestro del diritto, Massimo Severo Giannini, “come una Cina Imperiale chiusa nelle sue muraglie e con i porti sbarrati” è un concetto ormai sbiadito, che ha lasciato il posto a quella che è stata definita l’era della “post sovranità”. La sovranità dello Stato leviatano è erosa progressivamente ma inesorabilmente dalle fonti sovranazionali, che si stagliano quali fonti di produzione normativa che vincolano ed orientano, direttamente o indirettamente, le fonti di produzione tradizionali e costituiscono punti di osservazione innovativi con cui le Alti corti domestiche devono confrontarsi nell’ermeneusi del diritto nazionale.

Sommario: 1. L’era della post sovranità. – 2. Le garanzie in materia processuale: articolo 6 della C.E.D.U. – 3. Il principio di presunzione di innocenza. – 4. Il diritto all’informazione ex art.6 paragrafo 3 lett. a). – 5. Il diritto all’assistenza gratuita di un interprete ed alla traduzione degli atti ex art.6 paragrafo 3 lett. e). – 6. I diritti a disporre del tempo necessario a preparare la difesa e di accesso al fascicolo processuale ed al difensore ed al patrocinio a spese dello Stato ex art.6 paragrafo 3 lett. b) e c). – 7. Il diritto all’esame e contro esame dei testimoni a carico e di ottenere la convocazione di quelli a discarico ex art.6 paragrafo 3 lett. d): l’Al-Khawaja test e il Murtazaliyeva test

 

1.L’era della post sovranità

1.Il diritto penale sostanziale e processuale, descritto efficacemente dall’illustre maestro del diritto, Massimo Severo Giannini, “come una Cina Imperiale chiusa nelle sue muraglie e con i porti sbarrati” è un concetto ormai sbiadito, che ha lasciato il posto a quella che è stata definita l’era della “post sovranità”.

La sovranità dello Stato leviatano è erosa progressivamente ma, direi, inesorabilmente, dalle fonti sovranazionali, che si stagliano quali fonti di produzione normativa che vincolano ed orientano, direttamente o indirettamente, le fonti di produzione tradizionali.

Le fonti sovranazionali costituiscono, anche, punti di osservazione con cui le Alti corti domestiche devono confrontarsi nell’ermeneusi del diritto nazionale: non a caso si parla, ormai da alcuni anni, di un’interpretazione conventionally-oriented, che corre parallelamente a quella costituzionalmente orientata e, d’altronde, non c’è alcuna decisione sensibile pronunciata, recentemente, delle nostre Alte corti che non si sia dovuta misurare con le decisioni delle corti sovranazionali.

2.Non è revocabile in dubbio che, tra le fonti sovranazionali, la Convenzione Europea dei Diritti Umani (deinde C.E.D.U.) sia quella maggiormente right sensitive.

Dal punto di vista strettamente giuridico, è un trattato di diritto internazionale del Consiglio di Europa, che ha ad oggetto una materia sostanzialmente costituzionale, nella misura in cui preserva in una bolla giuridica i diritti umani e le libertà fondamentali, duramente conculcati dal secondo conflitto mondiale, quale substrato assiologico comune agli Stati fondatori (tra cui il nostro).

Non è casuale che la Convenzione sia un sistema di tutela “aperto” alla partecipazione, potenzialmente, di ogni Stato e configuri un sistema oggettivo di tutela: il principio pacta sunt servanda, che declina plasticamente la condizione di reciprocità cui è normalmente assoggettato ogni accordo di diritto internazionale, non è posto a fondamento del rispetto della Convenzione da parte dei 47 Stati contraenti del Consiglio di Europa, per cui nessuno membro contraente può opporsi alla sua leale applicazione, opponendo il principio in base al quale inadimplenti non est adimplemdum.

3.La Convenzione prevede una Corte ad hoc, che è la viva vox iuris della Convenzione che ne attualizza le disposizioni con un’ermeneutica evolutiva: è sufficiente richiamare, esemplificativamente, la pronuncia Scoppola c Italia[1], con la quale la Corte Europea dei Diritti Umani (deinde Corte E.D.U.) ha statuito il principio della lex mitior sulla base dell’interpretazione dell’articolo 7, che pure non lo prevede testualmente; lo stesso dicasi per il concetto di idem legale, da intendersi in un’accezione sostanziale e non formale oppure per la tutela del bene “ambiente”, che la Corte europea riconosce come rifrazione implicita del diritto al rispetto di una vita privata e familiare salubre, agganciata all’articolo 8 della Convenzione, che non contiene alcun riferimento esplicito.

Il diritto internazionale ordinariamente non dispone di giudici, ma è un accordo tra leviatani che si fonda tradizionalmente sul reciproco rispetto; la Convenzione E.D.U., invece, prevede la possibilità di portare a giudizio uno Stato con un ricorso individuale da parte di qualsiasi soggetto, anche l’apolide (quindi non solo il citoyenne).

Proprio lo strumento del ricorso individuale è una modalità autenticamente rivoluzionaria, nella misura in cui attribuisce ad ogni persona una soggettività giuridica internazionale che gli consente di portare a giudizio uno Stato e, come ha avuto modo di affermare efficacemente Vittorio Manes nella lezione introduttiva di questo ciclo di lezioni, «lo ius internazionale, da ius inter partes (statuali) diventa super partes, sopra i poteri statuali»[2].

4.Nel nostro ordinamento, com’è noto, la Corte costituzionale con le sentenze c.d. “gemelle”[3] ha riconosciuto alla Convenzione E.D.U. un rango para costituzionale, a condizione che non entri in collisione con altri principi costituzionali, non solo i contro limiti.

Tuttavia è necessario tenere bene a mente l’approccio che la Corte E.D.U. utilizza quando affronta il tema del processo, che è significativamente diverso da quello cui siamo abituati nell’ordinamento interno: essa si fonda su norme che sono dei principi ed esigono un ragionamento diverso da quello con cui siamo soliti approcciare le norme interne.

Le garanzie del diritto penale sostanziale e processuale sono applicate con uno sguardo rivolto essenzialmente alla sostanza e non alla forma, con riferimento al livello di concreta afflittività della sanzione da cui segue l’elaborazione, da parte della Corte, di una nozione autonoma di pena, che va behind the apparences ed aldilà delle rubriche formali, onde evitare la truffa delle etichette per cui si creano fasce di esenzione dalle garanzie in relazione a fattispecie che hanno un contenuto afflittivo tipico della matiere penale.

E’ sufficiente richiamare, esemplificativamente, la confisca urbanistica[4] che è stata ricondotta dalla Corte europea alla materia penale, alla confisca punitiva e, quindi, è stata ritenute esperibile solo a seguito di una pronuncia di condanna, provocando un vero e proprio overrulling del diritto vivente, che fino alla pronuncia della Corte E.D.U., recepita dalle nostre Alte corti, la qualificava come sanzione amministrativa; oppure la recente sentenza con la quale la Corte costituzionale[5], in tema di esecuzione penale, recependo la recente giurisprudenza della Corte E.D.U.[6], ha riconosciuto che alcune norme dell’ordinamento penitenziario, quale l’articolo 4 –bis, incidono sull’afflittività della sanzione e vanno quindi ricondotte alla materia penale nonostante siano sempre state riconosciute, in precedenza, come norme aventi una natura esclusivamente processuale e, come tali, assoggettate al principio tempus regis actum.

Ugualmente, sul fronte della nozione di legge, la Corte ne ha elaborato una autonoma che comprende, oltre alla lex scripta, quella di produzione giurisprudenziale, il judicial law making.

È sulla base di questo approccio che nel case law Contrada c. Italia[7] la Corte E.D.U. ha stigmatizzato non la genesi giurisprudenziale dell’istituto del concorso esterno in associazione mafiosa, ma che il medesimo non era conoscibile ed accessibile alle parti e, quindi, che non sussistesse una base legale, convenzionalmente sostenibile, al momento della consumazione della condotta.

Per l’effetto, la giurisprudenza di Strasburgo ha statuito il principio in base al quale anche un overrulling giurisprudenziale, al pari di una nuova norma incriminatrice, non possa avere efficacia retroattiva laddove comporti una modifica in malam partem della sanzione applicabile, a meno che non sia conosciuto o conoscibile.

6.Sul fronte degli Stati membri dell’Unione Europea (che sono tutti parte anche del Consiglio d’Europa), vige parimenti un principio di primautè delle norme UE sul diritto interno, come statuito dalla Corte di Lussemburgo nel leading case Costa c Enel [8]: le fonti di diritto dell’Unione Europea che hanno natura self executing (cioè sono di applicazione diretta) prevalgono sul diritto interno degli ordinamenti nazionali.

Nella sentenza Simmenthal [9] il potere di disapplicazione è stato riconosciuto a ciascun giudice interno senza necessità di ricorso all’incidente di costituzionalità e, con riferimento al nostro ordinamento, il principio è stato ribadito nella sentenza Granital [10].

Tuttavia, a differenza della Corte E.D.U., dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (deinde CGUE) parte può essere solo il giudice nazionale.

Elemento comune alle due Alte corti sovranazionali è la facoltà, riconosciuta ai propri giudici, di elaborare dissenting opinions (ancorché quelle della CGUE non siano pubblicate), meccanismo che incentiva una giurisprudenza evolutiva, in linea con i mutamenti sociali e culturali degli Stati membri.

3.Le garanzie in materia processuale: articolo 6 C.E.D.U.

1.L’art 6 par. 2 della C.E.D.U. enuclea il principio di presunzione di innocenza ed il paragrafo 3 i diritti a conoscere la natura e i motivi dell’accusa, a disporre del tempo necessario ad apprestare la propria difesa, al difensore, al patrocinio a spese dello Stato, all’interprete, ad esaminare e contro-esaminare in udienza i testi a carico e ad ottenere la convocazione di quelli a discarico.

Tratterò questi temi enucleati dall’art. 6, che è la disposizione più rilevante per le garanzie in materia processuale penale nell’ambito della convenzione, senza dimenticare che anche altre disposizioni della Convenzione riconoscono garanzie che hanno una ricaduta processuale quali, inter alia, il diritto alla libertà e sicurezza di cui all’art. 5, il principio di legalità di cui all’art. 7,  il diritto ad un ricorso effettivo di cui all’art. 13 ed il divieto di discriminazione di cui all’art.14 della Convenzione E.D.U.

L’art. 6, nella sua struttura, si compone fondamentalmente di tre parti: il primo paragrafo enuclea alcuni diritti a carattere generale, che valgono sia in materia civile che in quella penale; sono espressamente riconosciuti il diritto ad un Tribunale stabilito per legge, alla durata ragionevole della procedura, alla parità delle armi, all’udienza pubblica.

Il paragrafo 2 enuclea le garanzie specifiche in materia penale e, in particolare, la presunzione di innocenza, che comprende una serie di aspetti sia interni che esterni alla dinamica processuale.

Il paragrafo 3, infine, riconosce le garanzie specifiche sopra indicate sempre in materia penale.

Si tratta di diritti interpretati sempre con un approccio sostanziale, quindi sia in maniera olistica che con riferimento alla complessiva fairness del procedimento, con specifico riferimento alla necessità di verificare la sussistenza di misure c.d. compensative dell’equità generale del procedimento, laddove alcuni di questi diritti risultino, in concreto, in tutto o in parte conculcati.

Trattandosi di diritti che compongono il volèt processuale del più generale diritto all’equo processo, trovano applicazione sin dal primo momento in cui una persona è oggetto di un’accusa penale, secondo la nozione autonoma che ne ha adottato la Corte, la quale prescinde dalla denominazione formale utilizzata nell’ordinamento interno.

3. Il principio di presunzione di innocenza.

8.‘Ogni persona accusata di un reato si presume innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”: la disposizione convenzionale non esige un accertamento definitivo con sentenza passata in giudicato e, pertanto, rispetto a tale previsione, il nostro ordinamento contiene indubbiamente un livello più alto di tutela, atteso che l’omologa disposizione dell’art 27 comma 2 Cost pretende una pronuncia di condanna che sia divenuta irrevocabile.

Tuttavia, tale asimmetria di tutela è stata ridimensionata dalla giurisprudenza della Corte E.D.U., che ha statuito che ove l’ordinamento nazionale preveda un mezzo di impugnazione (quale l’appello) che consenta di riesaminare la causa nel merito, non sia possibile cessare di considerare l’imputato innocente semplicemente perché è stato condannato in primo grado finendosi, altrimenti, per denegare la funzione propria del giudizio di impugnazione e di rendere ineffettiva la presunzione di innocenza[11].

Il principio di presunzione di innocenza trova applicazione nell’intera matiere penale, secondo la nozione sostanziale elaborata dalla Corte E.D.U. e rappresenta sia una regola di trattamento che di ripartizione dell’onere della prova.

9.Quale regola di trattamento, comporta che l’accusato non possa essere trattato come colpevole fino a quando non sia condannato, regola che impone alle autorità pubbliche, nelle loro dichiarazioni, di chiarire sempre se un soggetto sia sospettato o accusato formalmente di avere commesso un reato o, piuttosto, sia stato condannato in esito ad un giudizio.

Alla luce degli obblighi di imparzialità e indipendenza che caratterizzano il giudice, deve essere valutata con particolare rigore la sua posizione in relazione all’osservanza di tale principio, rilevando il contesto, processuale o extra processuale, in cui eventuali dichiarazioni siano state rese: nella pronuncia Allen c. Regno Unito[12], inerente dichiarazioni endoprocessuali la ricorrente, condannata per l’omicidio colposo del proprio neonato, presenta dopo alcuni anni un’impugnazione straordinaria finalizzata a conseguire l’annullamento della condanna, sulla base di nuove ipotesi scientifiche che supportano la tesi che le lesioni riscontrate sulla vittima potevano essere attribuite a cause diverse dalla sindrome da “scuotimento dell’infante”. Dopo aver raccolto il contributo di vari esperti, la corte d’appello britannica annulla la condanna, non potendo la stessa “dirsi sicura” ma, nonostante tale pronuncia, il giudice civile respinge la richiesta di risarcimento per la detenzione sopportata e la Corte europea, escludendo la violazione dell’art. 6 comma 2 C.E.D.U., motiva che l’autorità inglese, nell’escludere l’indennizzo per l’errore giudiziario, si era richiamata alle conclusioni raggiunte in sede processuale dalla corte d’appello, che si era limitata a dichiarare la condanna della ricorrente “insicura” ma non si era spinta a rivalutarne l’innocenza.

10.Oltre al contesto, rileva il contenuto effettivo delle dichiarazioni, come evidenziato in atro arresto Lavents c. Lettonia[13] in cui il ricorrente, sotto accusa per attività fraudolente, lamenta che durante il processo il presidente del tribunale aveva rilasciato alla stampa delle interviste in cui aveva affermato di non essere sicuro che il signor Lavents sarebbe stato ritenuto colpevole, affermazioni per le quali ne era stata chiesta inutilmente la ricusazione. Il sig. Lavents censura la violazione della fairness processuale e la Corte E.D.U., in accoglimento del ricorso, statuisce in claris che la presunzione di innocenza esige che il giudice, nell’esercizio della sua funzione, non debba partire dal pregiudizio che l’imputato abbia commesso il reato addebitato; che l’onere della prova spetta all’Accusa e che qualsiasi dubbio deve ridondare a beneficio dell’incolpato. La presunzione di innocenza esige che i funzionari pubblici, in particolare i giudici che decidono un caso, si astengano da dichiarazioni pubbliche che riflettano un’opinione per cui l’accusato è ritenuto colpevole prima che sia stato condannato.

Quanto alle dichiarazioni espresse fuori dalla sede processuale, in ossequio alla libertà di espressione non è possibile impedire alle autorità procedenti ed alla stampa di informare l’opinione pubblica dell’esistenza di un procedimento penale in corso, tuttavia il linguaggio utilizzato non deve essere tale da far ritenere che l’accusato sia effettivamente colpevole fino a quando non sia stato legalmente accertato.

11.La presunzione di innocenza vale anche quale criterio di ripartizione dell’onere della prova, che grava sull’accusa, nonché quale criterio di valutazione della prova, condensata nel noto principio per cui in dubio pro reo, il quale non vieta in assoluto presunzioni di fatto e di diritto, ma le consente nella misura in cui non siano assolute e siano limitate, in ossequio al principio di ragionevolezza[14]. Nel noto case law Klouvi c. Francia[15], originato da una denuncia penale per violenza e molestie sessuali contro il superiore gerarchico, esitata con una pronuncia di non luogo a procedere per insufficienza di prove, cui ha fatto seguito la contro denuncia per lite temeraria da parte della persona offesa e la condanna della ricorrente, i giudici di Strasburgo, pur riconoscendo che ogni ordinamento possa fondarsi (anche) su presunzioni legali, ne hanno stigmatizzato, tuttavia, il carattere assoluto, come occorrente nella fattispecie in esame, in cui la sentenza si fondava su una applicazione eccessivamente rigida della presunzione legale per cui la pronuncia di non luogo a procedere significava, necessariamente, che i fatti denunciati dalla ricorrente erano falsi.

Il principio è riconosciuto anche a livello di diritto UE dall’art.48 paragrafo 1 della Carta Dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea (deinde CDFUE).

In casi molto specifici e limitati, l’onere probatorio può essere invertito e incombere sull’incolpato: nella pronuncia Gurgurov c. Moldova[16], originata dalla contestazione concernente la violazione del divieto di tortura o trattamenti inumani o degradanti (articolo 3 C.E.D.U.) consumata in un centro di detenzione e, quindi, in un luogo sottoposto all’esclusivo controllo statale, la Corte ha statuito che l’onere della prova può essere eccezionalmente invertito e incombere sullo Stato; questo significa che le autorità devono fornire una spiegazione soddisfacente per le lesioni subite durante la detenzione.

La pronuncia è in linea con il leading case in tema dell’inversione dell’onere della prova Tomasi c. Francia[17] e con il diritto vivente sovranazionale in base al quale l’Autorità, ove non abbia spiegazioni plausibili in ordine alle doglianze delle persone internate o detenute che sono entrate in vinculis in buona salute e ne sono uscite affetti da lesioni o malattie, dovrà essere considerata responsabile.

12.Al principio di presunzione di innocenza è strettamente connesso il diritto al silenzio (nemo tenetur se detegere) che è il cuore del fair trial, il quale implica la possibilità per l’accusato di non collaborare allo svolgimento delle indagini ed impone all’accusa di fondarsi su elementi probatori ottenuti senza il ricorso a mezzi di coercizione.

Tuttavia la Corte europea non inibisce qualsiasi forma di coercizione costituisca. Il leading case Ibrahim c. Regno Unito[18] concerne le indagini svolte nell’immediatezza dei gravi attentati terroristici di Londra del 2005, condotte in forza della restrittiva normativa interna antiterrorismo, nell’ambito delle quali la polizia arresta alcuni sospetti cui, durante lo stato di detenzione di polizia e la sottoposizione ad una pluralità di interrogatori, non è consentita alcuna assistenza difensiva. I ricorrenti rendono una pluralità di dichiarazioni a contenuto autoincriminante, sono condannati all’esito del giudizio per reati in materia di terrorismo e adiscono la Corte europea censurando la violazione del fair trial per avere subito una palese violazione delle prerogative minime inerenti all’esercizio del diritto di difesa, personale e tecnica. La Corte europea accoglie solo parzialmente le doglianze e, pur evidenziando che le autorità inquirenti hanno commesso «alcuni errori procedurali», non ravvisa la violazione per tutti i ricorrenti, argomentando che durante le indagini le autorità procedenti avevano illustrato agli indagati le circostanze eccezionali che legittimavano l’applicazione della legge antiterrorismo, nel giudizio gli imputati avevano potuto contestare, anche a mezzo dei difensori, le modalità di interrogatorio impiegate dagli organi inquirenti ed il tribunale aveva prestato particolare cura nell’esaminare le circostanze eccezionali che avevano giustificato l’applicazione delle norme antiterrorismo e nella valutazione delle dichiarazioni degli imputati come prova utilizzabile. In definitiva per la Corte europea, in una visione complessiva del processo, l’equità non è stata violata in maniera irrimediabile, giustificando eventuali deroghe in funzione del contrasto al terrorismo, che dev’essere il più efficace possibile. Opposte, invece, le conclusioni in rapporto al quarto ricorrente, per il quale la Corte ha stigmatizzato che le autorità procedenti avevano omesso numerose garanzie difensive, ben oltre i primi momenti successivi all’arresto e durante tutto l’arco della detenzione: non gli era stato consentito di essere assistito da un difensore durante gli interrogatori di polizia, non era mai stato avvertito del diritto al silenzio e, soprattutto, le dichiarazioni erano state impiegate ai fini della condanna.

La Corte ha cura di specificare che danno sempre luogo ad una violazione della fairness processuale le c.d. improper compulsions, che si realizzano quando l’accusato è obbligato a rendere dichiarazioni sotto la minaccia di sanzioni, è sanzionato per essersi rifiutato di testimoniare, oppure è assoggettato a pressioni fisiche e psicologiche, come statuito nell’iconica pronuncia Jalloh c. Germania [19], nel quale l’indagato era stato costretto dalla polizia ad assumere un emetico cosicché, forzato a rimettere, si sarebbe potuto verificare se avesse ingurgitato ovuli contenenti sostanza stupefacente; oppure quando le autorità utilizzino artifizi per carpire dall’incolpato informazioni accusatorie, come statuito nel citato arresto Allan c. Regno Unito, nel quale il ricorrente lamentava di essere stato indotto a rendere dichiarazioni autoaccusatorie da un compagno di detenzione, risultato operare in qualità di informatore di polizia.

Tuttavia si evidenzia che la Corte ha anche statuito, in ordine alla latitudine del diritto al silenzio, che «tale diritto non si estende all’utilizzo, in un procedimento penale, del materiale probatorio che può essere ottenuto dall’imputato ricorrendo a poteri coercitivi ma che esiste indipendentemente dalla sua volontà»[20] come, inter alia, quello ottenuto sulla base di un ordine del giudice o l’analisi dell’aria espirata, del sangue, delle urine o dei tessuti corporei per la prova del DNA.

Non è comunque possibile, in linea di principio, che la condanna si fondi esclusivamente ovvero in maniera determinante sul diritto al silenzio esercitato dall’accusato ancorché, secondo la Corte, si tratti di un diritto difensivo non assoluto, ma bilanciabile e compensabile con le altre garanzie: la scelta dello ius tacendi può, quindi, a determinate condizioni, comportare in sede sovranazionale anche implicazioni sfavorevoli per l’accusato, che si rifiuti di deporre in situazioni «che chiaramente richiedono una spiegazione»: wich cleraly call for an explanation.

E’ quanto precisato nel case law John Murray c. Regno Unito[21] in cui il ricorrente è una delle 8 persone arrestate nel 1990 in Irlanda del Nord in applicazione di norme temporanee di prevenzione antiterrorismo; durante la detenzione è sottoposto a molteplici interrogatori, per un totale di oltre 21 ore nell’arco di due giorni, nei quali si avvale del diritto al silenzio, pur essendo avvertito ogni volta che un tribunale avrebbe potuto desumere dal suo contegno elementi a suo carico. Nel successivo processo il ricorrente continua ad avvalersi del diritto al silenzio e, come si evince dalla decisione, il giudice desume da tale contegno processuale conclusioni sfavorevoli al ricorrente, riconosciuto colpevole con sentenza confermata anche dalla corte di appello. John Murray lamenta la violazione del fai trial sia in relazione alla circostanza per cui dal diritto al silenzio, esercitato durante gli interrogatori e nel successivo processo, il tribunale aveva desunto elementi decisivi per la sentenza di condanna, sia in relazione al mancato accesso ad un avvocato all’inizio della sua detenzione e la Corte, pur stigmatizzando la mancanza di accesso anticipato ad un avvocato, ritenuta incompatibile con il concetto di equità, ha escluso la violazione del fai trial in ordine alla prima contestazione, atteso che il signor Murray era stato in grado di rimanere in silenzio, era stato ripetutamente avvisato delle possibili conseguenze connesse al rifiuto di fornire alcuna spiegazione senza alcuna motivazione e, soprattutto, le deduzioni ricavate da tale contegno processuale non erano state decisive per la decisione: si tratta, a ben vedere, di un orientamento indubbiamente criticabile, atteso che se l’accusa è sufficientemente corroborata da fonti si prova che superano il ragionevole dubbio, allora il silenzio serbato dall’imputato è irrilevante, mentre se le prove a carico sono insufficienti, si viola la presunzione di innocenza ed il diritto al silenzio, premendo sull’incolpato affinché parli perché l’ufficio del pubblico ministero ha prodotto una prova di per sé insufficiente ai fini delle condanna.

La presunzione di innocenza è riconosciuta anche dall’art 48 par.1 della CDFUE e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, che lo declina sia quale regola di trattamento che di ripartizione dell’onere della prova nonché in relazione al diritto al silenzio, inteso in senso pieno. Sulla stessa linea la Direttiva 2016/343/UE.

13.Consustanziale al principio della presunzione di innocenza è il diritto ad un giudice precostituito e imparziale, previsto anche dall’art. 47 della CDFUE.

Le due disposizioni si sovrappongono, ancorché solo la Carta esiga che il giudice sia pre-costituito per legge (riecheggiando il divieto ad essere distolti dal giudice naturale precostituito per legge sancito dall’art 25 della nostra Costituzione).

Se la pre-costituzione per legge è una condizione essenziale per la terzietà e imparzialità del giudice nei sistemi di civil law, nei sistemi di common law ciò che rileva è, in sostanza, l’imparzialità, come avvallato sia dalla giurisprudenza della Corte E.D.U.[22] che della CGUE[23]: recentemente, in tema di Mandato di Arresto Europeo (deinde MAE), la Grande Sezione della CGUE[24] ha ritenuto preclusivo all’esecuzione dell’euro mandato il rischio concreto che l’imputato, una volta consegnato nel Paese di destinazione (nella specie la Polonia), fosse sottoposto ad un processo iniquo a causa della mancanza di indipendenza e imparzialità dell’organo giudicante.

Da segnalare una possibile schizofrenia del sistema sovranazionale, che insidia i principi di indipendenza e imparzialità del giudice: il c.d. forum shopping, fenomeno legato alla pratica, ormai diffusa ed improntata ad un delegante panpenalismo, di indagini parallele, connesse al carattere transnazionale della criminalità (e dei conflitti di giurisdizione fra Stati- la c.d. overlapping of jurisditions), avviate da plurime autorità giudiziarie di Paesi membri sugli stessi fatti oppure su vicende tra loro connesse, autorità che si scambiano informalmente dati,  informazioni ed elementi di prova, con la possibile conseguenza che concertino quale sia il foro più adatto alla successiva prosecution del procedimento, selezionato in base al regime probatorio ed all’apparato sanzionatorio ritenuti più efficaci.

Quanto al concetto di giudice, la CGUE lo definisce come un soggetto caratterizzato dall’origine legale, dalla permanenza, dall’obbligatorietà della giurisdizione, dall’indipendenza, dalla procedura contraddittoria davanti ad essa osservata e dal fatto che nella sua attività si applichino norme giuridiche, a prescindere dalle qualificazioni adottate negli ordinamenti nazionali[25], ermeneusi cui si è allineata la Corte E.D.U. [26].

4.Il diritto all’informazione ex art.6 par.3 lett. a)

14.È il diritto ad essere informati, nel più breve tempo possibile, in una lingua comprensibile ed in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa, anche con riferimento alla proto imputazione contestata in un provvedimento di carcerazione preventiva (ex art 5 paragrafo 2 C.E.D.U.), il quale trova applicazione a partire dal momento in cui il soggetto è destinatario di un’accusa penale. Ciò implica, anzitutto, il dovere di notificare all’accusato l’incolpazione, che deve includere la descrizione della condotta contestata, degli elementi su cui si fonda e della relativa qualificazione giuridica: la Corte E.D.U. ha statuito la necessità che l’incolpato sia edotto di tutti gli elementi identificativi della c.d. natura dell’incolpazione[27]. Con riferimento al nostro ordinamento, nella pronuncia Mattoccia c. Italia[28], originata dalla contestazione che la prima notifica “giudiziaria” al ricorrente era vaga e imprecisa, in quanto sprovvista dell’indicazione del momento e del luogo del fatto addebitato, sebbene noti alla A.G., di talché il ricorrente non sarebbe stato posto in grado di decidere adeguatamente la propria linea difensiva, la Corte ha ritenuto la violazione del diritto all’informazione, atteso che nella fase preliminare al giudizio il ricorrente era stato informato, esclusivamente, di un addebito di violenza sessuale contestato «a Roma, nel novembre 1985» e, in quella fase, non aveva ancora accesso al fascicolo delle indagini preliminari.

Il diritto all’informazione comprende anche le modifiche apportate all’accusa, compresa la qualificazione giuridica, in modo da consentire adeguatamente l’esercizio del diritto di difesa: nel noto case law  Drassich c. Italia[29], originato dalla riqualificazione giuridica del reato di corruzione semplice (ex art. 319 c.p.) in corruzione in atti giudiziari (ex art. 319-ter c.p.), con il conseguente allungamento del termine prescrizionale del reato, operato per la prima volta in sede di legittimità, i giudici di Strasburgo hanno condannato l’Italia per violazione strutturale dell’art. 6 paragrafi 1 e 3, lett. a) e b) ritenendo, da una parte, che l’imputato «non sarebbe stato edotto in tempo utile della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico», non essendo la nuova ipotesi di reato indicata nel rinvio a giudizio né mai stata comunicata alla difesa nel corso del procedimento e, dall’altra, che sarebbe stato privato del tempo e delle chance processuali necessarie a discutere la nuova qualificazione dell’addebito la quale, nel caso di specie, lo aveva pregiudicato. Tra l’altro, la modifica dell’imputazione non poteva considerarsi né prevedibile né, quindi, prevenibile, nella strategia difensiva, anche in considerazione della diversità strutturale intercorrente tra le due autonome fattispecie di reato.

Il prevalente orientamento della giurisprudenza di Strasburgo ha, comunque, avallato la possibilità di una modifica ex officio della qualificazione giuridica delle accuse, anche ad opera dei giudici di appello, essendo in tal caso le garanzie difensive concernenti il mutamento del titolo di reato adeguatamente tutelate dal ricorso per cassazione. Il riferimento è ancora alla citata pronuncia della Drassich c. Italia.

15.Collegato al diritto di informazione è il diritto di accesso al fascicolo processuale, onde consentire un’effettiva preparazione della difesa, al quale la giurisprudenza sovranazionale non riconosce un carattere assoluto nella fase delle indagini preliminari. È riconosciuto indirettamente anche dalla CDFUE e, direttamente, dalla Direttiva 2012/13/UE, la quale riconosce il diritto all’informazione in ordine alle garanzie processuali (all’assistenza di un avvocato, alle condizioni di ammissione al gratuito patrocinio, ad essere informato dell’accusa, all’interpretazione e traduzione degli atti ed il diritto al silenzio), da dare per iscritto laddove l’accusato sia persona arrestata o detenuta, in ordine all’accusa (il fatto contestato, la natura e qualificazione giuridica dell’accusa, comprese successive modifiche ed eventuali motivi di misure restrittive dello status libertatis) e in ordine all’accesso al fascicolo di indagine, comprimibile su provvedimento della A.G. ove occorra evitare una grave minaccia grave per la vita o i diritti fondamentali di un’altra persona oppure laddove sia strettamente necessario per la salvaguardia di rilevanti interessi pubblici.

La Direttiva, trasposta nel nostro ordinamento con il d.lgs. 101/2014, ha comportato l’introduzione negli artt..293 e 386 c.p.p. dell’obbligo, per la polizia giudiziaria, di fornire la comunicazione scritta sulle garanzie processuali in caso di arresto, fermo o applicazione di un’ordinanza cautelare; la verifica sul rispetto di tale diritto è demandata al giudice, anche d’ufficio, ex art. 294 comma 1-bis e 391 comma 2 c.p.p.

5.Diritto all’assistenza gratuita di un interprete e alla traduzione degli atti ex art.6 paragrafo 3 lett. e)

16.l diritto all’interpretazione ed alla traduzione sorge quando l’imputato non comprende o non parla la lingua utilizzata in udienza, intesa quale carenza di una padronanza adeguata della lingua, tale da inficiare una difesa effettiva (ivi comprese le minoranze etniche e linguistiche), da leggere in correlazione al diritto dell’accusato ad essere informato dell’incolpazione in una lingua a lui comprensibile sin dal primo momento in cui sia fatto oggetto di un’accusa penale.

L’assistenza linguistica deve essere gratuita, a prescindere dalle condizioni economiche dell’accusato[30], idonea a garantire uno standard sufficiente di qualità che non pregiudichi l’equità complessiva del procedimento[31], comprensiva anche della traduzione di documenti[32], nei limiti degli atti necessari a rendere l’incolpato pienamente edotto delle accuse ed effettivamente in grado di contestarle. L’accusato deve essere informato del diritto all’interpretazione e traduzione[33], che è rinunciabile solo personalmente (e non dal difensore) e spetta al giudice di verificare la necessità dell’interprete e l’adeguatezza del servizio fornito[34].

Tale diritto è riconosciuto anche dalla CDFUE (nell’ambito della tutela generale dei diritti della difesa ex art.48 par.2) e dalla Direttiva 2010/64/UE, che comprende anche le comunicazioni tra incolpato e difensore ed enuclea l’elenco (non tassativo) degli atti che vanno tradotti, tra i quali i provvedimenti de libertate, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le sentenze ed estende la garanzia alla procedura di esecuzione ed al MAE.

Il diritto, così armonizzato, è stato trasposto nel nostro ordinamento nell’art. 111 comma 3 Cost. mentre la Direttiva, recepita con il d.lgs. 32/2014, ha comportato l’introduzione nell’articolo 143 c.p.p. del diritto dell’imputato, che non conosce la lingua italiana, all’assistenza gratuita dell’interprete per lo svolgimento degli atti orali nel corso del procedimento e per la traduzione scritta degli atti essenziali, tassativamente individuati (informazione di garanzia, informazione sul diritto di difesa, provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, avviso di conclusione delle indagini preliminari, decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, sentenze e decreti penali di condanna). La garanzia, in attuazione della Direttiva 2012/29/UE sulla protezione della vittima (d.lgs. 212/2015), è stata estesa alla persona che vuole fare una dichiarazione e non conosce la lingua italiana nonché alla persona offesa (art. 143 –bis c.p.p.).

Per quanto riguarda il nostro ordinamento, la Corte E.D.U. si è pronunciata nel noto case law Knox c. Italia [35], originato dal procedimento (connesso alle indagini intraprese a seguito dell’omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia nella notte tra l’1 e il 2 novembre 2007) in cui la ricorrente è stata condannata per il delitto di calunnia nei confronti del titolare di un esercizio commerciale presso il quale lavorava. Amanda Knox, che condivideva l’appartamento con la vittima, lamenta di essere stata ripetutamente escussa in veste di persona informata sui fatti, prima di essere sottoposta a fermo per il delitto di concorso in omicidio e violenza sessuale, senza l’assistenza di un difensore, senza essere informata adeguatamente della accusa di calunnia formulata a suo carico ed in assenza di un’interprete professionale e indipendente, omissioni i cui effetti si sarebbero propagati nelle successive fasi del processo, rendendolo complessivamente “iniquo”; la Corte ha ritenuto sussistente la violazione dell’articolo 6 C.E.D.U.  con riguardo sia alla mancata assistenza di un difensore nel corso dell’audizione da parte della polizia giudiziaria e in seguito del pubblico ministero, limitazione ingiustificata e non compensata da fattori idonei a rendere il procedimento equo nel suo complesso (come sostenuto, invece, con ampia argomentazione dal Governo italiano, che ha valorizzato la circostanza che le dichiarazioni della Knox, solo dopo successive indagini, si erano rivelate calunniose e che quelle di natura autoaccusatoria, rese senza assistenza difensiva, erano state dichiarate inutilizzabili dal Tribunale del riesame), sia con riguardo al diritto all’assistenza di un interprete, in virtù del comportamento tenuto dalla funzionaria nominata dalla Questura, che avrebbe influenzato la giovane americana nel corso delle audizioni, non attenendosi ai limiti propri del suo incarico.

6.I diritti a disporre del tempo necessario a preparare la difesa e di accesso al fascicolo processuale ed al difensore ed al patrocinio a spese dello Stato ex art.6 paragrafo 3 lett. b) e c)

17.Comprende il diritto a difendersi personalmente o con l’assistenza di un difensore di propria scelta, il diritto all’accesso al fascicolo processuale nonché all’assistenza gratuita di un difensore d’ufficio, quando lo esigano gli interessi della giustizia; trova sempre applicazione dal momento in cui l’incolpato è destinatario di un’accusa penale e comprende il diritto a comunicare riservatamente con il difensore ed alla presenza fisica di quest’ultimo durante ogni escussione info investigativa, con un diritto di intervento attivo[36]: la Grande Camera, in un primo leading case Salduz c. Turchia[37] ha statuito che l’omessa assistenza difensiva fin dalle primissime fasi del procedimento penale non è compensata dalla regolare assistenza legale durante il successivo processo e dallo svolgimento in contraddittorio dello stesso.

Sono previste limitazioni a condizione che siano tassative, di fonte legale e fondate su circostanze eccezionali: la Grande Camera, nella pronuncia Simeonovi c. Bulgaria[38], originata dalla contestazione delle condizioni del regime penitenziario e della circostanza per cui durante i primi giorni di detenzione il ricorrente non aveva avuto accesso a un avvocato, pur riconoscendo (per quel che qui interessa), che era stato negato al ricorrente l’accesso ad un difensore nei primi tre giorni della carcerazione preventiva, ha rilevato che non era stata pregiudicata l’equità complessiva del procedimento, atteso che in tale frangente non era stato raccolto nessun elemento di prova utilizzato nel successivo processo e che la condanna del ricorrente non si era basata solo sulla sua confessione, pronunciata in presenza del difensore ma anche su altri elementi di prova.

Il diritto al difensore è riconosciuto anche dalla CDFUE (art 48 par.2) e dalla Direttiva 2012/13/UE), che prevede il diritto di accesso al difensore, il diritto delle persone private della libertà personale di informare un terzo ed il diritto nella medesima situazione di comunicare con terzi e con le autorità consolari.

18.Il diritto al gratuito patrocinio è disciplinato dalla Direttiva 2016/1919/UE, trasposta con il d.lgs. 24/2019, che ha modificato il d.p.r. 115/2002 (estendendolo anche alla procedura di MAE) ed è riconosciuto limitatamente al soggetto privato della libertà personale, il quale abbia il diritto ad essere assistito da un difensore conformemente all’ordinamento dell’Unione od a quello nazionale e di partecipare ad un atto investigativo o di raccolta delle prove.

La Direttiva, tuttavia, non garantisce standard di tutela comuni a livello UE e lascia agli Stati ampi margini di discrezionalità per ne quanto concerne l’attuazione, esigendo che il diritto sia assicurato agli incolpati privi di risorse sufficienti a coprire i costi dell’assistenza legale oppure quando risulti necessario nell’interesse della giustizia (con estensione, quindi, anche a chi, pur non versando nella piena indigenza, sia coinvolto in un procedimento la cui complessità e rilevanza richieda un sostegno economico, anche parziale, da parte dello Stato).

La Direttiva consente agli Stati membri di determinare l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottando, alternativamente o cumulativamente, il criterio delle risorse e quello di merito ma, soprattutto, di determinare il livello di sostegno economico ritenuto sufficiente ad assicurare l’equità complessiva del procedimento.

7.Il diritto all’esame e contro esame dei testimoni a carico e di ottenere la convocazione di quelli a discarico ex art.6 paragrafo 3 lett. d): l’Al-Khawaja test e il Murtazaliyeva test

19.È il diritto ad esaminare o far esaminare i testi a carico e di ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, alle stesse condizioni dei primi.

La giurisprudenza della Corte europea ha elaborato una nozione autonoma anche del testimone[39], identificandolo in qualunque persona che renda dichiarazioni suscettibili di essere valutate dal giudice ai fini della decisione sulla colpevolezza dell’imputato, compreso il coimputato e l’imputato in procedimento connesso[40], il consulente tecnico[41] ed il perito[42], a nulla rilevando il momento ed il congegno processuale con cui la dichiarazione è acquisita[43] ma solo la sua effettiva utilizzazione ai fini probatori[44].

Il diritto all’esame dei testimoni comprende anche il diritto ad ottenere l’acquisizione di prove documentali a discarico[45] e trova applicazione nel dibattimento di primo grado e nel giudizio di appello, mentre nella fase delle indagini preliminari la persona informata sui fatti può essere escussa anche in assenza del difensore dell’imputato; tuttavia, la presenza già in questa fase del difensore in contraddittorio previene il rischio di violazione del fair trial,  laddove il testimone rimanga assente nel successivo dibattimento[46].

È un diritto rinunciabile da parte dell’imputato in maniera esplicita e consapevole, a condizione che non vi si opponga un interesse pubblico rilevante.

Fondamentale per l’equità del processo è la possibilità per l’imputato di esaminare i testimoni alla presenza del giudice che emetterà la decisione[47] per cui, normalmente, il mutamento della composizione dell’organo giudicante comporta la rinnovazione delle prove dichiarative che si formano in una pubblica udienza, alla presenza della difesa e nel rispetto del principio del contraddittorio[48], principio mortificato nel nostro ordinamento da un recente arresto delle S.U.[49] L’uso di dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari non sia di per sé una violazione del fair trial, essenziale è che i diritti della difesa non siano sostanzialmente pregiudicati.

Sono ammesse deroghe al contraddittorio in relazione ai testimoni assenti (per quei soggetti che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, per una serie di ragioni non depongono al dibattimento), anonimi (la cui la reale identità è secretata all’imputato ed al suo difensore per l’intero procedimento), in situazioni in cui il dichiarante è a rischio di intimidazione o ritorsione[50] ovvero al fine di non “bruciare la copertura” di un agente undercover[51] e per i testimoni c.d. vulnerabili (soggetti che, per particolari condizioni fisiche o psichiche, quali i minorenni ovvero le vittime di reati sessuali, rischiano di subire un grave pregiudizio dal confronto con l’imputato).

 Tali deroghe non violano la fairness processuale a condizione che sia rispettato il c.d. Al-Khawaja test [52], elaborato dalla Corte:

– verificare se c’è una buona ragione per derogare al contraddittorio;

– verificare quale sia l’importanza della prova ai fini della pronuncia di condanna;

 – verificare la sussistenza di fattori di bilanciamento, compensativi degli svantaggi patiti dall’imputato, quali la cautela nella valutazione della prova, l’opportunità per l’imputato di presentare la propria versione dei fatti e di chiamare testimoni a discarico, la possibilità di presentare domande per iscritto al testimone, la presenza di elementi di riscontro alle dichiarazioni assunte in difetto di contraddittorio.

Secondo un primo orientamento della Corte, l’esito negativo in relazione al primo step è assorbente[53] mentre, secondo altro orientamento, i tre parametri vanno valutati cumulativamente; soluzione avallata dalla Grande Camera[54] che ha sancito, in tal senso, il principio della c.d. overall examination dell’equità processuale.

Il diritto di ottenere l’ammissione e l’esame dei testimoni a discarico sancisce il principio della parità delle parti ed è regolato sulla base di altri criteri elaborati dalla Corte nel c.d. Murtazaliyeva test [55]:

– la richiesta di ammissione della prova a discarico deve essere giustificata e pertinente rispetto al merito dell’accusa e riferirsi a testimoni in grado di condizionare l’esito del giudizio o anche solo di rafforzare la tesi difensiva;

– l’eventuale diniego deve essere adeguatamente motivato;

– l’eventuale decisione (negativa) sull’amissione non deve compromettere l’equità del procedimento.

20.La Corte europea, infine, ha ritenuto contrastante con le garanzie processuali declinate dall’articolo 6 C.E.D.U. la decisione di condanna in appello, che ribalti una pronuncia assolutoria di primo grado senza che si sia proceduto alla rinnovazione, davanti al giudice dell’impugnazione, della prova dichiarativa decisiva ai fini della sentenza di condanna[56], diritto vivente dapprima recepito dalla nostra giurisprudenza domestica[57] e, successivamente, come è noto, dal legislatore (con introduzione all’art. 603 del codice di rito del comma 3-bis).

*Avvocato del Foro di Firenze, componente dell’Osservatorio Corte costituzionale UCPI

[1] Corte E.D.U, Grande Camera, 17 settembre 2009 Scoppola c Italia., consultabile sul sito istituzionale del Ministero della giustizia www.giustizia.it.

[2] V. Manes, Il ruolo della Convenzione EDU nell’ordinamento penale italiano, lezione introduttiva in formato webinar, 23 gennaio 2021, in corso di pubblicazione.

[3] Corte costituzionale, nn.347 e 348 del 2007, consultabili sul sito istituzionale della Consulta, www.cortecostituzionale.it.

[4] Corte E.D.U., 20 gennaio 2009, Sud Fondi S.r.l. c. Italia, consultabile sul sito istituzionale del Ministero della giustizia www.giustizia.it.

[5] Corte costituzionale, n.32/2020, consultabile sul sito istituzionale della Consulta, www.cortecostituzionale.it.

[6] Corte E.D.U., 13 giugno 2019, Viola c. Italia. consultabile su www.penale.it.

[7] Corte E.D.U., 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, consultabile su www.giurisprudenzapenale.com.

[8] Corte di giustizia dell’Unione europea, 15 luglio 1964, causa 6/64, Flaminio Costa c. Enel consultabile su eur-lex.europa.eu.

[9] Corte di giustizia dell’Unione europea, 9 marzo 1978, causa 106/77, Amministrazione delle finanze dello Stato c. S.p.a. Simmenthal consultabile su eur-lex.europa.eu.

[10] Corte costituzionale, n.170 del 1984, consultabile sul sito istituzionale della Consulta, www.cortecostituzionale.it.

[11] Corte E.D.U., 24 maggio 2011, Konstas c. Grecia, consultabile su www.federalismi.it.

[12] Corte E.D.U. 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, consultabile su Archivio diritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte E.D.U. luglio – agosto 2013.

[13] Corte E.D.U. 28 novembre 2002, Lavents c. Lettonia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 58442/00 – 28 November 2002, hudoc.echr.coe.int.

[14] Corte E.D.U., 19 ottobre 2004, Falk c. Paesi Bassi, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 66273/01, ECHR 2004-XI hudoc.echr.coe.int.

[15] Corte E.D.U. 30 giugno 2011, Klouvi c. Francia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 30754/03, 30 June 2011 hudoc.echr.coe.int.

[16] Corte E.D.U., 16 giugno 2009, Gurgurov c. Moldova., consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 7045/08, 16 June 2009 hudoc.echr.coe.int.

[17] Corte E.D.U., 27 agosto 1992, Tomasi c. Francia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 12850/87, 27 August 1992, hudoc.echr.coe.int.

[18] Corte E.D.U., 13 settembre 2016, Ibrahim c. Regno Unito, consultabile su Archivio diritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte E.D.U. settembre 2016.

[19] Corte E.D.U., Grande Camera, 11 luglio 2006, Jalloh c. Germania consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, [GC], no. 54810/00, ECHR 2006-IX.

[20] Corte E.D.U., 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno Unito consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, 17 December 1996, Reports of Judgments and Decisions 1996-VI.

[21] Corte E.D.U., John Murray c. Regno Unito, 8 February 1996, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, Reports of Judgments and Decisions 1996-I

[22] Corte E.D.U., 22 giugno 2002, Coeme e altri c. Belgio, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, nos. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 and 33210/96, ECHR 2000-VII.

[23] Corte di giustizia dell’Unione europea, 23 marzo 1982, Nedsee Detsche Hocheefischerei n.102/81, consultabile su www.jstor.org/stable/23174433?seq=1e e 1 giugno 1999, Eco Swiss n. C-126/97, consultabile su eur-lex.europa.eu.

[24] Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, sentenza 25 luglio 2019, LM C-216/18 PPU, consultabile su eur-lex.europa.eu.

[25] Corte di giustizia dell’Unione europea, 20 giugno 1966 Vaassen-Gobbels caso 61/65) e 29 novembre 2001, De Caster C-17/00, consultabili su eur-lex.europa.eu.

[26] Corte E.D.U., 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, ricorsi nn. 18640/1018647/1018663/1018668/10 e 18698/10.

[27] Corte E.D.U., 7 gennaio 2010, Penev c. Bulgaria, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 20494/04, 7 January 2010.

[28] Corte E.D.U., 25 luglio 2000, Mattoccia c. Italia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 23969/94, ECHR 2000-IX.

[29] Corte EDU, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 25575/04, 11 December 2007.

[30] Corte E.D.U., 28 novembre 1978, Luedicke-Belkacem e Koc c. Germania. consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, 28 November 1978, Series A no. 29.

[31] Corte E.D.U., 24 gennaio 2002, Ucak c. Regno Unito, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, (dec.), no. 44234/98, 24 January 2002.

[32] Corte E.D.U., 18 ottobre 2006, Hermi c. Italia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, [GC], no. 18114/02, ECHR 2006-XII.

[33] Corte EDU. 28 agosto 2018, Vizgirda c. Slovenia., consultabile su Archivio diritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte E.D.U., luglio – agosto 2018.

[34] Corte EDU, 24 febbraio 2009, Protopapa c. Turchia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 16084/90, 24 February 2009.

[35] Corte EDU, 24 gennaio 2019, Knox c. Italia, consultabile su Archivio diritto penale contemporaneo, ricorso n. 76577/13.

[36] Corte E.D.U., 27 novembre 2018, Soytemiz c. Turchia su Archivio diritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte EDU novembre 2018.

[37] Corte E.D.U., Grande camera, 7 novembre 2008, Salduz c. Turchia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, [GC], no. 36391/02, ECHR 2008.

[38] Corte E.D.U., Grande Camera, 12 maggio 2017, Simeonovi c. Bulgaria, consultabile su Archivio dritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte EDU, monitoraggio maggio 2017.

[39] Corte E.D.U. 30 luglio 2019, Urek c. Turchia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo.

[40] Corte E.D.U., 17 ottobre 2019, Oddone e Pecci c. San Marino., consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, nos 26581/17 and 31024/17.

[41] Corte E.D.U., Khodorkovskiy e Lebedev c. Russia., consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, nos. 11082/06 and 13772/05, 25 July 2013.

[42] Corte E.D.U., 25 luglio 2013, Mirilashvili c. Russia., consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo no. 6293/04, 11 December 2008.

[43] Corte di Giustizia dell’unione europea, Grande Sezione, 8 settembre 2010, A.S. c. Finlandia., procedimenti riuniti C-316/07, da C-358/07 a C-360/07, C-409/07 e C-410/07, consultabile su eur-lex.europa.eu.

[44] Corte E.D.U. 3 febbraio 2004, Laukkanen e Manninen c. Finlandia., consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo n. 50230/99.

[45] Corte E.D.U., Grande Camera, 6 maggio 2003, Perna c. Italia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo [GC], no. 48898/99, ECHR 2003-V.

[46] Corte E.D.U., Grande Camera, 10 marzo 2009, Bykov c. Russia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo [GC], no. 4378/02, 10 March 2009.

[47] Corte E.D.U., 10 febbraio 2005, Graviano c. Italia, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo no. 10075/02, 10 February 2005.

[48] Corte E.D.U., 19 febbraio 2013, Gani c. Spagna, consultabile su Archivio dritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte EDU, monitoraggio febbraio 2013.

[49] S.U., sent. n.4173 del 30/05/2019 Ud.  (dep. 10/10/2019) Rv. 276754.

[50] Corte E.D.U., 26 marzo 1996, Doorson c. Paesi Bassi., consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo, no. 20524/92, 26 March 1996, Reports of Judgments and Decisions 1996-II.

[51] Corte E.D.U., 12 gennaio 2017, Batek e altri c. Repubblica Ceca, Introduzione al diritto penale europeo, p.257.

[52] Corte E.D.U., Grande Camera, consultabile sulla banca dati della Corte europea dei diritti dell’uomo [GC] nos. 26766/05 and 22228/06, ECHR 2011.

[53] Corte E.D.U., 3 maggio 2012, Salikhov c. Russia consultabile su Archivio dritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte EDU maggio 2012.

[54] Corte E.D.U., Grande Camera, 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania consultabile su archiviopenale.it.

[55] Corte E.D.U., Grande Camera, 18 dicembre 2018 Murtazaliyeva c. Russia. consultabile su Archivio dritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte EDU giugno 2019.

[56] Corte E.D.U., 29 giugno 2017 Lorefice c. Italia, consultabile su Archivio dritto penale contemporaneo, monitoraggio Corte EDU giugno 2017.

[57] SU 27620/2016 del 28/04/2017 (dep. 06/07/2016) Rv. 267496 ric. Dasgupta e, in relazione al rito abbreviato, S.U 18620/ 2017 del 19.01.2017 (dep. 14/04/2017) Rv. 269786 ric. Patalano.