ERGASTOLO OSTATIVO E 4-BIS ORD. PENIT.: VERSO ORIZZONTI SEMPRE PIÙ NEBULOSI E SECURITARI. L’ARDUO COMPITO DELLA DIFESA QUALE GARANTE DELLA COSTITUZIONE – DI VERONICA MANCA
MANCA – ERGASTOLO OSTATIVO E 4 BIS ORD PENIT: VERSO ORIZZONTI SEMPRE PIÙ NEBULOSI E SECURITARI.
L’ARDUO COMPITO DELLA DIFESA QUALE GARANTE DELLA COSTITUZIONE.PDF
ERGASTOLO OSTATIVO E 4-BIS ORD. PENIT.: VERSO ORIZZONTI SEMPRE PIÙ NEBULOSI E SECURITARI. L’ARDUO COMPITO DELLA DIFESA QUALE GARANTE DELLA COSTITUZIONE.
di Veronica Manca*
Prime riflessioni a margine del d.l. n. 162/2022 in materia di modifica alla disciplina dell’art. 4-bis ord. penit. sulla concessione dei benefici e delle misure alternative ai condannati per reati ostativi
1. Nella giornata di sabato 29, più voci si rincorrevano insistentemente sulla possibilità che il Consiglio dei Ministri intervenisse già nella giornata di lunedì 31, con un decreto legge in materia di ergastolo ostativo, sul differimento dell’entrata in vigore della riforma c.d. “Cartabia” (con il d.lgs. n. 150 del 2022), ed altri interventi sensibili in materia di contenimento del Covid-19. E in effetti così è stato, già dai primi annunci e comunicati stampa e dalle bozze di testo che circolavano all’interno degli addetti ai lavori, risultava chiaro l’intento del Governo di imprimere un segno indelebile sulla materia dell’ergastolo ostativo.
2. Con il decreto legge n. 162 del 2022, approvato nel Consiglio dei Ministri del 31 ottobre e pubblicato contestualmente in Gazzetta Ufficiale (Serie Generale, n. 255), il Governo ha inserito all’art. 1 la modifica alla disciplina dell’art. 4-bis ord. penit., di fatto richiamandosi integralmente al disegno di legge n. 2574, approvato alla Camera dei deputati. L’assoluta continuità con l’operato del Parlamento, del resto, è stata evidenziata dallo stesso Governo, nel comunicato stampa del 31 ottobre, in cui si confermava che era stato vestito, sotto forma di decreto legge, il testo approvato dalla Camera dei deputati. Con tutta evidenza, si tratta di un messaggio, non solo rivolto alla Corte costituzionale, ma anche alla pluralità della collettività: il Governo si fa portatore di una carica simbolica, general-preventiva e promozionale che in materia di criminalità organizzata, anche di stampo mafioso, non ammette contro-poteri dello Stato, anche se bilanciati ed equilibrati. In altre parole, la riforma dell’ergastolo ostativo è e rimane competenza esclusiva del legislatore, che non riconosce contro-indicazioni neanche da parte della Corte costituzionale: è una questione di poteri dello Stato; è una questione di legittimazione della politica. Le ragioni della decretazione d’urgenza sono quindi facilmente inquadrabili, nel rischio, molto concreto, che la Corte costituzionale, a fronte del secondo rinvio, avrebbe potuto intervenire, non tanto con una declaratoria tranchant della materia (peraltro già dichiarata con l’ordinanza n. 97 del 2021), ma con una regolamentazione autonoma – analoga a quanto già avvenuto con i permessi premio, con la sentenza n. 253 del 2019 – e, quindi, non di origine politica, ma (percepita e subita come) “calata” dall’alto. Solo con un’ardua operazione intellettuale di pre-comprensione, è forse possibile comprendere perché il Governo abbia voluto intervenire con un decreto urgente e non attendere l’esito dei lavori parlamentari, giunti ormai al secondo ramo del Parlamento, al Senato.
3. Venendo ora al cuore del testo approvato, si cercherà di formulare una serie di riflessioni, tecnico-operative, a “caldo”, evidenziando i punti critici, le contraddizioni, e le insidie applicative che dovranno essere attentamente valutati dagli operatori, e specialmente da noi difensori.
(a) Sulla collaborazione con la giustizia: co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit.
Il testo dell’art. 4-bis ord. penit. rimane immutato, scegliendo così di salvaguardare integralmente la collaborazione con la giustizia quale via esclusiva e principale per l’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative per i delitti ivi ricompresi e quindi: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; delitti di cui agli artt. 416-bis, 416-ter c.p.; delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p.; art. 12, co. 1 e 3 del d.lgs. n. 286 del 1998; delitto di cui all’art. 291-quater del d.P.R. n. 43 del 1973; delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990.
(b) Sull’inciso del nesso teleologico aggiunto alla fine del co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit.: l’orizzonte dell’ostatività si allarga vertiginosamente.
Appurato che per il co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit. nulla cambia, ciò che desta forti perplessità applicative, è l’inciso che viene inserito per effetto dell’art. 1, co. 1 lett. a) del d.l. n. 162 del 2022, e che porta all’ampliamento indeterminato e indefinito del catalogo dei reati presupposto ostativi. Si prescrive infatti che rispetto ai delitti indicati dal co. 1 sono da ritenersi ostativi anche quelli, che pur non ricompresi formalmente nel catalogo, lo diventano in esecuzione se i vari delitti sono uniti tra loro dal nesso teleologico (cioè quei delitti che vengono commessi per occultare o eseguire o conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto ovvero l’impunità dei reati presupposto).
Se rispetto ai delitti di cui all’art. 416-bis c.p., il confine tra reati-fine, quelli finalisticamente collegati e quelli uniti da vincolo teleologico è molto sottile, per tutte le altre fattispecie, invece, il divario aumenta sensibilmente, con il rischio che diventino “ostativi” anche delitti che non lo sono, in origine, né secondo la ricostruzione processuale, né secondo la sentenza di condanna. È evidente che tale tipo di accertamento verrà demandato alla Magistratura di Sorveglianza in esecuzione, la quale sarà chiamata, in malam partem, a effettuare una valutazione dei diversi titoli in esecuzione; operazione complessa laddove i titoli esecutivi siano diversi, e laddove diventi definitivo prima quello non ostativo. Risulterà, quindi, col tempo, un numero sempre maggiore di condannati ostativi, ricompresi nel co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit., per effetto di questa connessione e sarà sostanzialmente impossibile ricorrere al c.d. “scioglimento” virtuale del cumulo per alcuni detenuti, che diventeranno, quindi, ostativi per tutto il cumulo in esecuzione.
Non pare molto utile la disposizione di carattere transitorio, che prevede l’applicazione del co. 1, ult. parte, dell’art. 4-bis ord. penit. solo per fatti commessi successivamente all’entrata in vigore del d.l. n. 162 del 2022: tale inciso, si auspica, che venga rimeditato, se non soppresso, con la legge di conversione, e che sia oggetto di incostituzionalità.
c) Sull’abrogazione del co. 1-bis dell’art. 4-bis e gli istituti della collaborazione c.d. “fittizia” (cioè quella impossibile e/o inesigibile).
Al co. 1-bis dell’art. 4-bis ord. penit. scompare l’istituto della collaborazione c.d. “fittizia”, salvata dalla stessa Corte costituzionale nella recente sentenza n. 20 del 2022 e raffinata via via dalla giurisprudenza di legittimità.
L’aspetto forse maggiormente preoccupante è l’assenza di una disciplina transitoria che garantisca la continuità dell’istituto quanto meno per chi ne ha beneficiato fino adesso. Il legislatore infatti prevede ora due strade: (i) la collaborazione con la giustizia; o (ii) la via dell’accertamento dei requisiti di accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative tramite il regime probatorio rafforzato di cui al co. 2 dell’art. 4-bis ord. penit.; non vi sono più quindi modalità di accesso alternative o c.d. intermedie. Ciò inoltre vale sia per il permesso premio e per tutte le misure alternative, fatta eccezione per la liberazione condizionale.
In termini irragionevoli, tuttavia, il legislatore salva gli effetti della collaborazione impossibile e/o inesigibile solo per il condannato alla pena dell’ergastolo che intende chiedere la liberazione condizionale, ma non ad esempio, la semilibertà, né in modo ancora oltre modo più ingiusto per il condannato a pena temporanea, che quindi, non potrà beneficiare di una progressione nel trattamento per accedere alle misure alternative (sempre che non si voglia intendere l’istituto della collaborazione impossibile come un mezzo di accesso più favorevole alle misure alternative e quindi ritenere che vi sia l’applicabilità dell’art. 25, co. 2 Cost., secondo le più recenti sentenze della Corte costituzionale n. 32 del 2020 e n. 17 del 2021; forse potrebbe valere per l’accesso alle misure alternative, ma allo stato – a meno che la Consulta muti indirizzo – non può valere per il permesso premio).
d) Sull’irragionevole apparente ridistribuzione dei reati presupposto ostativi tra co. 1-bis e co. 1-bis.1.
Se ad una prima lettura del co. 1-bis e 1-bis.1. dell’art. 4-bis ord. penit. si poteva sperare in uno sfoltimento del catalogo dei reati ostativi, per i quali il legislatore esige la collaborazione con la giustizia, per chi era già avvezzo al DDL n. 2574, sapeva già che proseguendo nella lettura non avrebbe letto nulla di positivo né di nuovo. Infatti, con lo spacchettamento del co. 1-bis e del co. 1-bis.1., il legislatore ha solo diviso formalmente (e direi anche inutilmente) le due fasce di reato, prima ricomprese tutte nell’art. 4-bis, co. 1 ord. penit., per assoggettarle comunque al medesimo trattamento.
In sintesi al co. 1-bis sono compresi i seguenti reati: artt. 416-bis, 416-ter, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p.; art. 12, co. 1, 3 del d.lgs. n. 286 del 1998; art. 291-quater del d.P.R. n. 43 del 1973; art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990. Al co. 1-bis.1. invece sono stati spostati i seguenti reati: artt. 314, co. 1, 317, 318, 319, 319-bis, 319-quater, co. 1, 320, 321, 322, 322-bis, 600, 600-bis, co. 1, 600-ter, co. 1 e 2, 601, 602, 609-octies, 630 c.p.
Il senso di tale operazione tecnico-normativa sfugge al buon senso, dato che ad entrambe le fasce si applica il regime probatorio rafforzato di cui al co. 2 dell’art. 4-bis ord. penit. (forse viene da dire che l’unico aspetto positivo è che ai co. 1-bis e co. 1-bis.1. non si applica l’estensione del nesso teleologico, altrimenti più che di catalogo di reati ostativi, si farebbe prima ad inserire in blocco tutto il codice penale!).
Rimangono fortissime perplessità sull’accostamento ai delitti associativi e alla criminalità organizzata di fattispecie penali, con disvalore differente, struttura radicalmente diversa, a condotta monosoggettiva, con bene giuridico e finalità assolutamente estranee al crimine organizzato, ecc. ritenute dal legislatore comunque indice di una pericolosità sociale da inserirle nella parte di 4-bis ord. penit., dove si richiede la collaborazione con la giustizia.
Forse che non si sarebbe potuto spostare tali fattispecie quanto meno nel co. 1-ter dell’art. 4-bis ord. penit.? Lo si chiede con convinzione, tanto più alla luce del successivo co. 1-bis.2, che vuole l’estensione del co. 1-bis.1. anche del delitto di cui all’art. 416 c.p., commesso per reati-fine ricompresi nel co. 1-bis.1.: come a dire visto che il legislatore si è ricordato che nel co. 1-bis.1. sono compresi solo reati a condotta monosoggettiva (e quindi tecnicamente meno pericolosi di quelli realizzati in forma associata) non era forse il caso di ricorrere ai ripari? Aggiungendo quindi anche la forma associata di quei reati presupposto, già inseriti nel catalogo?
Si tratta di un ennesimo rimaneggiamento in peius di una norma, che già trabocca di contraddizioni: la prima è quella per cui l’art. 416 c.p., se commesso per determinati reati-fine, peraltro, viene ritenuto ascrivibile nel co. 1-bis.1., se commesso per altri reati-fine invece viene ascritto nel co. 1-ter dell’art. 4-bis che ha un regime probatorio differenziato, più snello e agevole, limitato alla sola attualità della pericolosità sociale. Inoltre con tale inciso, il legislatore sceglie di attribuire un grado di pericolosità maggiore all’associazione per delinquere finalizzata a determinati delitti, piuttosto di quella realizzata per commetterne altri, andando anche a modificare la neutralità di fini con cui è stato congeniato l’art. 416 c.p. Anche in questo caso, si auspica che il co. 1-bis.2. venga eliminato o in fase di conversione dal Parlamento, o che sia oggetto di pronuncia di illegittimità costituzionale: il tutto potrebbe avere un senso, seppure con tutte le contraddizioni già espresse, se il legislatore decidesse di collocare i delitti di cui al co. 1-bis.1. nel co. 1-ter dell’art. 4-bis ord. penit., semmai lasciando nel co. 1-bis.1., solo la forma associata di tali delitti, con il combinato art. 416 c.p. + x, y reati-fine, di cui comunque si dovrebbe operare una decisa e più coerente rivisitazione.
e) Sulla procedura istruttoria del co. 2 dell’art. 4-bis ord. penit. dal punto di vista del giudice della sorveglianza.
Passiamo ora all’esame del nuovo iter istruttorio, guardando dapprima la prospettiva del giudice della sorveglianza. In primo luogo, il giudice è chiamato a:
(i) chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e se per reati rientranti nella competenza distrettuale del pubblico ministero della DDA e il parere del PNA;
(ii) acquisire informazioni dalla direzione dell’istituto penitenziario;
(iii) disporre accertamenti sui familiari e sulle persone collegate al detenuto in relazione alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte, alla pendenza o definitività di misure di prevenzione generali o patrimoniali. Il giudice di sorveglianza può decidere decorsi 90 gg. dall’invio della richiesta: viene infatti concesso un primo termine di 60 gg., che può essere prorogato di ulteriori 30 gg., in caso di istruttoria complessa. Al termine dei quali, il giudice può decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni, ma deve darne conto in motivazione: l’ulteriore onere incombente sul giudice infatti è quello di motivare in ordine all’accoglimento o al rigetto, “tenuto conto”, però dei pareri acquisiti.
Tale è l’istruttoria cui è tenuto il giudice di sorveglianza – ormai abituato tra un labirinto di regole e cadenze pressanti; basta pensare alla decretazione d’urgenza emessa durante il periodo del Covid-19, dal precedente Governo, in ragione dei differimenti per motivi di salute e delle detenzioni domiciliari. Si auspica, dato che tale nuovo intricato complesso di cadenze temporali, riguarda una buona fetta di popolazione detenuta, e non solo quei 1.200 ergastolani di cui si parla, che si possa individuare una soluzione bilanciata per l’interessato ed il difensore.
In altri termini, tale compendio istruttorio non dovrebbe in alcun modo confluire alla “cieca” nel fascicolo della sorveglianza, magari il giorno prima dell’udienza, o il giorno stesso, né tanto meno comportare rinvii a catena, con iscrizioni a ruolo, in caso di mancanza del suo invio. Si dovrebbe tentare di individuare un compromesso, alla pari di come viene chiesto alla difesa, con il deposito della memoria ex art. 127, co. 2 c.p.p., entro 5 gg. prima dalla data di udienza, per consentire all’interessato e alla difesa di apprestare quella che viene definita dalla stessa norma “contro-prova”.
Sull’interessato incombe infatti l’onere di provare, entro un “congruo termine”, e in caso di informative negative, l’assenza dell’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e l’impossibilità del suo ripristino. Una prova che di per sé si rivela ardua, tanto più il compendio istruttorio non viene disvelato, concedendo alla difesa un pari termine per procedere allo studio e alla contro-deduzione di quanto emerso dalle informative. Inoltre, che può accadere per tutti quei procedimenti che rimangono di competenza del magistrato di sorveglianza: in che termini viene concesso alla difesa e all’interessato un congruo termine? Con una comunicazione da parte dell’ufficio di sorveglianza del deposito dell’istruttoria? O in via informale? Sono questioni di massima rilevanza pratica, che non potranno non essere tenute in considerazione, nella prassi applicativa da parte degli uffici della Magistratura di Sorveglianza. Inoltre si auspica che alla luce del tipo di informativa richiesta possano essere individuati dei protocolli tra gli uffici di sorveglianza e le procure distrettuali, sia sul quesito da inviarsi sia sul tipo di risposta da fornire, con tutta evidenza, aggiornata e specifica rispetto all’attualità della situazione, e non più sulla base di modelli standard, ancorati sempre al passato giudiziario del condannato.
f) … dal punto di vista dell’interessato e del difensore.
Sulla prova positiva dei requisiti nel merito, invece, incombe sull’interessato dimostrare con l’allegazione (i) di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna; o in alternativa, (ii) alla sua assoluta impossibilità di tale adempimento, e (iii) di aver allegato elementi specifici, diversi ed ulteriori rispetto alla regolare condotta e alla partecipazione al percorso rieducativo, che consentano di escludere l’attualità con i collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto ambientale di provenienza.
È bene precisare sin da subito che tale onere di allegazione riguarda tutte le misure, dal permesso premio alla liberazione condizionale, per tutti i reati presupposto dal co. 1 al co. 1-bis.2. dell’art. 4-bis ord. penit., con un appiattimento complessivo dei requisiti di accesso che confondono e sovrappongono il solo permesso premio, con l’accesso alla forma più ampia di libertà della liberazione condizionale.
A ben guardare, non si è contrari al fatto che il legislatore abbia scelto di valorizzare gli obblighi civili e l’attivazione verso le vittime del reato, anche nelle forme della giustizia riparativa (specie per chi si trova nell’impossibilità di adempiere al risarcimento del danno), ma non si comprende come tali requisiti possano valere allo stesso modo per un permesso premio – di norma prima sperimentazione all’esterno su un percorso trattamentale embrionale – rispetto alla maturazione, anche in termini di pena, della liberazione condizionale. Inoltre, quali potrebbero essere gli elementi specifici e diversi rispetto a quelli elencati di conoscenza esclusiva del detenuto? Se non quelli che hanno a che fare con il risarcimento del danno e con la revisione critica e con l’atteggiamento personale assunto verso la vittima e verso i reati?
Di fatto, gli elementi centrali, specifici e ulteriori di cui l’interessato dovrà farsi carico paiono essere solo questi due. Ma tutti gli altri, perché secondo il legislatore non hanno ugual peso? Si tratta del percorso rieducativo, della regolare condotta, di tutte quelle informative provenienti da operatori qualificati che sono entrati a contatto con il detenuto e possono descrivere al meglio il suo grado di revisione critica rispetto al passato e di adesione al percorso rieducativo e alla legalità.
Da tale formulazione, è evidente che il percorso rieducativo del detenuto ne esce depotenziato, come se il legislatore non nutra particolare fiducia nelle informative offerte dagli operatori penitenziari e nel sistema della rieducazione. Si auspica che tale parte venga riscritta, con una formulazione testuale decisamente più coerente allo spirito dell’ordinamento penitenziario, e alle finalità di rieducazione: nulla toglie al legislatore – del resto è stato scritto nella sentenza n. 253 del 2019 – di individuare altri criteri, oltre alla collaborazione con la giustizia, per arricchire di significato l’iter istruttorio delle istanze dei non collaboranti, ma non che il percorso intramurario, dalla condotta regolare al grado di adesione al percorso di legalità, debbano essere ritenuti elementi di “serie b”: altrimenti verrebbe da dire, che senso ha il carcere? E soprattutto che ragion d’essere hanno tutti gli operatori penitenziari? Se rilevano solo e maggiormente i riscontri esterni?
g) Sull’esclusione dell’applicabilità al 41-bis ord. penit.
Il legislatore tiene a specificare che la nuova disciplina non trova applicazione per i casi di cui al 41-bis ord. penit.: o meglio, poiché la Cassazione, di recente, ha ribadito che non è precluso in via assoluta l’accesso ai detenuti in regime di 41-bis ord. penit. al permesso premio, anche alla luce della Corte costituzionale n. 253 del 2019, allora viene utilizzata una tecnica parzialmente diversa. Si specifica infatti che la disciplina del 4-bis ord. penit. trova applicazione anche ai casi di 41-bis ord. penit., solo laddove quest’ultimo sia stato revocato o non prorogato. Un inciso davvero pleonastico, se la funzione dell’inciso è quello di ricordare che il detenuto accede ai benefici penitenziari se non più pericoloso, alla luce degli indici istruttori di cui al co. 2 dell’art. 4-bis ord. penit.: perché questo lo si sa già, a meno che invece sia un richiamo alla Magistratura di Sorveglianza, o a una sua parte, più possibilista?
h) Sulle modifiche sostanziali alla liberazione condizionale.
Sono del tutto irragionevoli poi le disposizioni che modificano la disciplina sostanziale della liberazione condizionale: 2/3 di pena espiata, anziché 1/2, 30 anni, anziché 26 per l’ergastolano.
Ciò che desta maggiori perplessità, al di là dell’aumento significativo del quantum di pena necessario per l’accesso alla misura, è l’assenza di una norma transitoria. Si rammenta che, tuttavia, la liberazione condizionale è norma sostanziale a tutti gli effetti e quindi la sua applicazione, con il regime differenziato, non può trovare applicazione che per il futuro: perché vige la copertura dell’art. 25, co. 2 Cost., a tutti gli effetti, tanto più, ma non per questo, per i principi sanciti anche dalla Corte costituzionale n. 32 del 2020 e n. 17 del 2021, essendo la liberazione condizionale norma sostanziale in senso stretto.
i) Sulla modifica della competenza a decidere per sistemi di binari differenziati: e quella sfiducia verso il magistrato di sorveglianza …
Altra norma di sfiducia verso il giudice di sorveglianza. L’esigenza, infatti, di disciplinare, per i soli reati presupposto di cui al co. 1 primo periodo dell’art. 4-bis ord. penit. un “binario differenziato”, devolvendo la competenza al collegio poco si spiega, se non per un atto, ben poco velato, di sfiducia verso l’organo monocratico del magistrato di sorveglianza. Solo per tali reati presupposto, quindi, è competente a decidere anche per il permesso premio, il tribunale di sorveglianza, e non più il singolo magistrato.
Anche l’istruttoria dunque sarà di competenza dell’ufficio del tribunale e non di quello del magistrato, con il rischio che tutto il compendio istruttorio verrà conosciuto dallo stesso magistrato relatore, con molta probabilità, a ridosso dell’udienza, e con tutte le difficoltà, di relazionare su un caso, le cui informative sono conosciute all’ultimo.
Il trasferimento di competenza comporterà inoltre un ingolfamento sul tribunale, che necessita di tempistiche, per la fissazione di udienza, molto più lunghe: ciò causerà un inevitabile allungamento delle tempistiche di valutazione per il solo permesso premio. Inoltre che accade in caso di rigetto da parte del tribunale di sorveglianza? Una sola chance in Cassazione.
Per tutti gli altri titoli di reato, invece, rimane competente il magistrato di sorveglianza, per quanto riguarda il permesso premio, e il tribunale di sorveglianza, come per legge, da sempre, il tribunale di sorveglianza.
Anche in questo caso, il legislatore ha omesso di individuare norme di natura transitoria, e, sulla competenza, trattandosi di norma procedurale, dovrebbe applicarsi la nuova disposizione.
Si confida che provengano delle indicazioni operative a livello di distretto dagli uffici di sorveglianza, il più possibili uniformi, e che si attenda, per ovvie ragioni, la conversione in legge del decreto.
… In conclusione …
In sintesi, si ritiene che la nuova versione dell’art. 4-bis ord. penit. comporterà una stasi nel procedimento di legittimità costituzionale, di cui è prevista l’udienza l’8 novembre e che probabilmente la Corte costituzionale deciderà per rimettere gli atti al giudice rimettente, cioè la Cassazione, chiedendo – come peraltro ha già fatto rispetto alla normativa d’emergenza introdotta sotto Covid-19 nel 2020 – se le questioni prospettate sono ancora attuali, pertinenti e rilevanti. A questo punto, la “palla”, balzata alla Cassazione potrebbe fermare il suo corso o riprendere: in ogni caso, si ritiene che sia la Consulta che la Cassazione attenderanno i tempi tecnici per la conversione del decreto legge.
Certo, la Corte costituzionale, in fase di interlocuzione, potrebbe fornire anche delle indicazioni al legislatore, avvisandolo dei punti, che già di per sé, rappresentano una chiara frizione con la Costituzione.
Quello che è certo è che si auspica un miglioramento del testo, in fase di conversione.
Su alcuni aspetti immediati e lampanti, su cui il legislatore dovrebbe intervenire con:
– la disposizione di natura transitoria generale, prevedendo l’applicabilità per il futuro della nuova disciplina, salvando gli effetti di tutte le istanze già presentate, e i procedimenti già incardinati, secondo le regole precedenti, e di tutti coloro che hanno già avuto accesso al percorso precedente, o tramite quello della collaborazione impossibile, o per il tramite dei permessi premio di cui alla sentenza n. 253 del 2019; – la modifica degli aspetti sostanziali della liberazione condizionale e la previsione di una disposizione di natura transitoria che prevede la sua applicazione se non per il futuro;
– il recupero della disciplina della collaborazione impossibile quanto meno per i delitti elencati dal co. 1-bis.1., essendo tutte fattispecie che poco si prestano su un piano empirico-processuale al meccanismo della collaborazione con la giustizia (non essendo reati presupposto che nascono a condotta associativa!); – l’eliminazione dell’inciso dell’ultimo periodo del co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit.;
– il ripensamento della competenza a decidere per il magistrato di sorveglianza solo per i delitti di cui al primo periodo co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit., anche in relazione alla perdita del diritto di reclamo da parte dell’interessato e delle chances di difesa.
Servirebbe poi una riponderazione del co. 2 dell’art. 4-bis ord. penit., peraltro, scritto in maniera identica per i reati presupposto del co. 1 e del co. 1-bis. Lo sbilanciamento tra prova positiva e contro-prova negativa, a carico dell’interessato, poi, è evidente e rischia di rappresentare una forte frizione con la finalità rieducativa; inoltre, non sono previsti in modo esplicito tempi o cadenze processuali (alla pari che per il deposito delle informative della procura), per consentire un effettivo contraddittorio.
Laddove non intervenissero tali correttivi, il rischio più concreto è che vi sia una difformità applicativa molto forte, nonostante il tentativo del legislatore di imporre un’uniformità delle prassi (con la devoluzione della competenza al tribunale di sorveglianza, in parte).
Inoltre, sono altrettanto evidenti le criticità rispetto alla giurisprudenza della Corte costituzionale in materia e, questo vuol dire, concretamente, che il testo di legge sarà nuovamente oggetto di un profluvio di questioni di legittimità costituzionale: il legislatore, in altre parole, ha perso l’occasione di fornire agli operatori e agli interpreti una norma applicativa che potesse reggere nella prassi sul lungo periodo, senza continui rimaneggiamenti e che potesse essere immune da vizi di legittimità costituzionale, con ciò senza eccedere sul finalismo rieducativo, o concedendo aperture non richieste, né imposte nemmeno dalla Consulta.
Un intervento che invece si auspica da parte della Corte costituzionale è che l’art. 4-bis ord. penit. venga considerato, nella sua interezza, come norma di natura sostanziale in senso stretto, senza, peraltro, quella distinzione – opinabile – tra permesso premio e misura alternativa.
E poi … Il momento per resistere e di reagire alle pulsioni securitarie, facendosi parte attiva del processo di costituzionalità è decisamente arrivato e l’azione di garante della legalità da parte dell’Avvocatura sarà quanto mai fondamentale.
* Avvocato del Foro di Trento