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GIURISPRUDENZA CORTE DI GIUSTIZIA UE – 4/2020

GIURISPRUDENZA CORTE DI GIUSTIZIA UE – 4/2020

GIURISPRUDENZA CORTE DI GIUSTIZIA UE 4-2020.PDF

A cura dell’Osservatorio Europa dell’Unione delle Camere Penali Italiane

4/2020

CORTE DI GIUSTIZIA U.E., QUARTA SEZIONE, SENTENZA DEL 24 SETTEMBRE 2020, CAUSA C-195/20 PPU, PROCEDIMENTO PENALE A CARICO DI XC, DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DAL BUNDESGERICHTSHOF

Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Mandato d’arresto europeo – Decisione quadro 2002/584/GAI – Effetti della consegna – Articolo 27 – Eventuali azioni penali per altri reati – Regola della specialità

I giudici del Lussemburgo si sono recentemente pronunciati sull’interpretazione dell’articolo 27, paragrafi 2 e 3, decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo e, in particolare, sulla regola della specialità di cui al paragrafo 3.

In ossequio a detta regola, la persona oggetto del warrant non può essere sottoposta a un procedimento penale, condannata o altrimenti privata della libertà per eventuali reati anteriori alla consegna diversi da quello per cui è stata consegnata. Il paragrafo 3 del citato articolo, tuttavia, fa salva l’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione che ha consegnato la persona dia il proprio assenso.

Con la decisione de qua, la Corte di Giustizia ha quindi specificato che “non osta a una misura restrittiva della libertà adottata nei confronti di una persona oggetto di un primo mandato d’arresto europeo a causa di fatti diversi da quelli posti a fondamento della sua consegna in esecuzione di tale mandato e anteriori a tali fatti, qualora tale persona abbia lasciato volontariamente il territorio dello Stato membro di emissione del primo mandato e sia stata consegnata al medesimo, in esecuzione di un secondo mandato d’arresto europeo emesso successivamente a detta partenza ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, a condizione che, in relazione al secondo mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di quest’ultimo abbia dato il proprio assenso all’estensione dell’azione penale ai fatti che hanno dato luogo alla suddetta misura restrittiva della libertà”.

Dall’interpretazione letterale risulta, invero, che la regola della specialità è strettamente connessa alla consegna risultante dall’esecuzione di uno specifico mandato d’arresto europeo, in quanto il testo di tale disposizione fa riferimento alla «consegna» al singolare.

Inoltre, tale esegesi è corroborata dall’interpretazione sistematica. Infatti, tanto l’articolo 1, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584, che definisce il mandato d’arresto europeo alla luce dell’obiettivo specifico da esso perseguito, quanto l’articolo 8, paragrafo 1, di tale decisione quadro, il quale esige che ogni mandato d’arresto europeo sia preciso quanto alla natura e alla qualificazione giuridica dei reati cui esso si riferisce e descriva le circostanze della loro commissione, indicano che la regola della specialità è legata all’esecuzione di uno specifico mandato d’arresto europeo.

Infine, come emerge dalla precedente giurisprudenza della Corte, la regola della specialità è connessa alla sovranità dello Stato membro di esecuzione e conferisce alla persona ricercata il diritto di essere sottoposta a procedimento penale, condannata o altrimenti privata della libertà unicamente per il reato per cui è stata consegnata (sentenza del 1° dicembre 2008, Leymann e Pustovarov, C‑388/08 PPU, EU:C:2008:669, punti 43 e 44). Tale regola esige, infatti, che lo Stato membro emittente che intenda sottoporre a procedimento penale o condannare una persona per un reato commesso prima della sua consegna, in esecuzione di un mandato d’arresto europeo diverso da quello che ha motivato tale consegna, ottenga l’assenso dello Stato membro di esecuzione al fine di evitare che il primo Stato membro sconfini nelle competenze che lo Stato membro di esecuzione potrebbe esercitare e travalichi le proprie prerogative nei confronti della persona sottoposta a procedimento penale. Poiché il meccanismo del mandato d’arresto europeo mira a consegnare la persona interessata allo Stato membro di emissione di un simile mandato, per i reati specifici menzionati da quest’ultimo, traendola nel territorio di tale Stato membro mediante coercizione, la regola della specialità è indissolubilmente legata all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo specifico la cui portata è chiaramente definita.

In tali circostanze – ha ritenuto la Corte – esigere che un assenso sia fornito tanto dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione dello Stato membro che ha consegnato sulla base di un primo mandato d’arresto europeo la persona sottoposta a procedimento penale, quanto dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione dello Stato membro che ha consegnato tale persona sulla base di un secondo mandato d’arresto europeo, nuocerebbe all’efficacia della procedura di consegna, mettendo così in pericolo l’obiettivo perseguito dalla decisione quadro 2002/584, quale emerge dalla costante giurisprudenza richiamata al punto 35 della presente sentenza.

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CORTE DI GIUSTIZIA U.E., GRANDE SEZIONE, SENTENZA DEL 16 LUGLIO 2020, CAUSA C-129/19, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO / BV, DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE PROPOSTA DALLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/80/CE – Articolo 12, paragrafo 2 – Sistemi nazionali di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti che garantiscano un indennizzo equo ed adeguato – Ambito di applicazione – Vittima residente nel territorio dello Stato membro nel quale il reato intenzionale violento è stato commesso – Obbligo di far rientrare tale vittima nel sistema di indennizzo nazionale – Nozione di “indennizzo equo ed adeguato” – Responsabilità degli Stati membri in caso di violazione del diritto dell’Unione

Nella sentenza Presidenza del Consiglio dei Ministri (C‑129/19), pronunciata il 16 luglio 2020, la Corte, riunita in Grande Sezione, ha dichiarato in primo luogo che il regime della responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro per danno causato dalla violazione del diritto dell’Unione è applicabile, per il motivo che tale Stato membro non ha trasposto in tempo utile la direttiva 2004/80, nei confronti di vittime residenti in detto Stato membro, nel cui territorio il reato intenzionale violento è stato commesso. In secondo luogo, la Corte ha statuito che un indennizzo forfettario concesso alle vittime di violenza sessuale sulla base di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può essere qualificato come «equo ed adeguato», ai sensi di tale disposizione, qualora sia fissato senza tenere conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime e non rappresenti quindi un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito.

Nel caso di specie, nell’ottobre del 2005, BV, cittadina italiana residente in Italia, è stata vittima di violenza sessuale commessa nel territorio di tale Stato membro. La somma di EUR 50 000 che gli autori della violenza erano stati condannati a pagarle a titolo di risarcimento danni non le è stata però versata in quanto essi si sono resi latitanti. Nel febbraio del 2009 BV ha citato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Italia), per ottenere il risarcimento del danno che essa affermava di avere subito in conseguenza della mancata trasposizione in tempo utile, da parte della Repubblica italiana, della direttiva 2004/80. Nel corso di tale procedimento, la Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata condannata in primo grado a versare a BV la somma di EUR 90 000, ridotta in appello a EUR 50 000.

Chiamato a pronunciarsi su un ricorso per cassazione proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il giudice del rinvio si interrogava, da un lato, sulla possibile applicazione del regime della responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro a causa della trasposizione tardiva della direttiva 2004/80, nei confronti di vittime di reati intenzionali violenti che non si trovino in una situazione transfrontaliera. Dall’altro, tale giudice nutriva un dubbio in ordine al carattere «equo ed adeguato», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, della somma forfettaria di EUR 4 800 prevista dalla normativa italiana per l’indennizzo delle vittime di violenza sessuale.

Per quanto riguarda la prima di tali questioni, la Corte ha anzitutto ricordato le condizioni che consentono di accertare la responsabilità degli Stati membri per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione, ossia l’esistenza di una norma di diritto dell’Unione violata preordinata a conferire diritti ai singoli, una violazione sufficientemente qualificata di tale norma e un nesso di causalità tra tale violazione e il danno subito dai singoli. Nel caso di specie, tenuto conto del tenore letterale dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, del suo contesto e dei suoi scopi, la Corte ha segnatamente rilevato che, con tale disposizione, il legislatore dell’Unione aveva optato non per l’istituzione, da parte di ciascuno Stato membro, di un sistema di indennizzo specifico, limitato soltanto alle vittime di reati internazionali violenti che si trovano in una situazione transfrontaliera, bensì per l’applicazione, a favore di tali vittime, dei sistemi di indennizzo nazionali delle vittime dei predetti reati commessi nei rispettivi territori degli Stati membri. In esito alla sua analisi, essa ha considerato che la direttiva 2004/80 impone a ogni Stato membro l’obbligo di dotarsi di un sistema di indennizzo che ricomprenda tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nel proprio territorio, e non soltanto le vittime che si trovano in una situazione transfrontaliera. Dalle considerazioni che precedono la Corte ha dedotto che la direttiva 2004/80 conferisce il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato non solo alle vittime di tali reati che si trovano in una situazione siffatta, ma anche alle vittime che risiedono abitualmente nel territorio dello Stato membro nel quale il reato è stato commesso. Di conseguenza, purché risultino soddisfatte le altre due suddette condizioni, un singolo ha diritto al risarcimento dei danni causatigli dalla violazione, da parte di uno Stato membro, del suo obbligo derivante dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, e ciò indipendentemente dalla questione se tale singolo si trovasse o meno in una situazione transfrontaliera al momento in cui è stato vittima del reato di cui trattasi.

Per quanto attiene alla seconda questione, la Corte ha dichiarato che, in assenza, nell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, di una qualsivoglia indicazione in ordine all’importo dell’indennizzo che si presume «equo ed adeguato», tale disposizione riconosce agli Stati membri un margine di discrezionalità a tal fine. Ciò nonostante, se è vero che tale indennizzo non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalle vittime di reati intenzionali violenti, esso non può tuttavia essere puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime. Secondo la Corte, l’indennizzo concesso alle vittime in forza di tale disposizione deve infatti compensare, in misura appropriata, le sofferenze alle quali esse sono state esposte. A tale proposito la Corte ha inoltre precisato che un indennizzo forfettario delle vittime può essere qualificato come «equo ed adeguato» purché la misura degli indennizzi sia sufficientemente dettagliata, così da evitare che l’indennizzo forfettario previsto per un determinato tipo di violenza possa rivelarsi, alla luce delle circostanze di un caso particolare, manifestamente insufficiente.

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