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IL NUOVO REATO DI ABUSO DI UFFICIO  E LA DISCREZIONALITÀ AMMINISTRATIVA – DI GAETANO VICICONTE

IL NUOVO REATO DI ABUSO DI UFFICIO E LA DISCREZIONALITÀ AMMINISTRATIVA – DI GAETANO VICICONTE

VICICONTE – IL NUOVO REATO DI ABUSO DI UFFICIO E LA DISCREZIONALITÀ AMMINISTRATIVA.PDF

di Gaetano Viciconte

Una prima riflessione sulla nuova formulazione del reato di abuso di ufficio, introdotta dall’art. 23 del decreto legge 16 luglio 2020, n.76. L’auspicio è che la recente ulteriore riforma del reato di abuso di ufficio non determini ancora una volta una vera e propria eterogenesi dei fini rispetto all’intervento del legislatore. Purtroppo la nuova disciplina, pur destinata ad incidere su aspetti fondamentali dell’attività amministrativa, presenta una formulazione aperta a soluzioni applicative non incoraggianti.

La nuova formulazione del reato di abuso di ufficio introdotta dall’art. 23 del decreto legge 16 luglio 2020, n.76 è stata immediatamente oggetto di feroci critiche, espresse con un impietoso giudizio di “assurdità legislativa”, essendo stato ritenuto il testo introdotto come “un ircocervo dalle fattezze mostruose”, quale conseguenza della delimitazione  dell’area di non punibilità della fattispecie alla sola violazione di legge o degli atti aventi forza di legge nell’ambito circoscritto dello svolgimento di attività vincolata. Ciò in ragione del fatto che il panorama che si delineerebbe sarebbe, pertanto, quello di preservare dall’incriminazione i decisori chiamati ad esercitare il potere discrezionale, i quali, in violazione del principio di uguaglianza, sarebbero nella condizione di recare i vantaggi e i danni ingiusti in cui si esprime l’evento lesivo, godendo di una sostanziale area di impunità[1].

Inoltre, si esprime preoccupazione, giacché se dall’ambito di applicazione del reato di abuso di ufficio si esclude il sindacato sull’attività discrezionale della pubblica amministrazione, mantenendo, invece, la potestà di controllo del giudice penale soltanto rispetto all’attività vincolata, le ipotesi in cui si può configurare il reato rimarrebbero veramente esigue. Mentre, invece, il giudice penale nel valutare l’abuso d’ufficio non può prescindere dal filtro dell’eccesso di potere, inteso nel senso di cattivo uso del potere discrezionale, dovendo verificare la legalità dell’azione amministrativa[2].

Ciò in quanto deve ritenersi idonea a determinare la violazione di legge, rilevante a norma dell’art. 323 c.p., la condotta del pubblico ufficiale posta in essere sia in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, tipico dell’attività vincolata, ma anche in mancanza delle condizioni funzionali che legittimano lo stesso esercizio del potere, tipico dell’attività discrezionale, qualora la condotta è diretta alla realizzazione esclusiva di un interesse collidente con quello per il quale il potere è conferito[3]. Con l’effetto che in quest’ultimo caso si concretizzerebbe uno sviamento di potere, che è pur sempre una violazione di legge, perché la potestà non è stata esercitata secondo lo schema normativo che legittima l’attribuzione.

Il timore, pertanto, è quello che il reato di abuso di ufficio sia stato “nei fatti” “depenalizzato”, pur non potendo escludersi che per evitare tale effetto la giurisprudenza vada in direzione opposta, creando “un diritto vivente” analogo al precedente, mediante la valorizzazione dell’art. 97 Cost. e del principio costituzionale di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione ovvero dell’art. 1 della legge generale sul procedimento amministrativo, n. 241 del 1990 (Gambardella).

Le notazioni critiche riportate possono ascriversi alla tesi del cd. “scetticismo debole sulla vincolatezza”, costituito dal legittimo dubbio in ordine alla possibilità di ravvisare in pratica atti “interamente prefigurati dall’ordinamento” e basati su termini realmente univoci[4].

Il problema interpretativo che si pone inevitabilmente, ai fini di un corretto inquadramento della nuova fattispecie di abuso di ufficio, è, pertanto, quello di valutare se nell’ambito dell’ordinamento amministrativo si possa far rifermento a disposizioni che attribuiscano poteri o impongano doveri funzionali tali da incanalare in modo vincolante l’esercizio della potestà amministrativa e quali siano i criteri di individuazione di tali norme. Ciò in quanto, il legislatore, nel prevedere che al Giudice penale sia inibito il sindacato sull’attività discrezionale, ha comunque demandato allo stesso il compito di definire in modo pregiudizialmente corretto l’ambito di rilevanza delle norme amministrative. Con l’effetto che la cognizione del Giudice penale deve arrestarsi in presenza di attività discrezionale dell’agente oppure proseguire per accertare la sussistenza o meno della fattispecie di reato dopo aver definito come vincolata l’attività da scrutinare.

Un criterio astratto che consente di distinguere le tipologie di attività amministrativa in esame è quello che fa leva sugli effetti giuridici che si fanno dipendere dall’adozione dell’atto finale, ritenendo che gli effetti dell’atto vincolato sono prodotti secondo lo schema ‘norma-fatto’, mentre quelli che discendono dall’adozione dell’atto discrezionale secondo lo schema ‘norma-potere-effetto’ (Follieri).

L’atto vincolato, dunque, ha la funzione di rendere operativa la norma primaria o di relazione, unica fonte degli effetti, per mezzo della corrispondenza con la fattispecie astratta e, pertanto, deve ricondursi la categoria degli atti vincolati a quella più generale delle decisioni amministrative (Follieri).

Con l’atto discrezionale, invece, viene operata una scelta del mezzo con cui perseguire l’interesse pubblico, indicato dalla norma, nel rispetto delle regole previste per l’esercizio del potere di riferimento. Nell’esercizio del potere discrezionale vi è una scelta, ma anche il vincolo del fine, in quanto le pubbliche amministrazioni oltre a rispettare le norme hanno l’obbligo di realizzare l’interesse pubblico a loro affidato[5].

Di sicura rilevanza, ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie penale, devono considerarsi anche le valutazioni amministrative ovvero le scelte effettuate tra più situazioni compatibili con il dato normativo. L’attività di interpretazione normativa oppure quella di individuare il modo migliore per assicurare il soddisfacimento dell’interesse pubblico pongono il problema delle modalità di esercizio della scelta, nonché dei criteri cui deve attenersi chi la compie. In tal caso, non si può escludere che trattasi di esercizio di attività amministrativa di tipo discrezionale e che spesso ci si imbatte in situazioni in cui è difficile, e talvolta impossibile, distinguere a priori la soluzione giusta da quella sbagliata. Rimane naturalmente il vincolo del fine anche nell’esercizio di siffatta attività, alla stregua di quanto previsto in generale per le attività discrezionali.

Con la recente riforma del reato di abuso di ufficio, la dicotomia attività discrezionale-attività vincolata approda nel testo della fattispecie penale, ma era già espressa nella seguente disciplina amministrativa:

  • l’art. 21 octies, co. 2, l. n. 241/1990, secondo cui è vietato l’annullamento del provvedimento per violazione di norme formali o procedimentali “qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”;
  • l’art. 31, co. 3, c.p.a. “Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata”;
  • l’art. 19, co. 1, l. n. 241/1990, per delimitare i casi in cui all’autorizzazione si sostituisce la SCIA “ogni atto di autorizzazione […] il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale”.

Il “catalogo” degli atti vincolati, d’altra parte, si è arricchito nel tempo di varie ipotesi tratte dall’elaborazione giurisprudenziale, tra cui è possibile citare:

  • le sanzioni in materia di urbanistica e di edilizia;
  • la materia dei contratti pubblici, tra l’altro, nelle fasi di accertamento dei requisiti e di applicazione dei criteri di verifica dell’anomalia delle offerte;
  • le prestazioni patrimoniali imposte ai privati (c.d. potere impositivo);
  • l’attribuzione di contributi e di sovvenzioni ai privati;
  • la materia dell’iscrizione agli albi professionali;
  • l’applicazione dello sconto obbligatorio sul prezzo dei farmaci previsto dall’art. 13, 1° comma lett. a) del d.l. 28 aprile 2009, n. 39 (convertito in l. 24 giugno 2009, n. 7735);
  • la sospensione obbligatoria dalla carica del Sindaco destinatario di determinate condanne penali prevista dall’art. 11 del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235;
  • la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia prevista dall’art. 32 della l. 11 febbraio 1992, n. 1573;
  • le sanzioni in materiale ambientale per lo sforamento dei parametri di riferimento.

Inoltre, la distinzione tra attività vincolata e attività discrezionale della pubblica amministrativa trova applicazione anche con riferimento alla problematica del riparto di giurisdizione amministrativa e ordinaria, il cui criterio di demarcazione è stato espresso nel senso che sussiste quella ordinaria nel caso di attività vincolata, a fronte della posizione prevalente del privato di diritto soggettivo, mentre sussiste quella amministrativa a seguito di attività discrezionale, rispetto alla quale il privato non può che vantare interessi legittimi.

Trasponendo le categorie del diritto amministrativo alla fattispecie penale si potrebbe riflettere sulla possibilità di attribuire al sintagma introdotto di recente dal legislatore nell’art. 323 c.p., riferito all’attività discrezionale della p.a., il senso di aver espunto dall’ambito di rilevanza penale tutte le violazioni di legge riconducibili proprio ad attività amministrativa discrezionale rispetto alle quali la posizione dei privati è quella dell’interesse legittimo e, per converso, di aver mantenuto nel perimetro della fattispecie le violazioni di legge nell’esercizio di attività vincolata a fronte della possibilità di configurare diritti soggettivi da parte del privato.

Tale criterio diretto ad attribuire rilevanza penale soltanto alle condotte derivanti dall’esercizio di attività vincolata della p.a. da cui scaturisce una posizione di diritto soggettivo del privato inciso da tale attività, appare come risolutivo delle incertezze interpretative manifestate rispetto alla nuova fattispecie in esame, giacché esso appare coerente con gli eventi che rilevano ai fini penali costituiti nella previsione normativa dell’illecito dall’ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto.

Rispetto al sistema delineato appare, tuttavia, estranea dall’incidenza sulla norma penale l’ipotesi in cui la condotta pur attenendo ad attività a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, tenuto conto della finalità perseguita dalla norma primaria. In tal caso, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, assumendo così consistenza di interesse legittimo[6].

Ciò porta a considerare che il discrimen tra attività vincolata e attività discrezionale non potrebbe cogliersi in modo automatico nella situazione giuridica che discende dall’esercizio del relativo potere, giacché se all’attività discrezionale è riconducibile sempre una posizione di interesse legittimo, non altrettanto potrà dirsi per l’attività vincolata dalla quale può derivare una posizione di diritto soggettivo, ma anche di interesse legittimo, quando l’attività amministrativa tuteli in via diretta l’interesse pubblico. Tuttavia, nel caso da ultimo esaminato si può ritenere che siamo al di fuori dall’ambito di rilevanza penale, non essendo quella descritta una condotta idonea ad integrare gli estremi della fattispecie penale, a meno che non si dimostri la violazione della legge che disciplina l’esercizio del potere e la sussistenza di tutti gli elementi previsti dall’art. 323 c.p.

L’opzione legislativa così configurata consente, pertanto, di assumere che rimane nell’ambito del penalmente rilevante l’attività vincolata della pubblica amministrazione a cui corrisponde la lesione di un diritto soggettivo, facendo rientrare in tale categoria anche le disposizioni che regolano l’esercizio del potere discrezionale, con specifico riferimento al vincolo ineludibile al perseguimento dell’interesse pubblico (ad esempio l’ipotesi di scuola che attiene alla riorganizzazione degli uffici comunali allo scopo di punire un dipendente critico verso la maggioranza politica). “Anche il potere discrezionale, infatti, obbedisce a precisi vincoli, che sono costituiti dall’interesse pubblico, dalla causa del potere (il fine specifico per il quale il potere è stato conferito, che è sempre ed esclusivamente un fine pubblico), dai precetti del diritto e di logica. Se […] l’atto discrezionale è posto in essere esclusivamente per la realizzazione dell’interesse pubblico e nel rispetto degli altri precetti, […] anche in questo caso si potrebbe dire che l’atto, per quanto discrezionale, è l’unico possibile, perché è l’unico che soddisfa al meglio pur attraverso la scelta in concreto del pubblico ufficiale […] l’interesse pubblico[7].

Invece, rimangono escluse dall’ambito di rilevanza penale le condotte poste in essere nell’esercizio dell’attività discrezionale e le valutazioni amministrative (scelte interpretative, accertamento o apprezzamento di situazioni di fatto, attraverso l’applicazione di conoscenze specialistiche, individuazione del miglior modo per assicurare il soddisfacimento dell’interesse pubblico o il bilanciamento degli interessi).

Tuttavia, per individuare la disciplina amministrativa sostanziale riferita all’esercizio di attività vincolata, il punto di partenza non può che essere il riconoscimento del carattere fondante dell’interpretazione giurisprudenziale[8].

È legittimo domandarsi, a questo punto, se la fattispecie penale in esame incentrata, a seguito della riforma, sulla distinzione tra atti discrezionali e atti vincolati possa aver assolto all’obbligo di tassatività e di determinatezza, dovendo, comunque, ritenersi essenziale il formante giurisprudenziale per l’individuazione degli elementi essenziali della fattispecie.

Per tentare di circoscrivere l’ampiezza della valutazione giurisdizionale al riguardo, appare davvero utile individuare, in ogni caso, il portato della riforma nell’esclusione della rilevanza penale dell’indebita lesione dell’interesse legittimo, residuando la perseguibilità penale della sola attività amministrativa vincolata, a carattere dichiarativo, generalmente incidente su posizioni di diritto soggettivo – fatta eccezione per i casi di attività vincolata nell’interesse pubblico.

Rimane, comunque, un compito della giurisprudenza delineare gli esatti confini applicativi della fattispecie appena riformata rispetto alla quale si verificheranno certamente i cosiddetti “hard cases” ovvero le questioni di difficile soluzione, non affrontabili sulla base della mera applicazione del disposto letterale della disciplina novellata. Non sarebbe, tuttavia, certamente un esempio funzionale di semplificazione qualora si legittimasse un orientamento diretto a configurare da parte del Giudice penale la valutazione delle caratteristiche dell’azione amministrativa oggetto dell’azione penale, sganciata da univoci parametri di riferimento.

L’auspicio è che la recente ulteriore riforma del reato di abuso di ufficio non determini ancora una volta una vera e propria eterogenesi dei fini rispetto all’intervento del legislatore e che prevalga l’impegno di neutralizzare il rischio di prassi interpretative dirette a vanificare sostanzialmente lo sforzo compiuto con la riforma, nella consapevolezza che purtroppo la nuova disciplina, pur destinata ad incidere su aspetti fondamentali dell’attività amministrativa, presenta una formulazione aperta a soluzioni applicative non incoraggianti.

[1] T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, in Giurisprudenza Penale, 2020, n. 7-8.

[2] M. Gambardella, Simul Stabunt Vel simul Cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del Giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in Sistema penale 7/2020, p. 133 e ss.

[3] cfr. Cass. S.U., 29 settembre 2011, n.155, Rossi.

[4] F. FOLLIERI, Decisione amministrativa e atto vincolato, in www.federalismi.it, 2017.

[5] B.G. MATTARELLA, Discrezionalità amministrativa, in AA.VV., Dizionario di diritto pubblico, III, Milano, 2006, a cura di S. Cassese, 1993 ss.

 

[6] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 maggio 2007, n. 8.

[7] Cass. pen., VI, 13 febbraio 1995, n. 2024, in Riv. pen., 1996, 744.

[8] L. VIOLA, Atti vincolati, hard cases e riparto di giurisdizione, in Federalismi.it, n. 14/2017.