LA PROPORZIONALITÀ DELLE CORNICI SANZIONATORIE NUOVAMENTE AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE – DI GIORGIA NICOLÒ
NICOLÒ – LA PROPORZIONALITÀ DELLE CORNICI SANZIONATORIE NUOVAMENTE AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE.PDF
LA PROPORZIONALITÀ DELLE CORNICI SANZIONATORIE NUOVAMENTE AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
THE PROPORTIONALITY OF SENTENCING FRAMEWORKS ONCE AGAIN UNDER REVIEW BY THE CONSTITUTIONAL COURT
di Giorgia Nicolò*
Tribunale di Taranto, Giudice Dott. Francesco Maccagnano, Ordinanza del 7 luglio 2023 pubblicata nella GU n. 27 del 3 luglio 2024
Reati e pene – Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso – Denunciata previsione della reclusione “da otto a quattordici anni” anziché da “sei a quattordici anni” per la causazione ad alcuno di lesione personale dalla quale deriva uno sfregio permanente del viso e non una deformazione del viso.
(Art. 583-quinquies c.p. – Artt. 3 e 27 Cost.)
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies c.p. in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui punisce con la reclusione «da otto a quattordici anni», anziché con quella «da sei a quattordici anni» la causazione ad alcuno di lesione personale dalla quale derivi uno sfregio permanente del viso e non una deformazione. In subordine, si richiede la sostituzione con la reclusione «da quattro a quattordici anni».
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La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Taranto, avente a oggetto la forbice sanzionatoria associata al reato ex art. 583-quinquies c.p., consente di riflettere sul principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria, già oggetto di un’attenta valorizzazione a opera della recente giurisprudenza costituzionale.
The question of constitutional legitimacy raised by the Court of Taranto, concerning the sentencing range associated with the offense under Article 583-quinquies of the Criminal Code, allows for a reflection on the principle of proportionality in punitive responses, which has already been the focus of careful consideration by recent constitutional case law.
Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Cenni relativi all’introduzione della fattispecie di sfregio permanente al volto. – 3. La questione di legittimità costituzionale. – 4. La progressiva valorizzazione del principio di proporzionalità sanzionatoria nella giurisprudenza costituzionale. – 5. Cenni conclusivi.
1. Considerazioni introduttive. Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Taranto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies c.p. nella parte in cui punisce con la reclusione «da otto a quattordici anni» anziché con quella «da sei a quattordici anni» la causazione ad alcuno di lesione personale dalla quale derivi uno sfregio permanente del viso e non una deformazione. A detta dell’autorità rimettente, la forbice edittale comminata dal legislatore per la fattispecie introdotta nel 2019 sarebbe sproporzionata rispetto al disvalore delle condotte a essa riconducibili e, in quanto tale, contrastante con gli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. La questione sollevata si colloca, dunque, in un nutrito filone giurisprudenziale avente a oggetto il sindacato dei giudici di Palazzo della Consulta sulla proporzionalità della risposta sanzionatoria.
2. Cenni relativi all’introduzione della fattispecie di sfregio permanente al volto. – L’ordinanza in esame prende le mosse da un procedimento penale a carico di un imputato per il reato di cui all’art. 583-quinquies c.p., poiché egli causava alla persona offesa una lesione personale consistita in una frattura, dalla quale derivava uno sfregio permanente del viso, ossia una cicatrice – di dimensioni contenute – sotto l’occhio destro.
Il reato oggetto di imputazione, ovvero la fattispecie delittuosa di “deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, è stato introdotto – non senza accorate critiche sorte già in sede di discussione dell’A.S. 1200 da parte della Commissione giustizia del Senato[1] – dall’art. 12, comma 1, della l. n. 69/2019 c.d. Codice Rosso, il cui baricentro è l’esigenza di un intervento urgente a vantaggio delle vittime di violenza domestica e di genere[2]. L’intervento novellistico del 2019 si è mosso in almeno due direzioni: la prima da identificare nell’inasprimento delle forbici edittali per talune fattispecie di reato (si pensi alla violenza sessuale e agli atti persecutori ex artt. 609-bis e 612-bis c.p.); la seconda da ravvisare nell’introduzione di nuove disposizioni incriminatrici (a esempio, la coazione al matrimonio, la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite ex artt. 558-bis e 612-ter c.p.).
In questo contesto, si colloca l’introduzione dell’art. 583-quinquies c.p., da ritenersi quale autonomo titolo di reato, cui è associata l’individuazione di una forbice di pena autonoma (connotata dall’inasprimento delle pene accessorie e del trattamento penitenziario)[3]. La disposizione dianzi indicata incrimina la condotta di «chiunque cagioni ad alcuno lesione personale dalla quale derivino la deformazione o lo sfregio permanente del viso». Anteriormente all’introduzione della predetta norma incriminatrice, il comportamento volto a cagionare ad altri i fatti di cui sopra era ricondotto alla circostanza aggravante a effetto speciale di cui all’art. 583, comma 2, n. 4 c.p.[4]. La menzionata aggravante – che a seguito della legge sul Codice Rosso risulta espressamente abrogata – comportava l’applicazione di una pena da sei a dodici anni e, non essendo una aggravante c.d. blindata, era finanche suscettibile di soccombere nel corso di un eventuale giudizio di bilanciamento. Il significato della trasformazione da aggravante a reato autonomo è duplice: dal punto di vista simbolico, si è voluto stigmatizzare con incisività il deprecabile fenomeno dei c.d. omicidi di identità; dal punto di vista sanzionatorio, si è inteso sottrarre l’aumento di pena al menzionato fenomeno di bilanciamento. Con il suddetto intervento il legislatore sembra, dunque, essersi servito dell’arma – per molti aspetti spuntata, ma certamente simbolica – dell’aumento di pena.
A ogni buon conto, l’inasprimento sanzionatorio non si è catalizzato unicamente sullo spostamento verso l’alto degli estremi della forbice edittale, ma anche sulle conseguenze negative estese sul fronte esecutivo. Ci si riferisce al fatto che, stante la collocazione dell’art. 583-quinquies c.p. tra i reati di cui all’art. 4-bis, commi 1-quater, 1-quinquies, ord. penit., la concessione dei benefici è subordinata ai risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’art. 80 della legge sull’ordinamento penitenziario[5]. Qualora il fatto sia commesso in danno di persona minorenne occorre, affinché sia possibile concedere i suddetti benefici, la valutazione della partecipazione al programma rieducativo di cui all’art. 13-bis ord. penit., il quale contempla un trattamento psicologico.
L’intervento è stato criticato, stante il carattere frettoloso e non adeguatamente meditato dello stesso. A ben vedere, la nuova fattispecie incrimina unicamente le condotte commesse con dolo, a differenza dell’ipotesi circostanziata – espressamente abrogata nel 2019 – che lasciava sussistere, almeno a partire dalla l. n. 19 del 1990, una imputazione anche a titolo colposo delle circostanze aggravanti[6]. Come opportunamente osservato in dottrina, in mancanza di un espresso intervento legislativo, si sarebbe invero assistito a una abrogazione parziale, di natura tacita, idonea, per sua natura, a conservare la rilevanza delle residuali ipotesi di responsabilità colposa[7].
3. La questione di legittimità costituzionale. – Nel trattare la questione di legittimità costituzionale, l’autorità rimettente precisa che le condotte concretamente rientranti entro gli estremi della fattispecie sono sia la deformazione del volto, sia lo sfregio permanente dello stesso, l’interpretazione delle quali non ha conosciuto modificazioni interpretative con il passaggio da circostanza aggravante a fattispecie autonoma di reato[8]. In merito alla prima, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che si tratta di un’alterazione anatomica capace di incidere sulla simmetria del viso, produttiva di sfiguramento, ridicolizzazione e idonea a destare ripugnaza. Quanto alla seconda, essa si manifesta in un nocumento tale da arrecare un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee dello stesso, con effetto sgradevole o d’ilarità, benché non di ripugnanza, agli occhi di un osservatore medio. Si ricorda, inoltre, che la Suprema Corte ha stabilito che la deformazione e lo sfregio permanente sussistono anche quando l’estetica del viso sia compromessa nelle zone di contorno, da individuare nella regione mandibolare e quella latero-superiore del collo quando «l’alterazione sia particolarmente vistosa e quindi idonea a provocare una sensibile modifica dei lineamenti»[9].
Giudicando rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità proposta da parte della difesa, l’autorità giudiziaria si discosta da quanto asserito dal G.U.P di Parma in una sentenza del 2021[10]. Invero, osserva il giudice a quo, la questione sarebbe rilevante considerato che, qualora essa venisse accolta, la pena base da ricondurre alle condotte poste in essere dall’imputato potrebbe essere sensibilmente inferiore alla pena minima di otto anni ex art. 583-quinquies c.p. Infatti, la lesione inferta dall’imputato è connotata da tenue disvalore, particolarmente considerata la lievità degli sfregi cagionati. Ciò induce a ritenere che, in ossequio ai criteri fattuali di cui all’art. 133 c.p., la pena irrogata dal giudice non potrebbe essere pari o superiore al minimo previsto.
In merito alla non manifesta infondatezza pare ragionevole incastonare la questione in una posizione di continuità rispetto alle voci critiche sorte in dottrina in merito all’introduzione e alla previsione sanzionatoria da ricondurre all’art. 583-quinquies c.p.[11].
Sotto quest’ultimo aspetto, nel leggere l’ordinanza di rimessione, appare evidente come il giudice a quo si sia – in prevalenza – servito di uno schema comparatistico-relazionale, caratterizzato dall’individuazione di specifici tertia comparationis[12]. La prospettiva comparativa, imperniata sulla asserita violazione dell’art. 3 Cost., è riconducile anzitutto al divieto di parificazione sanzionatoria di fattispecie differenti, come dimostra – nell’ordinanza in esame – il richiamo alle condotte causative di deturpazione. Infatti, il più lieve degli sfregi sanzionati dall’art. 583-quinquies c.p., pur essendo meno grave della deformazione contemplata dallo stesso articolo, risulta punito allo stesso modo, determinando la previsione di un identico trattamento sanzionatorio per fatti connotati da un diverso disvalore. In questo modo, detto scrutinio è svolto entro il perimetro conchiuso dal medesimo articolo, inducendo a riflettere “per linee interne” sulla coerenza e sulla proporzionalità delle sanzioni rispettivamente attribuite dal legislatore a ciascuna delle due fattispecie di cui si compone il reato de quo.
A ciò si aggiunga che, nei casi di lieve entità, l’alterazione dell’armonia del viso, pur determinando effetti sgradevoli, risulta meno grave di altri eventi, di dolosa causazione e sanzionati con una pena minima considerevolmente più bassa. Il suddetto sfregio è, infatti, punito con una pena minima di otto anni di reclusione, e, contestualmente, l’art. 583, comma 2, n. 3 c.p., sanziona con una pena di sei anni condotte violente, comportanti la perdita di un senso, un arto, un organo o della capacità di procreare. Analogamente, la cornice edittale della fattispecie in esame risulta più severa rispetto a quella atta a sanzionare condotte volte a menomare il corpo di una donna quali la clitoridectomia, l’escussione, l’infibulazione, sanzionate dall’art. 583-bis c.p. con la pena minima di quattro anni di reclusione. A rendere particolarmente evidente la sperequazione tra i trattamenti sanzionatori è che le condotte da ricondurre all’ipotesi circostanziata di cui all’art. 583 comma 2 sono suscettibili di essere punite con una pena ulteriormente ridotta per effetto del bilanciamento di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 69 c.p.[13].
Nell’ordinanza de qua, si ravvisano, altresì, doglianze riconducibili alla c.d. intrinseca sproporzione della scelta sanzionatoria. È posto in rilievo come il legislatore del 2019, nell’encomiabile obiettivo di sanzionare più gravemente condotte atte a pregiudicare «drammaticamente e irreversibilmente l’integrità psicofisica di un individuo», commini una sanzione di otto anni nel minimo anche per comportamenti causativi di sfregi certamente appariscenti e alteranti, ma – come nel caso in esame – non estremamente gravi. Ciò risulta evidente considerato che a giustificare il severo trattamento sanzionatorio non interviene la necessità di combattere il fenomeno della violenza di genere, infatti le fattispecie riconducibili alla disposizione in esame sono applicabili anche a casi «non inquadrabili quali ipotesi di gender-based violence o comunque anche laddove la persona offesa non versi in condizioni di particolare vulnerabilità»[14].
Ne discende che, considerata la stretta interconnessione tra proporzionalità e finalismo rieducativo, le irragionevoli disparità (e parità) di trattamento indicate incidano negativamente sul fine risocializzante cui la pena tende per espresso dettato costituzionale.
4. La progressiva valorizzazione del principio di proporzionalità sanzionatoria nella giurisprudenza costituzionale. – L’ordinanza di rimessione si colloca, dunque, nel solco di una progressiva valorizzazione del principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria, come posto in rilievo dallo stesso giudice a quo. L’autorità rimettente, infatti, nell’asserire che appartiene al legislatore la competenza di calibrare nella maniera più opportuna le plurime cornici edittali, ricorda come l’anzidetta discrezionalità sia «censurabile laddove trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, come avviene quando si è al cospetto di sperequazioni tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione»[15]. A conferma di quanto riferito, urge precisare come la difesa dell’imputato, nel dedurre l’illegittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies c.p., abbia preso l’abbrivio dai principi espressi nelle importanti sentenze n. 236 del 2016 e n. 40 del 2019[16]. Con la prima – com’è noto – i giudici di Palazzo della Consulta hanno, in un certo senso, superato l’approccio tradizionale, di tipo prevalentemente relazionale, imperniato sullo schema del tertium comparationis, inaugurandone uno volto a valorizzare il principio di proporzionalità scevro di riferimenti comparatistici. Come autorevolmente sostenuto, in detta decisione, si è assistito alla valorizzazione della proporzionalità ex se, avulsa da rigidi schemi comparativi, associando al tertium una funzione c.d. ad adiuvandum[17]. Con la sentenza del 2019 – in conformità ai principi espressi nella pronuncia del 2016 – i giudici di Palazzo della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 per violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e del finalismo rieducativo della pena, accertando l’intrinseca irragionevolezza e sproporzione delle cornici edittali.
Nelle sentenze dianzi indicate e in numerose decisioni successive, anche molto recenti, si è inoltre sostenuto che, al fine di rintracciare la cornice edittale da sostituire a quella giudicata incostituzionale, non si richiede la sostanziale identità tra le fattispecie, ritenendo sufficiente la non – totale – disomogeneità tra le stesse[18]. Ne discende che, anche laddove il sistema legislativo offra plurime soluzioni, finanche di tipo alternativo fra loro, il vulnus possa essere sanato mediante una soluzione costituzionalmente adeguata, benché non obbligata[19]. In altri termini, affinché sia ammissibile l’intervento correttivo della Corte non è necessario che esista, nel sistema, un’unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, essendo sufficiente che il «sistema nel suo complesso offra alla Corte ‘precisi punti di riferimento’ e soluzioni ‘già esistenti’ che possano sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima».
Quanto da ultimo riportato assume peculiare rilievo nel caso in questione in cui l’autorità rimettente, nel condurre un esame di matrice relazionale, non ravvisa un’unica soluzione costituzionalmente obbligata ma individua diverse modalità mediante le quali superare l’asserita sproporzione. In ossequio a dette considerazioni, il giudice a quo ritiene opportuno, in via principale, porre rimedio alle irragionevoli disparità trattamentali mediante una sorta di “ritorno” al minimo edittale antecedente al 2019, individuabile in sei anni di reclusione. In subordine, egli propone di parificare il trattamento sanzionatorio minimo, a quello associato alle condotte di «mutilazione degli organi genitali femminili», individuabile in quattro anni di reclusione.
A chiosa di quanto asserito è il caso di precisare che, secondo quanto affermato dalla Corte in altre pronunce, quando la misura sanzionatoria indicata non costituisce una opzione costituzionalmente obbligata, «resta soggetta a un diverso apprezzamento da parte del legislatore sempre nel rispetto del principio di proporzionalità»[20].
5. Cenni conclusivi. – L’ordinanza in commento, nel porre in rilievo la ritenuta sproporzione della cornice sanzionatoria associata al reato di cui all’art. 583-quinquies c.p., risulta, come osservato, improntata secondo un assetto prevalentemente relazionale. L’autorità rimettente avrebbe forse potuto giovarsi di altri argomenti che, benché non primari ed essenziali, avrebbero consentito quantomeno di avvalorare la tesi della sproporzione del trattamento sanzionatorio comminato dal legislatore[21]. Ci si riferisce, a esempio, al fatto che l’aumento di pena abbia connotato non solo una fattispecie identica rispetto a quella vigente sino al 2019, ma finanche depotenziata, considerato che, nella trasformazione da circostanza aggravante a titolo autonomo di reato, è rimasta priva di punizione l’ipotesi colposa. A ciò si aggiunga che, in linea di principio, l’argomento dell’inasprimento sanzionatorio sarebbe potuto essere avallato anche dall’inserimento della disposizione in esame nella lista di cui all’art. 4-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, ord. penit. Ciò perché le modalità esecutive differenziate ivi previste possono essere ritenute idonee a incidere sulla proporzionalità della risposta sanzionatoria, da valutare in connessione con il finalismo risocializzante, e sulla severità complessiva della stessa. Questa deve intendersi in senso lato, comprensiva, dunque, della possibilità di commutazione della pena carceraria in misure alternative alla detenzione.
A ogni buon conto, l’eventuale accoglimento della questione di legittimità potrebbe rappresentare un ulteriore passo verso la valorizzazione del principio di proporzione e la decisione pronunciata dai giudici di Palazzo della Consulta sarebbe idonea a sostenere la tesi secondo cui risposte sanzionatorie draconiane sono incapaci di apportare, da sole, un’implementazione di tutela per la vittima[22]. Del resto, queste si rivelano di frequente pericolose in quanto generatrici di sperequazioni e aporie ordinamentali.
* Assegnista di ricerca in Diritto penale presso l’Università degli Studi di Trieste
[1] T. Caboni, Il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, in A. Conz-L. Levita (a cura di), Il codice rosso. Commento organico alla legge 19 luglio 2019, n. 69, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Dike, 2019, 200 ss., ove si legge che, in primo luogo, l’Unione delle Camere penali italiane, sentita nel 2019, riteneva che l’introdotta fattispecie non tenesse in debito conto i principi costituzionali di determinatezza, ragionevolezza, proporzionalità e del finalismo rieducativo. Invero, la condotta tipizzata risulterebbe integrata nei casi di lesioni da cui deriverebbero danni al viso «con il rischio di applicazione anche ai casi di verosimile maggiore frequenza di piccoli tagli, unghiate, ferite […] in spregio alla nozione elaborata dalla giurisprudenza di legittimità in tema di sfregio e di deformazione permanente». Per queste e altre ragioni l’Unione Camere Penali aveva ritenuto maggiormente opportuno, in quanto conforme al principio di proporzionalità, l’inserimento di una «aggravante autonoma tale da rendere in ogni caso gravissima la lesione qualora lo sfregio fosse stato cagionato mediante l’impiego di sostanze corrosive».
[2] G.L. Gatta, Il disegno di legge in tema di violenza domestica e di genere (c.d. codice rosso): una sintesi dei contenuti, in Dir. pen. cont., 8 aprile 2019; A. Marandola, Il Codice rosso è legge, in Il Penalista, 18 giugno 2019; C. Pecorella, Violenza di genere e sistema penale, in Dir. Pen e proc., 2019, 1181 ss.; B. Romano – A. Marandola (a cura di), Codice rosso. Commento alla l. 19 luglio, n. 69, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Pacini giuridica, 2020.
[3] T. Caboni, Il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, in A. Conz-L. Levita (a cura di), cit., 197 ss.; E. Lo Monte, Il ‘nuovo’ art. 583-quinquies c.p. («deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso»): l’ennesimo esempio di simbolismo repressivo, in La Leg. pen., 22 novembre 2019; M. Venturoli, Il sistema penale sul “baratro” della disintegrazione semantica note critiche al disegno di legge in materia di omicidio di identità, in La Leg. pen., 28 marzo 2018.
[4] Si rinvia a M. Ronco, Art. 583, in M. Ronco – B. Romano (a cura di), Codice penale ipertestuale commentato, Utet, 2012; F. Basile, Art. 583, in E. Dolcini – G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, Wolters Kluwer, 2015; Cfr., inter alia, A. Cisterna, Reclusione a 14 anni per la deformazione al volto della vittima, in Guida. Dir., n. 37, 2019, 81 ss.
[5] Cfr. F. Fiorentin, Per i sex-offenders sugli esiti dei percorsi allerta “sorveglianza”, in Guida dir., cit., 108 ss.; M. Schiavo, Le modifiche al codice penale in materia di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, nonché all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in B. Romano – A. Marandola (a cura di), cit., 132 ss.
[6] A. Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, in Archivio penale, n. 3, 2020, 6.
[7] T. Padovani, L’assenza di coerenza mette a rischio la tenuta del sistema, in Guida dir., n. 37, 7 settembre 2019, 55.
[8] Sulla distinzione tra sfregio permanente e deformazione si vedano Cass., Sez. IV, 4.07.2000, n. 12006, in CED, n. 217879; Cass., Sez. V, 16.01.2012, n. 21998, in CED, n. 252912; Cass., Sez. V, 16.06.2014, n. 32984, in CED, n. 261653; Cass., Sez. V, 21.09.2020, n. 27564, in CED, n. 279471.
[9] Cfr. Cass., Sez. II, 22.09.1998, n. 10732, in CED, n. 211661. Come ricordato da A. Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., secondo un più risalente orientamento giurisprudenziale, «per ‘viso’ si intende la parte anteriore del capo compresa tra l’impianto frontale dei capelli e l’estremità del mento; non si può, tuttavia, prescindere, per accertare la sussistenza, o no, dell’alterazione alla ‘estetica’ del viso, dal considerare anche quelle immediate zone ‘di ‘contorno’, come la regione sottomandibolare e quella latero superiore del collo».
[10] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, con cui detto giudice rigettava una questione – analoga a quella oggetto dell’odierna ordinanza di rimessione – proposta dalla difesa. A detta dell’autorità giudiziaria la fattispecie de qua non appare viziata da irragionevolezza intrinseca per mancanza di proporzionalità rispetto alle condotte a essa riconducibili. Ad avviso del giudice, il legislatore del Codice rosso, nell’ambito della sua discrezionalità, non solo ha mutato la fattispecie aggravata nel reato autonomo di cui all’art. 583-quinquies c.p., ma ne ha anche incrementato i limiti edittali al fine di punire in modo più severo una condotta di particolare disvalore come quella lesiva dell’estetica del volto della vittima. Infatti, tale condotta non lederebbe solo la sua integrità fisica ma andrebbe oltre, aggredendo la sua individuale personalità e la sua dignità come persona. La condotta lesiva, dunque, inciderebbe sull’immagine della vittima, che rappresenta un veicolo essenziale nei rapporti interpersonali. Si veda, R. Girani, Lo sfregio permanente al viso dopo il c.d. Codice rosso: una prima applicazione dell’art. 583-quinquies c.p. (G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, giud. Agostini), in Dir. pen. e proc., 3 ottobre 2022.
[11] A. Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., 1 ss.
[12] Lo schema relazionale, basato sull’individuazione del tertium comparationis, è ravvisabile nella maggior parte delle decisioni costituzionali in materia di proporzionalità della pena. Detto approccio è privilegiato anche in taluni casi – si vedano, inter cetera, Corte cost., sent. n. 190 del 2020 e sent. n. 63 del 2022 – in cui i giudici di Palazzo della Consulta conducono un latente sindacato in termini assoluti sull’entità del minimo sanzionatorio, privilegiando però, nella sostanza, una logica comparativa, imperniata su un approccio di tipo relazionale. Cfr. R. Bartoli, Il sindacato di costituzionalità sulla pena tra ragionevolezza, rieducazione e proporzionalità, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 4, 2022, 1441 ss.; F. Palazzo, Offensività e ragionevolezza nel controllo di costituzionalità sul contenuto delle leggi penali, in G. Giostra – G. Insolera (a cura di), Costituzione, diritto e processo penale. I quarant’anni della Corte costituzionale, Giuffrè, 1998, 41 ss.
[13] Si veda, altresì, M. Schiavo, Le modifiche al codice penale in materia di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, nonché all’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, cit., 121 ss. e particolarmente 132, ove si pone in rilievo come il secondo e il quarto comma dell’art. 12 della l. 19 luglio 2019, n. 69, introducono modifiche «che contribuiscono in modo significativo a rafforzare l’inasprimento sanzionatorio». Si è infatti prevista la modifica dell’art. 576, comma 1, n. 5 c.p., ove è inserito anche l’art. 583-quinquies c.p., prevedendo in questo modo la pena dell’ergastolo se, in occasione della commissione del delitto di deformazione, è cagionata la morte della vittima. Il quarto comma dell’art. 12 interviene sull’art. 585, comma 1, c.p., prevedendo l’introduzione dell’art. 585-quinquies c.p. tra quelli a cui possono applicarsi le circostanze aggravanti speciali previste in tema di lesione personale.
[14] In questo senso si veda la recente Corte cost. sent. n. 197 del 2023, con cui la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione introdotta dalla l. n. 69 del 2019, la quale detta una regola derogatoria rispetto a quella discendente dai primi tre commi dell’art. 69 c.p., con riferimento specifico agli omicidi aggravati ai sensi dell’art. 577, comma 1, numero 1), e comma 2, c.p. Nella sentenza si legge che il legislatore, con il nuovo ultimo comma dell’art. 577 c.p., abbia inteso «assicurare una più energica reazione sanzionatoria contro soggetti già autori di maltrattamenti e prevaricazioni nei confronti di persone vulnerabili a loro legate da relazioni familiari e affettive, i quali – al culmine di una spirale di violenza – uccidano queste stesse persone». Tuttavia, nei casi relativi a situazioni in cui è il soggetto che ha subìto per anni comportamenti aggressivi a compiere l’atto omicida, per effetto di una improvvisa perdita di autocontrollo causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni cui era stato sottoposto si verifica una sorta di «eterogenesi dei fini perseguiti dal legislatore». Invero, «la disposizione censurata finisce infatti, in simili casi, per aggravare la risposta sanzionatoria a carico dei soggetti più vulnerabili all’interno di relazioni familiari o affettive, che per anni abbiano subito comportamenti aggressivi e prevaricatori; e dunque ridonda a danno proprio di quelle persone che il complessivo impianto della l. n. 69 del 2019 vorrebbe invece più efficacemente proteggere».
[15] Corte cost., sent. n. 81 del 2014.
[16] In merito a Corte cost., n. 236 del 2016 si vedano, fra gli altri, V. Manes, Proporzione senza geometrie, in Giur. cost., 2016, 2105 ss.; F. Viganò, Un’importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in Dir. pen. cont., 2017, 61 ss. In relazione a Corte cost., sent. n. 40 del 2019 si vedano, inter cetera, R. Bartoli, La Corte costituzionale al bivio tra “rime obbligate” e discrezionalità? Prospettabile una terza via. A proposito della questione di legittimità costituzionale sollevata in rapporto all’art. 73, co. 1 d.P.R. n. 309/1990 (minimo edittale), in Dir. pen. cont., 18 febbraio 2019, 139 ss.; C. Bray, Stupefacenti: la Corte costituzionale dichiara sproporzionata la pena minima di otto anni di reclusione per i fatti di non lieve entità aventi a oggetto le droghe pesanti, in Dir. pen. cont., 18 marzo 2019; G. Dodaro, Illegittima la pena minima per i delitti in materia di droghe pesanti alla luce delle nuove coordinate del giudizio di proporzionalità, in Dir. pen. proc., 1 ottobre 2019, 1403.
[17] V. Manes, Proporzione senza geometrie, cit., 2110.
[18] La Corte, negli ultimi anni, ha elaborato una giurisprudenza florida in materia. Si vedano, oltre alle pronunce già menzionate, Corte cost. sent. n. 222 e 233 del 2018; n. 99 del 2019; n. 252 del 2020; n. 63 e 185 del 2021; n. 28 e n. 95 del 2022; n. 6, n 46 e n. 91 del 2024.
[19] In merito all’erosione del dogma delle “rime obbligate” si veda F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Giappichelli, 2021, particolarmente 52 ss. Si vedano, fra gli altri, R. Bartoli, Il sindacato di costituzionalità sulla pena, tra ragionevolezza, rieducazione e proporzionalità, cit., 1441 ss.; V. Manes, Introduzione ai principi costituzionali in materia penale, Giappichelli, 2023, 187 ss.; V. Manes-V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodi, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Giappichelli, 2019, segnatamente 173 ss.; A. Pugiotto, Cambio di stagione nel controllo di costituzionalità sulla misura della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2, 2019, 785 ss.; N. Recchia, La proporzione sanzionatoria nella triangolazione tra giudici comuni, Corte costituzionale e Corte di Giustizia, in Quad. cost., n. 4, 2022, 871 ss.
[20] Corte cost., sent. n. 40 del 2019.
[21] Inter cetera, si veda A. Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., 13.
[22] Per una pronuncia avente a oggetto una delle disposizioni introdotte dal c.d. Codice Rosso si veda la già menzionata Corte cost., sent. n. 197 del 2023.