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LA PROPORZIONALITÀ SANZIONATORIA AL COSPETTO DELLE CONFISCHE DEI PROVENTI: LEGALITÀ DELLA PENA, VECCHIE GEOMETRIE, NUOVE VOCAZIONI FUNZIONALI – DI MARIO ARBOTTI

LA PROPORZIONALITÀ SANZIONATORIA AL COSPETTO DELLE CONFISCHE DEI PROVENTI: LEGALITÀ DELLA PENA, VECCHIE GEOMETRIE, NUOVE VOCAZIONI FUNZIONALI – DI MARIO ARBOTTI

ARBOTTI – LA PROPORZIONALITÀ SANZIONATORIA AL COSPETTO DELLE CONFISCHE DEI PROVENTI: LEGALITÀ DELLA PENA, VECCHIE GEOMETRIE, NUOVE VOCAZIONI FUNZIONALI.pdf

LA PROPORZIONALITÀ SANZIONATORIA AL COSPETTO DELLE CONFISCHE DEI PROVENTI: LEGALITÀ DELLA PENA, VECCHIE GEOMETRIE, NUOVE VOCAZIONI FUNZIONALI

di Mario Arbotti*

Cass. pen., Sez. V, 14 dicembre 2023 (dep. 27 febbraio 2024), ord. n. 8612, Presidente Vessichelli,

Estensore e Relatore Catena e De Marzo.

Confisca per equivalente – Proporzionalità sanzionatoria – Aggiotaggio – Ostacolo all’esercizio delle funzioni pubbliche di vigilanza – Questione di legittimità costituzionale.

(Art. 2641 c.c.; Artt. 3, 11, 27, commi 1 e 3, 42, 117 Cost.; Art. 1 Primo Protocollo addizionale CEDU; Artt. 17 e 49 CDFUE).

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2641, primo e secondo comma, c.c., nella parte in cui assoggetta a confisca per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato, in relazione agli articoli 3, 27, primo e terzo comma, 42 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’articolo 1 del primo Protocollo addizionale alla Cedu, nonché agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento agli articoli 17 e 49, par. 3, CDFUE.

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Il principio di proporzionalità sanzionatoria ha conosciuto una progressiva evoluzione nella giurisprudenza costituzionale, liberandosi gradualmente dai vincoli del tertium comparationis, pur senza mai emanciparsi del tutto dalla sua dimensione comparativa. Alcuni “limiti” che ancora ne caratterizzano il sindacato, però, paiono attenuarsi notevolmente rispetto alle confische dei proventi, in ragione soprattutto della più marcata direzione finalistica degli strumenti ablatori. La recente questione di costituzionalità, allora, offre la possibilità alla Corte di proseguire in quel percorso di bonifica delle pene manifestamente sproporzionate.

The principle of proportionality of sanctions has been invested by that axiological overflow typical of fundamental principles, gradually freeing itself from the bonds of the tertium comparationis, although without ever completely emancipating from its comparative dimension. Some of the ‘constraints’ that still characterise the syndicate, however, seem to be considerably attenuated with respect to confiscations of proceeds, due above all to the more distinctive functional vocation of the ablatory instruments. The recent question of constitutionality thus gives the Court the opportunity to continue along that virtuous path of rectifying manifestly disproportionate penalties.

SOMMARIO: 1. La matematica del castigo emancipata da schemi geometrici: il caso delle confische dei proventi. – 2. Una recente quaestio legitimitatis della confisca per equivalente nei reati di aggiotaggio e ostacolo all’esercizio delle funzioni pubbliche di vigilanza. – 3. Proporzionalità sanzionatoria e teleologia “identitaria” degli strumenti ablatori. – 4. Overlapping protection, doppia pregiudizialità e ruolo del giudice comune. – 5. Passione punitiva e funzione di garanzia dei gatekeepers istituzionali.

1. La matematica del castigo emancipata da schemi geometrici: il caso delle confische dei proventi. — La matematica del castigo ( 1) rappresenta — è ben noto — uno dei maggiori problemi della scienza penalistica, quasi un “oggetto impossibile” (2) della sua dottrina, caratterizzata da uno statuto epistemologico inevitabilmente debole che rende pressoché impossibile individuare, una volta per tutte, una criteriologia oggettiva che fissi una corrispondenza certa e biunivoca tra reato e pena. Le grandezze sul campo, difatti, sono incommensurabili e lo iato — valoriale prima che normativo — tra interessi del reo sacrificati dalla pena e beni offesi dall’illecito rende irrealistica la prospettiva della ricerca di una pena “giusta” in assoluto (3).

Anche se emancipata da prospettive non sempre al riparo da inclinazioni eticizzanti — almeno in parte correlate alle teorie c.d. “assolute” — ed inquadrata in una più “laica” visione di scopo (4), l’individuazione di una pena perfettamente coerente — già in astratto — con i più variegati obiettivi preventivi risulta operazione non facile, sempre esposta al rischio di una successiva falsificazione empirica e, prima e più in alto, di un’insostenibile eccedenza degli scopi perseguiti sui vincoli assiologico-garantisti assicurati dal rispetto della colpevolezza e del principio di proporzione fra disvalore del fatto e reazione sanzionatoria (5).

D’altronde, la scelta sulla dosimetria sanzionatoria risulta strutturalmente relata alle valutazioni politico-criminali di competenza istituzionale del legislatore, essendo espressione di quelle opzioni intimamente politiche — portato della sua legittimazione democratica — che si traducono nell’esercizio di un potere discrezionale difficilmente sindacabile dagli organi che, nell’architettura del sistema costituzionale, sono chiamati a svolgere un (fondamentale) ruolo contro-maggioritario di garanzia.

Non sorprende, allora, l’atteggiamento timido — e a tratti deferente — che ha caratterizzato per lungo tempo il sindacato della Corte costituzionale sulle scelte relative al quantum punitivo, confinando il principio di proporzionalità sanzionatoria negli angusti limiti delle geometrie triadiche e delle “rime costituzionalmente obbligate” correlate al principio di eguaglianza (6). Le ragioni di un tale self-restraint sono ben note: l’assenza di un necessario medium comparativo e, dunque, di una soluzione costituzionalmente obbligata impone di arrestare il sindacato di costituzionalità per evitare di sconfinare in apprezzamenti di merito — rimessi alla discrezionalità esclusiva del legislatore — e in soluzioni creative precluse al Giudice delle leggi (7).

Al netto della natura plurivoca (8) — e a tratti terminologicamente confusa — e della non sempre agevole distinzione fra i vari moduli di giudizio (9), purtuttavia, anche il principio di proporzionalità sanzionatoria è stato nel tempo investito da quell’eccedenza assiologica tipica dei principi fondamentali (10) — assurgendo, quasi, al rango di vero e proprio Schranken-Schranke (11) —, la cui forza generativa (12), in uno con la necessità di tutela dei diritti fondamentali (13) e l’esigenza di non lasciare sguarniti spazi al controllo di costituzionalità, ha permesso una graduale emancipazione dal tertium comparationis e un’evoluzione del sindacato direttamente proiettato sulla “manifesta irragionevolezza intrinseca” dell’opzione punitiva (14). Il principio di eguaglianza/ragionevolezza (15) ha così assunto un connotato conformativo rispetto ad ogni parametro costituzionale (16), legandosi sempre maggiormente — all’interno delle geometrie della materia penale (17) — al principio di rieducazione (18) e — al di fuori dello ius puniendi stricto sensu inteso — ai diversi diritti costituzionalmente riconosciuti incisi dall’intervento statale (19). Ne è derivata una progressiva ascensione performativa del principio di proporzionalità sanzionatoria, non solo emancipato dalle strettoie di una valenza meramente argomentativa e assurto al rango di vero e proprio principio dimostrativo (20), ma, per di più, in grado di focalizzare il vaglio del Giudice delle leggi direttamente sulla scelta punitiva opzionata dal legislatore, al di là di rigidi schemi isonomici.

Una proporzione senza geometrie, ma non per questo priva di una dimensione comparativa. A ben vedere, pur chiarito il ruolo di mero “sostitutivo sanzionatorio” assegnato alla fattispecie comparativa — terminus ad quem e non più starting point del vaglio di proporzionalità (21) —, la natura del giudizio non pare smarrire del tutto quella dimensione relazionale correlata all’idea stessa di proporzionalità (22). L’assenza di un punto di riferimento nel sistema — di una “rima adeguata” — capace di offrire quantomeno la disciplina di risulta, in effetti, non solo accentuerebbe il rischio di un esito spiccatamente creativo della decisione, ma renderebbe impervio lo stesso percorso argomentativo, dovendosi a quel punto fondare su un apprezzamento valutativo — dall’indubbia cifra politico-criminale — rimesso in toto al Giudice costituzionale (23).

Le residue difficoltà connesse alla pars construens del vaglio di proporzionalità — nell’individuazione, in particolare, di una nuova cornice edittale da sostituire a quella dichiarata costituzionalmente illegittima — paiono, invece, almeno stemperarsi laddove il sindacato afferisca ad una confisca dei proventi. Tali misure, difatti, presentano una più spiccata “vocazione funzionale” rispetto alle altre tipologie sanzionatorie, che si può identificare essenzialmente — al netto delle peculiarità teleologiche dei singoli strumenti ablativi (24) — nel recupero dei vantaggi illeciti e nel ripristino dello status quo patrimoniale antecedente alla commissione dell’illecito. Un tale scostamento risulta senz’altro più agevolmente misurabile dal Giudice delle leggi, permettendogli di impostare il giudizio di non manifesta sproporzione in termini meno discrezionali e, pertanto, più penetranti (25).

Come meglio si dirà, tra l’altro, tale operazione è favorita dalla possibilità di stabilire un preciso collegamento tra la funzione ripristinatoria svolta dall’istituto e determinati elementi delle fattispecie normativa, la cui puntuale espunzione permette di ricalibrare la complessiva risposta sanzionatoria, sterilizzando il rischio di esiti manifestamente sproporzionati senza necessariamente impostare confronti con altre discipline “limitrofe”, anche nella parte ricostruttiva del giudizio (26). In altri termini, taluni “limiti” che ancora caratterizzano il vaglio di proporzione tra fatto e pena e che lo rendono vincolato a schemi comunque comparativi sembrano attenuarsi notevolmente rispetto alle confische dei proventi, in ragione tanto della più agevole possibilità di valorizzare la funzione di asset recovery assolta dallo strumento, quanto della facilità nell’impostare una relazione tra la predetta finalità e la fattispecie astratta che consenta di elidere solo quegli elementi normativi che determinano sistematicamente la sproporzione sanzionatoria (27).

In questo orizzonte concettuale, si inserisce la recente ordinanza n. 8612/2024 della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione che — sulla scia delle acquisizioni già sedimentate nella giurisprudenza costituzionale, in particolare nella decisione n. 112 del 2019 — ha sollevato una questione di legittimità costituzionale della confisca per equivalente disciplinata dall’art. 2641, comma 2, c.c., per i reati di aggiotaggio e di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, nella misura in cui si estende obbligatoriamente anche ai beni utilizzati per commettere il reato. Su quest’ultima ordinanza occorre ora soffermare l’attenzione.

2. Una recente quaestio legitimitatis della confisca per equivalente nei reati di aggiotaggio e ostacolo all’esercizio delle funzioni pubbliche di vigilanza. — Nell’ambito di una travagliata vicenda giudiziaria concernente la pretesa realizzazione — tra gli altri — di reati di aggiotaggio e di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza, il Tribunale di Vicenza disponeva la confisca per equivalente, sino a concorrenza dell’importo di ben 963 milioni di euro, delle somme di denaro impiegate per la realizzazione dei suddetti illeciti, qualificate come mezzi impiegati per commettere i reati e coincidenti con i finanziamenti erogati da un istituto di credito ai propri clienti/soci per l’acquisto sul mercato primario e su quello secondario di azioni proprie, funzionali all’illecita alterazione del prezzo delle stesse e alla creazione dell’artificiosa rappresentazione dell’entità del patrimonio di vigilanza.

La Corte di appello di Venezia disponeva successivamente la revoca della misura ablatoria, evidenziandone la marcata frizione con i principi espressi tanto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 112 del 2019, quanto dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, si evidenziava come la confisca per equivalente dei mezzi impiegati per la realizzazione dell’illecito — stante la sua indiscussa natura “punitiva” — collidesse frontalmente con il principio di proporzionalità della pena, risolvendosi in una sanzione manifestamente sproporzionata, disancorata dal disvalore dell’illecito e dalla valutazione dei singoli contributi concorsuali, oltreché completamente priva di qualsivoglia relazione di “congruità” con i profitti realizzati. In altri termini, ad avviso del Giudice di merito, il severo apparato detentivo di riferimento — dotato di un’ampia forbice edittale — permetterebbe già di calibrare adeguatamente la sanzione all’entità dell’offesa arrecata, risolvendosi la confisca obbligatoria degli instrumenta sceleris in null’altro se non in un quid pluris afflittivo, in grado di incrinare definitivamente qualsivoglia rapporto di proporzione fra gravità del fatto ed entità della complessiva risposta sanzionatoria, tale da infirmare in radice ogni aspirazione autenticamente ripristinatoria dello strumento ablatorio.

Tali considerazioni si pongono alla base della scelta di disapplicare la previsione che imporrebbe l’applicazione obbligatoria della confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, valorizzando — pur in assenza di un chiaro aggancio della disciplina nazionale al diritto eurounionale — i più recenti approdi della giurisprudenza della Corte di Giustizia (28) che — come è noto — ha aperto, in assenza di sufficienti margini ermeneutici per esperire un tentativo di interpretazione conforme, alla possibile disapplicazione da parte del giudice comune della disciplina interna in contrasto con il principio di proporzionalità sanzionatoria, riconosciuto in singoli atti dell’Unione o, più in generale, all’art. 49, paragrafo 3, CDFUE.

La Corte di Cassazione — recependo sul punto i rilievi del Procuratore Generale — ha ritenuto, per converso, che la disapplicazione della normativa interna non fosse limitata ai soli profili necessari per consentire l’irrogazione di una sanzione proporzionata nel caso di specie e, dunque, non investisse tanto un problema di proporzionalità sanzionatoria nel caso concreto, quanto — più in generale — un vizio di manifesta sproporzione dell’assetto sanzionatorio concernente la disposizione normativa già nella sua formulazione astratta. Di talché, la disapplicazione operata dal giudice di merito si sarebbe risolta in una interpretatio abrogans della disposizione e non in un mero adeguamento ermeneutico della stessa orientato al principio di proporzionalità, con la scontata conseguenza di rendere quanto mai necessario percorrere l’itinerario dell’incidente di costituzionalità per porre rimedio al vulnus individuato.

Il Giudice di legittimità, allora, nella selezione dei parametri costituzionali rilevanti, fa anzitutto riferimento al combinato disposto degli artt. 3 e 27 della Costituzione, secondo il più aggiornato armamentario concettuale che concentra sul finalismo rieducativo della pena il referente concettuale alla stregua del quale svolgere il vaglio di proporzionalità. In questa prospettiva — come già accennato — liberato dalle geometrie del tertium comparationis, il sindacato si appunta sulla proporzione tra la sanzione comminata dal legislatore e la gravità del fascio di condotte abbracciate dalla fattispecie astratta, nel prisma della funzione rieducativa costituzionalmente assegnata alla pena. L’istanza di proporzione, insomma, pare riflettere e soddisfare la specifica teologia imposta alla sanzione criminale, elevandosi a misura fondamentale del progetto rieducativo e, al contempo, a presupposto di legittimità della sanzione (29): nella consapevolezza che pene eccessivamente severe tendono ad essere percepite come ingiuste dal condannato, risolvendosi in un concreto ostacolo al suo percorso di risocializzazione (30).

Altrettanto valorizzato è il principio di personalità della responsabilità penale, strettamente relato — sempre — alla necessaria funzione rieducativa della pena, che contrasta di regola con la previsione di pene fisse — come inevitabilmente è la morfologia sanzionatoria della confisca —, precludendo quel processo di individualizzazione del trattamento sanzionatorio funzionale non solo all’adeguamento della pena al disvalore oggettivo e soggettivo del fatto, ma, prima e più in alto, alle personali esigenze di risocializzazione del singolo reo.

I vizi di costituzionalità sono, poi, rinvenuti anche in relazione all’eccessiva limitazione del diritto di proprietà, sotto l’angolo di visuale degli artt. 3 e 42 Cost. nonché — a testimonianza di quel felice e sempre più vivace processo di cross-fertilization tra Carta Costituzionale e Carte europee dei diritti fondamentali (31) — degli artt. 1 Prot. Addiz. CEDU e 17 CDFUE. In questo orizzonte, il sindacato di proporzionalità — corroborato sempre dal vaglio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., operante in combinato disposto con la norma costituzionale che presidia il singolo diritto fondamentale — pare declinarsi in modo diverso rispetto al modello finora analizzato, liberandosi dalla prospettiva retrospettiva focalizzata sulla proporzione tra fatto commesso e pena irrogata (32) ed abbracciando il vaglio prospettico concentrato sulla sostenibilità dell’ingerenza pubblica rispetto al coefficiente di incisione del diritto messo a repentaglio dalla pena. La gravità della limitazione del diritto di proprietà, insomma, pare qui essere posta in raffronto agli obiettivi di prevenzione perseguiti dal legislatore, con uno sguardo proiettato necessariamente verso il futuro (33). In altri termini, nonostante i due paradigmi valutativi condividano un elemento — la limitazione di diritti fondamentali conseguenti alla pena —, si distinguono chiaramente per il secondo elemento comparativo, in un caso un fine preventivo — generale o speciale —, nell’altro un accadimento del passato rappresentato dal reato commesso.

Da ultimo, il Giudice di legittimità lamenta una violazione anche dell’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, in relazione agli artt. 11 e 117 Cost., valorizzando tanto le più recenti evoluzioni della giurisprudenza della Corte di Giustizia (34), quanto l’importanza assunta dal principio di proporzionalità nella complessiva disciplina eurounitaria delle misure di carattere patrimoniale (35), nel contesto della regolamentazione finalizzata a garantire il riconoscimento reciproco e, dunque, la circolazione e l’esecuzione delle decisioni delle autorità nazionali. Tali parametri osterebbero alla legittimazione di uno strumento ablativo in grado di determinare un sistematico peggioramento della situazione patrimoniale dei destinatari della misura, di gran lunga superiore a quello derivante dalla mera ablazione a somma zero tipica degli strumenti a vocazione autenticamente ripristinatoria.

3. Proporzionalità sanzionatoria e teleologia “identitaria” degli strumenti ablatori. — L’atteso intervento della Corte costituzionale non potrà non confrontarsi con il significativo precedente rappresentato della decisione n. 112 del 2019, dal quale pare possibile mutuare un ipotetico schema decisorio. In quel caso, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della confisca, diretta o per equivalente, prevista dall’art. 187-sexies d.lgs. n. 58 del 1998 per l’illecito amministrativo di insider trading nella parte in cui prevedeva la confisca del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, anziché del solo profitto (36), ancorando la dichiarazione di incostituzionalità alla violazione del principio di proporzionalità sanzionatoria delle sanzioni amministrative desumibile da una lettura sinergica dell’art. 3 Cost. e 42 Cost. (37).

Al di là delle prospettive di judicial minimalism (38) che paiono aver informato la decisione — nella scelta prudente di qualificare la sanzione come “amministrativa”, mantenendosi nel solco della precedente giurisprudenza senza sbilanciarsi su temi sensibili come l’estensione dell’art. 27 Cost. alle sanzioni amministrative e la reale natura, behind the appearances, della confisca allora in rilievo (39) —, il sindacato di costituzionalità è stato interamente focalizzato sulla natura manifestamente sproporzionata del complessivo assetto sanzionatorio, al di là di puntuali riferimenti — anche solo nella fase di individuazione dei rimedi — a tertia comparationis. Ad avviso del Giudice delle leggi, difatti, « la combinazione tra una sanzione pecuniaria di eccezionale severità, ma graduabile in funzione della concreta gravità dell’illecito e delle condizioni economiche dell’autore dell’infrazione, e una ulteriore sanzione anch’essa di carattere “punitivo” come quella rappresentata dalla confisca del prodotto e dei beni utilizzati per commettere l’illecito, che per di più non consente all’autorità amministrativa e poi al giudice alcuna modulazione quantitativa, necessariamente conduce, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori manifestamente sproporzionati » (40).

Come è a facile arguire, a conclusioni non dissimili pare doversi giungere anche in relazione alla confisca dei beni utilizzati per commettere il reato disciplinata dall’art. 2641 c.c., in grado di determinare — in uno con le severe pene detentive previste per i reati di aggiotaggio e di ostacolo all’esercizio delle funzione di vigilanza — una sistematica alterazione del rapporto di proporzione tra gravità dell’illecito ed entità della risposta sanzionatoria, completamente disancorata — nel suo contenuto patrimoniale — da qualsivoglia dimensione di adeguatezza rispetto al concreto vantaggio economico ricavato dall’illecito (41). Per di più — come emblematicamente dimostrato proprio dal caso di specie — in materia di market abuse la sproporzione tra l’ablazione dei beni utilizzati per commettere l’illecito e il concreto vantaggio economico ricavato dallo stesso assume una dimensione così manifesta e sistemica da rendere percepibile ictu oculi la rottura di qualsivoglia equilibrio sanzionatorio tra reato e pena, atteso che le somme movimentate per determinare l’alterazione del prezzo degli strumenti finanziari sono — di regola — di gran lunga superiori al beneficio patrimoniale effettivamente ricavato dall’operazione. Al di là della vocazione ripristinatoria dello strumento — già di per sé frustrata da un’ablazione anche minimamente superiore al profitto locupletato —, persino l’inquadramento in una prospettiva “punitiva” della misura non può giustificare — al metro dei principi costituzionali — un sacrificio così marcatamente irragionevole dei beni del reo sottoposto a sanzione.

D’altronde, una soluzione analoga a quella già sperimentata dal Giudice costituzionale pare valere persino a fortiori per la confisca per equivalente oggetto degli attuali strali di costituzionalità. Tale modello ablatorio, in effetti, è senz’altro riconducibile — secondo un ben noto e costante orientamento giurisprudenziale (42) — alla nozione sostanziale di pena, considerata la totale assenza di qualsiasi rapporto di pertinenzialità tra res oggetto dell’ablazione e reato commesso che potrebbe — non senza incertezze e titubanze — ancora giustificarne un inquadramento come misura di sicurezza patrimoniale (43). Il principio di proporzionalità sanzionatoria, allora, può in questo caso operare nella sua massima proiezione assiologica, valorizzando il contatto diretto ed immediato con il finalismo rieducativo (44), senz’altro ostacolato da sanzioni che rompono manifestamente il normale equilibrio fra gravità dell’illecito e quantum e quomodo della risposta sanzionatoria.

Ulteriormente — e come già accennato — il vaglio di proporzione rispetto alle confische dei proventi pare liberarsi definitivamente da alcune difficoltà che continuano ordinariamente ad affliggerlo soprattutto con riferimento alla fase della nuova individuazione di una cornice edittale non manifestamente sporporzionata, rispetto alla quale — è ben noto — più facile è invadere lo spazio di discrezionalità riservato al legislatore nelle scelte di politica criminale.

A ben vedere, nonostante un giudizio di proporzione possa senz’altro essere formulato indipendentemente dalla predilezione per un’idea di scopo della sanzione — considerando esclusivamente il grado di afflittività voluta o, comunque, implicata —, il ruolo del Giudice costituzionale è senz’altro semplificato laddove la proporzione della sanzione venga apprezzata valorizzandone la particolare funzione (45). In effetti, inquadrato in una corretta prospettiva di scopo, il sindacato di proporzionalità può più agevolmente liberarsi dalle briglie comparative del tertium, essendo l’indefettibile discrezionalità della valutazione comunque ancorata ad una funzione previamente individuata e l’apparato argomentativo blindato da una maggiore “coazione alla razionalità” (Zwang zur Rationalität), in ragione della migliore “giustificabilità” e, a monte, della più agevole controllabilità critica della scelta (46).

In questo orizzonte concettuale, le confische dei proventi mostrano senz’altro una più accentuata teleologia “identitaria”, coincidente sostanzialmente con il recupero dei vantaggi generati dall’illecito ed il ripristino della situazione economica antecedente lo stesso. L’apprezzamento della generale — e a tratti comune — vocazione ripristinatoria, allora, permette di impostare più agevolmente il giudizio di proporzione, censurando quei soli elementi della fattispecie che, permettendo un’estensione dell’ablazione che trascende manifestamente il recupero dei soli vantaggi indebitamente locupletati, finiscono per incrinare sistematicamente l’equilibrio fra gravità dell’illecito e reazione sanzionatoria.

Il compito della Corte, tra l’altro, è significativamente favorito dalla possibilità di riportare la fattispecie in un clima di compatibilità con il principio di proporzione sanzionatoria senza necessità di individuare una nuova — e costituzionalmente adeguata — cornice edittale. In questi casi, difatti, l’equilibrio punitivo può essere restaurato focalizzando la dichiarazione di incostituzionalità su singoli elementi normativi della fattispecie — i beni utilizzati per commettere il reato — la cui elisione permette agevolmente di superare la sistematica disarmonia sanzionatoria.

Alla luce delle considerazioni che precedono, allora, la questione di costituzionalità pare già instradata verso un esito di accoglimento che permetterebbe — sulla scia dell’insegnamento di Corte costituzionale n. 112 del 2019 — di rimuovere dall’oggetto della confisca i soli beni utilizzati per commettere il reato, considerato che — come già accennato — in materia di abusi di mercato questi ultimi lungi dal potere essere identificati nei tradizionali instrumenta sceleris, coincidono con le ingenti somme di denaro movimentate per l’alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, di gran lunga superiori — di regola — rispetto al profitto effettivamente ricavato dal reo (47).

4. Overlapping protection, doppia pregiudizialità e ruolo del giudice comune. — La Corte costituzionale si trova, ormai da tempo, ad operare all’interno di un ordinamento multilivello, impegnata nel confronto costante con le Corti sovranazionali — sempre maggiormente attive nel ruolo di giudici dei diritti e nella tutela di materie lato sensu costituzionali (48) — e, di riflesso, con i giudici comuni, il cui protagonismo ermeneutico è stato sollecitato proprio dal “nuovo” ruolo istituzionale riconosciutogli dalle Corti europee, in particolare — è ben noto — dalla Corte di giustizia (49).

Nell’ambito di un processo di progressiva ascesa dello standard di tutela dei diritti fondamentali, in effetti, situazioni ricorrenti di overlapping protection e di doppia pregiudizialità hanno imposto un progressivo ripensamento del ruolo “monologico” del Giudice delle leggi, sollecitando l’abbandono di approcci “autarchici” nella tutela dei diritti fondamentali e l’apertura verso un costante dialogo con gli altri organi giurisdizionali — quasi una nomofilachia integrata, mediante l’osmosi fra parametri nazionali e parametri europei (50) —, illuminato dall’autorevolezza del proprio operato e dalla forza argomentativa delle proprie decisioni (51).

In materia di proporzionalità sanzionatoria, in particolare, significative spinte propulsive sono emerse dalla recente — e a tratti sorprendente (52) — evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia che — con un manifesto overruling rispetto alla composizione di interessi raggiunta in CGUE, 4 ottobre 2018, C-384/17, Link Logistic N&N — nella decisione CGUE, 8 marzo 2022, C-250/20, NE ha riconosciuto il carattere incondizionato dell’obbligo di prevedere pene proporzionate, il suo effetto diretto e, conseguentemente, la possibilità per le autorità amministrative e per i giudici nazionali di disapplicare il diritto interno in contrasto con tale obbligo, limitata a quei profili di disciplina che impediscono l’irrogazione di una sanzione proporzionata (53).

Una soluzione a tratti rivoluzionaria che se da un lato indubbiamente concorre ad innalzare lo standard di tutela del diritto fondamentale a non subire pene sproporzionate (54), dall’altro non pochi problemi pone al cospetto del principio di legalità dei reati e delle pene, della certezza del diritto e della parità di trattamento. Profili evidentemente non ignoti al giudice europeo che, purtuttavia, nel valorizzare il mero volet individual-garantistico di tali principi, ha di norma buon gioco nel ribadire l’assoluta liceità della manovra disapplicativa, tesa, in ogni caso, a ridurre la sanzione concretamente irrogata al consociato e, dunque, proiettata in una dimensione esclusivamente in bonam partem (55).

Non sfugge, però, che un’impostazione metodologica siffatta — da sempre affine al modus operandi delle Corti sovranazionali — finisce inevitabilmente per relegare in una condizione di subalternità il versante ordinamentale — e la valenza politica — del principio di legalità in materia penale, come norma fondamentale sul riparto della potestà normativa tra legislatore e giudice (56). Una diversa prospettiva che non può essere ignorata dal Giudice costituzionale, in quel percorso di progressivo ri-accentramento del sindacato sulla tutela dei diritti fondamentali che ha inaugurato una nuova “stagione” del controllo di costituzionalità (57), orientata a riaffermare la centralità del Giudice delle leggi tanto in una prospettiva istituzionale, nella concorrenza con le spinte centrifughe della giurisprudenza europea, quanto sul versante ordinamentale, mediante l’adozione di soluzioni che garantiscano effetti erga omnes e, pertanto, sterilizzino sul nascere diversità di trattamento e distonie sistemiche.

In questo orizzonte concettuale si inserisce anche l’ordinanza in commento che, nell’evidenziare diffusamente la concorrenza di rimedi giurisdizionali potenzialmente attivabili, preferisce percorrere la strada dell’incidente di costituzionalità, valorizzando le acquisizioni sedimentate nella giurisprudenza della Corte costituzionale (58) in forza delle quali — fermo restando il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 11 della Costituzione — il principio di legalità, anche nella sua proiezione politica e ordinamentale, si colloca tra i principi supremi dell’ordine costituzionale, sul cui presidio è vigile il sindacato del Giudice delle leggi. In altri termini, le esigenze di legalità della pena, certezza del diritto e, più in particolare, di predeterminazione dei criteri orientativi ai quali il giudice comune deve attenersi per apprezzare l’esistenza di un’eventuale disarmonia punitiva, inducono la Corte di Cassazione a preferire l’itinerario della quaestio legitimitatis, escludendo la possibilità di operare un’applicazione prevedibile negli esiti — e pienamente rispettosa della separazione fra i poteri — del principio di proporzionalità sanzionatoria, perlomeno qualora, come nel caso di specie, tale soluzione possa condurre a disapplicare in concreto una misura che il legislatore prevede come obbligatoria, senza lasciare al giudice alcuno spazio di graduazione.

Del pari, la preferenza accordata all’incidente di costituzionalità rispetto all’itinerario di un possibile rinvio pregiudiziale (59) risulta motivata aderendo alla nota soluzione elaborata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 269 del 2017 — e da allora progressivamente raffinata e in parte smorzata negli esiti (60) —, di dare preferenza, in caso di “doppio contrasto”, alla questione di legittimità costituzionale e al conseguente giudizio erga omnes condotto « alla luce dei parametri interni (ex artt. 11 e 117 Cost.) ed eventualmente di quelli europei, secondo l’ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla […] Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali comuni » (61). Del resto, un successivo dialogo con la Corte di giustizia potrà sempre essere attivato dal Giudice costituzionale, in grado, tra l’altro, di rappresentare al massimo livello di autorevolezza istituzionale e argomentativa le istanze provenienti dai giudici comuni, agendo quale « miglior possibile veicolo di senso per la tradizione giuridica e per i principi costituzionali dell’ordinamento nazionale nel dibattito sovranazionale » (62).

Una scelta che — nel complesso — si lascia senz’altro preferire, se non altro al fine di assicurare una maggiore eguaglianza e certezza di soluzioni in ordine alla penetrazione della norma europea nell’ordinamento interno (63), evitando, al contempo, composizioni di interessi estemporanee e a macchia di leopardo, rimesse alla mera discrezionalità del singolo giudice, inevitabilmente foriere di una caoticità applicativa che non pare giustificabile alla luce del solo orientamento in bonam partem della soluzione opzionata (64).

5. Passione punitiva e funzione di garanzia dei gatekeepers istituzionali. — Il lungo percorso di progressiva ascensione del principio di proporzionalità sanzionatoria ha nell’ultimo periodo conosciuto diversi slanci di decisiva importanza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, assurgendo sempre maggiormente al ruolo di topos privilegiato per vagliare la legittimità costituzionale delle scelte sanzionatorie operate dal legislatore.

In questo itinerario si inserisce, da ultimo, anche la sentenza n. 46 del 2024 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 646, primo comma, c.p., come modificato dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, nella parte in cui prevedeva la pena minima di due anni di reclusione per il delitto di appropriazione indebita. Un innalzamento del minimo edittale — in contrasto con il dato di comune esperienza dell’eterogeneità di condotte dotate di disvalore assai differenziato potenzialmente abbracciate dalla fattispecie incriminatrice — che la Corte ha ritenuto sprovvisto di qualsiasi plausibile giustificazione e, già solo per questa ragione, costituzionalmente illegittimo. Nonostante il legislatore goda di ampia discrezionalità « nella definizione della propria politica criminale, e in particolare nella determinazione delle pene applicabili a chi abbia commesso reati, così come nella stessa selezione delle condotte costitutive di reato » (65) — rammenta la Corte — tale « discrezionalità non equivale ad arbitrio. Qualsiasi legge dalla quale discendano compressioni dei diritti fondamentali della persona deve potersi razionalmente giustificare in relazione a una o più finalità legittime perseguite dal legislatore; e i mezzi prescelti dal legislatore non devono risultare manifestamente sproporzionati rispetto a quelle pur legittime finalità » (66). Il controllo sul rispetto di detti limiti spetta, appunto, alla Corte costituzionale che — prosegue ancora la sentenza — « è tenuta ad esercitarlo con tanta maggiore attenzione, quanto più la legge incida sui diritti fondamentali della persona. Il che paradigmaticamente accade rispetto alle leggi penali, che sono sempre suscettibili di incidere, oltre che su vari altri diritti fondamentali, sulla libertà personale dei loro destinatari » (67).

Considerazioni non dissimili paiono valere anche quando — come nel caso di specie — in gioco non vi sia la sola libertà personale — già compressa dal severo apparato detentivo previsto per le fattispecie di aggiotaggio e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza — ma anche il patrimonio, inteso non solo nella sua dimensione minimale e statica, di complesso di beni a disposizione dell’individuo, ma, prima e più in alto, nella sua proiezione personologica e dinamica, quale insieme dei rapporti suscettibili di valutazione economica funzionali alla piena realizzazione esistenziale della persona.

La recente ordinanza del Giudice di legittimità, allora, offre alla Corte la possibilità di avanzare ulteriormente nel virtuoso percorso di consolidamento ermeneutico delle capacità performative del principio di proporzionalità sanzionatoria che, liberato dai vincoli schematici di un inquadramento rigidamente triadico, pare permettere al meglio un sindacato vigile e penetrante sulle scelte punitive intrinsecamente e manifestamente irragionevoli.

Nella consapevolezza che in una stagione oramai tristemente nota di populismo penale (68) e di passione punitiva (69) — anche rispetto al patrimonio, la cui capacità di orientamento delle scelte di politica criminale è oggi talmente rilevante da aver spinto la dottrina a parlare di un’età dei proventi (the age of proceeds) (70) —, il necessario spazio contro-maggioritario di verifica delle scelte sanzionatorie non può rimane completamente disarmato, ma, al contrario, necessita di gatekeepers istituzionali sempre maggiormente sensibili alle ragioni di valore sottese alla tutela delle garanzie individuali e dei diritti fondamentali della persona.

(*) Dottorando di ricerca in Diritto Penale presso l’Università di Bologna.

(1) Mutuando l’efficace espressione utilizzata da F. Consulich, La matematica del castigo. Giustizia costituzionale e legalità della pena nel caso dell’art. 73 comma 3 d.p.r. n. 309 del 1990, in Giur. cost., 2019, 1231 ss.

(2) F. Consulich, ibidem.

(3) Sul punto, tra i molti, cfr. quantomeno le osservazioni di D. Pulitanò, La misura delle pene, fra discrezionalità politica e vincoli costituzionali, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2, 2017, 49; M. Donini, Per una concezione post-riparatoria della pena. Contro la pena come raddoppio del male, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1174 ss.; F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Giappichelli, 2021, 160 ss., 164 ss.; F. Palazzo, Offensività e ragionevolezza nel controllo di costituzionalità sul contenuto delle leggi penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 374 s.; M. Pelissero, Il principio di proporzionalità (non sproporzionalità) delle pene): recenti sviluppi e impatto anomalo delle fonti eurounitarie sul principio di legalità delle pene, in Dir. pen. proc., 2023, 1364 s.

(4) Imprescindibile il rinvio a F. Von Liszt, Der Zweckgedanke im Strafrecht (1882), trad. it., La teoria dello scopo nel diritto penale, (a cura di) A.A. Calvi, Giuffrè, 1962.

(5) In una letteratura vastissima, cfr. quantomeno C. Roxin, Sinn und Grenzen staatlicher Strafe, in Jus, 1966, 377 ss.; Id., Zur Problematik des Schuldstrafrechts, in ZStrW, 1984, 641 ss.; Id., Che cosa resta della colpevolezza nel diritto penale?, in Id., Politica criminale e sistema del diritto penale (a cura di S. Moccia), Edizioni Scientifiche Italiane, 1998, 149 ss.; G. Jakobs, Schuld und Prävention, Mohr, 1976; T. Padovani, Teoria della colpevolezza e scopi della pena. Osservazioni e rilievi sui rapporti fra colpevolezza e prevenzione con riferimento al pensiero di Claus Roxin, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 798 ss.; G. Fiandaca, Considerazioni su colpevolezza e prevenzione, ivi, 836 ss.; R. Bartoli, Colpevolezza: tra personalismo e prevenzione, Giappichelli, 2005; L. Monaco, Prospettive dell’idea dello “scopo” nella teoria della pena, Jovene, 1984, 67 ss. Per un recente inquadramento “antagonistico” fra colpevolezza e proporzionalità cfr. W. Frisch, Principio di colpevolezza e principio di proporzionalità, in Riv. trim. dir. pen. cont., 3-4, 2014, 164 ss.

(6) Un’istruttiva panoramica in G. Dodaro, Uguaglianza e diritto penale. Uno studio sulla giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, 2012, passim e ptc. 139 ss.

(7) Imprescindibile il rinvio a F. Palazzo, Offensività e ragionevolezza, cit., 374 s. che autorevolmente rileva come « la Corte può individuare tutte i fattori che hanno concorso all’opzione legislativa sulla misura della pena, e può altresì ridisegnare il loro intreccio e la ponderazione della loro diversa e reciproca incidenza, ma non potrà mai razionalizzare in termini rigidi la loro ‘traduzione quantitativa’, l’espressione numerica che essi assumono nel quantum di pena comminato. E anche quando il giudizio sulla misura della pena viene circoscritto al pur centrale parametro della proporzione tra disvalore del bene e del fatto ed entità della risposta sanzionatoria, l’eterogeneità delle grandezze a confronto rende pressoché indispensabile cercare di razionalizzare il giudizio attraverso l’uso del tertium comparationis. In sostanza il giudizio sulla misura della pena è un giudizio per forza di cose relativo e non già assoluto ».

(8) In argomento cfr. le riflessioni di M. Cartabia, Ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in A. Giorgis – E. Grosso – J. Luther (a cura di), Il costituzionalista riluttante. Scritti per Gustavo Zagrebelsky, Einaudi, 2016, 463 ss. e, già prima sulla distinzione tra irrazionalità, irragionevolezza e ingiustizia della legge, G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Il Mulino, 1977, 26 ss. Sul tema v. anche le considerazioni di A. Merlo, Considerazioni sul principio di proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1427 ss.

(9) Come osservato da F. Viganò, La proporzionalità della pena, cit., 116 ss. un primo fondamentale problema che si frappone sulla strada della ricostruzione di una teoria generale della proporzionalità della pena concerne i precisi termini della relazione di “proporzionalità”. In effetti, un giudizio di proporzionalità di tutte le misure che limitano diritti fondamentali — tra cui, evidentemente, la pena — può essere anzitutto svolto — e viene di solito effettuato — ponendo in relazione l’intensità della limitazione, da un lato, e la finalità perseguite da tale limitazione dell’altro. Un tale modulo di giudizio presenta uno sguardo tutto orientato al futuro, secondo la logica del punitur ne peccetur, anziché del quia peccatum est. Ben diverso è, invece, il giudizio che àncora la proporzione della pena non già alle finalità perseguite dal legislatore attraverso la medesima, bensì alla gravità del reato commesso. Si tratta, in effetti, di un modulo di giudizio dalla natura essenzialmente retrospettiva, guardando al fatto di reato già commesso ed eventualmente al suo contenuto di colpevolezza — di rimproverabilità soggettiva — che affonda le proprie radici concettuali nello sguardo rivolto al passato tipico del quia peccatum est.

(10) Sul punto cfr. F. Palazzo, L’illegittimità costituzionale della legge penale e le frontiere della democrazia, in Leg. pen., 18 marzo 2020, 4 ss.

(11) Cfr., sul tema, le puntuali notazioni di N. Recchia, La proporzione sanzionatoria nella triangolazione tra giudici comuni, Corte costituzionale e Corte di Giustizia, in Quad. cost., 2022, 875 s.

(12) Secondo il lessico utilizzato da V. Manes – V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Giappichelli, 2019, 7, 316.

(13) Per un originale duplice inquadramento dei diritti fondamentali della persona, come oggetto della tutela penale e come limite alla tutela penale, cfr. le istruttive riflessioni di F. Viganò, Diritto penale e diritti della persona, in Sist. pen., 13 marzo 2023.

(14) A partire, è noto, dalla fondamentale decisione Corte costituzionale, 10 novembre 2016, n. 236 in Giur. cost., 2016, 2092 ss. con nota di V. Manes, Proporzione senza geometrie, ivi, 2105 ss. Sulla decisione, cfr. anche F. Viganò, Un’importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2, 2017, 61 ss.; E. Dolcini, Pene edittali, principio di proporzione, funzione rieducativa della pena: la Corte costituzionale ridetermina la pena per l’alterazione di stato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1956 ss.; E. Cottu, Giudizio di ragionevolezza e vaglio di proporzionalità della pena: verso un superamento del modello triadico?, in Dir. pen. proc., 2017, 473 ss.; P. Insolera, Controlli di costituzionalità sulla misura della pena e principio di proporzionalità: qualcosa di nuovo sotto il sole?, in Ind. pen., 2016, 174 ss. Gli approdi concettuali raffinati per la prima volta in tale decisione sono, poi, stati ulteriormente sviluppati da Corte costituzionale, 5 dicembre 2018, n. 222 — a commento della quale si vedano, ex multis, R. Bartoli, Dalle “rime obbligate” alla discrezionalità: consacrata la svolta, in Giur. comm., 2018, 2566 ss.; P. Pisa, Pene accessorie di durata fissa e ruolo “riformatore” della Corte costituzionale, in Dir. pen. proc., 2019, 126 ss.; A. Galluccio, La sentenza della Consulta su pene fisse e “rime obbligate”: costituzionalmente illegittime le pene accessorie dei delitti di bancarotta fraudolenta, in Arch. dir. pen. cont., 10 dicembre 2018 — e dalla successiva giurisprudenza costituzionale. Per una precisa ricostruzione di tali “movimenti tellurici” nella giurisprudenza del Giudice delle leggi, cfr. V. Manes, Introduzione ai principi costituzionali in materia penale, Giappichelli, 2023, 207 ss.; F. Valente Bagattini, Proporzionalità della pena: la Corte torna a valorizzare il tertium comparationis, in Dir. pen. proc., 2023, 421 ss.

(15) Principio che — come è ampiamente noto — permea l’intero tessuto costituzionale, a tal punto da rappresentare « l’essenza della civiltà giuridica » e il « paradigma della scienza giuridica ». In questi termini, rispettivamente, E. Cheli, Lo stato costituzionale. Radici e prospettive, Editoriale Scientifica, 2006, 26 e D. Pulitanò, Ragionevolezza e diritto penale, Editoriale Scientifica, 2012, 28 ss.

(16) In questi termini, M. Cartabia, Ragionevolezza e proporzionalità, cit., 463.

(17) Sulla nozione di matière pénale, cfr. F. Mazzacuva, Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Giappichelli, 2017; L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Giappichelli, 2018; C. Perini, La legittimazione della norma criminale. Gli statuti di garanzia della penalità nella svolta di fine millennio, Anthelios, 2018.

(18) A sua volta interessato da una costante « espansione assiologica », tanto da conquistare « una posizione di preminenza all’interno della tradizionale teoria della polifunzionalità della pena », come autorevolmente rilevato da F. Palazzo, L’illegittimità costituzionale della legge penale, cit., 4.

(19) In argomento, cfr. le osservazioni di N.M. Maiello, Confisca urbanistica e proporzionalità: una occasione perduta per un possibile restauro costituzionale, in Dir. pen. proc., 2021, 33 ss. e ptc. 39 s. che rimarca l’opportunità di ancorare, nel campo delle sanzioni non formalmente penali, il sindacato di proporzionalità sanzionatoria alla lettura sinergica dell’art. 3 Cost. in combinato disposto con la norma costituzionale che presidia il diritto fondamentale inciso dell’intervento statale, sottolineando — tra l’altro — la residualità che l’art. 117, comma 1, Cost. riveste nella impostazione di una questione di legittimità costituzionale, utilizzabile in supporto argomentativo al parametro interno violato, a condizione che il riferimento ad entrambi i metri — interno e convenzionale — si sviluppi secondo la medesima « proiezione garantista ». Sul punto, cfr. le riflessioni di V. Manes – V. Napoleoni, La legge penale illegittima, cit., 315.

(20) Sulla distinzione tra valenza argomentativa e capacità dimostrativa dei principi cfr., per tutti, V. Manes, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Giappichelli, 2005, passim e ptc. 213 ss., 230 ss.; M. Donini, Teoria del reato. Una introduzione, CEDAM, 1996, 25 ss.; Id., voce Teoria del reato, in Dig. Disc. Pen., XIV, Torino, 1999, 234; Id., Ragioni e limiti della fondazione del diritto penale sulla Carta costituzionale. L’insegnamento dell’esperienza italiana, in Foro it., 2001, V, 29 ss.; Id., Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in Riv. trim. dir. pen. cont., 4, 2013, 4 ss.

(21) In questi termini, V. Manes, Proporzione senza geometrie, in Giur. cost., 2016, 2110.

(22) In effetti è stato osservato come « gli apprezzamenti sulla proporzione della norma non possono prescindere dalla comparazione con fattispecie analoghe, dal momento che proporzione è un concetto relativo e comparativo ». Così, G. Dodaro, Uguaglianza e diritto penale, cit., 356, ma sul tema cfr. anche G. Scaccia, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Giuffrè, 2000, 107. Sottolineano, con vari accenti, il peso del fattore comparativo nel sindacato di “proporzionalità intrinseca” anche D. Pulitanò, La misura delle pene, cit., 53; A. Morrone, Suprematismo giudiziario. Su sconfinamenti e legittimazione politica della Corte costituzionale, in QuadCost., 2019, 267; R. Bartoli, La Corte costituzionale al bivio tra “rime obbligate” e discrezionalità? Prospettabile una terza via, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2, 2019, 139 ss.; F. Consulich, La matematica del castigo, cit., 1234 ss.; G. Amarelli, Proporzionalità e tertium comparationis: la maggiore onerosità dell’oblazione tardiva ambientale rispetto a quella antinfortunistica non è irragionevole, in Giur. Cost., 2019, 936 s.; F. Mazzacuva, Il principio di proporzionalità delle sanzioni nei recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale: le variazioni sul tema rispetto alla confisca, in Leg. pen., 7 dicembre 2020, 8.

(23) Come rilevato da V. Manes, Proporzione senza geometrie, cit., 2110 s.

(24) Al di là della generale — e a tratti comune — vocazione funzionale al recupero dei vantaggi illeciti, difatti, è ampiamente nota la difficoltà che l’interprete incontra nel tentativo di razionalizzare le diverse forme di confisca presenti nell’ordinamento, risultando l’istituto sempre più « teleologicamente ambiguo e dogmaticamente apolide ». In questi termini, V. Manes, L’ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1261. A ben vedere, già in tempi vicini alla codificazione, in dottrina sono emerse ricostruzioni contrastanti in merito alla reale finalità della misura. Alle tesi di chi, facendo leva sulla Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, ne difendeva una natura autenticamente preventiva, legata ad un’idea di pericolosità “relazionale” della res che, qualora lasciata nella disponibilità del reo, verrebbe a costituire per lui un incentivo a commettere ulteriori illeciti, secondo l’idea che « dalle cose la pericolosità passa al soggetto », si opponevano le ricostruzioni tese ad evidenziare il carattere essenzialmente repressivo dell’istituto, dimostrato dal fatto che ad esso « non si applicano le norme proprie delle misure di sicurezza ogni qualvolta per un qualsiasi effetto giuridico debba prendersi in considerazione la pericolosità del soggetto ». Riconducibili al primo orientamento gli autorevoli rilievi di G. Bettiol, Diritto penale. Parte generale, CEDAM, 1978, 888 e di M. Massa, voce Confisca (dir. e proc. pen.), in Enc. dir., vol. VIII, Milano, 1961, 980 ss. Per l’inquadramento repressivo, cfr. soprattutto le altrettanto autorevoli osservazioni di F. Chiarotti, Sulla tutela delle persone estranee al reato in materia di confisca, in Giust. pen., 1956, II, 637 ss.; G. Sabatini, La confisca nel diritto processuale penale, Jovene, 1943, 3 ss., 11; Id., Di alcune questioni in tema di confisca, in Arch. pen., 1945, II, 344. Scettico sulla qualificazione dell’istituto come misura di sicurezza anche V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, UTET, 1950, 351, secondo cui sarebbe stato meno improprio riguardare la confisca come una sanzione civile — e regolarla subito dopo la disposizione dell’art. 189 c.p. — ovvero considerarla come un provvedimento a sé stante di indole amministrativa. In argomento, più di recente, cfr. anche E. Nicosia, La confisca, le confische. Funzioni politico-criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Giappichelli, 2012.

(25) In questi termini, F. Mazzacuva, Il principio di proporzionalità delle sanzioni nei recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale, cit., 9 s.

(26) Così, sempre, F. Mazzacuva, Il principio di proporzionalità delle sanzioni nei recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale, cit., 10. Sul punto v. anche le osservazioni di V. Mongillo, Confisca proteiforme e nuove frontiere della ragionevolezza costituzionale. Il banco di prova degli abusi di mercato, in Giur. cost., 2019, 3351 ss.

(27) Cfr., ad esempio, Corte costituzionale 6 marzo 2019, n. 112 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 187-sexies d.lgs. n. 58 del 1998 nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non solo del profitto, con conseguenze gravemente sovradimensionate rispetto allo scopo di recuperare i profitti indebitamente lucrati nell’ambito dell’illecito amministrativo di insider trading.

(28) Il riferimento è, ovviamente, a CGUE, 8 marzo 2022, C-205/20, NE che, con un deciso overruling, ha ribaltato le precedenti acquisizioni sedimentate in CGUE, 4 ottobre 2018, C-384/17, Link Logistic N&N. A commento della decisione cfr. le osservazioni di F. Viganò, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell’Unione Europea: sull’effetto diretto dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta alla luce di una recentissima sentenza della Corte di Giustizia, in Sist. pen., 26 aprile 2022; M. Pelissero, Il principio di proporzionalità, cit., 1370 ss.; A. Bernardi, Il rinvio pregiudiziale in ambito penale e i problemi posti dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, in Riv. trim. dir. pen. cont., 1, 2023, 192 ss.; I. Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, Giappichelli, 2022, 175 ss.; M.G. Brancati, La pena proporzionata: viaggio tra legalità ed equità a partire dalla sentenza C-205/20, in Arch. pen., 2022, 1 ss.; P.F. Bresciani, Contro le pene eccessive: al rimedio costituzionale si aggiunge la disapplicazione europea, in Quad. Cost., 2022, 637 ss.

(29) In questo senso, cfr. le riflessioni di V. Manes, Attualità e prospettive del giudizio di ragionevolezza in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 760.

(30) Sul punto, ex multis, sia sufficiente il rinvio a Corte cost., 19 marzo 2012, n. 68.

(31) In argomento cfr., per tutti, V. Manes, I principi penalistici nel network multilivello: trapianto, palingenesi, cross-fertilization, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, 839, ss.

(32) Un giudizio che — come è noto — abbonda di impostazioni differenti, talune maggiormente declinate in termini di mera gravità oggettiva del comportamento (nell’accezione della Tatproportionalität), altre più concentrate sulla misura della colpevolezza rispetto al fatto realizzato (nell’accezione del Schuldausgleich). In argomento, diffusamente, J. Kaspar, Verhältnismäßigkeit und Grundrechtsschutz in Präventionsstrafrecht, Baden-Baden, 2014, 293 ss., F. Viganò, La proporzionalità della pena, cit., passim ma sul punto cfr. anche N. Recchia, Il principio di proporzionalità, cit., 233 nt. 331. Più in generale, per una disamina dei due diversi approcci nel giudizio di proporzionalità sanzionatoria cfr. P. Asp, Two Notions of Proportionality, K. Nuotio (a cura di), Festschrift in Honour of Raimo Lathi, Faculty of Law, 2007, 207 ss.; C. Sotis, I principi di necessità e proporzionalità della pena nel diritto dell’Unione europea dopo Lisbona, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2012, 111 ss.

(33) In questi termini, sostanzialmente, N. Recchia, Il principio di proporzionalità, cit., 233.

(34) In particolare, CGUE, 20 marzo 2018, C-537/16, Garlsson Real Estate SA e altri, § 56.

(35) Vengono a tal proposito richiamate la decisione quadro 2003/577 GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio; la decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca; la direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea e il regolamento Ue 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e confisca.

(36) Sulla decisione cfr. le osservazioni di E. Amati, Confisca “amministrativa” negli abusi di mercato limitata al solo profitto e persistenti criticità della confisca penale, in Giur. comm., 2019, 1293 ss.; V. Mongillo, Confisca proteiforme e nuove frontiere della ragionevolezza costituzionale, cit., 3343 ss.; F. Mazzacuva, Il principio di proporzionalità delle sanzioni, cit., 6 ss.; F. Prenestini, Confisca amministrativa negli illeciti di insider trading: la Corte costituzionale ne limita l’entità al solo profitto conseguito dall’autore, in Riv. soc., 2019, 1323 ss. A commento dell’ordinanza che ha sollevato la questione di costituzionalità v. G.L. Gatta, Confisca ‘amministrativa’ per l’insider trading: verso una limitazione al solo profitto? La parola alla Corte costituzionale, in attesa dell’attuazione (mancata?) della legge delega per l’adeguamento alla disciplina europea del market abuse, in Arch. dir. pen. cont., 2 maggio 2018.

(37) A ben vedere, già prima della pronuncia di accoglimento della quaestio legitimitatis, erano state sollevate — in relazione alla medesima confisca prevista per l’illecito amministrativo di insider trading — ben due precedenti questioni di costituzionalità. In relazione alla prima, la Corte — con l’ordinanza 10 giugno 2011, n. 186 —, pur prospettando una possibile rilevanza della questione, ha ritenuto inammissibile l’eccezione per l’indeterminatezza del petitum, privo dei necessari requisiti di chiarezza e univocità. In effetti l’intervento richiesto al Giudice delle leggi rimaneva « oscuro sia quanto all’oggetto che al contenuto », in quanto, sotto il primo profilo, « non era dato […] comprendere se l’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale dovesse concernere tutte le entità cui si riferisce la norma denunciata, ovvero solo il prodotto dell’illecito e i beni utilizzato per commetterlo, ovvero ancora esclusivamente tali ultimi beni. Sotto il secondo profilo, non emergeva in modo univoco se fosse stata richiesta una pronuncia ablativa, intesa a rimuovere puramente e semplicemente la speciale ipotesi di confisca in discussione, o se fosse auspicata, invece, una pronuncia a carattere additivo-manipolativo, che attribuisse — all’autorità amministrativa prima e al giudice poi — il potere di graduare la misura ablativa prevista dalla norma censurata, escludendone in tutto o in parte l’applicazione allorché essa apparisse, in concreto, sproporzionata rispetto alla gravità dell’illecito ». Con riguardo alla seconda, pur a fronte di un petitum chiaro ed univoco, la Corte — con la sentenza 15 novembre 2012, n. 252 — ha nuovamente rigettato la questione di costituzionalità, in quanto la pronuncia richiesta sarebbe risultata esorbitante rispetto ai suoi poteri. L’ordinanza di rimessione, difatti, non si limitava a richiedere alla Corte un intervento manipolativo con il quale trasformare la confisca ex art. 187-sexies d.lgs. n. 58 del 1998 da obbligatoria in facoltativa, ma sollecitava il Giudice delle leggi a « introdurre un innovativo ‘terzo regime’, a carattere intermedio (la ‘graduabilità’), a fronte del quale la discrezionalità amministrativa o giudiziale si esplicherebbe in relazione al quantum ». In altri termini, l’intervento richiesto avrebbe comportato un riconoscimento della facoltà per la Consob e per il giudice dell’opposizione di stabilire per quale parte gli strumenti finanziari — o il relativo controvalore — dovessero essere assoggettati alla misura ablativa, sulla base del parametro costituito dalla gravità in concreto della violazione. Per tali ragioni — rammenta la Corte — l’intervento richiesto avrebbe assunto il carattere di una « novità di sistema », tale da porsi « al di fuori dell’area del sindacato di legittimità costituzionale, per rimetterlo alle eventuali e future soluzioni di riforma, affidate in via esclusiva alle scelte del legislatore ». In argomento, cfr. le osservazioni di E. Amati, La confisca negli abusi di mercato al cospetto del principio di ragionevolezza/proporzione, in Arch. dir. pen. cont., 8 febbraio 2013, 3 ss.

(38) In argomento, cfr. C.R. Sunstein, One Case at a Time: Judicial Minimalism on the Supreme Court, Harvard University Press, 1999 e, più di recente, M. Massa, Minimalismo giudiziario. L’opzione per la moderazione nella giurisprudenza costituzionale, Franco Angeli, 2023.

(39) Analoghi rilievi in F. Mazzacuva, Il principio di proporzionalità delle sanzioni, cit., 5 s.

(40) Corte costituzionale 6 marzo 2019, n. 112; § 8.3.6.

(41) In argomento, cfr. le riflessioni di F. Mazzacuva, Art. 2641 c.c., in M. Franzoni – R. Rolli (a cura di), Codice civile, Giappichelli, 2018, 4293 che rimarca le venature sanzionatorie particolarmente accentuate — e, persino, « quasi simboliche » — assunte dell’ablazione degli strumenti del reato in questo ambito e la loro problematicità al cospetto del principio di ragionevolezza.

(42) Da ultimo ribadito in Cass. pen., Sez. Un., 31 gennaio 2023, n. 4145.

(43) In effetti, significative perplessità sulla natura autenticamente preventiva della confisca “generale” ex art. 240 c.p. — astrattamente coerente con la qualificazione giuridica datane dal legislatore del codice come misura di sicurezza patrimoniale — sono emerse in dottrina in considerazione, tra le altre, della difficoltà di formulare un giudizio di pericolosità rispetto al bene confiscabile dalla durata perpetua e dell’applicabilità della misura anche in caso di concessione della sospensione condizionale. Cfr., sul punto, A. Alessandri, voce Confisca nel diritto penale, in Dig. disc. pen., vol. III, Torino, 1989, 45 ss., G. Grasso, Art. 240 c.p., in M. Romano – G. Grasso – T. Padovani, Commentario sistematico del codice penale, Giuffrè, 2011, III, 606 ss.; F. Mazzacuva, Le pene nascoste, cit., 167.

(44) Cfr., sul punto, F. Palazzo, L’illegittimità costituzionale della legge penale, cit., 12.

(45) In argomento, cfr. Cfr. F. Mazzacuva, Il principio di proporzionalità delle sanzioni, cit., 6 ss.; M. Venturoli, Modelli di individualizzazione della pena, Giappichelli, 2020, 26 ss. Ma sul punto v. già le riflessioni di L. Eusebi, La pena “in crisi”, Morcelliana, 1989, 145 ss.

(46) Sul tema — ancorché in relazione al diverso principio di proporzionalità dell’ingerenza statale nel godimento di un diritto fondamentale — cfr. N. Recchia, Il principio di proporzionalità, cit., 244; G. Scaccia, Gli “strumenti” della ragionevolezza, cit., 235; E. Hilgendorf, Strafrechtspolitik und Strafverteidigung, in E. Hilgendorf – H. Kudlich – B. Valerius (a cura di), Handbuch des Strafrechts. Band I: Grundlagen des Strafrechts, C.F. Müller, 2019, 810.

(47) Cfr., ad esempio, E. Amati, La confisca negli abusi di mercato, cit., 1 s.

(48) Sul punto, anche in relazione alle ragioni del maggiore interventismo della Corte costituzionale, cfr. le riflessioni di M. Ruotolo, L’evoluzione delle tecniche decisorie della Corte costituzionale nel giudizio in via incidentale. Per un inquadramento dell’ord. n. 207 del 2018 in un nuovo contesto giurisprudenziale, in Rivista AIC, 2019, 663

(49) Da ultimo, sul punto, cfr. N. Recchia, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in materia penale ovvero della doppia pregiudizialità in action, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 1440 ss. In argomento — in relazione alle ragioni del progressivo incremento dei rinvii pregiudiziali in materia penale — cfr. le osservazioni di A. Bernardi, Il rinvio pregiudiziale in ambito penale, cit., 176 ss.

(50) In questi termini, A. Barbera, Relazione del Presidente della Corte costituzionale Professore Augusto Antonio Barbera, in federalismi.it, 20 marzo 2024, 9.

(51) In argomento, cfr. F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, in Quad. cost., 2019, 489; N. Recchia, La proporzione sanzionatoria, cit., 893. Tra l’altro, è stato osservato come, nell’ambito dei più recenti rinvii pregiudiziali della Corte costituzionale alla Corte di giustizia, il Giudice costituzionale italiano appaia interessato soprattutto a giocare un ruolo co-protagonistico e dialogico nella definizione del contenuto dei diritti fondamentali europei, offrendo « il proprio bagaglio di esperienza ed originalità alla tessitura delle “tradizioni costituzionali comuni” », anziché alla mera difesa oltranzista degli standard italiani di tutela dei diritti fondamentali rispetto a quelli europei. In questi termini, N. Recchia, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, cit., 1462.

(52) In dottrina, in effetti, erano emersi significativi dubbi in ordine alla circostanza che la Corte di giustizia potesse giocare un ruolo significativo in materia di proporzione sanzionatoria rispetto al diritto nazionale derivato. Sul tema, v., ad esempio, C. Sotis, I principi di necessità e proporzionalità della pena, cit., 119 s.; M. Gambardella, Il primato del diritto dell’Unione europea e la Carta dei diritti fondamentali: il principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria, in Cass. pen., 2021, 35.

(53) CGUE, NE, cit., § 39 ss.

(54) Sulla dimensione costituzionale del diritto fondamentale a non subire pene sproporzionate cfr. F. Viganò, La proporzionalità della pena, cit., 224 ss.

(55) CGUE, NE, cit., § 45 ss. In questa direzione anche P.F. Bresciani, Contro le pene eccessive, cit., 638 s., ma sul punto v. anche i rilievi di N. Recchia, La proporzione sanzionatoria, cit., 891.

(56) Analogamente sul punto N. Recchia, ibidem.

(57) Su tale stagione cfr. D. Tega, La Corte nel contesto. Percorsi di ri-accentramento della giustizia costituzionale in Italia, BUP, 2020, 23 ss. In argomento, cfr. anche i rilievi di A. Guazzarotti, Le controspinte centrifughe nel sindacato di costituzionalità, in Questione giustizia, 2020, 78 ss.

(58) Si veda, per tutti, Corte costituzionale ordinanza 26 gennaio 2017, n. 24. Per vari commenti della decisione, cfr. M. Ferrante, L’ordinanza della Corte costituzionale sull’affaire Taricco: una decisione «diplomatica» ma ferma, in Diritti fondamentali, 2017, 1 ss.; M. Bassini – O. Pollicino, The Taricco Decision: A Last Attempt to Avoid a Clash between EU Law and the Italian Constitution, in Verfassungsblog on matters constitutional, 28 gennaio 2017; C. Cupelli, La Corte costituzionale ancora non decide sul caso Taricco, e rinvia la questione alla Corte di giustizia, in Riv. trim. dir. pen. cont., 1, 2017, 199 ss.; C. Amalfitano, La vicenda Taricco nuovamente al vaglio della Corte di giustizia: qualche breve riflessione a caldo, in Eurojus, 29 gennaio 2017; D. Tega, Il tono dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 24/2017 e i suoi destinatari: narrowing the dialogue, in Forum Quad. Cost., 1 ss.; V. Manes, La Corte muove e, in tre messo, dà scacco a “Taricco”. Note minime all’ordinanza della Corte Costituzionale n. 24 del 2017, in Arch. dir. pen. cont., 13 febbraio 2017; F. Viganò, Le parole e i silenzi. Osservazioni sull’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale sul caso Taricco, in Arch. dir. pen. cont., 27 marzo 2017; C. Sotis, Tra Antingone e Creonte io sto con Porzia. Riflessioni su Corte costituzionale 24 del 2017 (caso Taricco), in Arch. dir. pen. cont., 3 aprile 2017; D. Pulitanò, Ragioni della legalità. A proposito di Corte Cost. n. 24/2017, in Riv. trim. dir. pen. cont., 4, 2017, 108 ss.; R. Sicurella, Oltre la vexata quaestio della natura della prescrizione. L’actio finium regundorum della Consulta nell’ordinanza Taricco, tra sovranismo (strisciante) e richiamo (palese) al rispetto dei ruoli, in Arch. dir. pen. cont., 19 aprile 2017; M. Luciani, Intelligenti pauca. Il caso Taricco torna (catafratto) a Lussemburgo, in Rivista AIC, 21 aprile 2017; R. Bin, Taricco: aspettando Godot, leggiamo Yves Bot, in Forum Quad. Cost., 13 novembre 2017.

(59) Sul tema della doppia pregiudizialità esaminata dalla precipua prospettiva penalistica cfr. quantomeno, in una vasta letteratura, S. Manacorda, ‘Doppia pregiudizialità’ e Carta dei diritti fondamentali: il sistema penale al cospetto del diritto dell’Unione europea nell’era del disincanto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 573 ss. e ptc. 600 ss.; V. Manes – V. Napoleoni, op. cit., 26 ss.

(60) Cfr. Corte costituzionale 21 febbraio 2019, n. 20; Corte Costituzionale 21 marzo 2019, n. 63; Corte costituzionale 29 marzo 2021, n. 49; Corte costituzionale 30 luglio 2021, n. 182; Corte costituzionale 4 marzo 2022, n. 54; Corte costituzionale 16 giugno 2022, n. 149; Corte costituzionale ord. 10 maggio 2019, n. 117; Corte costituzionale ord. 30 luglio 2020, n. 182; Corte costituzionale ord. 18 novembre 2021, n. 216; Corte costituzionale ord. 18 novembre 2021, n. 217.

(61) Cfr. Corte costituzionale sentenza 14 dicembre 2017, n. 269, § 5.2.

(62) Così, N. Recchia, La proporzione sanzionatoria, cit., 893. A ben vedere, proprio l’utilizzo sempre più frequente del rinvio pregiudiziale da parte dello stesso Giudice costituzionale pare strumentale ad accrescere nel giudice comune la fiducia in ordine alla bontà di rivolgersi al Giudice delle leggi per tutte le questioni che involgono la tutela multilivello dei diritti fondamentali, attesa la capacità di quest’ultimo di portare dinanzi alla Corte di giustizia le ragioni dell’ordinamento italiano e della tradizione costituzionale italiana con il massimo grado di perizia argomentativa e di autorevolezza istituzionale. In questi termini, N. Recchia, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, cit., 1460; ma sul punto v. anche le osservazioni di C. Amalfitano – M. Aranci, Mandato di arresto europeo e nuove occasioni di dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia, in Sist. pen., 25 gennaio 2022.

(63) Sul punto v. F. Palazzo, L’illegittimità costituzionale della legge penale, cit., 6. Nonostante una soluzione siffatta rischi di allungare i tempi di decisione legati all’intervento della Corte costituzionale, non è possibile negare i numerosi vantaggi — specialmente in materia penale — derivanti da questo schema, anche in relazione ad un maggiore presidio dei diritti e delle garanzie fondamentali. Sul punto cfr. V. Manes – M. Caianiello, Introduzione al diritto penale europeo. Fonti, metodi, istituti, casi, Giappichelli, 2020, 21; A. Barbera, Relazione del Presidente della Corte costituzionale, cit., 8 s. Favorevoli ad un’impostazione di questo tipo, ex multis, anche N. Recchia, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, cit., 1460 ss.; E. Amati, Dinamiche evolutive del diritto al silenzio. Riflessi sul diritto punitivo e sugli obblighi di collaborazione con le autorità ispettive e di vigilanza, Giappichelli, 2022, 73; A. Anzon Demmig, Applicazioni virtuose della nuova “dottrina” sulla “doppia pregiudizialità” in tema di diritti fondamentali (in margine alle decisioni nn. 112 e 117/2019), in Rivista AIC, 2019, 189; B. Sboro, Il lieto epilogo del dialogo tra Corti sul diritto al silenzio: note minime a margine della sentenza n. 84 del 2021, in Dir. comp., 5 luglio 2021.

(64) In argomento, cfr. le osservazioni di M. Pelissero, op. cit., 1371 ss.

(65) Cfr. Corte costituzionale 22 marzo 2024, n. 46, § 3.1.

(66) Corte costituzionale 22 marzo 2024, n. 46, ibidem.

(67) Corte costituzionale 22 marzo 2024, n. 46, ibidem.

(68) In argomento cfr., in una letteratura oramai vastissima, E. Amati, L’enigma penale. L’affermazione politica dei populismi nelle democrazie liberali, Giappichelli, 2020; Id., L’utopia della decenza. La giustizia penale ai tempi del populismo, in disCrimen, 16 aprile 2020; Id., Giustizia penale e immagine del potere. Lo “Stato nascente” delle ideologie penalistiche autoritarie, in R. Acquaroli – E. Fronza – A. Gamberini (a cura di), La giustizia penale tra ragione e prevaricazione. Dialogando con Gaetano Insolera, Aracne, 2021, 21 ss.; G. Fiandaca, Populismo politico e populismo giudiziario, in disCrimen, 2 settembre 2018; D. Pulitanò, Populismi e penale. Sulla attuale situazione spirituale della giustizia penale, ivi, 2 settembre 2018; M. Donini, Populismo penale e ruolo del giurista, in Sist. pen., 7 settembre 2020; R. Cornelli, Contro il panpopulismo. Una proposta di definizione del populismo penale, in Riv. trim. dir. pen. cont., 4, 2019, 128 ss.; E. Amodio, A furor di popolo. La giustizia vendicativa gialloverde, Donzelli Editore, 2019 e, da ultimi e con diversità di accenti, G. Fornasari, Right to punishment” e principi penalistici. Una critica della retorica anti-impunità, Edizioni Scientifiche Italiane, 2023; G. Fiandaca, Punizione, Il Mulino, 2024; L. Ferrajoli, Giustizia e politica. Crisi e rifondazione del garantismo penale, Editori Laterza, 2024.

(69) Ben indagata dall’opera di D. Fassin, Punire. Una passione contemporanea, Feltrinelli, 2018. Una “passione” dovuta anche ad una sempre maggiore trasformazione ad opera dei media della giustizia penale in spettacolo, quasi un rituale di degradazione morale dell’individuo sacrificato sull’altare dei bisogni emotivi di punizione, strumentalmente fomentati dal circuito mediatico. In argomento, funditus, cfr. V. Manes, Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, Il Mulino, 2022 e, già prima, D. Soulez Larivière, Il circo mediatico-giudiziario, Liberilibri, 1994. Ma sul punto — in una prospettiva attenta agli effetti perversi che i media hanno nella costruzione del capro espiatorio nelle organizzazioni complesse — v. anche le riflessioni di M. Catino, Trovare il colpevole. La costruzione del capro espiatorio nelle organizzazioni, Il Mulino, 2022, ptc. 54 ss.

(70) M. Gallant, Money Laundering, Criminal Assets and the 1998 Proposed Reforms, in Journal of Financial Crime, 1999, 6, 323. In argomento, v. anche le considerazioni di V. Manes, L’ultimo imperativo della politica criminale, cit., 1259 ss.