LA RIEDUCAZIONE DEL MINORE SECONDO IL “DECRETO CAIVANO”: UNA PRIMA QUESTIONE PER LA CORTE COSTITUZIONALE – DI ETTORE GRENCI
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LA RIEDUCAZIONE DEL MINORE SECONDO IL “DECRETO CAIVANO”: UNA PRIMA QUESTIONE PER LA CORTE COSTITUZIONALE
di Ettore Grenci *
Tribunale dei minorenni di Trento, ord. 6 marzo 2024, Giudice dott. Giovanni Gallo.
Percorso di rieducazione del minore – Prevalenza del paradigma punitivo sulla finalità educative – Questione di legittimità costituzionale.
(Art. 27 bis d.P.R. n. 448 del 1988 – Artt. 3 e 31 Cost.).
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 bis d.P.R. n. 448 del 1988 (“Percorso di rieducazione del minore”) introdotto dal D.L. 15 settembre 2023, n. 123 (cd. Decreto Caivano), convertito con modificazioni dalla Legge 13 novembre 2023, n. 159, in relazione agli articoli 3 e 31 Cost.
L’ordinanza si sofferma sulla necessità che qualsiasi trattamento punitivo nei confronti di un minore è ammesso solo se è sorretto, animato e orientato da fini educativi, rilevando come il nuovo istituto introdotto con il c.d. Decreto Caivano ponga dubbi non manifestamente infondati in relazione all’art. 3 e all’art. 31 Costituzione, perché cela una “meccanica trattamentale fortemente improntata sul paradigma punitivo” anziché assicurare un approccio trattamentale fondato su dinamiche educative e riabilitative, definite dal principio personalistico e assicurate dalla multidisciplinarietà dell’Organo giudicante minorile.
The ordinance focuses on the need that any punitive treatment towards a minor is permitted only if it is supported, animated and oriented by educational purposes, noting how the new institution introduced with the so-called Caivano Decree raises doubts that are not manifestly unfounded in relation to the art. 3 and art. 31 of the Constitution, because it conceals a “treatment mechanism strongly based on the punitive paradigm” rather than ensuring a treatment approach based on educational and rehabilitative dynamics, defined by the personalistic principle and ensured by the multidisciplinarity of the Juvenile Judicial Body.
Sommario. 1. Il “Decreto Caivano”: il processo penale minorile alla prova del populismo penale. – 2. La norma oggetto della questione di legittimità costituzionale: il “percorso di rieducazione del minore” di cui all’art. 27 bis d.P.R. 448/1988. – 3. La vicenda processuale e l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale: i profili di dedotta incostituzionalità dell’art. 27 bis d.P.R. 488/1988. – 4. I precedenti della Corte Costituzionale ed i principi da essi ricavabili a sostegno della fondatezza della questione sollevata dal Giudice di Trento. – 5. Rilievi critici e conclusioni.
1. Il “Decreto Caivano”: il processo penale minorile alla prova del populismo penale. — 1.1. A distanza di soli pochi mesi dalla conversione in Legge del Decreto n. 123/2023 — al secolo noto come “Decreto Caivano” — già si avanzano dubbi sulla sua legittimità costituzionale.
Si fa riferimento alla questione di legittimità costituzionale del nuovo istituto introdotto con l’art. 27 bis del d.P.R. n. 448 del 1988 (“Percorso di rieducazione del minore”), sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Trento con ordinanza dello scorso 6 marzo 2024.
1.2. Il fatto, in realtà, non pare aver suscitato particolare stupore tra i più attenti e realisti osservatori, visto che l’intervento normativo, nel suo complesso, era stato accompagnato da molteplici commenti critici che ne rilevavano un approccio caratterizzato da un marcato populismo penale, ed al contempo segnalavano diversi profili di potenziale conflittualità con i principi costituzionali.
Ed invero, le misure introdotte con il c.d. Decreto Caivano hanno destato da subito serie perplessità da parte di molti studiosi del diritto penale minorile, oltre che di larga parte di Avvocatura e Magistratura, tutti concordi nel denunciare che le nuove norme sostanziali e processuali, più che puntare a politiche di sostegno e di carattere educativo, guardano quasi esclusivamente al versante repressivo ( 1).
Un approccio, dunque, culturalmente contrapposto a quello che aveva accompagnato le idee ispiratrici del principale strumento normativo processuale della penalità minorile, ovvero il c.d. Codice del processo per i minorenni disciplinato dal d.P.R. 448/1988. Un codice che pone al centro dell’intervento penale sui minorenni la loro personalità e la finalità rieducativa, da più parti considerato un fiore all’occhiello della nostra legislazione, tanto da aver ispirato anche la Direttiva Europea 800/16 sulle garanzie per i minori coinvolti in procedimenti penali. Un codice che ha anche dato ampia prova di buon funzionamento ed efficacia, come dimostrano non solo i dati sui reati commessi da minori nel nostro Paese, ma anche quelli sulle presenze nelle carceri minorili (l’Italia è uno dei Paesi europei con il minor tasso di criminalità e di carcerizzazione minorile).
1.3. In questo senso, non può tacersi il fatto che l’intervento normativo risente di una sorta di “peccato originario”: l’essere stato pensato e programmato prescindendo da una indagine approfondita e meditata sulla esistenza di una reale “emergenza criminalità minorile”, quanto piuttosto sull’onda emotiva di uno specifico caso di cronaca, a tal punto che il nome convenzionalmente attribuito al Decreto (Caivano) fa significativamente riferimento proprio al luogo in cui quel fatto si è verificato.
E tuttavia i numeri danno conto di ben altra realtà rispetto a tale, paventata, emergenza: nel 2023, a fronte di oltre 14.000 giovani in carico ai servizi della giustizia minorile, erano 426 (poco più del 3%) i detenuti nei 17 Istituti Penali per Minorenni d’Italia. Inoltre, i dati sui minori denunciati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia mostrano come negli ultimi dieci anni si sia assistito a un andamento oscillatorio che vede gli ultimi dati relativi al 2022 del tutto in linea con gli anni precedenti (2).
La oggettività di questi dati statistici — da cui dovrebbe derivare la rassicurante consapevolezza che nel nostro Paese non vi sia alcuna “emergenza criminalità giovanile” — ha tuttavia fatalmente ceduto il passo alla forza della suggestione, con il paradosso che la percezione collettiva dell’insicurezza si trasforma in realtà (3), anche per effetto di campagne mediatiche particolarmente aggressive ed allarmistiche. E la risposta a questa percezione è stata, ancora una volta, quella del consueto armamentario punitivo ispirato alla “tolleranza zero”, sorretto dalle ormai note parole d’ordine: più reati, più carcere!
Anche di questo nessuno si stupisce più: si tratta di una diffusa pratica — utilizzata trasversalmente dai Governi dei più disparati colori politici — di intervenire con lo strumento penale attraverso la decretazione d’urgenza, magari all’indomani di gravi fatti di cronaca, perseguendo l’illusoria ambizione di “combattere” questo o quel fenomeno attraverso l’irrigidimento degli strumenti penali, e così sempre più retrocedendo rispetto ai principi che dovrebbero caratterizzare un diritto penale liberale e costituzionale: “recedono il principio di legalità in senso sostanziale, la tipicità delle condotte punibili, la proporzionalità e ragionevolezza della pena, la sua funzione rieducativa, il divieto di irrogare, sotto le spoglie della sanzione penale, trattamenti contrari al senso di umanità. Si interviene con le armi dell’emergenza, con decreto-legge, strumento principe in questi casi. Si interviene a ridosso immediato dei fatti, talvolta perfino nel luogo in cui essi si sono compiuti” (4).
1.4. E tuttavia, questa volta, a destare particolare allarme è che tale prassi sia stata applicata ad un settore estremamente delicato, mai toccato dagli interventi emergenziali di derivazione penal-populista, ovvero quello dell’ordinamento penale dei minorenni, e soprattutto del processo penale minorile.
Come si diceva prima, il codice di procedura penale minorile, nel corso degli anni, ha dato prova di successo sia nel relegare ad effettiva extrema ratio la risposta carceraria, sia nell’abbracciare un modello educativo capace di ricondurre i giovani all’interno della società secondo la finalità propria che la nostra Costituzione assegna alla pena.
Le serie preoccupazioni derivano dalla constatazione che innestare su questo impianto normativo modifiche ed integrazioni che muovono da scelte di politica criminale totalmente diverse da quelle adottate nella sua originaria ideazione, può portare al concreto rischio di uno snaturamento del processo minorile per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.
L’ordinanza del Tribunale dei minorenni di Trento, qui in commento, pare proprio inserirsi nel solco segnato da coloro i quali hanno denunciato tali pericoli sul processo penale minorile, deducendo la illegittimità costituzionale di un istituto di nuovo conio, introdotto nel codice con l’art. 27 bis, su cui il Giudice trentino pone “dubbi non manifestamente infondati in relazione all’art. 3 e all’art. 31 Costituzione, perché cela, di fronte a un reato asseritamente commesso da un minorenne, una meccanica trattamentale fortemente improntata sul paradigma punitivo, scandita dal principio di proporzionalità, anziché assicurare un approccio trattamentale fondato su dinamiche educative e riabilitative, definite dal principio personalistico e assicurate dalla multidisciplinarietà dell’Organo giudicante minorile.”
2. La norma oggetto della questione di legittimità costituzionale: il “percorso di rieducazione del minore” di cui all’art. 27 bis d.P.R. 448/1988. — 2.1. Come noto, la norma in parola disciplina un particolare “percorso di rieducazione del minore”, ossia una nuova forma di definizione anticipata del procedimento penale, avviata su iniziativa del pubblico ministero e subordinata “alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda, sentiti i servizi minorili di cui all’articolo 6 e compatibilmente con la legislazione sul lavoro minorile, lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti no profit o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da uno a sei mesi”.
In particolare, si prevede che, una volta elaborato il programma rieducativo, il giudice, sentito il minore e l’esercente la responsabilità genitoriale, con ordinanza fissi la durata del percorso di rieducazione e sospenda il procedimento; in caso di esito positivo del percorso, pronuncia sentenza di non luogo a procedere dichiarando l’estinzione del reato, mentre in caso di valutazione negativa trasmette gli atti al p.m. per la prosecuzione del procedimento penale.
Il nuovo istituto è applicabile solo durante le indagini preliminari e soltanto “se i fatti non rivestono particolare gravità”. La “proposta” ha carattere discrezionale (il Pubblico Ministero “può notificare”), e l’arco di tempo durante il quale il percorso può svolgersi è compreso da due a otto mesi, durante il quale resta sospeso non solo il procedimento penale, ma anche il corso della prescrizione del reato.
L’esito negativo del percorso preclude il successivo ricorso all’istituto della sospensione del processo con messa alla prova ai sensi degli artt. 28 e 29 del medesimo d.P.R. 448/1988, ed al contempo è prevista la possibilità che il Pubblico Ministero presenti richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’articolo 453 c.p.p.
Tale preclusione è imposta anche nelle ipotesi di interruzione ingiustificata del percorso o rifiuto del minore di accedervi, pur prevedendosi espressamente che l’ingiustificata interruzione debba essere “valutata” in caso di successiva istanza di sospensione del processo con messa alla prova.
2.2. Prima di analizzare nel dettaglio i dubbi di legittimità costituzionale espressi dal Giudice minorile, va osservato come l’istituto introdotto con l’art. 27 bis non fosse, in realtà, tra quelli che avevano destato maggiori perplessità da parte di coloro che avevano mosso critiche al nuovo impianto normativo all’atto della discussione e dell’approvazione del Decreto Legge.
Erano infatti certamente più diffuse (e decise) le censure a quelle parti della normativa che riguardavano, ad esempio, l’introduzione di nuove misure di prevenzione (con le modifiche all’avviso orale e alla procedura di ammonimento del questore), gli interventi in materia di esecuzione penale, l’ampliamento dei presupposti per l’applicazione delle misure cautelari, ovvero l’introduzione di nuove fattispecie delittuose.
Quanto alle modifiche al d.P.R. n. 448/1988, a destare le maggiori critiche era la previsione prevista dal comma 5 bis dell’art. 28, con cui si sono esclusi dal percorso “premiale” della messa alla prova gli imputati minorenni accusati di alcuni reati considerati espressione di un maggiore gravità (omicidio aggravato, rapina aggravata, violenza sessuale, per citarne alcuni).
Tali posizioni si appuntavano sul fatto che la sospensione con messa alla prova del minore, per come ideata e realizzata dal Legislatore del codice del 1988, nel prevedere dei presupposti di ammissibilità ampi ed estremamente generici, conferiva al giudice un significativo margine di discrezionalità in ordine all’ammissione al percorso di probation, svincolando del tutto la concessione della messa alla prova dalla gravità del reato commesso. In direzione esattamente contraria invece la scelta del Legislatore con il Decreto Caivano, che, come detto, ha introdotto specifiche preclusioni relative a un catalogo di reati peraltro del tutto disomogenei tra loro, così prevedendo una presunzione assoluta di pericolosità del minore, che non avrebbe altra possibilità di recupero se non attraverso la comminatoria della sanzione carceraria.
Sul punto, tra le prese di posizione più rilevanti, si può ricordare quanto osservato dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza nel “Parere” sul disegno di Legge n. 878 avente ad oggetto la conversione del decreto Legge n. 123/2023: “Si auspica invece la soppressione della preclusione prevista dai commi 4 e 5 che escludono l’applicazione degli articoli 28 e 29 nelle fasi successive in caso di rifiuto o interruzione o esito negativo del percorso rieducativo. La possibilità di accedere alla messa alla prova nelle fasi successive del procedimento rappresenta un obbligo irrinunciabile, soprattutto con riferimento ai minorenni la cui personalità è in costruzione e che ben può maturare maggiori consapevolezze in un momento successivo. Si tratta di strumenti preziosi che mirano a garantire una reale efficacia nel tempo e che non possono essere oggetto, come anche ribadito in più contesti dalla Corte Costituzionale, di alcuna preclusione automatica (5).
Con riguardo invece al percorso di rieducazione del minorenne previsto dal nuovo articolo 27 bis, nel predetto parere si legge: “si accoglie con favore l’arricchimento del sistema di un nuovo percorso capace di mettere al centro il minore di età, con alcune precisazioni. Si suggerisce anzitutto l’anticipazione dell’intervento del giudice. Così come sarebbe opportuna la previsione della necessaria convocazione e ascolto del minorenne interessato da parte del giudice prima del deposito della richiesta, al fine di assegnare maggiori garanzie in una fase, quella delle indagini, nella quale non vi è stato un accertamento della responsabilità penale.
Se ne ricava, dunque, che nella lettura della Garante i dubbi si indirizzavano più sulle preclusioni introdotte nell’art. 28 che sul nuovo istituto dell’art. 27 bis, accolto invece “con favore”.
Ma cosa invece ha portato il Tribunale dei minorenni di Trento a ritenere che tale norma sia affetta da profili di incostituzionalità? E quali parametri della Costituzione sarebbero violati?
3. La vicenda processuale e l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale: i profili di dedotta incostituzionalità dell’art. 27 bis d.P.R. 488/1988. — 3.1. Va premesso che la vicenda processuale da cui è scaturita la questione di costituzionalità prendeva le mosse da una imputazione di minaccia aggravata commessa dal figlio minore ai danni padre. A seguito dell’interrogatorio dell’indagato, in cui egli ammetteva le proprie responsabilità, il Pubblico Ministero notificava la proposta di definizione anticipata del procedimento ex art. 27 bis d.P.R. 448/1988.
La difesa del minore chiedeva al Pubblico Ministero una proroga del termine di sessanta giorni previsto dalla norma per il deposito del programma rieducativo a cui sottoporre il giovane, per consentire di ottenere maggiori informazioni sulla sua situazione e creare un percorso adatto alle specifiche esigenze personali e familiari. Tuttavia, stante il carattere rigido del termine, il Pubblico Ministero rigettava l’istanza.
La difesa proponeva comunque un programma per l’accesso al percorso educativo del proprio assistito, che tuttavia il Giudice — fissata l’udienza — riteneva di non poter adeguatamente valutare, e ciò essenzialmente sulla base di un duplice ordine di ragioni.
Anzitutto, si osservava come non vi fossero sufficienti elementi per valutare la congruità delle ore di volontariato a perseguire quelle opportunità di crescita, maturazione e responsabilizzazione del giovane che compongono la funzione educativa del programma. Ciò evidentemente era anche il risultato della brevità del termine previsto dalla norma per l’indagine che avrebbe dovuto consegnare al Giudice tali elementi conoscitivi.
In secondo luogo, a parere del Giudice, la composizione monocratica del Tribunale prevista dalla norma rende impossibile superare tali lacune tramite l’apporto della componente non togata, chiamata ad effettuare le valutazioni in termini personalistici ed educativi del minore. In tale situazione il Giudice avrebbe potuto unicamente procedere ad una valutazione di proporzionalità tra il contenuto del programma rieducativo proposto e la tipologia e gravità dei fatti contestati, e dunque un giudizio che, così limitato: “implicherebbe una logica esclusivamente retributiva, anziché educativa, nella risposta trattamentale, contraria agli assiomi basilari del processo minorile” (6).
Sulla scorta di tali ragioni, il Giudice di Trento ha ritenuto la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 con riferimento agli artt. 3 e 31, comma 2 Cost., muovendo dall’assunto di fondo che tali criticità, lungi dal riguardare solo il caso sottoposto al suo esame, “risultano essere intrinsecamente connesse con la disciplina dettata dall’istituto delineato dall’art. 27-bis, laddove introduce nel sistema penale minorile una risposta trattamentale solo nominalmente educativa, ma che nella sostanza riesuma una funzione prettamente retributiva, determinando allo stesso tempo delle possibili disparità di trattamento” (7).
3.2. Volendo andare al cuore dei temi sollevati nella predetta ordinanza, le varie censure si fondano essenzialmente sulla irragionevole preclusione ad un’effettiva presa in carico del minore e dei suoi bisogni educativi, irragionevolezza che diviene ancora più evidente nel confronto sia con l’omologo istituto previsto per gli adulti (che invece prevede un’articolata e puntuale disciplina volta a un’effettiva presa in carico del soggetto), ed ancor di più con l’altro istituto di messa alla prova previsto e disciplinato dall’art. 28 d.P.R. 488/98.
Appare infatti irragionevole, e dunque lesivo del principio di uguaglianza, non prevedere per il rito dei minori la stessa cautela che caratterizza l’istituto della messa alla prova per i maggiorenni, atteso che la personalità in via di sviluppo necessita, semmai, di una più attenta e cauta valutazione rispetto a quella riservata a un soggetto adulto. Diversamente, si finirebbe per tradire il fine ultimo e più importante dell’intervento del Giudice minorile, ovvero quello di “porre al centro il minore e di cogliere le cause esogene ed endogene dell’atto deviante”, atteso che, come correttamente osservato dal Giudice rimettente, dietro alla commissione di un reato “possono celarsi significativi bisogni educativi, i quali esulano dall’attività di indagine penale propriamente intesa (…)”, con la conseguenza che “il procedimento penale minorile diviene lo strumento per offrire al minore un’occasione per emanciparsi dalle cause che hanno indotto l’atto deviante e solo così risultano pienamente attuati, in tutta la loro forza semantica, i precipitati costituzionali secondo cui la Repubblica protegge la gioventù ed è suo compito rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (8).
Gli scopi che tale istituto deve perseguire non possono essere “mortificati” da esigenze di celerità e razionalizzazione che devono rimanere estranee alla logica del rito minorile. Diversamente si rischia di comprimere “quegli strumenti, propri di un sapere scientifico-pedagogico, necessari ad assicurare quell’approccio personalistico indispensabile per garantire al trattamento giurisdizionale minorile la sua finalità educativa” (9).
Ed allora, prevedere il termine rigido di sessanta giorni per la presentazione del progetto educativo appare effettivamente contrastante con le esigenze di una attenta e approfondita indagine sulla personalità del minore, sul contesto socio-familiare, sull’ambiente scolastico, ovvero su tutte quelle circostanze ed interazioni che consentono di raggiungere l’obiettivo rieducativo.
3.3. Accanto a tale questione, vi è un altro profilo di dedotta incostituzionalità su cui il Giudice di Trento si è diffusamente soffermato nella ordinanza, che si salda con quanto dedotto in precedenza relativamente alla eccessiva semplificazione del procedimento: si tratta delle altre sue due fasi, ovvero l’ammissione e la valutazione conclusiva del progetto, che la norma prevede siano demandate al giudice monocratico per le indagini preliminari e non al giudice collegiale, senza peraltro che al termine del percorso sia previsto l’intervento dei servizi minorili.
Secondo il Giudice, tale scelta “riduce significativamente la possibilità di procedere mediante un giudizio a base personalistica”, aggiungendo che tale limite diviene ancor più evidente proprio ove si consideri che nella norma “non è specificato sulla base di quali elementi informativi debba essere svolto”. Inoltre, l’assenza delle figure degli esperti che compongono il collegio giudicante, e dei servizi minorili nella fase finale, impedisce di fatto “di tenere in debita considerazione l’incidenza che l’espletamento del progetto ha avuto sul percorso evolutivo del minore in relazione ai profili di crescita, maturità e responsabilizzazione. In assenza, ancora una volta, di adeguati elementi informativi, l’emissione o meno della sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato dipenderà dall’adempimento o meno da parte dell’imputato degli impegni presi a prescindere della valenza educativa che possono aver assunto nel suo percorso di crescita” (10).
Va osservato che il mancato intervento dei servizi minorili al termine del percorso pone effettivamente un problema di disparità di trattamento rispetto a quanto accade per la messa alla prova ex art. 28 D.P.R. n. 448/1988, dove è previsto l’inoltro di una relazione conclusiva ai sensi dell’art. 27, comma 5, d.lgs. n. 272/1989. Tale disparità di trattamento si pone anche rispetto alla MAP per gli adulti in fase di indagine, laddove l’art. 464 septies c.p.p. dispone che il giudice, al fine di valutare l’esito del progetto, “acquisisce la relazione conclusiva dell’ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l’imputato”.
Appare dunque condivisibile l’assunto del giudice rimettente, secondo il quale “l’assenza di una relazione, redatta a cura da un soggetto pubblico e altamente specializzato, qual è l’ufficio dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, impedisce di tenere in debita considerazione l’incidenza che l’espletamento del progetto ha avuto sul percorso evolutivo del minore in relazione ai profili di crescita, maturità e responsabilizzazione”.
In conclusione, le irragionevoli contrazioni dei tempi per un’adeguata istruttoria che porti ad un programma educativo personalizzato ed effettivamente “responsabilizzante” per il minore, l’impossibilità per il Giudice di acquisire gli elementi conoscitivi sullo stesso minore ex officio, che in ogni caso egli non potrebbe adeguatamente valutare in assenza della componente onoraria all’interno dell’organo giudicante, concretizzano, nella loro coesistenza, quelle condizioni che determinano “l’impossibilità di assicurare la portata educativa della risposta trattamentale introdotta dall’art. 27-bis, e, allo stesso tempo, larvatamente, ne riesumano la funzione retributiva” (11), risultando pertanto violati gli artt. 3 e 31 comma 2 Cost.
4. I precedenti della Corte Costituzionale ed i principi da essi ricavabili a sostegno della fondatezza della questione sollevata dal Giudice di Trento. — 4.1. La condivisione dell’impostazione di fondo della questione incidentale sollevata dal Tribunale di Trento può trovare sostengo nella giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia, più volte intervenuta per ribadire i principi generali in tema di processo penale minorile, a partire da quello espresso dall’art. 31, secondo comma Cost., in merito al quale è stato precisato che esso richiede “l’adozione di un sistema di giustizia minorile caratterizzato dalla specializzazione del giudice, dalla prevalente esigenza rieducativa, nonché dalla necessità di valutazioni, da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi individualizzate in funzione del recupero del minore deviante” (12).
Può essere altresì utile rammentare che ancora la Corte, nel giudicare legittimo l’art. 25 del d.P.R. n. 448 del 1988 (laddove esclude l’operatività nel processo penale minorile dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti), ha ritenuto che tale esclusione corrisponda “ad un ponderato bilanciamento tra le esigenze di economia processuale, che avrebbero consigliato di ammettere forme di “patteggiamento” anche nel procedimento a carico di imputati minorenni, e le peculiarità del modello di giustizia minorile adottato dall’ordinamento italiano, sorretto dalla prevalente finalità di recupero del minorenne e di tutela della sua personalità, nonché da obiettivi pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi” (13).
Ebbene, analogamente, tali esigenze possono essere ravvisate nell’ambito del percorso (ri)educativo previsto dal nuovo art. 27 bis, che ha quale precipuo scopo quello di perseguire il recupero del minore attraverso un programma pedagogico-rieducativo attraverso lo svolgimento di attività di carattere sociale.
In una sentenza ancora precedente, la Corte ha precisato altresì che “la finalità perseguita con la istituzione di un giudice specializzato per gli imputati minorenni”, aggiungendo che “Il tribunale per i minorenni — si legge nella relazione del Consiglio superiore della magistratura per il 1971 sullo stato della giustizia — fu istituito proprio perché si ritenne che il minore, spesso portato al delitto da complesse carenze di personalità dovute a fattori familiari, ambientali e sociali, dovesse essere valutato da giudici specializzati che avessero strumenti tecnici e capacità personali particolari per vagliare adeguatamente la personalità del minore al fine di individuare il trattamento rieducativo più appropriato” (14).
L’interesse del minore nel procedimento penale minorile, pertanto, “trova adeguata tutela proprio nella particolare composizione del giudice specializzato (magistrati ed esperti), e questa composizione è stata opportunamente prevista anche per il giudice dell’udienza preliminare, formato da un magistrato e da due giudici onorari, un uomo e una donna (art. 50-bis, comma 2, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 — Ordinamento giudiziario). Per la loro specifica professionalità, che assicura un’adeguata considerazione della personalità e delle esigenze educative del minore, i due esperti che affiancano il magistrato contribuiscono anche all’osservanza del principio di minima offensività, che impone di evitare, nell’esercizio della giurisdizione penale, ogni pregiudizio al corretto sviluppo psicofisico del minore e di adottare le opportune cautele per salvaguardare le correlate esigenze educative.” (15).
4.2. Sulla scorta di tali principi, la Corte ha più recentemente dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 458 del codice di procedura penale e dell’art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 448/88, nella parte in cui prevedevano che, nel processo minorile, nel caso di giudizio abbreviato richiesto dall’imputato in seguito a un decreto di giudizio immediato, la composizione dell’organo giudicante era quella monocratica del giudice per le indagini preliminari e non quella collegiale prevista dall’art. 50-bis, comma 2, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (16).
Si tratta di sentenza i cui principi possono trovare piena applicazione anche nella valutazione dei dubbi di costituzionalità espressi dal Giudice trentino sull’attuale formulazione dell’art. 27 bis d.P.R. 448/1988. Ed invero la Corte, in quella sentenza, evidenziava come gli esiti del giudizio abbreviato potessero essere i più diversi, non solo una sentenza di proscioglimento o a una sentenza di condanna, “ma anche alla sospensione del processo con messa alla prova (sentenza n. 125 del 1995) (…)e tutti richiedono la valutazione del giudice collegiale e degli esperti che lo compongono, perché è proprio per garantire decisioni attente alla personalità del minore e alle sue esigenze formative ed educative che il tribunale per i minorenni è stato strutturato nel modo che si è detto”.
Pur riguardando tale pronuncia una questione in parte diversa da quella sottoposta alla valutazione della Corte dal Giudice trentino (in quel caso l’incongruità che fosse il giudice monocratico delle indagini preliminari, in luogo del giudice collegiale, a celebrare il giudizio abbreviato), può fondatamente ritenersi che i principi espressi in quella occasione siano applicabili anche al caso in esame, posto che la questione di fondo appare la medesima: la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., per la struttura monocratica, anziché collegiale, del giudice che deve effettuare il giudizio sul percorso educativo enucleato nell’art. 27 bis, giudizio che richiede — nella fase applicativa e conclusiva — conoscenze e valutazioni che non possono prescindere da un esame sulla personalità e sulle esigenze educative del minore, con l’imprescindibile supporto degli esperti che lo affiancano e che contribuiscono all’osservanza del principio di minima offensività.
Un giudizio non dissimile da quello previsto dall’art. 28, dove la competenza è dell’organo collegiale, e dove è anche previsto l’intervento dei servizi sociali minorili, così integrandosi una evidente ed irragionevole disparità di trattamento, non potendosi invero rinvenire ragionevoli motivi per giustificare un maggior sacrificio dell’interesse del minore nella procedura prevista dall’art. 27 bis, se non una esigenza di mera celerità processuale, che in un giudizio di bilanciamento non potrà che risultare subvalente rispetto alle finalità ed esigenze sottese al rito minorile.
4.3. Che questo debba essere il risultato di un tale bilanciamento lo si ricava con ancor maggior chiarezza dalla combinata lettura ed applicazione dei principi espressi nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 1/2015 e n. 139/2020.
Si ricorderà come in quest’ultima decisione la Corte abbia ritenuto conforme ai principi costituzionali l’esclusione dell’applicazione della messa alla prova del minore nella fase delle indagini preliminari a differenza della disciplina prevista per gli adulti, motivando tale decisione sul presupposto che l’essenziale finalità rieducativa “ne plasma la disciplina in senso rigorosamente personologico, rimanendo estraneo ogni obiettivo di economia processuale”.
Tale finalità essenzialmente rieducativa della messa alla prova minorile preclude, inoltre, “un’eccessiva anticipazione procedimentale delle relative valutazioni”.
La disposizione dell’art. 28 D.P.R. n. 448/1988 che fissa nell’udienza preliminare, e quindi dopo l’esercizio dell’azione penale, il primo momento utile per la messa alla prova del minore “corrisponde ragionevolmente all’esigenza di assicurare che le relative valutazioni siano esercitate su un materiale sufficientemente definito, oltre che da un giudice strutturalmente idoneo ad apprezzarne tutti i riflessi personalistici”.
Il riferimento al “materiale sufficientemente definito” è evidentemente connesso alla adeguatezza della indagine svolta nell’ambito dell’attività dei servizi per i minorenni, come anche di tutte quelle figure professionali che consentono di “costruire” quel percorso pedagogico-riabilitativo che rappresenta il fine ultimo del processo minorile, che non può venir meno anche in una procedura semplificata come quella di cui qui si discute.
Quanto poi al “giudice strutturalmente idoneo”, anche in questa sentenza la Corte insiste sulla importanza dell’organo collegiale nella prospettiva dell’adeguata protezione della gioventù di cui all’art. 31, secondo comma Cost., rilevando come “la preminente funzione rieducativa del procedimento penale minorile trovi una fondamentale rispondenza nella particolare composizione “mista” del giudice specializzato, arricchita dalla dialettica interna tra la componente togata e quella esperta: « [è], infatti, grazie alle competenze scientifiche dei soggetti che compongono il collegio giudicante che viene svolta una corretta valutazione delle particolari situazioni dei minori, la cui evoluzione psicologica, non ancora giunta a maturazione, richiede l’adozione di particolari trattamenti penali che consentano il loro completo recupero, ponendosi, quest’ultimo, quale obiettivo primario, cui tende l’intero sistema penale minorile » (sentenza n. 310 del 2008).
Ed invero, si aggiunge, “la specializzazione del giudice minorile, finalizzata alla protezione della gioventù sancita dalla Costituzione, è assicurata dalla struttura complessiva di tale organo giudiziario, qualificato dall’apporto degli esperti laici (ordinanza n. 330 del 2003)”.
Le analogie con la questione incidentale sollevata dal Tribunale di Trento si colgono nella constatazione che l’istituto introdotto con l’art. 27 bis non è altro che una forma anticipata e semplificata di messa alla prova (tanto da essere stata definita “messa alla prova ibridizzata” (17)), con la quale condivide certamente le finalità e la centralità della valutazione della personalità del minore, elementi che le accomunano ed al contempo le distinguono rispetto ad altre forme di definizione del procedimento minorile, in cui tale valutazione, seppure necessaria, non rappresenta tuttavia l’essenza stessa dell’intervento giudiziale, ed invece concorre con valutazioni di contenuto prevalentemente oggettivo e tecnico-giuridico.
Nella messa alla prova del minore, invece, l’aspetto personologico è assolutamente centrale, sicché il contributo decisorio dei giudici esperti si rivela essenziale.
Analogamente, ciò deve essere affermato per quanto concernente il nuovo istituto della definizione anticipata del procedimento ex art. 27 bis, che ha nella valutazione della personalità del minore un aspetto decisivo, ed in questo senso solo l’assegnazione al giudice collegiale (come quello dell’udienza preliminare per la messa alla prova ex art. 28) assicura che le delicate valutazioni personalistiche implicate dall’istituto siano svolte da un organo specializzato, interdisciplinare e diversificato nel genere, pertanto idoneo ad espletarle nella piena consapevolezza di ogni aspetto rilevante della questione sottoposta al suo vaglio.
4.4. Intendiamo concludere con alcune riflessioni tratte dalle citata sentenza 139/2020, da cui abbiamo già estratto alcune delle precedenti citazioni, che certamente appaiono significative per inquadrare correttamente (e forse anche risolvere), il quesito posto dal Giudice minorile di Trento: “Ferma dunque la grande importanza della messa alla prova nel sistema di giustizia penale minorile, alle cui tipiche finalità di reinserimento sociale l’istituto corrisponde « forse più di ogni altro », come da questa Corte rimarcato con la sentenza n. 125 del 1995, resta che la misura può assolvere la sua primaria funzione rieducativa solo se disposta, a tempo debito, da un giudice strutturalmente qualificato alle necessarie valutazioni di personalità, poiché queste condizionano l’esito positivo della prova, la conseguente dichiarazione di estinzione del reato e, in ultima analisi, l’effettiva fuoriuscita del minore dal circuito penale.
5. Rilievi critici e conclusioni. — 5.1. Le osservazioni da ultimo richiamate ci consentono di poter svolgere qualche conclusivo rilievo critico alla ordinanza in commento.
Il Giudice rimettente — come più volte ricordato — ha individuato negli artt. 3 e 31 Cost. i parametri di riferimento per le censure di incostituzionalità dell’art. 27 bis d.P.R. 488/1988.
A parere di chi scrive si sarebbe potuta invocare anche la violazione del principio della finalità rieducativa della pena ex art. 27 comma 3 Cost., che appare certamente compromesso proprio in ragione delle tempistiche eccessivamente contingentate del relativo procedimento, in uno con la “inadeguatezza” del Giudice monocratico a svolgere le necessarie valutazioni sulla personalità del minore.
Tutte le censure che sono state ampiamente argomentate nella ordinanza conducono inevitabilmente a ritenere che sussista il concreto rischio che il percorso che il minore dovrebbe intraprendere non porti ad un risultato certo e rassicurante in termini di effettiva (ri)educazione, tanto più che esso si colloca in una fase procedimentale ancora embrionale, come quella delle indagini preliminari, che peraltro potrebbe creare possibili frizioni anche con l’ulteriore principio di presunzione di innocenza ex art. 27 comma 2 Cost.
Su quest’ultimo profilo, va infatti detto che se è vero che una tale regressione temporale dell’istituto consente al minore di fuoriuscire precocemente dal circuito giudiziario, è altrettanto vero che essa comporta una inevitabile, e forse eccessiva, anticipazione dell’accertamento della sua responsabilità penale, non potendosi realmente immaginare che, nella valutazione del Giudice delle indagini preliminari chiamato a decidere sul programma educativo, non vi sia una convinzione di fondo sulla sussistenza di tale responsabilità, ciò determinando inevitabili frizioni proprio con la presunzione di innocenza.
Peraltro, il programma rieducativo a cui il minore si sottopone è corredato da una serie di prescrizioni e obblighi che possono essere assimilati al concetto di “pena” in senso sostanziale, in quanto condizionanti la sua libertà personale, che verranno applicati in una fase procedimentale ordinariamente dedicata alla raccolta degli elementi probatori a carico, ma anche a discarico, assolutamente preliminare e non strutturata per valutazione e l’accertamento della responsabilità penale del minore.
Ma volendo ancora individuare possibili violazioni dell’art. 27 comma 2 Cost., sotto il profilo della finalità rieducativa del percorso ex art. 27 bis d.P.R. 488/1988, si potrà anche considerare che il Legislatore ha “dimenticato” di accompagnare tale istituto con una disposizione attuativa come quella invece prevista dall’art. 27 disp. att. per la messa alla prova di cui all’art. 28 d.P.R. 488/1988.
È invero tale norma attuativa che rende effettiva la funzione rieducativa della messa alla prova per i minorenni, laddove si prevede che i servizi minorili ministeriali e quelli socio-assistenziali degli enti locali elaborano un “progetto di intervento” personalizzato, il quale consiste in attività di “trattamento e sostegno” rieducativo che coinvolgono non solo il minore ma anche il suo contesto familiare e di vita, alle quali il giudice “può” aggiungere altre “prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa”. Da ciò deriva l’idea chiara di un “progetto” che mira in modo assolutamente prevalente a promuovere nel minore un percorso psicologico di natura rieducativa, che invece risulta del tutto assente nel nuovo istituto ex art. 27 bis, la cui idea preponderante sembra invece indirizzata a finalità meno “nobili”, quali la deflazione processuale ed il minimo dispendio di risorse dei servizi minorili, addossando per di più sulla difesa il compito di realizzare il programma e di depositarlo nel breve tempo concesso dalla norma, a cui si aggiungeranno, va da sé, le conseguenti responsabilità per eventuali ritardi.
A ciò si aggiungano le considerazioni espresse nella citata sentenza della Corte Costituzionale n. 139/2020 in relazione alla finalità rieducativa come un principio che permea tutta la trama normativa del diritto penale minorile: “Lungi dall’ostacolare il finalismo rieducativo di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. e la protezione della gioventù di cui all’art. 31, secondo comma, Cost., l’assegnazione della messa alla prova del minore al giudice dell’udienza preliminare e non anche al giudice per le indagini preliminari appare conforme a detti parametri, poiché assicura che le delicate valutazioni personalistiche implicate dall’istituto siano svolte da un organo collegiale, interdisciplinare e diversificato nel genere, pertanto idoneo ad espletarle nella piena consapevolezza di ogni aspetto rilevante.”
Da tali osservazioni della Consulta, pur formulate nel caso della messa alla prova dei minori ex art. 28 d.P.R. 448/1988, se ne ricava come la questione sulla composizione dell’organo chiamato a decidere nell’ambito della procedura ex art. 27 bis investa direttamente il principio rieducativo della pena, che avrebbe potuto essere invocato quale ulteriore parametro costituzionale di riferimento per la dedotta questione incidentale sulla costituzionalità dell’istituto di nuovo conio.
5.2. Da ultimo, a fronte di una ampia, diffusa e approfondita motivazione sulle ragioni a sostegno dei dubbi di legittimità costituzionale della norma oggetto di censura, l’ordinanza appare carente sotto il profilo dello specifico quesito che si intende proporre alla Corte Costituzionale.
L’ordinanza, invero, sembrerebbe sottendere un intervento ablativo della Corte, invocando una dichiarazione di incostituzionalità — e dunque l’eliminazione tout court — dell’art. 27 bis, in quanto ritenuto strutturalmente confliggente con i richiamati principi costituzionali.
Tale conclusione deriva anche dal fatto che il Tribunale si è diffusamente soffermato sulla impercorribilità di una interpretazione costituzionale conforme, con motivazioni che appaiono certamente condivisibili.
E tuttavia deve rilevarsi che nel caso de quo un intervento ablativo della Corte potrebbe apparire problematico, atteso che andrebbe ad eliminare integralmente un istituto che comunque può essere inquadrato in quelli favorevoli al minore, nella misura in cui introduce nell’ordinamento una nuova procedura che ha quale ricaduta conclusiva l’estinzione del reato.
Più probabile un intervento additivo, che consenta di selezionare i due profili di maggiore criticità, costituiti dal termine rigido per la presentazione del programma (eventualmente anche sancendo il suo carattere non perentorio), e dalla composizione dell’organo giudicante.
5.3. Quale sarà l’esito del giudizio di costituzionalità attivato con l’ordinanza del Tribunale per i minorenni di Trento, ciò che qui va certamente apprezzato è l’attenzione e la sensibilità per i principi e gli scopi che devono connotare il processo minorile a fronte di tentazioni efficientiste o, peggio, sanzionatorie, come tali incompatibili con i canoni costituzionali su cui si fonda il processo penale minorile, come il principio di minima offensività della risposta penale, in cui le esigenze dettate da ragioni di economia processuale devono essere necessariamente sottoposte ad un “ponderato bilanciamento” con “le peculiarità del modello di giustizia minorile adottato dall’ordinamento italiano, sorretto dalla prevalente finalità di recupero del minorenne e di tutela della sua personalità, nonché da obiettivi pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi” (18).
Ecco, quanto di più distante dalle idee di fondo che hanno ispirato e guidato il Legislatore del Decreto Caivano, i cui nervi scoperti sul piano costituzionale iniziano inevitabilmente ad affacciarsi alla vita reale dei nostri Tribunali, dove, ogni giorno, spesso nella inadeguatezza di risorse, si cercano di affrontare le fragilità e gli errori del periodo giovanile più con la forza della fiducia che con la minaccia della punizione.
(*) Avvocato del Foro di Bologna, componente dell’Osservatorio Corte Costituzionale UCPI.
(5) https://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/2023-10/parere-AS-878-DL-Caivano.pdf.
(6) Trib. Minorenni Trento – Sez. G.I.P., Ordinanza 6 marzo 2024, pag. 3.
(7) Trib. Minorenni Trento – Sez. G.I.P., Ordinanza 6 marzo 2024, pag. 3.
(8) Trib. Minorenni Trento – Sez. G.I.P., Ordinanza 6 marzo 2024, pag. 6.
(9) Trib. Minorenni Trento – Sez. G.I.P., Ordinanza 6 marzo 2024, pag. 6.
(10) Trib. Minorenni Trento – Sez. G.I.P., Ordinanza 6 marzo 2024, pag. 9.
(11) Trib. Minorenni Trento – Sez. G.I.P., Ordinanza 6 marzo 2024, pag. 7.
(12) Corte Costituzionale, Sent. n. 143/1996.
(13) Corte Costituzionale, Sent. n. 272 del 2000.
(14) Corte Costituzionale, Sent. n. 222 del 1983.
(15) Corte Costituzionale, Sent. n. 310 del 2008.