LE GARANZIE DIFENSIVE E IL GIUDIZIO DI APPELLO: LA SENTENZA DELLA CORTE EDU DAN C. MOLDAVIA (N. 2), 10 NOVEMBRE 2020 (RIC. N. 57575/2014) – DI PAOLA RUBINI
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LE GARANZIE DIFENSIVE E IL GIUDIZIO DI APPELLO: LA SENTENZA DELLA CORTE EDU DAN C. MOLDAVIA (N. 2), 10 NOVEMBRE 2020 (RIC. N. 57575/2014)
DEFENDANT’S RIGHTS AND JUDGMENT OF APPEAL: THE DECISION OF THE EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS DAN v. THE REPUBLIC OF MOLDOVA (N.2), 10 NOVEMBER 2020 (RIC. N. 57575/2014)
di Paola Rubini*
Relazione svolta il 13 marzo 2021 al corso “La tutela dei diritti umani alla luce del diritto europeo” organizzato dalla Camera Penale “G. Bellavista” di Palermo.
Sommario. 1. Cenni introduttivi – 2. Il case law esaminato dalla Corte EDU. – 3. Conclusioni.
Lo scritto esamina il percorso nella giurisprudenza europea della questione afferente alla rinnovazione della istruttoria in appello in caso di ribaltamento della sentenza di assoluzione pronunciata all’esito del giudizio di primo grado individuando gli obblighi del giudice e le relative conseguenze sul giudizio.
- Cenni introduttivi.
La Corte EDU, in numerose pronunce e oramai da svariati anni, si è occupata della complessa e delicata questione dei rapporti tra il primo e il secondo grado di giudizio. Al centro del dibattito si è posto sin da subito e indubbiamente la tematica della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello in particolare quando sia in gioco il ribaltamento (c.d. overturning) della sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice di primo grado.
Il nodo argomentativo della giurisprudenza europea, gravitante attorno all’art. 6 CEDU, si è sviluppato con riguardo alle caratteristiche della iniziativa probatoria delle parti o dell’ufficio, all’ampiezza e ai parametri di ammissibilità della prova in appello.
Nella prima sentenza Dan c. Moldavia del 5 luglio 2011, ric. n. 8999/07, la Corte EDU ha infatti affermato che «Se una Corte d’Appello è chiamata ad esaminare un caso in fatto e in diritto e a compiere una valutazione completa della questione della colpevolezza o dell’innocenza del ricorrente, essa non può, per una questione di equo processo, determinare correttamente tali questioni senza una valutazione diretta delle prove. La valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate».
In precedenza, la Corte aveva già affermato detto principio nelle sentenze Ekbatani c. Svezia del 26 maggio 1988, ric. n. 10563/83, Constantinescu c. Romania del 27 giugno 2000, ric. n. 28871/95, Popovici c. Moldavia del 2 giugno 2008, ric. n. 289/04, Marcos Barrios c. Spagna del 10 marzo 2009, ric. n. 17122/07, principio che ha condotto la Corte di Strasburgo a dichiarare la violazione dell’art. 6 § 1 CEDU nei casi in cui era stata pronunciata la condanna del ricorrente senza che fosse stata disposta la riassunzione nel giudizio di appello delle prove dichiarative qualificate come decisive ai fini del ribaltamento della sentenza di primo grado, questo perché la valutazione meramente cartolare dei verbali di prova è considerata inidonea a garantire il fair trial.
Invero, proprio il contatto diretto – ex actis, ex verbis – tra il giudice e il dichiarante viene considerato come un elemento ineliminabile dell’equo processo nei casi in cui il giudizio di secondo grado sia a cognizione piena del merito e implichi quindi a full assessment of the question con la conseguente decisione sulla innocenza dell’imputato ovvero sulla sua colpevolezza.
Le sentenze della Corte EDU successive alla prima sentenza Dan c. Moldavia sono tutte relative a casi in cui vi era stata la condanna dell’imputato a seguito di appello della parte pubblica avverso la sentenza di assoluzione in primo grado. Tra le più significative vanno ricordate Manolachi c. Romania del 5 marzo 2013, ric. n. 36605/04, Flueras c. Romania del 9 aprile 2013, ric. n. 17520/04 e Hanu c. Romania del 4 giugno 2013, ric. n. 10890/04.
Quest’ultima sentenza è interessante perché la Corte EDU motiva la violazione dell’art. 6 proprio a causa della estrema importanza del processo di rivalutazione di quelle stesse prove dichiarative ritenute insufficienti a fondare una pronuncia di condanna da parte del giudice di primo grado: «35. Nel caso di specie, la Corte di appello […] basandosi unicamente sulle deposizioni che il ricorrente e i testimoni avevano reso dinanzi al Tribunale Distrettuale, ha annullato l’assoluzione del ricorrente. Le questioni che la Corte di appello ha esaminato al fine di decidere se il ricorrente fosse colpevole erano di natura fattuale cosa che avrebbe giustificato un nuovo esame delle testimonianze soprattutto visto che era il primo tribunale a condannarlo».
Riassumendo, si può affermare che l’istituto della rinnovazione della prova in appello è conforme all’art. 6 CEDU se sia disposto di ufficio, salvo i casi in cui la prova sia irripetibile, e se riguarda non solo le prove testimoniali ma anche l’interrogatorio dell’imputato.
Dopo alterni e contrapposti orientamenti di legittimità, con la sentenza delle Sezioni Unite Dasgupta del 5 ottobre 2016, n. 27620 veniva affermato l’obbligo per il giudice di appello di rinnovare anche di ufficio l’esame delle prove dichiarative decisive già assunte in primo grado; in difetto non poteva ritenersi legittimo il ribaltamento della sentenza di assoluzione in condanna. Qualche mese dopo, le Sezioni Unite Patalano del 14 aprile 2017, n. 18620 dichiaravano che tale principio trovava applicazione anche nel giudizio abbreviato.
Singolare connessione temporale: il 29 giugno 2017 l’Italia veniva condannata per violazione dell’art. 6 § 1 CEDU nella sentenza Lorefice (ric. n. 63446/13) perché il giudice di appello aveva omesso di rinnovare l’audizione dei testimoni prima di annullare l’assoluzione di cui il ricorrente aveva beneficiato in primo grado.
Infine, il 21 dicembre 2017, dopo la Legge n. 103/2017 che ha modificato l’art. 603 c.p.p. introducendo il comma 3-bis, le Sezioni Unite Troise n. 14800 hanno stabilito che nell’ipotesi inversa di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, il giudice di appello non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive nella sentenza di condanna di primo grado. In tal caso, il giudice di appello deve fornire una motivazione adeguata e puntuale della sentenza assolutoria dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado.
- Il case law esaminato dalla Corte EDU.
Mihail Dan, dopo la sentenza del 5 luglio 2011 della Corte di Strasburgo, sempre con il patrocinio del proprio difensore Avvocato Lupu, chiedeva ai giudici moldavi di riaprire il processo, annullando le due pronunce che lo avevano dichiarato colpevole, e ciò quale strumento di adeguata riparazione a seguito della accertata violazione dell’equo processo.
La Corte Suprema moldava accoglieva la richiesta già il 22 ottobre 2012 dichiarando per l’effetto la nullità sia della sentenza della Corte di appello sia quella della Corte Suprema di Giustizia, entrambe pronunciate nel 2006, e ordinando altresì una nuova disamina del ricorso proposto dal Pubblico Ministero contro la sentenza che aveva assolto Dan in primo grado.
Ed ecco il colpo di scena: la Corte di appello di Chisinau condannava il Signor Dan dopo la rinnovazione della istruttoria, ancorché parziale, consistente nel nuovo esame dell’imputato e di tre dei sette testimoni.
La rinnovazione avvenuta in appello era però stata caratterizzata da alcune peculiarità: i tre testimoni riesaminati, tutti appartenenti alla polizia giudiziaria, oltre a confermare le precedenti dichiarazioni, avevano aggiunto alla narrazione alcune circostanze di fatto di cui non avevano fatto cenno nelle loro primigenie dichiarazioni del 2006. Un teste nel frattempo era deceduto e quindi era stata disposta la lettura delle sue dichiarazioni come pure di quelle degli altri testi non rinnovati. Infine, non era stato possibile per la Corte di appello visionare il video che documentava l’operazione di polizia perché nel frattempo era stato smarrito.
A questo punto il Signor Dan proponeva ricorso alla Corte suprema ma senza esito e quindi la sentenza di condanna veniva definitivamente confermata.
Adita la Corte EDU, il 10 novembre 2020 veniva dichiarata nuovamente la violazione dell’art. 6 § 1 sulla base di plurime argomentazioni: a) il giudice di appello è sempre tenuto ad attivarsi per esaminare i testimoni, soprattutto se decisivi, anche in assenza di specifica richiesta delle parti; b) in ogni caso quest’obbligo non viene obliterato se le parti nulla oppongono alla lettura dei verbali dei testi per i quali, pur dovendo farlo, la Corte di appello non abbia disposto la rinnovazione; c) il rispetto del fair trial implica che sia assicurata la presenza fisica e la nuova audizione effettiva dei testi; infatti la mera conferma delle dichiarazioni già rese è da considerarsi solo una rinnovazione apparente dell’istruttoria.
- Conclusioni.
La sentenza Dan c. Moldavia (n. 2) ha avuto il pregio di riportare l’attenzione su una tematica che è gravida di conseguenze per il giudice di appello che non si adoperi per rendere effettiva la rinnovazione della prova nell’ambito di un vero e proprio giudizio di merito.
Un altro dato importante è che l’impulso di parte non è necessario. Ogni volta che il giudice di secondo grado abbia dei dubbi sulla credibilità di un testimone e questo sia decisivo ne va disposta la riaudizione rispettando i principi dell’oralità e della immediatezza.
È parimenti evidente che spetterà al giudice, prima di dichiarare la inattendibilità di un teste che in primo grado era stato invece ritenuto credibile, comparare le dichiarazioni rese in precedenza con quelle rinnovate motivando in modo approfondito sulle ragioni dell’overturning deciso in appello.
*Avvocato del Foro di Padova, componente della Giunta dell’Unione Camere Penali, delegato per l’Osservatorio Europa UCPI