RECENTI SVILUPPI LEGISLATIVI E GIURISPRUDENZIALI IN MATERIA DI MANDATO DI ARRESTO EUROPEO – DI ANDREA VENEGONI
VENEGONI – RECENTI SVILUPPI LEGISLATIVI E GIURISPRUDENZIALI IN MATERIA DI MANDATO DI ARRESTO EUROPEO.PDF
di Andrea Venegoni*
Negli ultimi anni sono intervenute alcune importanti novità in materia di mandato d’arresto europeo, con particolare riguardo alla procedura “passiva” di consegna. Le novità, tanto a livello europeo, quanto a livello nazionale, sono riconducibili a interventi normativi e a pronunce dei rispettivi organi giurisdizionali (Corte di giustizia e Corte di cassazione), che hanno chiarito alcuni aspetti di cui, oggi, occorre tenere conto. È altresì in corso l’iter di approvazione del decreto legislativo di modifica della legge n. 69/2005: ulteriori rilevanti novità si annunciano, quindi, nella normativa italiana di riferimento.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Novità recenti a livello dell’Unione Europea. 2.1. Interventi legislativi. 2.2. Pronunce della Corte di giustizia. – 3. Novità a livello nazionale. 3.1. Novità legislative. 3.2. La giurisprudenza della Corte di cassazione. – 4. Prospettive future: la nuova normativa di attuazione della delega della legge n. 117 del 2019.
- Introduzione[1].
L’utilizzo del mandato di arresto europeo è ormai entrato nella pratica quasi quotidiana degli uffici giudiziari italiani, come attestato dalla numerosa giurisprudenza in materia, per cui ci si può esimere dal soffermarsi sugli aspetti generali dell’istituto previsto dalla decisione quadro 2002/534/GAI, recepita in Italia con la legge n. 69 del 2005.
Solo come base di partenza della presente analisi, e ricordato che il mandato di arresto europeo può essere emesso sia al fine di ottenere la consegna di una persona sulla base di un titolo emesso prima di una condanna definitiva (MAE “processuale”) sia ai fini dell’esecuzione di una pena o misura di sicurezza irrogate con sentenza definitiva (MAE “esecutivo”), può valere la pena riassumere i passi salienti della procedura relativa alla consegna, da parte dell’autorità giudiziaria italiana, di una persona sulla base del MAE, ricordando che la casistica nazionale sulla procedura “passiva” (cioè quella in cui è l’A.G. del nostro Paese che deve decidere sulla consegna richiesta da altro Stato Membro dell’UE) è di gran lunga prevalente su quella attinente alla procedura “attiva” (cioè quella in cui è l’A.G. italiana ad avere emesso il MAE).
A grandi linee, all’interno della procedura passiva occorre compiere una distinzione, a seconda che il MAE trasmesso indichi già il luogo in cui si ritiene trovarsi la persona ricercata, o meno. In questo secondo caso, infatti, il MAE non può essere trasmesso dall’autorità emittente direttamente alle autorità di un altro Stato UE, nella specie l’Italia, mancando questa informazione fondamentale, ma dovrà essere inserito nel c.d. SIS, Schengen Information System, il data-base in cui è segnalato per le polizie degli Stati dell’Unione.
Premesso che, come ricordato dalla Corte di giustizia[2], è essenziale che il MAE sia preceduto da un provvedimento nazionale, che ne costituisce il presupposto, la procedura passiva ordinaria, secondo la legge italiana, si può riassumere nei seguenti termini:
– lo Stato estero invia il MAE con allegati;
– il Presidente della Corte d’appello riunisce il collegio per valutare l’applicazione della misura cautelare (art. 9 legge 69/2005), valutando essenzialmente il pericolo di fuga;
– entro cinque giorni dall’applicazione della misura si svolge l’interrogatorio da parte del Presidente della Corte d’appello o suo delegato (art. 10);
– entro venti giorni dall’applicazione della misura si svolge l’udienza in camera di consiglio per decidere sulla consegna;
– alla richiesta si possono opporre motivi di rifiuto; al riguardo, i motivi di rifiuto previsti dalla decisione quadro si distinguono tra motivi obbligatori e facoltativi; in Italia solo nel 2019 la normativa interna ha recepito tale distinzione, perché la versione originaria dell’art. 18 della legge 69 del 2005 non la prevedeva, e solo a seguito della legge 117 del 2019 è stato introdotto l’art. 18-bis contenente i motivi facoltativi di rifiuto della consegna;
– si adotta, infine, la decisione sulla consegna, alla quale, peraltro, la persona potrebbe anche avere espresso il consenso;
– si prevede la ricorribilità in cassazione contro il provvedimento di consegna.
Quando la procedura passiva è determinata dall’esecuzione di un MAE inserito dall’autorità emittente nel SIS, per essere ignoto il luogo in cui si trova la persona ricercata, la procedura subisce la seguente lieve variante:
– la persona è direttamente arrestata dalla polizia in esecuzione del mandato inserito nel SIS (art. 11);
– entro 48 ore è messa a disposizione del Presidente della Corte d’appello;
– il presidente Corte d’appello interroga la persona e convalida l’arresto o meno (art. 13), con possibilità di adottare una misura cautelare;
– si svolge l’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla consegna.
- Novità recenti a livello dell’Unione Europea.
Negli ultimi anni, nelle varie fasi di questa procedura, che comportano una serie di valutazioni, si sono innestate alcune novità, sia a livello dell’Unione Europea, sia a livello nazionale.
Queste sono consistite, tanto nel primo quanto nel secondo caso, sia in interventi normativi, sia in pronunce dei rispettivi organi giurisdizionali (Corte di giustizia e Corte di cassazione), che hanno chiarito, precisato, specificato alcuni aspetti di cui, oggi, occorre tenere conto.
A livello dell’Unione, per chiarezza espositiva si può distinguere tra novità intervenute a livello legislativo ed a livello giurisprudenziale.
2.1. Interventi legislativi
A livello legislativo, un intervento recente, anche se non più recentissimo, è rappresentato dalla decisione quadro n. 2009/299/GAI che ha inserito nella decisione quadro del 2002, dopo l’art. 4 sui motivi facoltativi di rifiuto, l’art. 4-bis, secondo cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può altresì rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione, salvo che siano dimostrate una serie di condizioni che evidenziano che l’interessato ha avuto la possibilità concreta di difendersi ed era al corrente del procedimento a suo carico.
Si tratta di una norma che ha affrontato uno dei temi più spinosi in tema di esecuzione del MAE, cioè quello della consegna di persone condannate al termine di un processo in absentia.
Il principio espresso nell’intervento normativo si può, quindi, sintetizzando al massimo, riassumere nel concetto per cui, in linea di principio, se il titolo sul quale si fonda il MAE è frutto di un processo condotto in absentia, la consegna può essere rifiutata, a meno che non risulti che l’assenza dal processo è stata frutto di una scelta voluta e consapevole dell’imputato, e questi ha, comunque, avuto la possibilità di difesa tecnica.
Altri interventi legislativi a livello europeo intervenuti negli ultimi anni sono stati indiretti sulla disciplina del MAE, ma ugualmente rilevanti. Indiretti, perché non si sono tradotti in modifiche del testo della decisione quadro del 2002, ma hanno comunque integrato la stessa, nonché le normative nazionali di recepimento.
Si tratta, in particolare, delle nuove normative sui diritti difensivi; in particolare:
– sul diritto all’interpretazione ed alla traduzione[3],
– sul diritto all’informazione[4],
– sul diritto di avvalersi di un difensore[5],
– sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare ai processi penali[6],
– sulle garanzie procedurali per i minori[7],
– sull’amministrazione al patrocinio a spese dello Stato[8].
2.2. Pronunce della Corte di giustizia
Molto importante è stato, poi, il ruolo della Corte di giustizia nell’interpretazione della normativa, di solito in sede di rinvio pregiudiziale, attraverso il quale la Corte ha stabilito dei principi di grande rilevanza nel funzionamento del meccanismo di consegna basato sul MAE.
Come è stato notato di recente da autorevole dottrina[9], se si vuole individuare una sorta di linea direttrice sulla quale la giurisprudenza della Corte si è mossa in questi ultimi anni, si potrebbero indicare in sostanza due grandi filoni: quello rispondente all’esigenza di assicurare il funzionamento del MAE, anche rispetto alle istanze di tutela di alcuni diritti, e quello che, invece, pone più l’accento sulla tutela dei diritti fondamentali. Entrambi devono, ovviamente, essere tenuti presenti dai soggetti interessati a livello nazionale nella procedura passiva.
Efficienza del MAE.
Nel primo filone la stessa dottrina sopra citata inserisce, tra le altre, due decisioni assai rilevanti, il caso Radu[10] ed il caso Melloni[11].
Nel primo la Corte ha chiarito che le autorità giudiziarie di esecuzione non possono rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale a motivo del fatto la persona ricercata non è stata sentita nello Stato membro emittente prima dell’emissione di tale mandato d’arresto.
Il caso Melloni coinvolge, invece, il rapporto tra la normativa europea ed i principi costituzionali di uno Stato, e rappresenta quindi una sentenza molto importante sul piano dei rapporti tra normativa sovranazionale e nazionale. Il caso riguardava la Spagna e l’Italia. Il ricercato, condannato in contumacia in Italia, veniva arrestato in Spagna. La Costituzione spagnola assicura determinati diritti al condannato in contumacia, e le autorità spagnole si ponevano, quindi, il problema se poter consegnare una persona ad un Paese, emittente il MAE, che avrebbe approntato strumenti meno efficaci di quelli che avrebbe avuto in Spagna per la tutela della propria posizione. La Corte di giustizia ha chiarito che il valore dell’uniforme applicazione della normativa europea deve prevalere anche sulle norme costituzionali di uno Stato, pena il mantenimento della situazione di frammentazione dei sistemi giuridici degli Stati europei, dove ogni Stato rappresenta un mondo a sé, e l’impossibilità di costituire un’autentica area comune di giustizia penale. In particolare, ha affermato la Corte, «permettere ad uno Stato membro di valersi dell’articolo 53 della Carta per subordinare la consegna di una persona condannata in absentia alla condizione, non prevista dalla decisione quadro 2009/299, che la sentenza di condanna possa essere oggetto di revisione nello Stato membro emittente, al fine di evitare una lesione del diritto ad un processo equo e dei diritti della difesa garantiti dalla Costituzione dello Stato membro di esecuzione, comporterebbe, rimettendo in discussione l’uniformità dello standard di tutela dei diritti fondamentali definito da tale decisione quadro, una lesione dei principi di fiducia e riconoscimento reciproci che essa mira a rafforzare e, pertanto, un pregiudizio per l’effettività della suddetta decisione quadro».
Di recente, poi, la Corte si è pronunciata su una fattispecie particolare in materia di principio di specialità, affermando[12] che l’articolo 27, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro 2002/584/GAI, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, dev’essere interpretato nel senso che la regola della specialità di cui al paragrafo 2 di tale articolo non osta a una misura restrittiva della libertà adottata nei confronti di una persona oggetto di un primo mandato d’arresto europeo a causa di fatti diversi da quelli posti a fondamento della sua consegna in esecuzione di tale mandato e anteriori a tali fatti, qualora tale persona abbia lasciato volontariamente il territorio dello Stato membro di emissione del primo mandato e sia stata consegnata al medesimo, in esecuzione di un secondo mandato d’arresto europeo emesso successivamente a detta partenza ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, a condizione che, in relazione al secondo mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di quest’ultimo abbia dato il proprio assenso all’estensione dell’azione penale ai fatti che hanno dato luogo alla suddetta misura restrittiva della libertà.
Tutela dei diritti.
Ma le pronunce a favore di un rapido ed efficiente funzionamento del MAE, che si traducono evidentemente, in termini pratici, in provvedimenti favorevoli alle autorità inquirenti, non hanno impedito che la Corte rivolgesse la propria attenzione, all’interno della procedura del MAE, anche alla tutela dei diritti fondamentali.
Numerose sono divenute, specie negli ultimi anni, le decisioni in tal senso che hanno riguardato vari aspetti della procedura.
- a) Concetto di Autorità emittente.
Una serie di pronunce si è soffermata in questi ultimi anni sul concetto di “autorità emittente”; si tratta di una questione che va al di là del semplice tecnicismo del procedimento, ma investe questioni di politica organizzativa dei sistemi giudiziari dei vari Stati Membri, e quindi estremamente rilevante.
Nella sentenza nelle cause riunite Poltorak, e Kovalkovas[13], la Corte ha precisato che per “autorità emittente” del MAE non si intendono solo i giudici o organi giurisdizionali di uno Stato membro, ma, più in generale, le autorità chiamate a partecipare all’amministrazione della giustizia nell’ordinamento giuridico in questione.
In tale nozione non sono, quindi, ricompresi i servizi di polizia o gli organi del potere esecutivo di uno Stato membro, come un ministero, e gli atti emessi da queste autorità non possono essere considerati “decisioni giudiziarie”.
Nella decisione della causa C-453/16, Özçelik[14], la Corte ha chiarito che la convalida da parte del pubblico ministero di un mandato d’arresto nazionale precedentemente emesso da un servizio di polizia, e su cui si fonda il MAE, costituisce una “decisione giudiziaria”.
Nella sentenza del 12 dicembre 2019, nelle cause riunite C-566/19 PPU e C-626/19[15] PPU, il pubblico ministero francese è stato ritenuto legittimato ad emettere il MAE, in quanto autorità che partecipa all’amministrazione della giustizia, dotato di sufficiente indipendenza.
Non lo stesso è avvenuto, invece, per il pubblico ministero tedesco, nelle cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU, OG e PI e del 30 aprile 2019, causa C-509/18, PF[16], essendosi ritenuto che il suo status non dia garanzie di indipendenza per l’emissione del MAE.
Rilevante anche ai fini della questione dell’indipendenza dell’autorità emittente, e quindi della legittimità del MAE, è il tema del rispetto del rule of law nello Stato richiedente la consegna. Tale tema, peraltro, investe anche quello del rispetto dei diritti fondamentali, ed in particolare quello del giusto processo.
- b) Rifiuto per violazione dei diritti fondamentali.
Assai rilevante è, al riguardo, la decisione nel caso LM del 25.7.2018[17] sotto il profilo del collegamento tra indipendenza dell’autorità giudiziaria emittente e “giusto processo”.
Essa attiene anche alla preoccupante evoluzione del sistema giudiziario in alcuni Paesi dell’UE, dove sono state attuate negli ultimi anni riforme che hanno inciso pesantemente sull’indipendenza della magistratura. Ciò comporta, come conseguenza, un riflesso sulla possibilità che in quegli Stati possano svolgersi fair trials, e la circostanza non è senza conseguenze sul MAE, atteso che il meccanismo di consegna da esso disegnato presuppone proprio il rispetto di determinati standard in tema di tutela dei diritti fondamentali, tra i quali certamente assicurare un giusto processo alla persona consegnata.
Va detto che la prospettiva della mancanza di giusto processo nello Stato emittente, e più in generale del mancato rispetto dei diritti fondamentali, non è previsto come condizione di rifiuto di esecuzione del MAE nell’art. 3 e 4 della decisione quadro. Tuttavia, il rispetto dei diritti fondamentali è la premessa di tutte le altre disposizioni della stessa, come si ricava dal fatto che è consacrato all’art. 1 della decisione quadro, e quindi la possibilità di rifiuto della consegna per mancanza di tale requisito nello Stato emittente fa parte della stessa ratio alla base della decisione quadro.
In questo senso, nella suddetta decisione, la Corte ha chiarito che l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI deve essere interpretato nel senso che, qualora l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, disponga di elementi, come quelli contenuti in una proposta motivata della Commissione europea, adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, idonei a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente, detta autorità deve verificare in modo concreto e preciso se, alla luce della situazione personale di tale persona, nonché della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di fatto poste alla base del mandato d’arresto europeo, e tenuto conto delle informazioni fornite dallo Stato membro emittente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, come modificata, vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che, in caso di consegna a quest’ultimo Stato, detta persona corra un siffatto rischio.
Questo permette anche di dare risposte ad alcune domande sulla questione. La prima domanda, di carattere procedimentale, è su che basi le autorità dello Stato richiesto possono affermare che la consegna del ricercato allo Stato emittente lo esporrà al rischio reale di lesione dei diritti fondamentali, in particolare della mancanza di giusto processo per le riforme all’ordinamento giudiziario portate avanti in tale Stato.
Si tratta di una questione, quindi, di prova. In tal senso, la Corte chiarisce che le autorità dello Stato richiesto non devono fermarsi a notizie di carattere generale, desumibili anche da atti ufficiali quale la proposta motivata della Commissione Europea ai sensi dell’art. 7 TUE, ma, chieste anche specifiche informazioni allo Stato emittente, devono valutare la situazione alla luce delle circostanze concrete del caso singolo, riguardanti, quindi, anche la gestione dei processi contro responsabili dei reati analoghi a quello per il quale l’arrestato dovrebbe essere consegnato.
Molto rilevante è, poi, il tema del trattamento carcerario al quale la persona da consegnare dovrebbe essere sottoposta, sia in attesa del processo che per scontare la pena.
Sentenza fondamentale al riguardo è quella del 5 aprile 2016 nelle cause riunite C-404/15 e C-659/15 Aranyosi e Caldararu[18].
In essa, la Corte ha affermato che gli articoli 1, paragrafo 3, 5 e 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI devono essere interpretati nel senso che, in presenza di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati comprovanti la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione per quanto riguarda le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve verificare, in modo concreto e preciso, se sussistono motivi seri e comprovati di ritenere che la persona colpita da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, a causa delle condizioni di detenzione in tale Stato membro, corra un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in caso di consegna al suddetto Stato membro. A tal fine, essa deve chiedere la trasmissione di informazioni complementari all’autorità giudiziaria emittente, la quale, dopo avere richiesto, ove necessario, l’assistenza dell’autorità centrale o di una delle autorità centrali dello Stato membro emittente ai sensi dell’articolo 7 della decisione quadro, deve trasmettere tali informazioni entro il termine fissato nella suddetta domanda. L’autorità giudiziaria di esecuzione deve rinviare la propria decisione sulla consegna dell’interessato fino all’ottenimento delle informazioni complementari che le consentano di escludere la sussistenza di siffatto rischio. Qualora la sussistenza di siffatto rischio non possa essere esclusa entro un termine ragionevole, tale autorità deve decidere se occorre porre fine alla procedura di consegna.
Tali principi sono stati confermati più di recente nella sentenza del caso Dorobantu del 15 ottobre 2019[19].
In essa, la Corte ha precisato che la valutazione sulle condizioni di detenzione non è limitata al controllo delle insufficienze manifeste, ma l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve richiedere all’autorità giudiziaria emittente le informazioni che essa reputi necessarie e deve fidarsi, in linea di principio, delle assicurazioni fornite da quest’ultima autorità, in mancanza di elementi precisi che permettano di considerare che le condizioni di detenzione violano l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali.
Per quanto riguarda, in particolare, lo spazio personale disponibile per detenuto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, in assenza, allo stato attuale, di regole minime in materia nel diritto dell’Unione, tener conto dei requisiti minimi risultanti dall’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Se, per il calcolo di questo spazio disponibile, non si deve tener conto dello spazio occupato dalle infrastrutture sanitarie, tale calcolo deve però includere lo spazio occupato dal mobilio. I detenuti devono tuttavia conservare la possibilità di muoversi normalmente nella cella.
Peraltro, afferma ancora la Corte, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può escludere l’esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante per il solo fatto che la persona interessata disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permetta di contestare le condizioni della propria detenzione, o per il solo fatto che esistano, in tale Stato membro, misure legislative o strutturali destinate a rafforzare il controllo delle condizioni di detenzione.
La constatazione, da parte della suddetta autorità, dell’esistenza di seri e comprovati motivi per ritenere che, a seguito della sua consegna allo Stato membro emittente, la persona interessata correrà un rischio siffatto, in ragione delle condizioni di detenzione esistenti nell’istituto penitenziario nel quale è concretamente previsto che essa verrà reclusa, non può essere posta in bilanciamento, al fine di decidere su tale consegna, con considerazioni legate all’efficacia della cooperazione giudiziaria in materia penale nonché ai principi della fiducia e del riconoscimento reciproci.
Si tratta di decisioni molto importanti perché sono gli unici casi nei quali il principio del mutuo riconoscimento subisce un temperamento.
- c) Legge applicabile in caso di successione di norme nel tempo.
Sempre in tema di garanzie della persona si può inserire la sentenza con cui la Corte si è occupata del problema della legge applicabile in caso di successione di leggi nel tempo, al fine di verificare se il reato per il quale è stato emesso un mandato d’arresto europeo sia punito dallo Stato membro emittente con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà di durata massima non inferiore a tre anni. In caso di modifica della normativa tra il momento di commissione del fatto e quello della emissione del MAE, la Corte ha ritenuto che occorre prendere in considerazione la prima, e non la versione in vigore al momento dell’emissione di tale mandato d’arresto[20].
- Novità a livello nazionale.
Come già ricordato, in Italia la decisione quadro del 2002 fu recepita con la legge n. 69 del 2005. Peraltro, la modalità di recepimento fece sorgere fin dall’inizio più di un dubbio sulla piena aderenza dello strumento nazionale a quello europeo, come confermato dalla stessa Commissione Europea nei rapporti sullo stato dell’esecuzione della normativa sul MAE negli Stati.
Vari aspetti della legge n. 69 apparvero, infatti, fin da subito non in linea con la normativa europea: motivi di rifiuto superiori a quelli della decisione quadro e molto dettagliati, nessuna distinzione tra motivi di rifiuto facoltativi ed obbligatori, temperamento del principio del superamento del requisito della doppia criminalità per i trentadue reati elencati nella decisione quadro, riscrittura della suddetta elencazione di trentadue reati, richiesta di documenti molto minuziosa.
In altri termini, la normativa nazionale del 2005 è sembrata richiamare ancora, per molti versi, più i tradizionali procedimenti rogatoriali che adattarsi alla nuova procedura del nuovo strumento di consegna all’interno della UE.
La questione delle modalità di recepimento della decisione quadro del 2002, comunque, è un problema comune a tutti gli Stati Membri, come rilevato dalla Commissione nei suoi rapporti periodici sul tema. Nell’ultimo rapporto del luglio 2020[21] la Commissione ha osservato che, per quanto oggi la decisione quadro sia stata attuata in maniera soddisfacente in un numero significativo di Stati Membri, tuttavia esistono ancora problemi di conformità della normativa nazionale in alcuni di essi.
L’Italia, con le novità a livello nazionale di cui si parlerà di seguito, dovrebbe ora avere provveduto, o stare per provvedere nel prossimo futuro, ad eliminare le criticità sul tema.
3.1. Novità legislative
Negli ultimi anni molte cose sono cambiate nel nostro Paese in questo campo.
È stato riscritto, innanzi tutto, il libro XI del codice di procedura penale, tramite il d. lgs. n. 149 del 2017[22].
Lo stesso d.lgs. ha modificato l’art. 696 c.p.p. ed introdotto l’art. 696 bis c.p.p.
Il nuovo art. 696 c.p.p. sancisce la prevalenza, nei procedimenti con altri Paesi UE, del quadro normativo dell’Unione, affermando che: «Nei rapporti con gli Stati membri dell’Unione europea le estradizioni, le domande di assistenza giudiziaria internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l’esecuzione all’estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all’amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme del Trattato sull’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché dagli atti normativi adottati in attuazione dei medesimi».
L’art 696 bis c.p.p. consacra, nei rapporti con altri Stati all’interno dell’UE, il principio del mutuo riconoscimento.
La legge di delegazione europea 2018[23] ha rappresentato, poi, una legge delega per modificare alcune parti della legge 69 del 2005 e, in una parte, ha direttamente modificato la medesima, in particolare introducendo l’art. 18-bis che contiene i motivi facoltativi di rifiuto di esecuzione del MAE. Essi sono, in sintesi:
– l’esistenza di procedimento penale in Italia per lo stesso fatto;
– il fatto che il reato cui si riferisce il MAE possa considerarsi commesso anche in tutto o in parte in Italia;
– il caso in cui il MAE riguarda una pena o misura di sicurezza privativa della libertà, ed il destinatario del MAE è un cittadino italiano o cittadino di altro Stato UE con residenza o dimora in Italia, sempre che la Corte d’appello disponga che la pena o la misura siano eseguite in Italia.
Riguardo a quest’ultimo motivo, va segnalato che la Corte di cassazione, con la pronuncia della sez. 6 n. 10371 del 2020[24], ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale norma, laddove essa non prevede che quest’ultimo motivo di rifiuto possa valere anche per il cittadino di Stato extra UE con dimora o residenza in Italia.
La delega della legge n. 117 del 2019 per la modifica della legge n. 69 del 2005 è in corso di attuazione proprio in questi giorni, con una bozza di decreto legislativo su cui si tornerà in chiusura per descrivere la situazione de jure condendo.
3.2. La giurisprudenza della Corte di cassazione
La giurisprudenza della Corte di cassazione è ormai notevolmente sviluppata in materia di mandato di arresto europeo e molti aspetti, anche dettagliati, dello stesso sono stati oggetto di pronunce.
Non è possibile, quindi, in questa sede un esame completo delle decisioni della Corte di cassazione sul tema, ma può essere utile evidenziare gli aspetti più rilevanti della disciplina sui quali ultimamente la Corte ha avuto modo di esprimersi.
Essi hanno, in particolare, riguardato i temi di seguito elencati.
- a) Gli aspetti procedurali della disciplina.
Le decisioni si occupano di questioni che riguardano le varie fasi della procedura, specie “passiva”, quali la garanzia di autenticità del provvedimento cautelare, o di ogni altro atto proveniente dall’autorità estera[25]; motivazione del provvedimento cautelare in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso, cui è subordinato l’accoglimento della domanda di consegna[26]; l’omessa allegazione al mandato d’arresto europeo della relazione sui fatti addebitati alla persona di cui è richiesta la consegna[27]; la mancanza della sentenza di condanna e la necessità della sua acquisizione o meno[28]; la necessità o meno di un nuovo interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p. dell’arrestato da parte del presidente della Corte di appello o di un magistrato da lui delegato, dopo che lo stesso è stato sentito per la convalida dell’arresto nella procedura conseguente ad esecuzione di MAE inserito nel SIS[29]; l’obbligatorietà dell’arresto ad opera della P.G. della persona ricercata attraverso il sistema SIS, previsto dall’art. 11 L. n. 69 del 2005, e i presupposti per la convalida[30]; il fatto se, in caso di arresto eseguito su iniziativa della polizia giudiziaria a carico della persona ricercata il cui nominativo sia stato inserito nel SIS, la presenza della persona in udienza condizioni o meno la possibilità di convalidare l’arresto stesso[31]; la validità del consenso alla consegna prestato dall’interessato in sede di convalida dell’arresto per esecuzione del mandato di arresto europeo, ritenuto legittimo quando compiuto a seguito di una contestazione effettuata sulla base dei soli dati emergenti dalla scheda del Sistema di ricerca Integrato Schengen (SIS)[32]; le condizioni per valutare il requisito della doppia punibilità, quando richiesto[33]; i documenti che l’autorità richiedente deve produrre a sostegno della domanda di consegna[34]; l’impugnabilità o meno del decreto con cui il presidente della corte di appello, o il consigliere da lui delegato, dispone la sospensione dell’esecuzione della consegna allo Stato di emissione, ai sensi dell’art. 23, commi 2 e 3, legge 22 aprile 2005, n. 69[35]; i termini a difesa[36]; i presupposti e le valutazioni da compiere per il rinvio della consegna[37]; il luogo di presentazione del ricorso per cassazione contro il provvedimento che decide sulla consegna[38].
- b) Le misure cautelari.
In tema di misure cautelari applicate dall’A.G. italiana nella procedura passiva, tra i vari temi affrontati dalla Corte vale la pena ricordare i requisiti per valutare il pericolo di fuga[39]; questioni procedurali come il giudice competente ad emettere, in esito alla convalida dell’arresto eseguito dalla polizia giudiziaria nei casi in cui la procedura sia iniziata a seguito di esecuzione di un MAE inserito nel SIS, l’ordinanza applicativa della misura coercitiva[40]; le conseguenze in tema di omessa informazione all’arrestato o fermato, dovuta – ai sensi dell’art. 9, comma 5-bis, l. 22 aprile 2005, n. 69, introdotto dall’art. 4, comma primo, lett. h), d. lgs. 15 settembre 2016, n. 184 – da parte della polizia giudiziaria incaricata dell’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura coercitiva emessa dalla corte di appello, della facoltà di nominare un difensore nello Stato richiedente[41].
- c) Motivi di rifiuto.
Il tema affrontato più frequentemente dalla giurisprudenza sul MAE è, molto probabilmente, quello dei motivi di rifiuto della consegna.
La giurisprudenza si è confrontata con le varie situazioni previste dalla normativa nazionale, nella procedura passiva, come motivi di rifiuto.
Tra le tante, si evidenziano in questa sede: le problematiche relative all’esecuzione di un MAE basato su una decisione pronunciata in absentia[42]; la nozione di “residenza”[43]; la valutazione sul fatto che la persona consegnata non verrà sottoposta a trattamenti inumani e degradanti[44] [45] [46] [47], anche nel caso specifico in cui dal Paese richiedente venga garantito al detenuto uno spazio non inferiore a tre metri quadrati in regime chiuso, ovvero uno spazio inferiore in presenza di circostanze che consentano di beneficiare di maggiore libertà di movimento durante il giorno, rendendo possibile il libero accesso alla luce naturale ed all’aria, in modo da compensare l’insufficiente assegnazione di spazio[48] ; la valutazione sul motivo di rifiuto rappresentato dal “ne bis in idem”[49] [50] [51]; la rilevanza della mancata previsione, nella legislazione dello Stato emittente, di limiti massimi di carcerazione preventiva[52]; il fatto che la consegna metterebbe in pericolo lo stato di salute dell’interessato, su cui va detto che le condizioni di salute non sono previste, né dalla decisione quadro, né dalla legge n. 69 del 2005, come possibile causa di rifiuto della consegna[53] e tuttavia, di recente, la Corte d’appello di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli art. 18 e 18-bis legge 69 del 2005, proprio laddove gli stessi non prevedono quale motivo di rifiuto ragioni di salute che comportino, in caso di consegna, il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta[54]; il fatto che il reato sia stato commesso in parte nel territorio dello Stato[55] [56] [57] [58] ; il rifiuto della consegna se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la Corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno[59] [60], e la sua applicabilità o meno a cittadini di Stati non membri dell’Unione Europea[61], eventualmente anche radicati stabilmente in Italia; la mancanza di un doppio grado di giudizio nel Paese richiedente[62].
- Prospettive future: la nuova normativa di attuazione della delega della legge 117 del 2019.
Come già ricordato in apertura, la legge n. 117 del 2019 ha anche operato, nell’art. 6, come legge delega «per il più compiuto adeguamento della normativa nazionale alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, apportando le opportune modifiche alla legge 22 aprile 2005, n. 69».
Nell’esercizio della delega, è in corso l’iter di approvazione del decreto delegato. Il Ministero della Giustizia ha predisposto uno schema di decreto legislativo, attualmente all’esame del Parlamento[63].
Essendo tuttora in corso il percorso di approvazione, non è possibile allo stato avere certezza del testo definitivo, e quindi è opportuno rinviare un commento più specifico a quando la versione finale sarà disponibile.
Tuttavia, tra le caratteristiche dello schema di decreto appare opportuno segnalare:
– il possibile nuovo art. 1, comma 3-ter, della legge 69 del 2005, secondo il quale l’Italia non darà esecuzione ai mandati di arresto europei emessi da uno Stato membro nei cui confronti il Consiglio dell’Unione Europea abbia sospeso l’attuazione del meccanismo del mandato di arresto europeo per grave e persistente violazione dei princìpi sanciti all’articolo 6, paragrafo l, del trattato sull’Unione europea ai sensi del punto (10) dei consideranda del preambolo della decisione quadro;
– il possibile art. 2, secondo cui l’esecuzione del mandato di arresto europeo non può, in alcun caso, comportare una violazione dei principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione EDU;
– la nuova disciplina dell’esecuzione del MAE emesso a seguito di processo in absentia (art. 6 legge 69 del 2005);
– l’eliminazione delle fattispecie di reato con cui la legge n. 69 del 2005 aveva riprodotto i trentadue reati menzionati nella decisione quadro, per i quali non opera il principio di doppia incriminazione, sostituite con un diretto riferimento al testo della decisione quadro (art. 8 legge 69 del 2005);
– modifiche ai termini della procedura passiva e la specifica informazione alla persona interessata della irrevocabilità del consenso;
– la radicale riscrittura dell’art. 18 legge 69 del 2005, con la limitazione dei motivi obbligatori di rifiuto a quelli previsti dalla decisione quadro (estinzione del reato per amnistia, ne bis in idem, età minore di anni 14);
– la trasmissione con modalità telematica degli atti tra gli uffici giudiziari (art. 27-bis legge 69 del 2005).
Rilevanti novità si annunciano, quindi, nella normativa italiana in materia, e si rinvia per la loro analisi alla formazione del testo finale.
Allo stato, si può solo osservare come queste ulteriori, significative novità dimostrano ancora una volta, se ve ne fosse bisogno, la vivacità del tema ed il suo continuo evolversi, così come, in generale, la vivacità del diritto penale europeo, una materia dove norme e giurisprudenza si intrecciano e si completano come in poche altre, una materia moderna che non può non appassionare lo studioso del diritto penale.
*Magistrato, addetto all’ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione
[1] Testo elaborato dall’intervento svolto nel V corso di formazione della Scuola Superiore dell’Avvocatura e dell’Unione Camere Penali Italiane per avvocati specializzandi in diritto penale, il 21 novembre 2020.
[2] CGUE, causa C-241/15 Bob-Dogi.
[3] Direttiva 2010/64/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20.10.2010.
[4] Direttiva 2012/13/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22.5.2012.
[5] Direttiva 2013/48/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22.10.2013.
[6] Direttiva UE2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9.3.2016.
[7] Direttiva UE 2016/800 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11.5.2016.
[8] Direttiva UE 2016/1919 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’26.10.2016.
[9] V. MANES – M. CAIANIELLO, Introduzione al diritto penale europeo. Fonti, metodi, istituti, casi, Giappichelli, 2020, pag. 74 e ss.
[10] CGUE, causa C-396/11, Radu, sentenza del 29.1.2013.
[11] CGUE, causa C-399/11, Melloni, sentenza del 26.2.2013.
[12] CGUE, causa C-195/20, XC, sentenza del 24.9.2020.
[13] CGUE, cause riunite C-452/16, Poltorak, e C-477/16, Kovalkovas.
[14] CGUE, causa C-453/16, Özçelik.
[15] CGUE, cause riunite C-566/19 PPU e C-626/19.
[16] CGUE, cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU, OG e PI e del 30 aprile 2019, causa C-509/18, PF.
[17] CGUE, causa LM C-216/18 del 25.7.2018.
[18] CGUE, cause riunite C-404/15 e C-659/15 Aranyosi e Caldararu, sentenza 5.4.2016.
[19] CGUE, causa C-128/18, Dorobantu, del 15 ottobre 2019.
[20] CGUE, causa C-717/18, X, sentenza del 3.3.2020.
[21] Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’attuazione della decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati Membri, COM(2020)270 final, del 2.7.2020.
[22] D. lgs. n. 149 del 2017 in G.U., serie generale, n. 242 del 16.10.2017, entrato in vigore il 31.10.2017.
[23] Legge 4 ottobre 2019, n. 117, in GU, serie generale, n. 245 del 18.10.2019.
[24] Cass. pen., Sez. VI, n. 10371 del 2020.
[25] Cass. pen., S.U., n. 4614 del 2007.
[26] Cass. pen., S.U., n. 4614 del 2007.
[27] Cass. pen., Sez. VI, n. 26214 del 2020.
[28] Cass. pen., Sez. VI, n. 21774 del 2016.
[29] Cass. pen., Sez. VI, n. 25708 del 2011.
[30] Cass. pen., Sez. VI, n. 20550 del 2006.
[31] Cass. pen., Sez. VI, n. 24593 del 2020.
[32] Cass. pen., Sez. VI, n. 4864 del 2016.
[33] Cass. pen., Sez. VI, n. 27483 del 2017.
[34] Cass. pen., Sez. VI, n. 6758 del 2018.
[35] Cass. pen., Sez. VI, n. 20849 del 2018.
[36] Cass. pen., Sez. VI, n. 16868 del 2018.
[37] Cass. pen., Sez. VI, n. 26877 del 2017.
[38] Cass. pen., Sez. F., n. 23953 del 2020.
[39] Cass. pen., Sez. VI, n. 20550 del 2006.
[40] Cass. pen., Sez. VI, n. 40614 del 2006.
[41] Cass. pen., Sez. VI, n. 17592 del 2017.
[42] Cass. pen., Sez. VI, n. 22249 del 2017.
[43] Cass. pen., Sez. VI, n. 19389 del 2020.
[44] Cass. pen., Sez. VI, n. 15924 del 2020.
[45] Cass. pen., Sez. VI, n. 18352 del 2020.
[46] Cass. pen., Sez. VI, n. 26383 del 2018.
[47] Cass. pen., Sez. VI, n. 9391 del 2018.
[48] Cass. pen., Sez. VI, n. 5472 del 2017.
[49] Cass. pen., Sez. VI, n. 14719 del 2020.
[50] Cass. pen., Sez. VI, n. 35290 del 2018.
[51] Cass. pen., Sez. VI, n. 18872 del 2018.
[52] Cass. pen., Sez. VI, n. 2739 del 2020.
[53] Cass. pen., Sez. VI, n. 7489 del 2017.
[54] C. App. Milano, ord. 17.9.2020.
[55] Cass. pen., Sez. VI, n. 4444 del 2018.
[56] Cass. pen., Sez. VI, n. 27992 del 2018.
[57] Cass. pen., Sez. VI, n. 15866 del 2018.
[58] Cass. pen., Sez. VI, n. 5548 del 2018.
[59] Cass. pen., Sez. VI, n. 7801 del 2018.
[60] Cass. pen., Sez. VI, n. 8439 del 2018.
[61] Cass. pen., Sez. VI, n. 5225 del 2018.
[62] Cass. pen., Sez. VI, n. 931 del 2018.
[63]Consultabile in https://www.camera.it/leg18/1107?shadow_organo_parlamentare=2802&id_tipografico=02, IIa commissione Giustizia, atti del Governo sottoposti al parere della Commissione, atto n. 201.