“RULLI DI TAMBURO” DELLA CONSULTA E COERENZA GARANTISTA DELLE SEZIONI UNITE – DI LUCA MARAFIOTI
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“RULLI DI TAMBURO” DELLA CONSULTA E COERENZA GARANTISTA DELLE SEZIONI UNITE
di Luca Marafioti
Ricorrente: Calpitano L. + altri – Relatore: E. Serrao – Data udienza: 28 marzo 2024
Riferimenti normativi: Cost., art. 27; Cedu, art. 6; artt. 48 e 53 della Carta di Nizza; cod. proc. pen., artt. 129, 530, comma 2, 533, 576, 578. Ordinanza di rimessione: 30386/2023 Se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, possa pronunciare l’assoluzione nel merito, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica del “più probabile che non”. Decisione In coerenza con i principi sanciti dall’art. 27 Cost., dall’art. 6 della Cedu e dagli artt. 48 e 53 della Carta di Nizza, il giudice può pronunciare l’assoluzione nel merito alla stregua dei principi enunciati da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273. |
Sommario: 1. Proscioglimento dubitativo e art. 129 c.p.p.: questione di precedenze. – 2. Paradossi garantistici. – 3. Prerogative in appello dinanzi al tema civilistico
- Proscioglimento dubitativo e art. 129 c.p.p.: questione di precedenze.
Con ordinanza n. 30386 del 2023[1], la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione aveva rimesso la decisione del ricorso n. 78/2023 alle Sezioni Unite, in forza del disposto dell’art. 618 comma 1-bis c.p.p.[2], che impone alle Sezioni semplici di rimettere la questione a quelle Unite qualora non ne condividano l’insegnamento[3]. I giudici della Sezione semplice ritenevano, infatti, di doversi discostare dal principio di diritto a suo tempo enunciato a livello di legittimità in composizione allargata con la sentenza n. 35490/2009[4], ritenendolo in conflitto con quanto nel frattempo affermato in materia dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 182/2021[5].
Tema controverso: stabilire se il proscioglimento nel merito, nell’ipotesi di contraddittorietà o insufficienza della prova, possa o meno prevalere sulla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, allorché, in sede di appello, sia sopravvenuta una causa estintiva del reato. In discussione, pertanto, la potestà o meno di valutare merita causae con riferimento al compendio probatorio, ancorché ai fini delle statuizioni civili[6].
Il quesito è, in altri termini, se la pronunzia in discorso vada assoggettata ai canoni decisori comuni a qualsiasi decisione di merito del giudice penale, ivi compresa la regola che pretende la responsabilità provata oltre ogni ragionevole dubbio, o sia lecito slittare verso standard meno elevati.
Secondo l’informazione provvisoria[7], le Sezioni Unite hanno ribadito la risposta affermativa e più garantista al quesito, richiamandosi espressamente al proprio precedente.
In tal senso: il giudice d’appello può assolvere nel merito l’imputato, come già rilevato dalle Sezioni Unite nel 2009. In quel dictum, valorizzando il favor innocentiae, si era chiarito che «allorquando, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., il giudice d’appello – intervenuta una causa estintiva del reato – è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova».
- Paradossi garantistici.
La conclusione, sinora condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, era stata, però, minata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021.
In quell’occasione, la Consulta era stata chiamata a esprimersi sulla tenuta costituzionale dell’art. 578 c.p.p., sospettato di violare la presunzione di innocenza[8]. In odore di illegittimità la previsione che, in caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, chiama il giudice d’appello a decidere sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili. Così imponendo di formulare, sia pure solo incidentalmente e al fine di confermare la domanda risarcitoria, un giudizio implicito di colpevolezza[9].
Con interpretativa di rigetto, la Corte costituzionale aveva ritenuto non fondata la questione, all’esito di una peculiare interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’art. 578 c.p.p. Segnatamente, a parere della Consulta, nell’ipotesi di estinzione del reato per prescrizione, il giudice non sarebbe affatto chiamato a formulare un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili. Basterebbe, piuttosto, accertare unicamente se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano di cui all’art. 2043 c.c.
In quest’ottica, l’accertamento imposto dall’art. 578 c.p.p. atterrebbe ai soli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza che il giudice possa verificare in alcun modo, neppure in astratto, la responsabilità penale dell’imputato.
Cosicché, «riguardo al “fatto”, il giudice dell’impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all’imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un “danno ingiusto” secondo l’art. 2043 c.c., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno».
Nel far ciò, il giudice dovrebbe applicare, da un lato, la regola di giudizio, tipica dell’accertamento civile, del “più probabile che non” o della “probabilità prevalente” e non già quella dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”; dall’altro lato, le regole previste dal codice di rito penale per le prove nella loro interezza[10].
In una certa misura, il ragionamento dei giudici delle leggi consentiva di allentare la “tensione” tra l’art. 578 c.p.p. e la presunzione d’innocenza, tutelando a prima vista l’imputato rispetto ad eventuali ed impropri giudizi di colpevolezza “in ipotesi”. Tuttavia, quanto teorizzato dalla Corte costituzionale inevitabilmente precludeva all’imputato stesso qualsiasi possibilità di lucrare un’assoluzione nel merito, in luogo della mera declaratoria di estinzione del reato. Come interpretato dalla Consulta, l’art. 578 c.p.p. consentirebbe, infatti, al giudice di accertare unicamente l’esistenza di un fatto ingiusto dannoso rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c., escludendo, al contempo, la possibilità di mettere in discussione la rilevanza penale di quel fatto.
Di qui, il contrasto con l’impalcatura teorica costruita in precedenza dalle Sezioni Unite, imperniata su una chiara duplice visione. Per un verso, piena ed integrale cognizione del giudice dell’impugnazione; per altro verso, correlativa vincolatività delle regole di giudizio tipiche dell’accertamento penale anche nell’ipotesi di cui all’art. 578 c.p.p. Il che comportava appieno la potestà giurisdizionale di assolvere nel merito l’imputato pure in presenza di una causa estintiva del reato, ancorché ciò emergesse da un iter decisorio imboccato al diverso fine di verificare la fondatezza dell’azione civile.
- Prerogative in appello dinanzi al tema civilistico.
Restiamo, ovviamente, in attesa di conoscere l’esatto percorso argomentativo seguito. Va, peraltro, salutato, sin d’ora, con favore lo sforzo ermeneutico volto a ribadire prevalenza all’assoluzione nel merito sulla declaratoria di estinzione del reato[11], già compiuto quindici anni or sono.
A suscitare perplessità era, piuttosto, l’impostazione patrocinata dalla Corte costituzionale.
Anzitutto, un’ovvietà: è la sussistenza di un reato ad obbligare al «risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui» (art. 185, comma 2, c.p.). Ciò significa che, per esservi responsabilità civile ai sensi dell’art. 185 c.p., devono ricorrere e, dunque, essere accertati tutti gli elementi previsti dalla norma incriminatrice[12]. La lettura creatrice che pretendeva limitare il compito del giudice d’appello ad una mera ricognizione circa la sussistenza dei diversi presupposti per la responsabilità da fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. sconta l’assenza di un dato testuale in grado di giustificarla[13].
E ciò, a prescindere dall’annosa questione circa l’impiego dei criteri civilistici o penalistici per procedere a siffatto accertamento.
A parere della Corte costituzionale, il giudice d’appello dovrebbe applicare allo stesso tempo sia la regola di giudizio, propria del processo civile, del “più probabile che non” sia i canoni probatori tipici dell’accertamento penale[14].
Ma tale ambivalenza decisoria suona dissonante con la regola di cui all’art. 573 c.p.p., secondo cui l’impugnazione per gli interessi civili è trattata e decisa «con le forme ordinarie del processo penale», senza alcuna distinzione tra canoni decisori e regole probatorie.
Non basta. Un terzo ordine di considerazioni riguarda la logica del sistema, scosso dalla pronuncia n. 182/2021. Secondo tale peculiare visione, il giudice penale dovrebbe seguire una sequela decisoria così concepita: una valutazione piena della vicenda se si verte sulla responsabilità penale dell’accusato; considerazioni, poi, di minore profondità quando si tratti solo di confermare un provvedimento di confisca, limitato ad una mera verifica attinente all’intervenuto accertamento della colpevolezza dell’imputato nei precedenti gradi; in ordine ai capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili, viceversa, una verifica compiuta senza formulare un giudizio di colpevolezza penale[15].
Il giudice penale dovrebbe, insomma, modulare di continuo ed “a singhiozzo” il proprio metro di giudizio a tutela di esigenze di natura sostanziale che, pure, dovrebbero rimanere soltanto “sullo sfondo” della vicenda processuale, in barba alla prioritaria dimensione garantistica dell’accertamento penale.
A voler seguire l’impostazione della Consulta si rischiava, d’altra parte, di pervenire a conseguenze paradossali. Per evitare una declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 578 c.p.p. per contrasto con le disposizioni che tutelano la presunzione di innocenza[16], la Corte costituzionale aveva, infatti, gettato il cuore fin troppo oltre l’ostacolo, sino a precludere al giudice d’appello l’esame del tema della responsabilità penale in caso di reato estinto.
Senza rendersi conto che, così facendo, si impediva una indesiderata condanna “in ipotesi” ma, nel contempo, si escludeva in radice la possibilità di un’assoluzione nel merito, sicuramente preferibile ad una declaratoria di estinzione del reato. Per tale via, veniva inferto un irreparabile danno proprio a quell’imputato che la presunzione d’innocenza mira a tutelare.
Quest’ultimo rilievo evidenzia l’intrinseca debolezza dell’assunto che aveva fatto da battistrada all’ordinanza di rimessione alle odierne Sezioni Unite, nella misura in cui pretendeva essenzialmente che si ottemperasse alla lettura della Corte costituzionale.
Viceversa, l’orientamento delle Sezioni Unite messo frettolosamente in crisi dalla rimessione ai sensi dell’art. 618 comma 1-bis c.p.p. offriva garanzie maggiori all’imputato[17]. Nel tracciare correttamente l’ambito dei poteri cognitivi e decisori del giudice d’appello in ortodossa ottica di favor, la declaratoria di assoluzione nel merito non poteva secondo quella pronunzia essere indebitamente ostacolata da considerazioni di economia processuale pur sottese all’art. 129 comma 2 c.p.p., dovendo pur sempre il giudice d’appello vagliare il compendio probatorio[18].
Nel ribadire il medesimo principio di diritto enunciato quindici anni fa, le Sezioni Unite hanno, insomma, saputo resistere a qualsiasi suggestione “evolutiva”, pur apparentemente autorevole. Nel contempo, dimostrano di voler rispettare presunzione d’innocenza, dimensione garantistica dell’accertamento penale e, non solo marginalmente, prerogative della giurisdizione in appello.
[1]L’ordinanza può essere consultata al seguente link.
[2] A livello monografico, F.M. DAMOSSO, Il vincolo al precedente tra sentenza di legittimità e massimazione, Torino, Giappichelli, 2022.
[3] Sul tema, oltre a F. M DAMMOSSO; IL vincolo al precedente, cit., v,, altresì, R. Aprati, Le Sezioni Unite fra l’esatta applicazione della legge e l’uniforme interpretazione della legge (commi 66-69 l. n. 103/2017), in A. Marandola-T. Bene (a cura di), La riforma della giustizia penale. Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario (L. 103/2017), Giuffrè, Milano, 2017, p. 275; G. Fidelbo, Verso il sistema del precedente? Sezioni unite e principio di diritto, in M. Bargis-H. Belluta (a cura di), La riforma delle impugnazioni tra carenze sistematiche e incertezze applicative, Giappichelli, Torino, 2018, p. 115 ss.
[4]V. Cass., Sez. Un., 28 maggio 2009, n. 35490, Tettamanti, in Guida dir., 2009, n. 39, p. 67 ss., con nota di A. Natalini, Due i casi in cui il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva del reato. Il richiamo al canone dell’economia processuale tiene conto del bilanciamento tra opposte esigenze; in Corr. merito, 2009, p. 1247 ss., con nota di P. Piccialli, La declaratoria delle cause di non punibilità ed il proscioglimento nel merito, nonché in Cass. pen., 2010, p. 4091 ss., con nota di S. Beltrani, Estinzione del reato e assoluzione nel giudizio di impugnazione. In senso conforme, Cass., Sez. VI, 11 febbraio 2020, n. 11626, in C.e.d. Cass., n. 278963-01, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2020, p. 942 ss., con nota di F.M. Damosso.
[5] V. Corte cost., sent. 7 luglio 2021, n. 182, in G.U., 4 agosto 2021, n. 31.
[6] Occorre evidenziare che la questione è stata scrutinata dal giudice di legittimità in sede penale poiché, come di recente chiarito dalla giurisprudenza (cfr. Cass., Sez. Un., 25 maggio 2023, n. 38381, D., in Cass. pen., 2024, p. 65 ss., con nota di G. Varraso, Impugnazione ai soli effetti civili della sentenza penale dopo la legge “Cartabia”, giudizio “in prosecuzione” e disciplina intertemporale), il nuovo art. 573, comma 1-bis, c.p.p. trova applicazione con riferimento alle sole impugnazioni proposte nell’ambito di giudizi nei quali la costituzione di parte civile è avvenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della disposizione citata, ai sensi dell’art. 99-bis del D. Lgs. n. 150/2022. Come noto, ai sensi dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice dell’impugnazione, se quest’ultima non è inammissibile, rinvia per la prosecuzione alla sede civile competente.
[7] V. www.cortedicassazione.it/it/qsp_dettaglio.page?contentId=QSP7982.
[8] Cfr. F. Zacchè, Davvero incostituzionale l’art. 578 c.p.p. per contrasto con l’art. 6 comma 2 Conv. eur. dir. uomo?, in www.sistemapenale.it, 9 dicembre 2020.
[9] Si veda l’art. 4 dir. 2016/343/Ue sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione d’innocenza, il quale impedisce che le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentino la persona come colpevole. Seppur con specifico angolo visuale, v. L. Marafioti, Presunzione di innocenza e diritto di informazione: una difficile convivenza, in Ind. pen., 2022, p. 79 ss.
[10] Sui problemi derivanti dall’impiego di differenti regimi probatori, F. Centorame, La prova penale formata in sede civile: “promiscuità pericolose” tra giurisdizioni distinte, in L. Lupária-L. Marafioti-G. Paolozzi (a cura di), Processo penale e processo civile: interferenze e questioni irrisolte, Giappichelli, Torino, 2020, p. 77 ss.
[11] A livello monografico, cfr. F. Morelli, Le formule di proscioglimento. Radici storiche e funzioni attuali, Giappichelli, Torino, 2015; L. Scomparin, Il proscioglimento immediato nel sistema processuale penale, Giappichelli, Torino, 2008,
[12] V., sul punto, G. Cricenti – G. D’Alessandro, Il danno da reato e la fraintesa dialettica tra fatto di reato e danno risarcibile: osservazioni critiche alla sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2021, p. 1775 ss.
[13] Cfr. B. Lavarini, Presunzione d’innocenza «europea» e azione civile nel processo penale: un difficile compromesso fra tutela del prosciolto e salvaguardia del danneggiato, in Giur. cost., 2021, p. 1790, la quale evidenzia che l’azione risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c. sarebbe di fatto esperita ex officio dal giudice dell’impugnazione e da questi decisa senza che le parti abbiano potuto contraddire sulla nuova fattispecie.
[14] In tema, cfr. G. Garofalo, La diversificazione degli standard di prova nel processo penale e nel rapporto fra giurisdizioni, in Cass. pen., 2020, p. 3882 ss., il quale segnala che la compresenza, all’interno di uno stesso ordinamento, di differenti soglie di sufficienza probatoria determina una pluralità di piani che può assumere rilievo nei rapporti e nelle interferenze fra giurisdizioni distinte. Sui rapporti fra proscioglimento dubitativo e giudizio civile, G. Fiorelli, Il giudicato penale assolutorio per insufficienza di prove: quale efficacia negli “altri” giudizi civili?, in L. Lupária-L. Marafioti-G. Paolozzi (a cura di), Processo penale e processo civile: interferenze e questioni irrisolte, cit., p. 125 ss.
[15] In tal senso, C. Santoriello, Un processo penale servo. La Consulta attenua lo standard probatorio agli effetti civili, in Arch. pen. web, 2021, n. 3.p. 6 ss. Nella medesima prospettiva, A. Barbieri, Il (difficile) rapporto tra reato prescritto e accertamento degli interessi civili nel giudizio d’impugnazione: lo stato dell’arte sull’articolo 578 c.p.p., tra questioni di legittimità costituzionale e interventi legislativi, in Sist. pen., 2022, n. 4, p. 38, la quale ritiene che la sentenza n. 182/2021 abbia reso «il processo penale servente rispetto all’azione civile, laddove si impone al giudice penale di pronunciarsi su una questione esclusivamente civilistica adeguandosi alle regole che governano la materia».
[16] Cfr. P. Ferrua, La Corte costituzionale detta regole per l’azione civile in caso di sopravvenuta estinzione del reato: la probabile illegittimità costituzionale dell’art. 578, comma 1-bis, c.p.p. introdotto dalla riforma “Cartabia”, in Cass. pen., 2021, p. 3447, secondo il quale ai giudici delle leggi sarebbe bastato evidenziare che l’accertamento della sussistenza del fatto previsto dalla legge come reato, necessario ai fini della decisione sull’azione civile, «non compromette in alcun modo la presunzione di innocenza: non solo perché “accertare” e “presumere” sono termini antitetici, ma perché ciò che si accerta non è il reato, ormai estinto, ma il “fatto” che costituisce anche illecito civile; accertamento che, avendo come oggetto un fatto e non un reato, si svolge a pieno titolo in via principale, senza alcuna interferenza con la dichiarazione di estinzione del reato».
[17] Nel medesimo senso, F.M. Damosso, Sindacato del giudice d’appello ex art. 578 comma 1 c.p.p., tra precedente costituzionale e precedente di legittimità. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, in www.sistemapenale.it, 13 settembre 2023.
[18] In dottrina, da ultimo, per il rilievo secondo cui il giudice «non deve svolgere un accertamento completo in virtù della mera pendenza della domanda risarcitoria, ma deve procedere in tal senso perché ciò è imposto dal dettato codicistico e, prima ancora, dalla Costituzione», v. L. Agostino, Il diritto al risarcimento tra presunzione di innocenza e tutela del danneggiato: spunti dalla giurisprudenza interna e sovranazionale, www.lalegislazionepenale.eu, 28 febbraio 2022, p. 9. Di recente, per un recupero della tematica, cfr. L. Marafioti, Evoluzione ed involuzione del principio di economia processuale, in disCrimen, 16 novembre 2023.