Enter your keyword

VERSO IL NUOVO ORDINAMENTO DELLA MAGISTRATURA – DI VALERIO DE GIOIA

VERSO IL NUOVO ORDINAMENTO DELLA MAGISTRATURA – DI VALERIO DE GIOIA

DE GIOIA-VERSO IL NUOVO ORDINAMENTO DELLA MAGISTRATURA.pdf

VERSO IL NUOVO ORDINAMENTO DELLA MAGISTRATURA

di Valerio de Gioia

Il tema della riforma dell’ordinamento della magistratura, in particolare la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, va affrontato con il punto di vista di un possibile futuro imputato per valutare la riforma sotto il profilo delle garanzie per il cittadino. La relazione tenuta dal Dott. Valerio de Gioia, consigliere presso la prima sezione penale della Corte di Appello di Roma, nel corso del XX Congresso ordinario dell’Unione Camere Penali Italiane, svoltosi a Catania dal 26 al 28 settembre 2025.

Sono molto contento di essere qui con voi oggi.

Vi devo dire la verità, avevo qualche timore e qualche perplessità perché, quando ho sentito alcuni colleghi che sapevano che avrei dovuto essere qui a parlare di separazione delle carriere, la frase che mi è stata detta è stata: «mi raccomando, occhio, attenzione».

Devo dire, sinceramente, che entrando oggi all’interno del teatro mi guardavo intorno, perché ho detto «qui rischio». Però ho visto il professor Vittorio Manes, che conosco, l’avvocato Belcastro, volti ormai familiari, che mi hanno sorriso, qualcuno si è avvicinato, e allora ho capito che non dovevo stare attento agli avvocati: mi è venuto anche il sospetto che lo stare attento a quello che oggi avrei detto potesse essere legato non già ad un dispiacere che possano avere gli avvocati presenti, ma probabilmente a un dispiacere che io possa dare alla categoria alla quale appartengo.

Ho capito che, per molti, questa separazione delle carriere avrebbe una funzione punitiva per la categoria dei magistrati: probabilmente, non hanno letto con attenzione il disegno di legge della riforma costituzionale. Io, per non fare figuracce, ho letto con attenzione questa riforma, perché, per esempio, uno dei punti che viene richiamato e speso è il fatto che il Pubblico Ministero verrà asservito all’Esecutivo, facendoci tornare ai tempi bui che abbiamo abbondantemente superato. Ecco, io voglio rasserenare quelli che pensano questo: non è previsto, perché il Pubblico Ministero farà un concorso pubblico; quindi, non verrà nominato dall’esecutivo e i meccanismi di professionalità seguiranno quella che, ad oggi, è l’ordinaria modalità.

Un altro aspetto è la considerazione forte, che viene fatta da parte di molti, per opporsi a questa riforma, per cui, con la separazione delle carriere, si perderà la cultura della giurisdizione, perché il Pubblico Ministero porta in sé, nell’esercizio delle sue funzioni, delle garanzie che poi vengono assicurate dal giudicante. Si dice che, se si slega il P.M. dal giudicante, si perde la cultura della giurisdizione. Sul punto, mi sono permesso – anche in altre sedi – di dire che il rischio attuale è che non ci sia contaminazione del giudicante nei confronti del Pubblico Ministero, ma, al contrario, che ci sia la contaminazione opposta.

Già Giovanni Falcone, nel 1991, nella famosa intervista – che non cito – diceva che il Pubblico Ministero, nel momento in cui viene considerato una sorta di para-giudice, perché contaminato da quella cultura della giurisdizione, diventa quasi come fosse un componente del collegio o un soggetto che si aggiunge a quel giudice che deve valutare, invece, con serenità di fronte a parti che sono fra loro in una posizione di parità assoluta.

Allora, quando capita di sentir dire dal componente del collegio, in camera di consiglio, alla domanda su un’ipotesi accusatoria che dovrebbe essere tutta da accertare e da provare, «se il pubblico ministero dice così, magari ha ragione», inizia a profilarsi un condizionamento, quantomeno inconscio, nel giudicante che ha grande stima per quel Pubblico Ministero, che conosce e forse è stato il suo affidatario o forse è un componente del consiglio giudiziario.

Abbiamo, allora, un enorme problema, perché stiamo ribaltando un principio di civiltà giuridica in base al quale, se il soggetto indagato o imputato in quel momento deve essere considerato presunto non colpevole – non presunto innocente, perché quello opera a livello europeo – e si tende, invece, a dare credito, come fosse accertata, alla tesi del P.M., lì stiamo invertendo l’onere della prova, perché si sta dicendo che, a quel punto, il difensore per fare bene il suo lavoro deve provare che quel soggetto non è responsabile di ciò che il P.M. gli ha contestato e che è prospettato come verità, in ragione, magari, della stima o delle capacità che si sa o si ritiene il magistrato abbia.

E fino a che questo lo dice un cittadino, tutto sommato, glielo si può perdonare, ma se lo dice un giudicante all’inizio di un procedimento penale …

Questa è la contaminazione che noi rischiamo di avere, se rimaniamo un’unica categoria: questa riforma – e concludo – è un momento finale di attuazione di un percorso importante e lungo. Se si va a scavare nella legge di riforma costituzionale del 1999, che modifica l’art. 111 della Costituzione nell’ottica del giusto processo, si vede che questa vorrebbe un giudice terzo e imparziale, insomma una forma di autonomia in nuce, quindi di indipendenza dagli altri poteri. Ma il giudice deve essere anche indipendente dal suo potere. L’imparzialità e la terzietà servono anche per rendere il giudice credibile agli occhi di un imputato che, in aula, ti guarda spaesato, lo ha raccomandato anche il Parlamento europeo, già nel 1996: c’è una delibera molto interessante che spinge alla separazione delle carriere del giudicante rispetto a quelle del requirente. Ma anche il Consiglio d’Europa è intervenuto, raccomandando agli Stati membri di separare queste due categorie.

Quindi, in conclusione, io non sono un tifoso della separazione delle carriere, ma il mio ragionamento è una risposta a chi non vuole neanche ipotizzare ciò: io non vedo elementi di mortificazione della funzione del magistrato, vedo, invece, un vantaggio per una credibilità che il giudice, ma anche il Pubblico Ministero, deve continuare ad avere.

Io non leggo la riforma come magistrato – perché è facile giudicarla come magistrato –, la guardo come (spero mai) futuro imputato.