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L’INCESSANTE AMPLIAMENTO DEI CONFINI DELLA CONFISCA “ALLARGATA”: DALLA LOTTA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA AL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ DA PROFITTO – DI DIEGO SANTORO

L’INCESSANTE AMPLIAMENTO DEI CONFINI DELLA CONFISCA “ALLARGATA”: DALLA LOTTA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA AL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ DA PROFITTO – DI DIEGO SANTORO

SALVATORE – L’INCESSANTE AMPLIAMENTO DEI CONFINI DELLA CONFISCA ALLARGATA.PDF

L’INCESSANTE AMPLIAMENTO DEI CONFINI DELLA CONFISCA “ALLARGATA”: DALLA LOTTA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA AL CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ DA PROFITTO.

di Diego Salvatore*

Il D.L. n. 124 del 26-10-2019, convertito con modifiche dalla L. n. 157 del 19-12-2019, ha introdotto una serie di modifiche nel sistema del delitto penale tributario. Tra i vari interventi che hanno interessato il D.Lgs. n. 74 del 10-03-2000 si segnala la introduzione dell’art. 12-ter, rubricato “Casi particolari di confisca”. La disposizione in parola prevede l’estensione della cd. “confisca allargata” (o per sproporzione), disciplinata dall’art. 240-bis c.p., ad una serie di reati tributari, purché siano superate determinate soglie di punibilità. La ratio della novella è quella di attingere il patrimonio del reo oltre le tradizionali ipotesi di confisca (del profitto o del prezzo del reato, nella forma diretta e per equivalente) già contemplate dall’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000. L’esecutivo, mediante la decretazione d’urgenza, ed il legislatore, in sede di conversione, si adeguano ad una ormai consolidata tendenza, in base alla quale strumenti particolarmente invasivi, originariamente finalizzati alla lotta alla criminalità organizzata, vengono utilizzati per contrastare forme di illeciti penali non riconducibili a quel genus.

Sommario: 1. Cenni sulla confisca-misura di sicurezza in generale. – 1.1. La confisca cd. “allargata”. – 2. L’ablazione patrimoniale “classica” nel sistema dei reati tributari. Dalla legge finanziaria del 2008 all’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000. – 2.1. Il concetto di profitto del reato nel sistema degli illeciti penal-tributari. – 3. La riforma del 2019. L’introduzione della confisca per sproporzione nell’impianto del D.Lgs. n. 74/2000. – 4. Riflessioni conclusive. Un intervento novellatorio in linea con quanto auspicato dalla Consulta?

  1. Cenni sulla confisca-misura di sicurezza in generale.

La confisca è una delle due misure di sicurezza patrimoniale contemplate dal codice penale, assieme alla cauzione di buona condotta; a differenza di quest’ultima, costituisce uno strumento largamente utilizzato dall’Autorità[1]. La ratio dell’istituto è quella di impedire che il reo possa trarre proventi dall’attività delittuosa, configurandosi come un valido strumento di contrasto della criminalità del profitto[2].

L’art. 240 c.p. disciplina la confisca “classica”, cuore pulsante di un sistema che, col passare degli anni, si è progressivamente evoluto e rafforzato mediante la introduzione di nuove figure di ablazione patrimoniale sia nel corpo del codice penale sia nella galassia della legislazione speciale. Si distinguono ipotesi di confisca facoltativa, aventi per oggetto le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché il profitto ed il prodotto del reato, ed ipotesi di confisca obbligatoria[3]. Il giudice, ai sensi dell’art. 240, co. 2, c.p., è vincolato a sottoporre a confisca (o, nel corso delle indagini, a sequestro preventivo) il prezzo del reato, i beni utilizzati per la commissione di un vasto novero di reati informatici nonché quelle cose la cui fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione costituisce reato (solo per quest’ultima ipotesi è espressamente prevista la applicazione della misura di sicurezza «anche se non è stata pronunciata condanna »)[4].

L’ablazione del bene può essere realizzata sottraendo la res stessa alla disponibilità del condannato (o, in caso di sequestro preventivo, dell’indagato), oppure andando ad intaccare il suo patrimonio in via indiretta; in questa seconda ipotesi è previsto uno strumento – a carattere sussidiario – che consente di espropriare danaro, beni o altre utilità «per un valore corrispondente» al prezzo, prodotto o profitto del reato, i quali avrebbero dovuto costituire oggetto di confisca diretta. Si tratta della confisca cd. “per equivalente” (anche detta “di valore”), priva del carattere della pertinenzialità tra res ablata e reato e, secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, vera e propria pena (a prescindere dalla “etichetta” formale dovuta alla definizione quale confisca)[5]. Pur in assenza di uno stretto vincolo di connessione materiale con il fatto illecito, questa forma di ablazione patrimoniale non prescinde dall’immanente collegamento con il quantum del profitto o del prezzo di reato, giacché, diversamente, si consentirebbe allo Stato di sottrarre al reo più di quanto abbia acquisito come conseguenza della propria condotta delittuosa, in evidente spregio al principio di proporzionalità[6].

 

  • La confisca cd. “allargata”.

Una diversa ed ulteriore ipotesi di confisca è quella disciplinata dall’art. 240-bis c.p., rubricato “Confisca in casi particolari”, la cui peculiarità consiste nella possibilità di sottrarre al patrimonio del reo la disponibilità di quei beni di cui egli non possa giustificare la provenienza e che, al contempo, risultino sproporzionati rispetto al proprio reddito; per espressa previsione, inoltre, « il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge »[7]. Tale ablazione può essere realizzata anche per equivalente, ai sensi del secondo comma della norma in commento. La confisca “allargata” o “per sproporzione” costituisce uno strumento di indubbio valore nella lotta alla criminalità economica; invero, oltre alla possibilità di essere applicata alla totalità del patrimonio del reo, essa si caratterizza per una vera e propria inversione dell’onere della prova, gravando sul destinatario della misura il compito di fornire una giustificazione legittima della provenienza dei beni sottoposti a vincolo[8].

La genesi di questo istituto va fatta risalire alle riforme degli anni ’80 dello scorso secolo, nel corso della stagione delle stragi di mafia, quando lo Stato decise di approntare una serie di nuovi strumenti nella lotta alla criminalità organizzata. La legge Rognoni-La Torre, oltre ad introdurre all’art. 416-bis c.p. la inedita fattispecie di associazione per delinquere di stampo mafioso, inseriva nel sistema delle misure di prevenzione una particolare ipotesi di confisca dei patrimoni di illecita provenienza, nella disponibilità anche indiretta di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, desunta anche dalla mera sproporzione tra valore dei beni e redditi dichiarati[9]. Gli efferati omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino indussero il Governo ad emanare il D.L. n. 306 del 08-06-1992, convertito dalla L. n. 356 del 07-08-1992, il cui art. 12-quinquies prevedeva due diverse ipotesi delittuose: “Trasferimento fraudolento di valori”, punito con la pena della reclusione da due a sei anni (trasfuso integralmente nell’art. 512-bis c.p.), e “Possesso ingiustificato di valori”, sanzionato con una cornice edittale non dissimile (da due a quattro anni di reclusione) ma, in più, caratterizzato da una misura ablatoria antesignana della moderna confisca “allargata”[10].

A seguito dell’intervento della Consulta, che dichiarò incostituzionale l’art. 12-quinquies, co. 2, D.L. n. 306/1992 per contrasto con gli artt. 3, 24 e 27, co. 2, Cost., con D.L. n. 399 del 20-06-1994, convertito dalla L. n. 501 del 08-09-1994, venne introdotto l’art. 12-sexies nel D.L. n. 306/1992, rubricato “Ipotesi particolar di confisca”[11]. La norma in questione, imperniata sul modello dell’art. 12-quinquies, co. 2, recepiva le indicazioni della Corte Costituzionale, consentendo all’A.G. di disporre, solo in caso di affermazione di responsabilità dell’imputato, la confisca di ciò di cui egli avesse la titolarità o la disponibilità in maniera sproporzionata rispetto al proprio reddito e, al contempo, non potesse fornirne legittima giustificazione. La confisca “allargata”, inizialmente applicabile ai condannati per un ristretto novero di reati di rilevante allarme sociale, ha subito vari interventi da parte del legislatore, nell’ottica di estendere l’utilizzo di uno strumento ablatorio di indubbia efficacia ad un numero sempre più ampio di fattispecie; in tal modo, però, è andata perduta la ratio originaria dell’istituto, finalizzata a contrastare le più gravi forme di manifestazione del crimine organizzato[12]. Da ultimo, il D. Lgs. n. 21 del 01-03-2018, in attuazione della cd. “riserva di codice”, ha inserito nel codice l’art. 240-bis, norma che ricalca le disposizioni sostanziali (riguardo i presupposti oggettivi e soggettivi della confisca) previste dall’abrogato art. 12-sexies.

La natura giuridica di tale peculiare forma di confisca è stata definita dalla giurisprudenza di legittimità che, al fine di delinearne i confini tanto rispetto alla confisca-misura di prevenzione quanto in relazione alla confisca-sanzione (ossia la confisca per equivalente), ha coniato il termine di “misura di sicurezza atipica”[13]. L’istituto in parola è connotato da una evidente finalità preventiva, essendo mirato a prevenire la commissione di ulteriori illeciti mediante l’aggressione di capitali di origine delittuosa; non rileva, a tal proposito, il mancato richiamo in forma esplicita al nesso di pertinenzialità tra la res ablata ed il reato (caratteristica condivisa con l’istituto della confisca-sanzione), poiché il legislatore ha inteso prevedere una forma di presunzione legale di provenienza delittuosa di quei beni, sproporzionati rispetto al reddito/attività economica del condannato per uno dei delitti contemplati dall’art. 240-bis c.p., di cui questi non possa giustificare la disponibilità[14].

La Corte Costituzionale si è a sua volta soffermata sul tema, con le sentenze n. 33/2018[15] e 24/2019[16], al fine di valutare la conformità alla Carta Fondamentale della confisca “allargata”. Con la prima pronuncia, avente ad oggetto specificamente l’art. 12-sexies del D.L. n. 306/1992, la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, secondo cui la norma in parola sarebbe stata in contrasto con l’art. 3 Cost. nella parte in cui avrebbe consentito l’applicazione della confisca “allargata” ai condannati per il delitto di ricettazione. Nell’articolato impianto argomentativo reso, la Corte ha operato una vera e propria ricostruzione dell’istituto, il cui tratto caratteristico risiede nella circostanza che le ipotesi di reato contemplate dall’art. 12-sexies del D.L. n. 306/1992 (oggi 240-bis c.p.) denotino, nell’agente, « una necessaria professionalità o dedizione all’illecito »[17]. La Pubblica Accusa è tenuta a provare la sproporzione tra i beni oggetto di confisca (e, prima, di sequestro preventivo) e la situazione economica globale del reo, circoscrivendo la propria indagine secondo un orizzonte di “ragionevolezza temporale”, in modo da evitare di estendere la ablazione a beni acquisiti in un periodo eccessivamente distante da quello in cui fu commesso il reato-spia. La difesa, a sua volta, ha la possibilità di confutare l’assunto accusatorio, ben potendo vincere la presunzione (relativa) di derivazione illecita del bene mediante l’allegazione di circostanze tali da giustificarne la disponibilità in capo al reo. Nei passaggi conclusivi della pronuncia, la Consulta ha ritenuto di invitare sia la giurisprudenza che il legislatore a valorizzare la ratio legis sottesa alla confisca ex art. 12-sexies del D.L. n. 306/1992 (ora art. 240-bis c.p.), ribattezzata “confisca dei beni di sospetta origine illecita”. Ai giudici spetta il compito di operare un vaglio attento sulla vicenda concreta oggetto del giudizio: ciò sia nell’ottica di salvaguardare la citata “ragionevolezza temporale” della presunzione di provenienza illecita del bene, sia al fine di « verificare se, in relazione alle circostanze del caso concreto e alla personalità del suo autore – le quali valgano, in particolare, a connotare la vicenda criminosa come del tutto episodica ed occasionale e produttiva di modesto arricchimento – il fatto per cui è intervenuta condanna esuli in modo manifesto dal “modello” che vale a fondare la presunzione di illecita accumulazione di ricchezza da parte del condannato »[18]. Al Parlamento la Corte rivolge l’auspicio (o il monito, se si preferisce) a non intervenire sul catalogo dei “delitti-matrice” in maniera irragionevole, estendendo l’applicazione della confisca “allargata” a fattispecie non sintomatiche di un illecito arricchimento del loro autore[19].

Parte della dottrina ha letto nelle maglie della pronuncia in commento una rimodulazione della confisca per sproporzione, quantomeno in rapporto a reati-matrice non idonei, di per sé, a fondare la presunzione legale di illecita accumulazione di ricchezza[20]. In relazione a tali categorie di delitti, l’analisi imposta al giudice dalla Corte costituirebbe indizio della natura facoltativa della misura ablativa, ferma restando l’obbligatorietà della confisca per i fatti di criminalità organizzata, regolarmente inseriti in un più ampio e stabile contesto delinquenziale. Così operando, la confisca “allargata” riacquisterebbe la finalità compensativa, allontanandosi dallo schema di misura ablatoria retta da scopi prettamente sanzionatori[21].

Un anno dopo la sentenza n. 33/2018, la Consulta è tornata ad affrontare il tema nell’ambito di una complessa vicenda nel corso della quale erano state proposte numerose questioni di legittimità aventi ad oggetto plurime disposizioni del D.Lgs. n. 159 del 06-09-2011 (recante la attuale disciplina delle misure di prevenzione). In particolare, è stato affermato che la confisca di prevenzione, disciplinata dall’art. 24 del D.Lgs. n. 159/2011, e la confisca allargata costituiscono species del medesimo genus[22]. Tali misure sono orientate al raggiungimento del medesimo scopo, vale a dire escludere dal patrimonio del soggetto quanto sia stato acquisito in maniera illecita, in un’ottica puramente ripristinatoria dello status quo ante[23]. La Corte, nella parte finale della motivazione, ha ritenuto, tuttavia, che la assenza della finalità sanzionatoria non escluda la necessità di salvaguardare il rispetto dei diritti di proprietà e di iniziativa economica (tutelati sia in ambito nazionale che comunitario) fortemente compressi dagli istituti in parola; in particolare, deve essere garantita la proporzionalità della confisca rispetto al fine ripristinatorio, confisca la cui applicazione non può essere disposta se non all’esito di un giudizio in cui devono essere stati rispettati i canoni del giusto processo.

 

  1. L’ablazione patrimoniale “classica” nel sistema dei reati tributari. Dalla legge finanziaria del 2008 all’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000.

Una  volta ricostruito per grandi linee il sistema delle confische, è opportuno soffermarsi sulla normativa vigente nel settore dei reati tributari.  Va premesso come il D.Lgs. n. 74 del 10-03-2000 non contenesse, nella versione originaria, alcun riferimento all’istituto della confisca[24]. L’art. 12-bis, infatti, è stato inserito nel D.Lgs. n. 74/2000 dopo ben quindici anni dall’introduzione della stessa, grazie all’art. 10, co. 1, del D. Lgs. n. 158 del 24-09-2015 (recante disposizioni in materia di “revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23”).

Un primo intervento in materia era stato effettuato con l’art. 1, co. 143, della L. n. 244 del 24-12-2007 (Legge finanziaria 2008), che aveva disposto l’applicazione dell’art. 322-ter c.p. in presenza di una pronuncia di condanna (o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p.) per i delitti di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del D. Lgs. 74/2000[25]. Va segnalato come la scelta legislativa abbia avuto un esito “assai infelice”, poiché l’art. 323-ter c.p., fino al 2012, contemplava una ipotesi di confisca obbligatoria limitata al solo prezzo del reato, non anche al profitto (vero obiettivo da perseguire nell’ottica di contrastare l’incessante manifestarsi di illeciti in materia penal-tributaria)[26]. Il vuoto di tutela fu colmato dalla L. n. 190 del 06-11-2012 (recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione dell’illegalità nella pubblica amministrazione”), che estese l’applicazione della confisca ex art. 323-ter c.p. anche al profitto del reato. Tuttavia, stante la natura di pena (più che di misura di sicurezza) della confisca per equivalente, tale “nuova” misura ablatoria – in relazione al profitto del reato – non avrebbe potuto trovare applicazione retroattivamente, come unanimemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità[27].

Solo con la riforma del 2015, dunque, il legislatore ha dotato il sistema dei reati tributari di una autonoma forma di confisca, per la quale è prevista una ipotesi di “non operatività” in relazione alla parte di debito tributario « che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro »[28]. Si tratta di un istituto peculiare, fondato sulla necessità di garantire il rispetto del principio del ne bis in idem sostanziale in una materia oggetto di particolare attenzione sia sotto il versante tributario che sotto quello penale. È d’uopo una precisazione: nella materia tributaria l’obiettivo perseguito dallo Stato è quello di veder soddisfatte le proprie pretese, ottenendo l’integrale versamento dell’imposta evasa (oltre gli interessi e le sanzioni). Risulterebbe iniquo ed eccessivamente afflittivo consentire il sequestro del profitto del reato, in sede penale, nonostante la regolarizzazione, da parte dell’imputato-contribuente, della propria posizione debitoria in sede tributaria[29]. Il secondo comma dell’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000 costituisce, pertanto, la trasfusione in norma di un principio già elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha costantemente ritenuto illegittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto di reato in caso di adempimento integrale del debito d’imposta[30]. La discontinuità con il citato orientamento va ravvisata nell’assenza, nel corpo della disposizione in commento, del riferimento alla corresponsione della totalità delle somme dovute all’erario. All’imputato è riconosciuta la possibilità di inibire la operatività della confisca per quella parte di debito che egli si obblighi a versare, anche con la stipula di un accordo rateale, purché si tratti di un impegno assunto in maniera formale con la Agenzia delle Entrate[31].

 

  • Il concetto di profitto del reato nel sistema degli illeciti penal-tributari.

L’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000 consente all’A.G. di sottoporre a confisca (e, nella fase delle indagini, a sequestro preventivo) il profitto e/o il prezzo di qualsiasi reato contemplato dal Titolo II del decreto legislativo in questione[32]. L’essenza del profitto dei reati tributari è stata oggetto di numerose attenzioni da parte della dottrina e della giurisprudenza, interessate a fornire una definizione che fosse adeguata rispetto alle peculiarità del sistema degli illeciti finanziari. In una risalente pronuncia delle Sezioni Unite l’ambito del profitto è stato esteso a qualsiasi utilità di carattere patrimoniale costituente conseguenza diretta del reato, quale può essere il risparmio di spesa[33]. Tuttavia, è stato nel biennio 2014-2015 che la Corte di Cassazione ha elaborato una serie di massime che sono risultate determinanti nella ricostruzione di tale concetto.

La prima pronuncia è stata resa dalle Sezioni Unite “Gubert”, chiamate a rispondere al quesito circa la possibilità di aggredire « direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante »; sul punto, va precisato come all’epoca il D.Lgs. n. 231 del 08-06-2001, in materia di responsabilità amministrativa degli enti per illeciti dipendenti da reato, non contemplasse nel catalogo dei cd. “reati presupposto” i delitti tributari, inseriti soltanto con il D.L. n. 124 del 26-10-2019 (convertito con modifiche dalla L. n. 157 del 19-12-2019)[34]. Nella sentenza, al fine di rispondere all’interrogativo poc’anzi riportato, è stato affermato un principio dirompente: « la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta »[35]. Poiché secondo le Sezioni Unite non vi sarebbe alcun dubbio circa la riconducibilità all’ente del profitto derivante dall’illecito commesso dal proprio legale rappresentante, ne conseguirebbe la possibilità di procedere a sequestro finalizzato alla confisca sul patrimonio della persona giuridica. Il Supremo Consesso, combinando tali assunti, ha ritenuto sempre possibile la confisca diretta di un importo pari al profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dal delitto tributario; solo laddove il patrimonio della società non riesca a coprire le somme dovute (comprensive di sanzioni ed interessi) sarebbe possibile aggredire il patrimonio del legale rappresentante tramite lo strumento della confisca per equivalente[36]. Inoltre, in un successivo passaggio della sentenza, la Corte ha sancito la disgregazione del nesso di pertinenzialità, caratteristico della confisca diretta, tra il reato e la di quanto sottoposto a vincolo, estendendo ad « ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa » il sequestro preventivo.

La pronuncia poc’anzi richiamata ha destato forti perplessità nella dottrina, allarmata dalla pericolosa confusione tra la diretta confiscabilità del profitto del reato e la natura fungibile del danaro, concetti ben distinti e non connessi in alcun modo[37]. Di diverso avviso la giurisprudenza di legittimità: un anno dopo, le Sezioni Unite “Lucci” hanno confermato tale impostazione, escludendo la necessità della prova della correlazione con il delitto tributario in caso di confisca diretta del danaro che ne costituisca il profitto: «ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di danaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d’essere la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo»[38]. La confisca di valore troverebbe spazio esclusivamente nel caso di impossibilità di aggredire “direttamente” il profitto del reato, reimpiegato per acquistare beni sui quali sarebbe possibile, appunto, il solo ricorso a tale misura ablatoria residuale (nel rispetto, ovviamente, del limite rappresentato dalla effettiva consistenza del vantaggio indebito tratto dalla perpetrazione del delitto).

È stato evidenziato in dottrina come le sentenze Gubert e Lucci abbiano legittimato l’ingresso nel panorama delle confische di un istituto di  matrice giurisprudenziale, nel quale si fondono i caratteri della confisca diretta (misura di sicurezza per la quale vi è la possibilità di una applicazione retroattiva, ex art. 200 c.p.) e della confisca per equivalente (in relazione alla insussistenza del nesso di pertinenzialità con il reato), con evidenti ricadute sul piano delle garanzie per il reo[39].

 

  1. La riforma del 2019. L’introduzione della confisca per sproporzione nell’impianto del D.Lgs. n. 74/2000.

Con l’entrata in vigore della L. n. 157/2019 (che ha convertito, con modifiche, il D.L. n. 124/2019) è stata attuata l’ultima riforma del sistema dei reati tributari, mediante plurimi interventi mossi dalla medesima finalità di potenziare gli strumenti per il contrasto all’incessante espansione dell’evasione fiscale. Diverse le aree di intervento: si è passati dall’innalzamento della cornice edittale di talune fattispecie maggiormente allarmanti all’abbassamento delle soglie di rilevanza penale nel delitto di dichiarazione infedele; è stato inserito l’art. 25-quinquiesdecies del D.Lgs. 231/2001, introducendo i delitti di cui agli art. 2, 3, 8, 10 e 11 del D.Lgs. n. 74/2000 nel catalogo dei delitti presupposto della responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato; infine, è stato aggiunto l’art. 12-ter nel D.Lgs. n. 74/2000, estendendo agli art. 2, 3, 8 e 11 della normativa in parola l’applicabilità dell’istituto della confisca “allargata”[40]. Il legislatore conferma il proprio andamento oscillante: nell’arco di otto anni, infatti, si sono susseguiti interventi che hanno reso maggiormente afflittivo il sistema dei reati tributari ed altri di segno diametralmente opposto[41].

Una delle innovazioni più dirompenti apportate dalla riforma consiste nella segnalata inclusione nel sistema del D.Lgs. n. 74/2000 dell’istituto della confisca ex art. 240-bis c.p.: essa potrà essere applicata in caso di condanna (o applicazione della pena su richiesta delle parti) per violazione dell’art. 2 (“Dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), qualora l’ammontare degli elementi passivi fittizi superi 200.000 euro; la medesima soglia – in relazione, però, agli importi non rispondenti al vero indicati nelle fatture e negli altri documenti contabili – è prevista per l’art. 8 (“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”). Il limite da superare perché il P.M. possa ricorrere alla misura ablativa in parola è dimezzato quando il reo ha infranto l’art. 3 (“Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”), mentre per l’art. 11 (“Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”) sono previste soglie differenziate a seconda della fase in cui venga perpetrato l’illecito[42].

Ai sensi dell’art. 39, co. 1-bis, della L. n. 157/2019, la confisca per sproporzione potrà essere applicata esclusivamente in relazione a condotte poste in essere successivamente alla data d’entrata in vigore della citata legge di conversione (dal 25-12-2019). L’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, nella Relazione n. 3/2020, ha precisato come la disposizione poc’anzi citata non abbia inciso sulla possibilità di sottoporre a confisca anche beni acquisiti in epoca anteriore alla entrata in vigore della legge istitutiva della misura patrimoniale, stante il disposto dell’art. 200 c.p. (che esclude la applicazione del principio di irretroattività alla confisca-misura di sicurezza)[43]. In questa prospettiva, il giudice sarà tenuto a considerare la data di acquisto del bene, in ossequio a quanto stabilito dalla Consulta nella sentenza n. 33/2018, al fine di verificare che essa non risulti talmente lontana dal tempus commissi delicti del reato-spia da rendere evidentemente irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da un’attività illecita[44].

 

  1. Riflessioni conclusive. Un intervento novellatorio in linea con quanto auspicato dalla Consulta?

La manovra finanziaria del 2019 ha potenziato il sistema degli asset recovery, estendendo per l’ennesima volta il catalogo dei reati per i quali è possibile applicare la confisca “allargata”. L’istituto in questione, introdotto per far fronte alla dilagante diffusione della criminalità da profitto, è da sempre considerato (per le sue peculiari caratteristiche, esaminate nei precedenti paragrafi) un valido strumento per limitare l’arricchimento illecito connesso alla perpetrazione di talune fattispecie criminose ritenute di maggiore allarme sociale. La ratio giustificativa di tale misura ablativa è stata, però, progressivamente disattesa: l’esame dell’art. 240-bis c.p. rivela la evidente eterogeneità del novero dei delitti-spia (quasi 50), per alcuni dei quali è quantomeno dubbio il collegamento con una presunta “serialità criminale” del condannato, tratto distintivo dell’originario catalogo di reati inseriti nell’art. 12-sexies del D.L. n. 306/1992[45].

Particolare rilievo assume, in relazione alla specifica materia dei reati tributari, la precisazione, inserita nel comma 1 dell’art. 240-bis c.p., per cui il condannato « non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge ». Parte della dottrina ha ritenuto che tale previsione normativa comporti l’introduzione nell’ordinamento di una forma di confisca differente da quella contemplata dall’art. 240-bis c.p.[46]. Il richiamo alla regolarizzazione della posizione dell’agente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria fa sì che la norma in esame si configuri quale strumento utile alla riscossione coattiva di somme oggetto di evasione fiscale (per le quali non è richiesto un collegamento con il reato oggetto di condanna), a prescindere dalla rilevanza penale di quest’ultima. In tal modo, il condannato subisce una sorta di espropriazione “speciale”, non più finalizzata alla sottrazione di quanto acquisito grazie alla commissione di un reato bensì alla restituzione all’erario di quanto dovuto.

Si tratta di una evidente torsione rispetto alla ratio che, nell’intenzione del legislatore, doveva governare l’istituto della confisca “allargata”. Tale aspetto è stato segnalato da chi ha esaminato la novella legislativa sotto i profili della ragionevolezza e della proporzionalità, partendo dalle scelte di politica criminale sottese alla estensione della confisca per sproporzione ai più gravi reati tributari[47]. La critica principale mossa al legislatore è quella di aver dato continuità ad una tendenza ormai radicata nell’esperienza giuridica contemporanea, applicando strumenti tipici della lotta alla criminalità organizzata a quegli illeciti che, in un determinato momento storico, vengono avvertiti come dotati di maggiore allarme sociale[48]. La astratta possibilità di aggredire il complesso di beni rientranti nel patrimonio del condannato alla luce della commissione di un reato non necessariamente inserito in un quadro di criminalità organizzata stride fortemente con i citati parametri di ragionevolezza e proporzionalità, imprescindibili canoni che devono orientare il sistema delle sanzioni punitive e, in generale, del diritto penale[49]. Giova richiamare, infine, le conclusioni cui è giunto un Autore, il quale ha osservato che la riforma apportata dalla L. n. 157/2019 non ha fatto altro che sancire la definitiva trasformazione della confisca “allargata”: originariamente retta dalla finalità di contrastare la criminalità organizzata, tale misura ablatoria si è ormai trasmutata «in un mezzo di recupero straordinario delle attività sottratte al fisco»[50].

Risulta evidente come l’auspicio formulato dalla Consulta all’esito della sentenza n. 33/2018 sia stato disatteso dal legislatore. Spetterà al giudice operare un approfondito esame in concreto della vicenda posta alla propria attenzione, valutando le circostanze del fatto e la personalità dell’autore, al fine di verificare se il fatto per cui è intervenuta condanna possa essere sussunto o meno nello schema astratto su cui fonda la presunzione relativa dell’art. 240-bis c.p.: in caso di risposta negativa, egli sarà tenuto, in ossequio a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, a non applicare la misura ablatoria.

Solo in tal modo sarà possibile rispettare l’originaria impostazione della confisca “allargata”, applicando l’istituto in questione a quei fatti non episodici, le cui modalità e tipologie siano sintomatiche di un illecito arricchimento frutto di diverse ed ulteriori attività delittuose non ancora emerse.

*Avvocato del Foro di Napoli.

 

[1] Per una lettura approfondita del tema si rinvia, senza pretesa di esaustività, a Marinucci G., Dolcini E., Gatta. G. L., Manuale di Diritto Penale. Parte Generale, 9a edizione, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020, Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte generale, 8a edizione, Zanichelli, Torino, 2019, Mantovani F., Diritto penale. Parte generale, 11a edizione, CEDAM, Vicenza, 2020.

[2] Cass., Sez. Un., 27-03-2008 (dep. 02-07-2008), n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.a., in motivazione, ricostruisce in tal modo la finalità della misura in questione.

[3] Le Sezioni Unite hanno scolpito, con varie pronunce, il paradigma di ciascuna componente della triade profitto-prezzo-prodotto del reato, di regola unificata nella nozione onnicomprensiva di “provento del reato”. Il profitto del reato è stato inteso in forma estesa da Cass., Sez. Un., 25-10-2007 (dep. 06-03-2008), n. 10280, Miragliotta e. successivamente, da Cass., Sez. Un., 24-04-2014 (dep. 18-09-2014), n. 38343, Espenhahn, decisioni nelle cui motivazioni veniva consentito il sequestro finalizzato alla confisca anche in relazione ad “ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa”. Secondo Cass., Sez. Un., 27-03-2008, n. 26654, cit., il prezzo va individuato nel “compenso dato o promesso ad una determinata persona come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito”. Più risalente la definizione del prodotto del reato, identificato da Cass., Sez. Un., 03-07-1996 (dep. 17-10-1996), n. 9149, Chabni, nel risultato che il colpevole ottiene direttamente dalla perpetrazione dell’illecito.

[4] Marinucci G., Dolcini E., Gatta. G. L., Manuale di Diritto Penale. Parte Generale, p. 871. Secondo gli Autori queste sono le “cose intrinsecamente criminose”, le quali si distinguono in ipotesi di divieto assoluto o di divieto relativo, a seconda che il possesso, l’uso, ecc. configuri sempre un reato (in quanto assolutamente vietato) oppure possa essere autorizzato in via amministrativa (l’esempio fornito è quello di una arma comune da sparo, di cui era autorizzata la detenzione in casa, trasferita senza previa denuncia all’Autorità di pubblica sicurezza).

[5] Trattasi di una questione non di poco conto, poiché la soluzione della stessa comporta la applicazione (o meno) di una serie di garanzie in favore dell’imputato. L’art. 236 c.p. esclude la applicazione all’istituto della confisca di quanto stabilito dall’art. 200, co. 2-3, c.p., in materia di misure di sicurezza personali: la misura ablatoria in questione, poiché fondata sulla pericolosità della cosa, può essere applicata anche retroattivamente. Sempre in base al dettato normativo dell’art. 236 c.p., la sottoposizione a confisca di un bene non è impedita dall’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, considerato che la disposizione innanzi citata delimita la operatività della previsione dell’art. 210 c.p., per il quale “l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione”, alle misure di sicurezza diverse dalla confisca. Ne consegue che alla confisca-misura di sicurezza si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione, sicché ben potrebbe essere sottoposto a vincolo un bene connesso ad un reato che, al momento del fatto, era penalmente irrilevante (o, ancora, disporre l’esecuzione di una misura non prevista all’epoca di commissione del fatto). Per una critica a tale impostazione, ex multis, Pagliaro A., Principi di diritto penale. Parte generale, 9a edizione, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020, p. 126. Orbene, la giurisprudenza ha avuto modo di sostenere con dovizia di argomenti la natura di sanzione penale della confisca per equivalente, caratterizzata da istanze volte al ripristino dell’equilibrio economico infranto dall’illecito: le Sezioni Unite si sono assestate su simili posizioni sin da Cass., Sez. Un., 25-10-2005 (dep. 22-11-2005), n. 41936, Muci, le cui conclusioni sono state ribadite da Cass., Sez. Un., 25-06-2009 (dep. 06-10-2009), n. 38691, Caruso. Coeva alla sentenza Caruso è la pronuncia della Consulta – C. Cost., 01-04-2009 (dep. 02-04-2009), n. 97 – con cui è stato ritenuto che, in assenza della pericolosità del bene ablato (res priva di un rapporto diretto di strumentalità con il reato), la relativa sottrazione al patrimonio del reo acquisisce connotati puramente afflittivi: logica conseguenza di ciò è la impossibilità di riconoscere efficacia retroattiva, ai sensi dell’art. 25, co. 3, Cost., alla misura in parola, il cui ambito di operatività temporale è disciplinato dal secondo comma della norma poc’anzi citata. La confisca, peraltro, è stata considerata come misura di sicurezza dal Codice Rocco, in aperta discontinuità con il Codice Zanardelli che, al contrario, la qualificava come “pena complementare”, una sorta di effetto penale della condanna.

[6] Su tali posizioni è assestata anche la giurisprudenza maggioritaria, come confermato, ex multis, da Cass., Sez. III, 13-11-2007 (dep. 08-01-2008), n. 346, Ortega, da Cass., Sez. III, 11-05-2011 (dep. 16-06-2011), n. 24169, C.N. e, più di recente, Sez. III, 19-01-2016 (dep. 01-02-2016), n. 4097, Tomasi Canovo. In dottrina, cfr. Gaito A., Sequestro e confisca per equivalente. Prospettive d’indagine, in “Giurisprudenza Italiana”, 2009, p. 2066, secondo il quale lo strumento della confisca “di valore”, proprio per il segnalato difetto di pertinenzialità del suo oggetto con il delitto accertato, impone al giudice che debba applicarla una preventiva valutazione della consistenza dei beni costituenti prezzo o profitto del reato, così da garantire la corrispondenza con il quantum dell’ablazione.

[7] La misura in questione fu introdotta dal D.L. n. 399 del 20-06-1994, convertito dalla L. n. 501 del 08-09-1994, che inseriva l’art. 12-sexies nel D.L. n. 306 del 08-06-1992, convertito dalla L. n. 356 del 07-08-1992. Il D. Lgs. n. 21 del 01-03-2018 ha trasposto la norma in questione nell’art. 240-bis c.p. in attuazione della cd. “riserva di codice”.

[8] Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte generale, p. 892. Gli Autori ravvisano nella confisca “allargata” analogie con l’omonima misura di prevenzione, in particolare alla luce della segnalata inversione dell’onere della prova.

[9] L. n. 646 del 13-09-1982, recante “Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia”. Per una analisi approfondita della evoluzione del sistema delle confische, Menditto F., Le misure di prevenzione personali e patrimoniali. La confisca allargata (art. 240-bis c.p.), Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019, pp. 937 e ss.

[10] Ai sensi dell’art. 12-quinquies, co. 2, D.L. n. 306/1992, la confisca riguardava il patrimonio di coloro che «anche per interposta persona fisica o giuridica, risultano titolari o avere la disponibilità a qualsiasi titolo di denaro, beni o altre utilità di valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, e dei quali non possano giustificare la legittima provenienza».

[11] C. Cost., 09-02-1994 (dep. 17-02-1994), n. 48. La Consulta, dopo aver ricostruito le ragioni di politica criminale sottese agli interventi novellatori della stagione emergenziale, stigmatizza la inconciliabile divergenza tra le garanzie che si attivano con la contestazione di una fattispecie criminosa (quale, appunto, l’art. 12-quinquies, co. 2) e una misura di prevenzione patrimoniale ante delictum.

[12] Originariamente applicabile ai soli artt. 416-bis, 629, 630, 644, 644-bis, 648 (esclusa la fattispecie di lieve entità del secondo comma), 648-bis, 648-ter c.p., 12-quinquies del D.L. n. 306/1992, 73, 74 del D.P.R. n. 309 del 09-10-1990, 295, co. 2, del D.P.R. n. 43 del 23-01-1973, nonché i delitti aggravati dall’art. 7 del D.L. n. 152 del 13-05-1991, convertito con modifiche dalla L. n. 203 del 12-07-1991, oggi l’ex art. 12-sexies (trasfuso nell’art. 240-bis c.p) può essere applicato ai condannati per delitti gravi contro la Pubblica Amministrazione, delitti in materia di ambiente e contro la fede pubblica, reati informatici e di pornografia minorile. La previsione di un rinvio mobile all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. consente, inoltre, il simultaneo aggiornamento del catalogo di delitti di competenza della D.D.A. e del novero delle fattispecie per le quali è consentito il ricorso alla confisca “allargata”.

[13] Cass., Sez. Un., 29-05-2014 (dep. 29-07-2014), n. 33451, Repaci, secondo cui « la confisca di prevenzione e la confisca cosiddetta “allargata”, di cui all’art. 12 sexies D.L. 8 giugno 1992, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n.356, presentano presupposti applicativi solo in parte coincidenti, atteso che per entrambe è previsto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato e che presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito da quest’ultimo dichiarato ovvero all’attività economica dal medesimo esercitata, tuttavia solo per la confisca di prevenzione è prevista la possibilità di sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego ». Per i rapporti con le confische-sanzione, ex multis, Cass., Sez. VI, 11-10-2012 (dep. 07-03-2013), n. 10887, Alfiero, che ha affermato come « l’ipotesi di confisca prevista dall’art. 12 sexies D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, può essere disposta anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni che l’hanno istituita, in quanto il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi sicura natura sanzionatoria e non anche in relazione alle misure di sicurezza, tra cui va ricompresa la confisca in questione ».

[14] C. Cost., 22-01-1996 (dep. 29-01-1996), n. 18. Nella pronuncia in commento la Consulta ha ritenuto non irragionevole la presunzione di provenienza illecita di beni sproporzionati al reddito del condannato per uno dei reati contemplati dall’art. 12-sexies, D.L. n. 306/1992. La sproporzione, dunque, assume il ruolo di indicatore della derivazione non lecita del bene oggetto del provvedimento ablatorio.

[15] C. Cost., 08-11-2017 (dep. 21-02-2018), n. 33.

[16] C. Cost., 24-01-2019 (dep. 27-02-2019), n. 24.

[17] Secondo la Corte, « i delitti devono essere idonei a determinare una illecita accumulazione di ricchezza e suscettibili, secondo l’osservazione sociologica, di essere perpetrati in forma professionale o comunque continuativa ».

[18] C. Cost., 08-11-2017 (dep. 21-02-2018), n. 33.

[19] C. Cost., 08-11-2017 (dep. 21-02-2018), n. 33: « A fronte del ricordato processo di accrescimento della compagine dei reati cui è annessa la misura ablativa speciale, questa Corte non può astenersi, peraltro, dal formulare l’auspicio che la selezione dei “delitti matrice” da parte del legislatore avvenga, fin tanto che l’istituto conservi la sua attuale fisionomia, secondo criteri ad essa strettamente coesi e, dunque, ragionevolmente restrittivi. Ad evitare, infatti, evidenti tensioni sul piano delle garanzie che devono assistere misure tanto invasive sul piano patrimoniale, non può non sottolinearsi l’esigenza che la rassegna dei reati presupposto si fondi su tipologie e modalità di fatti in sé sintomatiche di un illecito arricchimento del loro autore, che trascenda la singola vicenda giudizialmente accertata, così da poter veramente annettere il patrimonio “sproporzionato” e “ingiustificato” di cui l’agente dispone ad una ulteriore attività criminosa rimasta “sommersa” … ».

[20] Amarelli G., Confisca allargata e ricettazione, in attesa di una riforma legislativa la Corte fissa le condizioni di legittimità con una sentenza interpretativa di rigetto dai possibili riflessi su altri “reati matrice”, in “Giurisprudenza Costituzionale”, 2018, pp. 307 ss. L’Autore fa riferimento non solo al delitto di ricettazione ma anche ai reati contro la Pubblica Amministrazione, in particolare per l’ipotesi del peculato.

[21] Amarelli G., Confisca allargata e ricettazione, in attesa di una riforma legislativa la Corte fissa le condizioni di legittimità con una sentenza interpretativa di rigetto dai possibili riflessi su altri “reati matrice”, ipotizza le forme di un possibile intervento legislativo. Per i delitti non riconducibili al circuito della criminalità organizzata, il Legislatore potrebbe subordinare l’applicazione della confisca “allargata” alla verifica della sussistenza di una struttura associativa (semplice o qualificata, ad esempio ex art. 416-bis c.p.): l’inserimento dell’autore del reato-matrice in seno all’associazione per delinquere « renderebbe decisamente più ragionevole la presunzione circa l’illecita provenienza dei beni sproporzionati ritrovati ingiustificatamente nella disponibilità del reo ». Si tratta di una scelta già adottata con la L. n. 161 del 17-10-2017, che ha inserito nel novero dei delitti per i quali è possibile applicare una misura di prevenzione i reati contro la P.A., purché sia stata contestata anche la fattispecie ex art. 416 c.p.

[22] C. Cost., 24-01-2019 (dep. 27-02-2019), n. 24. Tali istituti sono caratterizzati « sia da un allentamento del rapporto tra l’oggetto dell’ablazione e il singolo reato, sia, soprattutto, da un affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa», in funzione dell’esigenza di «superare i limiti di efficacia della confisca penale “classica”: limiti legati all’esigenza di dimostrare l’esistenza di un nesso di pertinenza – in termini di strumentalità o di derivazione – tra i beni da confiscare e il singolo reato per cui è pronunciata condanna. Le difficoltà cui tale prova va incontro hanno fatto sì che la confisca “tradizionale” si rivelasse inidonea a contrastare in modo adeguato il fenomeno dell’accumulazione di ricchezze illecite da parte della criminalità, e in specie della criminalità organizzata: fenomeno particolarmente allarmante, a fronte tanto del possibile reimpiego delle risorse per il finanziamento di ulteriori attività illecite, quanto del loro investimento nel sistema economico legale, con effetti distorsivi del funzionamento del mercato ».

[23] L’aspetto è approfondito da Maugeri A. M., Pinto de Albuquerque P., La confisca di prevenzione nella tutela costituzionale multilivello: tra istanze di tassatività e ragionevolezza, se ne afferma la natura ripristinatoria (C. Cost. 24/2019), in “Sistema Penale”, 29-11-2019.

[24] Bricchetti R., Veneziani P., I reati tributari (a cura di), in Palazzo F., Paliero C. E. (diretto da), Trattato teorico pratico di diritto penale, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 464-465, segnalano come la L. n. 516 del 07-08-1982, predisponendo un sistema di lotta all’illecito tributario penale modellato sulla tutela dell’interesse dell’erario a percepire tempestivamente il tributo, non avesse tra i propri obiettivi la sottrazione al patrimonio del reo di quanto non corrisposto a titolo di imposta. Gli Autori evidenziano come, sotto la vigenza della L. n. 516/1982, la Suprema Corte abbia trattato della confisca tributaria in una serie limitatissima di episodi, citando a tal proposito Cass., Sez. III, 20-03-1996 (dep. 03-05-1996), n. 1343, P.M. in proc. Centofanti – ipotesi in cui veniva affermato che « in tema di frode fiscale non è assoggettabile a sequestro preventivo nella prospettiva di una successiva confisca il saldo liquido di conto corrente in misura corrispondente all’imposta evasa, non sussistendo il necessario rapporto i derivazione diretta tra l’evasione dell’imposta e le disponibilità del conto, dal momento che non può affermarsi che la disponibilità liquida sia frutto dell’indebito arricchimento per una somma equivalente all’imposta evasa ».

[25] La norma in questione prevede una ipotesi di confisca obbligatoria del profitto e del prezzo dei reati previsti dagli artt. 314 – 320 c.p., anche per equivalente; il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, è tenuto ad indicare la effettiva entità dei beni da confiscare, a prescindere dal fatto che l’ablazione sia diretta o indiretta.

[26] Bricchetti R., Veneziani P., I reati tributari, p. 471.

[27] Cfr., ex multis, Cass., Sez. VI, 09-03-2011 (dep. 04-07-2011), n. 26097, Sturani.

[28] La norma si conclude con la precisazione che, in caso di mancato versamento dell’imposta dovuta, la confisca tornerà a spiegare la propria operatività.

[29] Bricchetti R., Veneziani P., I reati tributari, pp. 514-515, osservano come il pagamento del debito d’imposta elida la sussistenza di un vantaggio indebito aggredibile da parte dell’A.G. e, soprattutto, come sia proprio il carattere sanzionatorio della confisca per equivalente ad imporne la disapplicazione laddove l’indagato abbia provveduto a versare quanto dovuto all’erario.

[30] Cass., Sez. III, 12-07-2012 (dep. 03-12-2012), n. 46726, Lanzalone.

[31] Cass., Sez. III, 14-01-2016 (dep. 11-02-2016), n. 5728, Orsetto, che ha ribadito sia la necessità di un impegno formale e non « la mera esternazione unilaterale del proposito di adempiere svincolata da ogni scadenza e da ogni obbligo formale nei confronti della controparte ». Inoltre, secondo la Corte, « anche in presenza di piano rateale di versamento, la confisca continua ad essere consentita per gli importi che non siano stati ancora corrisposti », legittimando l’idea di una progressiva riduzione del quantum oggetto di provvedimento ablatorio al diminuire del debito tributario residuo.

[32] Delsignore S., Art. 12-bis, in Nocerino C., Putinati S. (a cura di), La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs. n. 158/2015, Giappichelli, Torino, 2015, p. 288, segnala come l’art. 12-bis del D.Lgs. n. 74/2000 sia viziato da un evidente sconfinamento, da parte del Governo, oltre i limiti imposti con la legge delega. L’art. 8 della L. n. 23/2014 consentiva all’Esecutivo di riformare il sistema sanzionatorio penal-tributario prevedendo una serie di possibili interventi, tra i quali non rientrava la possibilità di ampliare il catalogo di reati per i quali fosse possibile disporre la confisca del prezzo o del profitto di reato. La novella, al contrario, ha esteso la operatività della misura ablatoria anche al delitto di cui all’art. 10, D.Lgs. n. 74/2000 (“Occultamento o distruzione di documenti contabili”), non contemplato dal novero di fattispecie indicate all’art. 1, co. 143, della legge finanziaria 2008.

[33] Cass., Sez. Un., 31-01-2013 (dep. 23-04-2013), n. 18374, Adami. Secondo il Supremo Consesso, il risparmio di spesa si compone non solo del mancato pagamento dell’imposta dovuta, ma anche degli interessi e delle sanzioni dovute a seguito dell’accertamento espletato dalla Amministrazione Finanziaria.

[34] Per un esame completo della disciplina della responsabilità amministrativa degli enti si rinvia a Cadoppi, A., Canestrari S., Manna A., Papa M. (diretto da), Diritto penale dell’economia, 2a edizione, Utet Giuridica, Milano, 2019.

[35] Cass., Sez. Un., 30-01-2014 (dep. 05-03-2014), n. 10561, Gubert. Criticano tale impostazione Bricchetti R., Veneziani P., I reati tributari, p. 489, i quali sottolineano «una intrinseca contraddizione di fondo, che si rispecchia nell’ossimoro “confisca diretta del denaro per un importo equivalente al profitto».

[36] La confisca per equivalente non poteva essere applicata all’ente poiché, come precisato, nel 2013 i reati tributari non costituivano presupposto della responsabilità amministrativa della persona giuridica; oggi, diversamente, essi sono contemplati dall’art. 25-quinquiesdecies del D.Lgs. 231/2001.

[37] Mucciarelli F., Paliero C. E., Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in “Diritto Penale Contemporaneo”, 20-04-2015, p. 12, evidenziano come « la confisca proprietaria esige la derivazione eziologica dal reato del bene confiscabile, e sconta dunque che sia possibile istituire un collegamento (probatorio) fra il provento del reato e l’oggetto della confisca: situazione rispetto alla quale è del tutto indifferente la natura (fungibile o infungibile) del bene stesso ».

[38] Cass., Sez. Un., 26-06-2015 (dep. 21-07-2015), n. 31617, Lucci.

[39] D’Ippolito E., Confisca, in Cadoppi, A., Canestrari S., Manna A., Papa M. (diretto da), Diritto penale dell’economia, vol. I, Reati Tributari. Diritto penale del lavoro, pp. 445-488. L’Autore stigmatizza i principi elaborati dalle Sezioni Unite, segnalando come sia stata introdotta nell’ordinamento una forma di confisca costituente un «ibrido di creazione giurisprudenziale». Delsignore S., Art. 12-bis, p. 303, a sua volta condanna la svolta interpretativa della Suprema Corte: «le ragioni che avevano indotto alla sua introduzione (dell’art. 12-bis), ed in particolare l’esigenza di superare i limiti operativi della tradizionale confisca diretta, sono infatti in larga parte superate dai più recenti approdi delle Sezioni Unite».

[40] L’art. 12-ter non consente un indebito ricorso alla confisca per sproporzione. Invero, oltre al presupposto della condanna per uno dei reati-spia, andrà verificato il superamento di determinate soglie per ciascuna ipotesi di reato. Così, ad esempio, l’art. 240-bis c.p. non potrà essere applicato nei confronti del condannato per violazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 laddove l’ammontare degli elementi passivi fittizi non superi 200.000 euro.

[41] Si pensi al D.Lgs. n. 158 del 24-09-2015 che, intervenendo sull’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000, triplicò (da 50.000 a 150.000 euro) la soglia di rilevanza penale della condotta tipica, con evidenti ricadute sul carico di procedimenti giudiziari iscritti per violazioni del reato in questione.

[42] Quanto all’art. 11, co. 1 (inerente il pagamento delle imposte), l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi al cui pagamento ci si è sottratti (per cifre superiori, nel complesso, a 100.000 euro); infine, per l’art. 11, co. 2 (avente ad oggetto illeciti nella fase della transazione fiscale), si considera l’ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi (oltre 200.000 euro).

[43] Relazione del 09-01-2020 dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione.

[44] Cass., Sez. II, 12-10-2018 (dep. 14-12-2018), n. 56374, Di Spirito.

[45] Oltre al rinvio espresso all’art. 51, co. 3­-bis, c.p.p. (in tema di reati di competenza della Procura Distrettuale), l’art. 240-bis c.p. consente l’applicazione della confisca “allargata” ai condannati per i più gravi delitti contro la P.A., per violazione dell’art. 416 c.p. realizzato allo scopo di commettere delitti previsti in materia di falso e frode commerciale, per prostituzione e pornografia minorile, ecc. Appare chiaro come, almeno per queste ultime ipotesi, sorgano dubbi in ordine alla legittimità della presunzione di provenienza illecita dei beni presenti nel patrimonio del condannato, asseritamente inserito in un più vasto “circuito” delinquenziale.

[46] Lanzi M., La confisca in “casi particolari”, o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, in Cadoppi, A., Canestrari S., Manna A., Papa M. (diretto da), Diritto penale dell’economia, vol. I, Reati Tributari. Diritto penale del lavoro, pp. 501-503.

[47] Della Ragione L., Confisca allargata e reati tributari nel prisma dell’idea di scopo, in Bondi A. et al. (a cura di), Studi in onore di Lucio Monaco, Urbino University Press, Urbino, 2021, pp. 1191-1196.

[48] Della Ragione L., Confisca allargata e reati tributari nel prisma dell’idea di scopo, p. 1194, evidenzia come un simile modus agendi sia sintomatico del disinteresse, da parte del Parlamento, «rispetto al dato scientifico socio-criminologico che dovrebbe essere la base della legislazione».

[49] L’argomento è approfondito da Recchia N., Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2020, p. 231.

[50] Lanzi M., La confisca in “casi particolari”, o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, p. 503.