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DISABILITÀ PSICHIATRICHE ED ESIGIBILITÀ DELLA PREVENZIONE PERSONALE – DI ANDREA BONIFATI

DISABILITÀ PSICHIATRICHE ED ESIGIBILITÀ DELLA PREVENZIONE PERSONALE – DI ANDREA BONIFATI

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DISABILITÀ PSICHIATRICHE ED ESIGIBILITÀ DELLA PREVENZIONE PERSONALE

PSYCHIATRICAL DISABILITY AND EXSPECTATION OF PERSONAL PREVENTION

di Andrea Bonifati*

Nel contesto attuale di espansione della normazione di prevenzione personale, il contributo[1] evidenzia, in relazione a tale sistema, le esigenze peculiari di considerazione delle persone affette da disturbi psichiatrici, con particolare riferimento al difetto di volizione e nel rischio di tipizzazione del tatertyp. Valutate le criticità del criterio dell’imputabilità, per la sua inferenza all’ambito della responsabilità, ed optando per la natura quasi penale delle misure di prevenzione personali, l’esigibilità è prospettata quale soluzione anche de jure condendo per la valutazione di tali misure con riferimento alle persone affette da tali patologie.

In the corrent and expansionist context thereon personal prevention’s rules, the essay points out, related to this legislation, particular requirements to examine the sick individuals of psychiatrical disability, with a special reference to lack willpower and in danger of tatertyp’s standardization. In exstimation of criticality about chargeability’s rule, for her inference as a part of liability, and to choosing for kind nearly criminal of personal prevention’s misures, the expectation appears to be the answer also de jure condendo for consideration thereon these misures about individuals suffering from these pathologies.

 

Sommario: 1) La soggettivazione nel paradigma normativo delle misure di prevenzione personali. 2) La peculiarità dei disturbi psichiatrici incidenti sulla volizione. 3) I rischi di tätertyp nella prevenzione in generale e per le persone disturbate in particolare. 4) La condizione patologica dei disturbi psichiatrici e la rinnovata considerazione della giurisprudenza di legittimità e costituzionale. 5) Volizione alterata e rapporto col delitto ex art. 75 d.lgs. 159/2011: un nodo gordiano o un’aporia? 6) Categoria dell’imputabilità e sue criticità applicative per le misure di prevenzione. 7) L’obiter dictum di Cass., VI, 24635/2020. 8) La natura quasi penale delle misure di prevenzione e l’ipotesi de jure condendo dell’esigibilità.

 

1.

La soggettivazione nel paradigma normativo delle misure di prevenzione personali.

La necessità di analisi della subiettivazione della norma penale, in teoria generale del diritto, è un antico insegnamento della dottrina[2].

Tra i due estremi della norma e della situazione giuridica soggettiva, il procedimento di subiettivazione trova nella verifica della sussistenza della capacità il momento formale ed il presupposto della responsabilità[3].

La c.d. subiettivazione, oggi, ha necessità peculiare di analisi nel paradigma delle misure di prevenzione personali, sia per la sua intrinseca natura di diritto penale d’autore sia per un saggio critico degli approdi del legislatore e delle esegesi che, in materia, sembrano utilizzare una praesumptio juris et de jure di sussistenza di capacità soggettiva nel preponendo.

Nel tempo e per quel che concerne l’ambito soggettivo di applicazione, dunque, la struttura normativa delle misure di prevenzione personali ha avuto modificazioni tendenzialmente molto incisive.

La regola originaria, contenuta nell’art. 1 della Legge 27.12.1956 n°1423, individuava cinque “categorie ritenute potenzialmente criminogene”[4] nella specie degli oziosi e vagabondi, i delinquenti abituali per traffici illeciti, coloro che vivessero abitualmente con proventi di delitti od altro di illecito, gli sfruttatori del meretricio o della tratta di donne et similia e, infine, i delinquenti abituali in attività contrarie alla morale pubblica ed al buon costume.

La riforma del 1988 novellò il predetto art. 1, destinando la prevenzione ai soggetti identificati solo col pronome «coloro», con l’unica precisazione dell’abitualità di condotta per la fattispecie dei «traffici delittuosi» (n°1) e della vivenza «con i proventi di attività delittuose» (n°2).

Nel contempo, il legislatore del 1988 volle proteggere altri beni giuridici (quali l’integrità dei minorenni, la sanità, la sicurezza e la tranquillità pubblica) col mero riferimento all’offesa od alla situazione di pericolo (n°3).

La norma attualmente vigente, derivante dalla codificazione del 2011 (d.lgs. 159/2011) e dalle riforme di quest’ultimo del 2014 e del 2017, invece e negli artt. 1 e 4, da una parte ha riproposto la schema previgente legato all’abitualità ed alla dedizione alla commissione di reati (art. 1)[5] e, dall’altro (art. 4), ha utilizzato una variegata terminologia ad ambito soggettivo[6]indiziati», «soggetti indiziati» {lettere a, b, d, i, i bis ed i ter}, «coloro che abbiano fatto parte» {lettera e}, «coloro che compiano atti preparatori … ovvero esecutivi» {lettera f}, «condannati» {lettera g} e «istigatori, mandanti e finanziatori» {lettera h}) ovvero ha espresso un indiretto richiamo alla pericolosità soggettiva (nella lettera c) con l’evidente intento di diminuire la genericità del testo normativo previgente ma senza approntare un sistema effettivamente garantistico a fronte dell’incisività del sistema sulle libertà della persona.

Tanto in un modello normativo in cui è certo da condividere, per quel che concerne le persone destinatarie della prevenzione personale, il permanere «una certa vaghezza descrittiva delle disposizioni regolatrici»[7] ma, nel contempo, può intravedersi lo sforzo del legislatore di accompagnare al paradigma del tipo criminologico d’autore, che può intravedersi nella disciplina dell’art. 1 cennato, il paradigma meno discrezionale del tipo normativo d’autore, che ispira la disciplina dell’art. 4 cennato[8].

Il paradigma categoriale del tipo, infatti, evidenzia criticità giuridiche in relazione a giudizi meramente prognostici difettanti, come tali, di tassatività[9].

In altri termini, tale tipizzazione è imprescindibile se intesa a livello categoriale[10] e deve riconoscersi pure che sussista un legame indissolubile tra il tipo criminologico e quello normativo[11].

Tuttavia, l’uso di due tecniche di normazione così difformi non consente di sottacere le criticità di tale sistema quando impatti sulle disabilità di natura psichiatrica.

2.

La peculiarità dei disturbi psichiatrici incidenti sulla volizione

La prassi mostra che, nel genus dei c.d. disturbi della personalità[12], ben tre disabilità incidono significativamente sulla volontà della persona e, più precisamente, sul suo momento concretizzante della volizione.

Mi riferisco, precipuamente, al disturbo schizotipico di personalità (in DSM V 301.22), al disturbo antisociale di personalità (in DSM V 301.7) ed al disturbo borderline della personalità (in DSM V 301.83).

Dal pattern del primo rilevo, tra l’altro, la sussistenza di «distorsioni cognitive e percettive … strane convinzioni o pensiero magico (come superstizione, chiaroveggenza, telepatia, sesto senso) che influenzano il comportamento»[13].

Invece, dal pattern del disturbo antisociale evidenzio la «incapacità a conformarsi alle norme sociali … impulsività … mancanza di rimorso …», in altri termini mostrando una volizione malata ed ostativa nei confronti di qualsiasi regola[14].

Infine, del pattern del disturbo borderline considero l’instabilità relazionale, personale ed umorale insieme con la marcata impulsività e l’irritabilità incontrollata[15].

Ebbene, della persona affetta da tali disturbi occorre la valutazione della volizione.

La capacità volitiva è considerata, nel sistema penale, dalla regola di imputabilità, di cui all’art. 85 cod. pen.

L’opinione tradizionale, al riguardo, considera in una «unità sostanziale della psiche»[16] la dicotomia capacità d’intendere e capacità di volere.

Così come, sempre in tale solco, la struttura della volizione è ritenuto un «fascio di coscienza, rappresentazioni, giudizi e sentimenti»[17].

Tale impostazione, tuttavia, mostra criticità nel raffronto con l’evoluzione scientifica psichiatrica cennata, peraltro in costante aggiornamento, ove i casi di capacità grandemente scemata, così definiti nella prassi psichiatrica, impattano sulla disciplina della prevenzione personale.

In altri termini, nulla quaestio circa l’esclusione dell’applicabilità della prevenzione personale a coloro che siano affetti da vizio totale di mente.

Tuttavia, è da chiedersi se la mera sussistenza di un c.d. vizio parziale di mente, laddove a quest’ultimo possano ricondursi i citati casi in DSM V 301.22 e, soprattutto, 301.7 e 301.83, possa ritenere ancora giustificabile, in astratto ed in concreto, l’applicazione di una misura di prevenzione personale a costoro per effetto di una volontà affetta da questi disturbi.

3.

I rischi di tätertyp nella prevenzione in generale e per le persone disturbate in particolare

Gli studi del Novecento, anche della dottrina tedesca, tentarono l’elaborazione di un modello antropologico di delinquente, nel quale la categorizzazione del tipo d’autore voleva rispondere all’esigenza di individuare caratteri costanti nel crimine[18].

La ripetizione uniforme di condotte illecite era il presupposto della tipizzazione del tätertyp[19], successivamente rinominato in Italia nel pericolo schema del tipo legale normativo puro[20].

Con l’avvento della Repubblica, in Italia, la struttura normativa del tipo d’autore si attagliò all’antica formulazione delle misure di prevenzione, o misure di polizia, per gli oziosi ed i vagabondi.

Con ciò, il legislatore non accolse schemi “puri” di tipologia legale normativa preferendo un modello classificatorio, finalizzato alla protezione di esigenze di sicurezza pubblica.

Nell’attualità, è stato posto, in relazione alla prevenzione personale, un problema di prevedibilità del diritto, rispetto al quale il tätertyp costituirebbe un vero e proprio rischio nell’applicazione delle misure di prevenzione personali[21].

Tuttavia, non condividiamo tale impostazione per due argomenti.

Che la prevenzione personale comporti un’esigenza di prevedibilità non è un presupposto né un requisito di tale sistema.

Che il paradigma del tipo normativo si riduca alla sua connotazione pura è errato, potendosi adottare, in una prospettiva di diritto mite, il modello non estremizzato.

Così come deve ancora condividersi l’utilità della nozione di tatertyp nella connotazione di categoria classificatoria[22], che peraltro, oggi forse più di ieri, consente di arricchire l’analisi giuridica dei progressi scientifici di ambito psicologico, psichiatrico, etc.

Piuttosto, la sensibilità giuridica odierna non può sottacere l’eterogenesi dei fini del bene sicurezza, antica ratio legis delle misure di polizia, bene giuridico imprecisabile e, aggiungiamo, dalle pericolose involuzioni interpretative[23].

E, in tale ambito, la riflessione trova nuovi e peculiari spunti con riferimento alle disabilità psichiatriche ed al loro impatto sul sistema della prevenzione personale.

4.

La condizione patologica dei disturbi psichiatrici e la rinnovata considerazione della giurisprudenza di legittimità e costituzionale

Il Codice antimafia considera indirettamente le persone affette da patologie psichiatriche laddove, negli artt. 13 e 15, disciplina il rapporto della prevenzione con le misure di sicurezza.

L’art. 13 del Codice pone in rapporto la misura della sorveglianza speciale con le misure di sicurezza detentive, disponendo una mera postergazione temporale dell’esecuzione della prima ovvero, «se sia stata pronunciata», la cessazione degli effetti.

Con il conseguente problema delle detenzioni di lunga durata e della questione connessa della rivalutazione della pericolosità, accertata molto tempo prima dell’esecuzione della prevenzione.

Ne è scaturita la riforma del 2017 dell’art. 14 co. 2 del Codice, che oggi impone al giudice, anche d’ufficio, di rivalutare la pericolosità in caso di sospensione dell’esecuzione della prevenzione per detenzione[24].

L’art. 15 del Codice dispone invece la cessazione di diritto dell’obbligo di soggiorno in caso di misura di sicurezza detentiva.

Un tale quadro normativo è palesemente insufficiente nel tema che si sta affrontando giacché non considera tampoco l’impatto della forza cogente della norma, anche di quella versata nella misura di prevenzione, sulle persone affette da disturbi psichiatrici.

Al contrario, la giurisprudenza di legittimità degli anni Duemila ha apprezzato la rilevanza dei disturbi della personalità, e non soltanto delle più gravi malattie mentali[25], nel concorrere di consistenza, intensità e gravità, da una parte, e del nesso eziologico tra il disturbo e l’evento originato dalla condotta, dall’altra.

Nello stesso solco può ascriversi la giurisprudenza costituzionale che, molto di recente, ha strettamente legato le misure di prevenzione al principio di legalità, nel ripudio dell’utilizzo di sospetti meri[26], circa la necessarietà della comprensione di obblighi e prescrizioni[27], oppure ha affermato l’illegittimità dell’art. 75 d.lgs. 159/2011, sottoponendolo alla prova di resistenza della tassatività processuale e della verifica del quomodo della prova, quanto al dovere di determinatezza della fattispecie ed alla sua inosservanza con le prescrizioni generiche di vivere onestamente e di rispettare le leggi[28].

Tema, questo, che può esser letto in parallelo all’estensione esegetica della prevalenza del diritto alla salute rispetto alla difesa della collettività nel bilanciamento di interessi che ha portato all’applicazione, anche in deroga, della detenzione domiciliare ex art. 47 ter co. 1 Legge 26.07.1975 n°354[29].

Il tema diviene quindi, a contrario ragionando, l’incondivisibile deminutio di garanzie per la persona nel quadro anche degli approdi della giurisprudenza sovranazionale[30] e della “cattiva coscienza” del legislatore penale italiano quanto alla natura di polizia della prevenzione personale[31].

5.

Volizione alterata e rapporto col delitto ex art. 75 d.lgs. 159/2011: un nodo gordiano o un’aporia?

È nel rapporto tra il delitto di violazione della misura e la pregressa applicazione di prevenzione personale a persona disturbata che si evidenzia una forte criticità nell’esperienza della prassi giurisdizionale.

Nell’ambito delle misure di prevenzione, infatti, la sorveglianza speciale prevede la cogenza delle “prescrizioni”, il cui mancato rispetto da parte dell’agente comporta la consumazione del reato di cui all’art. 75 d.lgs. 159/2011.

Quelle prescrizioni, tuttavia, impongono un atteggiamento di confronto con regole grevemente incidenti sulla libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di rincasare entro un certo orario o di non allontanarsi dall’abitazione prima di un dato orario.

Alcune disabilità, i cui patterns sono stati evidenziati nel paragrafo 2 che precede, stridono con la pretesa di un atteggiamento soggettivo di condivisione, di analisi e di rispetto della regula juris.

Tanto dicasi, a mo’ di esempio, per il disturbo antisociale della personalità, che reca in nuce una tipica reattività osteggiatrice del rispetto di qualsiasi norma.

Ne consegue che imporre a persona affetta da simili disturbi una prescrizione di non allontanarsi dall’abitazione trova come frequente casistica una successiva imputazione di violazione della misura di prevenzione.

Con l’ulteriore esito di un inestricabile procedere circolare che, muovendo dagli indizi di reato lucrogenetici originanti l’applicazione della misura di prevenzione personale, giunge a quest’ultima per poi, nella violazione ex art. 75 d.lgs. 159/2021, ritorna a una condotta di reato.

Ciò nel sottofondo del disturbo psichiatrico di cui cennavasi.

Tale incedere non è certamente un’aporia perché la circolarità è conseguenza dell’approccio soggettivo che, invece, riteniamo debba riconsiderarsi.

Esso appare più come un nodo gordiano da districarsi con una scelta interpretativa rivolta, con decisione, verso la valorizzazione delle problematiche o da disturbi psichiatrici e non con una sbrigativa presunzione di capacità nella persona.

6.

Categoria dell’imputabilità e sue criticità applicative per le misure di prevenzione

Nella cognizione del reato, i disturbi della personalità e l’inimputabilità – è stato più volte detto in giurisprudenza – non si confrontano in una relazione necessaria[32].

Occorre domandarsi, però, se la categoria dell’art. 85 cod. pen. possa esegeticamente utilizzarsi per la soggettivizzazione delle misure di prevenzione, rectius per considerare la forza cogente di quest’ultime sulla volizione del prevenuto.

L’imputabilità concerne il diritto penale del fatto[33] e già ciò evidenzia difficoltà per il diritto penale dell’autore che è il sistema della prevenzione personale.

In secondo luogo, non può non condividersi che, per la rimproverabilità della condotta criminis, assume rilevanza non la patologia in sé ma l’idoneità a comprendere il significato dei propri atti[34].

Soltanto con tale esegesi, il paradigma può dirsi infatti autenticamente soggettivizzato.

Se quindi la fattispecie del vizio totale di mente non pone problemi interpretativi, a porne è la casistica della c.d. capacità grandemente scemata, utilizzando una nozione psichiatrica diffusa nelle prassi, ovvero del vizio che non sia patologia clinicamente apprezzabile ma disturbo psichiatricamente valutabile.

Sussiste infatti il caso della persona dotata di piena capacità intellettiva ma che non ha libera volizione per effetto dei disturbi cennati al paragrafo 2 che precede.

Il tema si complica perché la scienza medica non distingue le due sottocategorie giuridiche della capacità d’intendere e di quella di volere.

Tale evenienza pone in crisi la presunzione d’imputabilità della persona[35], non offrendo quindi criteri univoci per la traduzione dell’esperienza scientifica medica nella prassi giurisdizionale.

Pertanto, condividiamo che, già di per sé, la nozione di imputabilità, con particolare riguardo al c.d. vizio parziale di mente, si appalesi discrezionalmente “elastica” e, comunque, controvertibile[36].

Sono tuttavia gli attuali patterns dei disturbi della volontà, oggi nel DSM V e per l’assenza di relazione di essi con la capacità cognitiva del soggetto, a porre in definitiva crisi la categoria dell’imputabilità in generale e, comunque, ad escluderne l’applicabilità nella prevenzione personale. 

In quest’ultima, poi, l’interpretazione letterale degli artt. 4 e 6 del d.lgs. 159/2011 evidenzia l’incongruenza di ogni astratta ipotesi di utilizzo della categoria dell’imputabilità.

Nessun ausilio esegetico riviene poi dagli artt. 13, 14 e 15 del d.lgs. 159/2011 che disciplina il rapporto della prevenzione personale con l’esecuzione penale e con le misure di sicurezza ma lascia per presupposto (presunto) che la prevenzione si applichi ai soggetti di cui ai richiamati artt. 4 e 6.

Negare un’esigenza di soggettivazione delle norme della prevenzione personale, tanto in un diritto penale dell’autore, ci appare oggi come un ingiusto non senso interpretativo.

Tale esigenza fu posta già dalla dottrina degli anni Settanta[37] senza trovare adeguata considerazione giurisprudenziale ma è attualissima anche in considerazione dell’espansione dell’ambito applicativo oggettivo della prevenzione personale.

In altri termini, nell’attualità, per offrire un ulteriore limite garantistico ad applicazioni soggettivamente presuntive per una molteplicità di fattispecie che, come il delitto di atti persecutori, richiedono attente valutazioni del reato nella sua necessaria dimensione temporale di abitualità.

7.

L’obiter dictum di Cass., VI, 24635/2020

Molto di recente, un caso ha riguardato una persona affetta da disturbo borderline della personalità che, in un arco di tempo ristretto, veniva prima deferito dall’Autorità di polizia per decine di ipotesi di reato in altrettante distinte condotte, per poi esser proposto per la misura di prevenzione della sorveglianza speciale.

La giurisprudenza di legittimità, per incidens al principio di diritto affermato, ha espresso un obiter dictum nel quale, in rapporto alle prescrizioni per il prevenuto, è necessario un raffronto “in concreto” con l’esigibilità della condotta[38].

Ci domandiamo quindi: la persona disturbata, come nel cennato pattern, può ricevere l’onere delle prescrizioni di sorveglianza speciale senza che si risponda al quesito dell’esigibilità da lui di quelle regole di condotta in rapporto alla specificità delle disabilità da lui sofferte?

E, sul piano categoriale, l’esigibilità soddisfa tali esigenze meglio dell’imputabilità?

 

 

8.

La natura quasi penale delle misure di prevenzione e l’ipotesi de jure condendo dell’esigibilità

Per rispondere a tali quesiti, è preliminarmente utile un cenno sul problema della natura, penale o meno, delle misure di prevenzione.

Esse, al di là della natura afflittiva, sono difficilmente riconducibili al sistema del diritto penale, anche per la “flessibilità” della strutturazione del principio di legalità.

Per superare il dibattito sul tema, potrebbesi riutilizzare l’antica opzione categoriale per cui esse mostrano, al più, una natura quasi penale[39].

Condividiamo l’insegnamento per cui la capacità non afferisca strettamente alla colpevolezza mentre determini una “inefficienza” del precetto penale nei confronti della persona[40].

E ciò è tanto più evidente con riferimento ai disturbi psichiatrici in relazione alle misure di prevenzione.

La portata dissuasoria delle prescrizioni al sorvegliato speciale si riduce o si azzera qualora sussistano le disabilità descritte al paragrafo 2 che precede[41].

E’ indiscutibile, quindi ed anche alla luce delle osservazioni al paragrafo 5, che di effetti dissuasori carenti od insufficienti ma anche di effetti protettivi parimenti deficitari per la società debba discutersi quando la prevenzione personale afferisca la persona patologicamente minata nella volizione.

La dissuasione non ha forza cogente sulla persona ut supra disturbata.

Ma anche l’esigenza di protezione della società è vana, nella fattispecie problematica del paragrafo 7 che precede, nel quale è evidente, invece, il mero effetto più che moltiplicatore delle condotte ex art. 75 d.lgs. 159/2011.

Viene così in rilievo la nozione di esigibilità della condotta alternativa doverosa, concetto che è utile proprio perché ben si attaglia alle ipotesi di carenza relativa di possibilità di aliud facere[42].

Ogni comportamento differente, da prevedersi in astratto, può confrontarsi con la ricorrenza di circostanze soggettive, quali nelle fattispecie considerate nel presente lavoro i cennati disturbi psichiatrici, circostanze che appunto non lo ritengono, in concreto, pretendibile.

Il paradigma dell’esigibilità, oggi di grande attualità nell’ambito della colpa penale[43], diviene così utile anche per la prevenzione personale, specie qualora se ne accettino, a priori, i contorni discrezionali[44], che pure consentono la soggettivizzazione, rectius l’umanizzazione del sistema della prevenzione[45].

Una discrezionalità che, peraltro, troverebbe ampio limite nel supporto probatorio scientifico medico, utilmente aggiornabile nella talvolta vorticosa attualizzazione dei suoi apporti[46].

L’inesigibilità, peraltro, potrebbe valorizzare l’esclusione anche della prevenzione personale con riferimento a tutte le menomazioni fisiche o psichiche in grado di impedire all’agente di porre in essere la condotta alternativa legittima[47].

L’esigibilità, poi e come categoria anche extrapenale, prescinde dalla scelta in tema di natura della prevenzione personale e, nel contempo, avrebbe altresì il pregio che, nelle fattispecie di disturbo anzidette, l’interesse protettivo collettivo ben può essere assicurato dall’applicazione di misure di sicurezza[48].

E la categoria dell’esigibilità, inserita nel sistema della prevenzione personale, distinguerebbe la tipicità della natura penalistica dell’imputabilità, valorizzando appunto la natura quasi penale del sistema del d.lgs. 159/2011 nella presente amplissima strutturazione ma, soprattutto, escludendo in radice il dovere normativo qualora esso sia impossibile pretendere dalla persona sotto un profilo soggettivo[49].

Infine, l’utilizzo giuridico della nozione di disabilità, nell’auspicato rilievo normativo dell’inesigibilità della prevenzione, consentirebbe di attualizzare di continuo la scienza giuridica ai progressi di quella medica[50].

Per riaffermare, ancora una volta ed in modo rinnovato, la relazione bilanciata del diritto penale tra l’uomo e le forme di custodia della libertà civile[51], l’inserimento della categoria dell’esigibilità nel sistema normativo della prevenzione personale rappresenta un’ipotesi de jure condendo che ci sembra utile anche in senso garantistico.

Armonizzando il complesso normativo della prevenzione nel tempo cresciuto a dismisura e destinato ad applicazioni sempre più frequenti nella prassi.

*Avvocato del Foro di Castrovillari, componente del Comitato Scientifico della Scuola Forense “Avv. Francesco De Biase” di Castrovillari

[1] Il testo pone per iscritto ed attualizza la relazione per il Convegno “Passato, presente e futuro delle misure di prevenzione personali: un dialogo tra Pubblica Accusa, Difesa, Dottrina e Giurisprudenza”, tenutosi a Castrovillari il 3 dicembre 2021 ed organizzato dalla locale Scuola Forense “Avv. Francesco De Biase”.

[2] A. Moro, La capacità giuridica penale, Cedam 1939, p. 17, nonché il medesimo Autore, La subiettivazione della norma penale, Macri 1942, pp. 115 ss.

Successivamente, ritenne che, nella subiettivazione, il diritto penale dovesse esser affiancato dalla criminologia A.A. Calvi, Tipo criminologico e tipo normativo d’autore, Cedam 1967, p. 8.

Sul tema, tra gli altri, anche M. Gallo, Il concetto unitario di colpevolezza, Giuffré 1951, p. 26.

[3] A. Moro, La capacità giuridica penale, op. citata, p. 166, nonché A. Moro, La subiettivazione della norma penale, op. citata, p. 101.

[4] Così P.V. Molinari – V. Papadia, Le misure di prevenzione nella legge fondamentale, nelle leggi antimafia e nella legge antiviolenza nelle manifestazioni sportive, Giuffré 2002, p. 10.

[5] Tanto osservando che la fattispecie “di chiusura” della lettera c) evidenzia una problematica indeterminatezza, come nota V. Maiello, Le singole misure di prevenzione personali e patrimoniali, in V. Maiello, (a cura di), La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, Giappichelli 2015, p. 326.

[6] Sul tema rinvio alle trattazioni di V. Maiello, op. ultima citata, p. 325 ss., nonché nel recentissimo contributo di R. Magi, I soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali, in L. Della Ragione – A. Marandola – A. Zampaglione (a cura di), Misure di prevenzione, interdittive antimafia e procedimento, Giuffré Francis Lefebvre 2022, pprrff. 1-5, pp. 71 ss.

[7] R. Magi, op. ultima citata, p. 71.

L’Autore, nelle successive pp. 78 e 81, annota gli sforzi giurisprudenziali di dare base legale all’abitualità (art. 1 lett. a e b del codice antimafia) con l’analisi dello stile di vita del proposto, richiamando Cass., Sez. II, 19.01.2018 n°11846.

Mentre, con riferimento alla dedizione ad attività delittuose, egli evidenzia la tecnica del legislatore di cercare di evitare l’indeterminatezza normativa tramite l’aggettivazione (“dediti”) e la finalizzazione dell’agere (a commettere “reati”).

[8] Quanto alla distinzione astratta tra tipo criminologico e tipo normativo d’autore richiamo le pagine attualissime e senza tempo di A.A. Calvi, op. ultima citata, Cedam 1967, pp. 8 e 21.

[9] V. Maiello, op. ultima citata, p. 325.

[10] Ossia come «categoria logico-conoscitiva tratta dall’astrazione generalizzante di semplici note analogiche, comuni ad entità diverse» ma col limite di essere anche «strumento di classificazioni approssimative, cioè di riduzioni categoriali sottratte al rigido vincolo descrittivo di contenuti concettuali assolutamente diversi», sic A.A. Calvi, op. ultima citata, p. 37.

[11] A.A. Calvi, op. ultima citata, pp. 23, 30 e 258.

Di recente, concorda circa la riconduzione ad unità di tipo criminologico e tipo normativo d’autore, pur nelle attuali classificazioni descrittive (clinico-psichiatrica, psicodinamica, motivazionale e socio-ambientale) anche F. Mantovani, Il tipo criminologico di autore nella dottrina contemporanea, in AA.VV., Il soggetto autore del reato: aspetti criminologici, dogmatici e di politica criminale. Atti della giornata di studi penalistici in ricordo di Alessandro Alberto Calvi, Cedam 2013, p.35.

[12] Definito come «un pattern costante di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo»: sic U. Galimberti, Nuovo Dizionario di Psicologia, Psichiatria, Psicoanalisi, Neuroscienze, Feltrinelli 2019, p. 914.

[13] Il pattern è definito intieramente come «pattern pervasivo di deficit sociali e interpersonali caratterizzato da disagio acuto e ridotta capacità riguardanti relazioni affettive, da distorsioni cognitive e percettive ed eccentricità di comportamento … Chi ne è affetto ha idee di riferimento, strane convinzioni o pensiero magico (come superstizione, chiaroveggenza, telepatia, sesto senso) che influenzano il comportamento, esperienze percettive insolite incluse illusioni corporee, pensiero ed eloquio iperelaborato o stereotipato, sospettosità o ideazione paranoica». Cfr. U. Galimberti, op. ultima citata, p. 914,

[14] Il pattern del disturbo antisociale è definito: «pattern pervasivo di inosservanza e di violazione … chi ne è affetto si rivela incapace di conformarsi alle norme sociali con conseguente ripetersi di atti passibili di arresto, disonestà (come indicato dal mentire ripetutamente, usare falsi nomi, truffare gli altri per profitto o piacere personale), impulsività …, irritabilità e aggressività, noncuranza sconsiderata della sicurezza propria o degli altri … mancanza di rimorso per aver danneggiato, maltrattato o derubato un altro». Cfr. U. Galimberti, op. ultima citata, p. 914.

[15] Il pattern del disturbo borderline è definito: «pattern pervasivo di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé, dell’umore e una marcata impulsività … Chi ne è affetto … presenta … impulsività in aree dannose come spese sconsiderate … abuso di sostanze, guida spericolata … instabilità affettiva dovuta a una mancata reattività dell’umore con … irritabilità … rabbia incontrollata e intesa con frequenti accessi d’ira, ideazione paranoide transitoria … o gravi sintomi dissociativi». Cfr. U. Galimberti, op. ultima citata, p. 91

[16] Così testualmente F. Mantovani, Diritto Penale Parte Generale, Wolters Kluwer Cedam 2020, p. 690.

[17] I. Merzagora Betsos, Imputabilità, pericolosità sociale, capacità di partecipare coscientemente al procedimento, in G. Giusti, Trattato di Medicina Legale e Scienze affini, vol. IV Genetica Psichiatria Forense e Criminologia Medicina del Lavoro, Cedam 2009, p. 161.

[18] La nozione di tätertyp si deve a E. Metger, Tatstrafe und Tätetäterstrafe in Kriegsstrafrecht, in ZStW 1940, 60, 356.

[19] A. Gemelli, La personalità del delinquente nei suoi fondamenti biologici e psicologici, Giuffré 1946, p. 18.

[20] A.A. Calvi, op. ultima citata, p. 46, rammentava come il c.d. tipo normativo puro scontasse l’ideologia nazionalsocialista e rivelasse il nulla criminologico delle persecuzioni contro Polen und Juden.

Recentemente, evidenzia che il tatertyp puro sia nelle ipotesi di diritto penale del nemico e che, in queste ultime, rientrasse l’art. 61 n°11 bis cod. pen., cassato di illegittimità costituzionale, G. Marinucci, Il tipo normativo d’autore: inquadramento dogmatico ed esperienze giurisprudenziali, in in AA.VV., Il soggetto autore del reato: aspetti criminologici, dogmatici e di politica criminale. Atti della giornata di studi penalistici in ricordo di Alessandro Alberto Calvi, Cedam 2013, pp. 80 e 81.

[21] Critica come foriero di imprecisione, indeterminatezza ed incondivisibile discrezionalità il tema del tätertyp nella prevenzione personale A. Nappi, La prevedibilità nel diritto penale, ESI 2020, pp. 154 e 155, il quale ritiene appunto il tipo d’autore come antitesi al diritto penale del fatto, in un paradigma generale ed imprescindibile di prevedibilità di tale ramo del diritto.

[22] Su ciò il già citato A.A. Calvi, op. ultima citata, p. 37.

[23] A. Nappi, op. ultima citata, p. 161.

[24] Che un «apprezzabile lasso di tempo di sospensione» determini l’esigenza della rivalutazione della pericolosità è stato inoltre affermato da Cass., Sez. Un., 21.06/13.11.2018 n°51407, in il Foro It. 2019, II, 226 ss., che si è posta in linea con l’intervento additivo di Corte Cost. 06.12.2013 n°291, in Giur. Cost. 2013, 4648.

Ritiene coerente la pronuncia della Suprema Corte con la nuova disciplina dell’art. 14 co. 2 e con la giurisprudenza costituzionale A. Quattrocchi, Prevenzione personale e detenzione di lunga durata: per le Sezioni Unite è necessaria la rivalutazione della pericolosità, in Dir. Pen. Proc. 2019, 1069.

[25] Il revirement giurisprudenziale avvenne con Cass., Sez. Un., 25.01.2005 n°9163, Raso, rv 230317 (Pres. Marvulli, Rel. Marzano), in il Foro It. 2005, II, 425, che superò il precedente indirizzo rigorosamente nosografico in favore del nuovo approccio psichiatrico-forense, valorizzante il criterio della intensità del disturbo.

La giurisprudenza successiva è rimasta sempre conforme in molteplici precedenti. Sic Cass., Sez. I, 16.04.2019 n°35842, rv 276616-01; Cass., Sez. VI, 10.05.2018 n°33463, rv 273793; Cass., Sez. I, 25.06.2014 n°52951, rv 261339; Cass., Sez. III, 20.11.2013 n°1161, rv 257923; Cass., Sez. I, 31.01.2013 n°48841, rv 258444; Cass., Sez. II, 22.05.2012 n°24535, rv 253079; Cass., Sez. VI, 27.10.2009 n°43285; Cass., Sez. II, 02.12.2008 n°2774, rv 242710; Cass., Sez. IV, 13.07.2007 n°36190, rv 237777.

Un’analisi dell’evoluzione è in G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Giuffré 2019, p. 435.

[26] Corte Cost. 27.02.2019 n°24, in Dir. Pen. Proc. 2019, 938.

[27] Corte. Cost. 17.07.2017 n°208, in il Foro It. 2017, I, 3219.

[28] Corte Cost. 27.02.2019 n°25, in Dir. Pen. Proc. 2019, 939.

Sul punto V. Maiello, Gli adeguamenti della prevenzione ante delictum nelle sentenze costituzionali nn. 24 e 25, in Dir. Pen. Proc. 2020, 111 e 112.

[29] Corte Cost. 19.04.2019 n°99, in il Foro It. 2020, I, 1143 ss. (con nota di R. Romboli) e 1534 ss. (con nota di M.G. Marzano), che, nel punto 3.2., evidenzia l’inattuazione della delega disposta dalla Legge 23.06.2017 n°103, volta a garantire adeguati trattamenti terapeutici e riabilitativi, alternativi alla detenzione, ai ristretti malati psichici.

In tale pronuncia, sottolinea il bilanciamento di interessi delle esigenze di pubblica sicurezza, da una parte, e del diritto alla salute, dall’altra, con favor per quest’ultimo A. Menghini, Detenzione domiciliare “in surroga” e infermità psichica sopravvenuta, in Giur. It. 2019, p. 1204.

La recentissima Corte Cost., 15/16.12.2021-27.01.2022 n°22, n.m., in www.cortecostituzionale.it, pur dichiarando inammissibili le questioni di legittimità sollevate dal giudice a quo, sottolinea un’«urgente necessità di una complessiva riforma di sistema», finalizzata tra l’altro a prendere atto della «natura ancipite» delle misure di sicurezza come volte anche al trattamento sanitario della salute mentale.

[30] Corte EDU, Grande Camera, 23.02.2017, De Tommaso c/ Italia, in Dir. Pen. Proc. 2017, p. 683, ove è sottolineato il deficit della prevenzione italiana quanto a chiarezza e precisione delle garanzie di accessibilità e prevedibilità nonché quanto alla discrezionalità attuativa.

[31] V. Maiello, De Tommaso c/ Italia e la Cattiva coscienza delle misure di prevenzione, in Dir. Pen. Proc. 2017, pp. 1039 ss.

[32] A Cass., Sez. Un., 2005/9163 già citata, sono susseguite le ulteriori pronunce citate nella precedente nota 16.

Di recente, cenna al tema M.G. Marzano, nota a Corte Cost. 19.04.2019 n°99, in il Foro It. 2020, I, 1537.

[33] G. Marini, voce Imputabilità, in Enciclopedia Giuridica Treccani, UTET 1990, p. 4.

[34] Così P. Moscarini, La verifica dell’infermità mentale nell’accertamento giudiziario penale, in Dir. Pen. Proc. 2017, 987.

[35] In ordine alla presunzione d’imputabilità richiamo, tra gli altri, G. Contento, Corso di diritto penale, Laterza 1994, p. 466, che, alla successiva pag. 468, evidenziava la crisi dell’apparente identificazione necessaria tra imputabilità e capacità d’intendere e di volere.

[36] Così la ritengono G. Fiandaca – E. Musco, Diritto Penale, Parte Generale, Zanichelli 2014, p. 343.

[37] Mi riferisco a V. Cavallari, Il procedimento di prevenzione, Giuffré 1975; B. Siclari, Le misure di prevenzione, Giuffré 1974; I. Caraccioli, I problemi generali delle misure di sicurezza, Giuffré 1970: tutti richiamati di recente in P.V. Molinari – U. Papadia, Le misure di prevenzione, Giuffré 2002, pp. 32 e 33.

[38] Cass., Sez. VI, 18.06.2020 n°24635, in C.E.D. Cass. n. 279570-01.

[39] Il richiamo è alla giustinianea obbligazione quasi ex delicto. Ex multis B. Biondi, Istituzioni di diritto romano, Giuffré 1972, p. 535.

[40] La tesi dell’inefficienza è ancora di A. Moro, La capacità giuridica penale, Cedam 1939, p. 146.

[41] In tal senso è anche la già citata Corte Cost. 2017/208.

[42] Così E. Di Salvo, Pandemia da Covid-19 e responsabilità del medico, in P. Piccialli (a cura di), La responsabilità penale in ambito medico sanitario, Giuffré 2021, p. 105.

[43] C. Brusco, La colpa penale e civile, Giuffré 2017, p. 349.

[44] E. Di Salvo, op. ultima citata, p. 109.

[45] E. Di Salvo, op. ultima citata, p. 118.

[46] In pochi anni, la psichiatria internazionale è pervenuta, infatti, all’attuale quinta elaborazione del suo manuale diagnostico (DSM).

[47] Lo considera in genere E. Di Salvo, op. ultima citata, p. 122.

[48] A tale conclusione perviene anche R. Magi, op. ultima citata, p. 94, muovendo dalla lettura della già citata Corte. Cost. 2017/208.

[49] E. Di Salvo, op. ultima citata, p. 119.

[50] Ne sottolineava conclusivamente l’utilità A.A. Calvi, op. ultima citata, pp. 556 e 604.

[51] F.M. Pagano, Considerazioni sul processo criminale, capitolo III, Napoli 1787.